Cass. Sez. III Sent. 33487 del 05/10/2006 (Ud. 05/07/2006)
Presidente: Papa E. Estensore: Ianniello A.Imputato: Lafore'
(Dichiara inammissibile, App. Torino, 28 Settembre 2005)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Reati edilizi - Proprietario non formalmente committente - Responsabilità - Condizioni - Individuazione.

In tema di reati edilizi, la responsabilità del proprietario, non formalmente committente, del fabbricato demolito e ricostruito con dimensioni maggiori, in difetto delle prescritte autorizzazioni, può dedursi da indizi quali la avvenuta presentazione di una denunzia di inizio di opere di manutenzione ordinaria e la successiva domanda di sanatoria delle opere realizzate.
 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 05/07/2006
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 01307
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 003606/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) LAFORÈ GLORIA, N. IL 13/06/1978;
avverso SENTENZA del 28/09/2005 CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. IANNIELLO ANTONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. Geraci Vincenzo che ha concluso per inammissibile il ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 28 settembre 2005, la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza in data 14 marzo 2003, con la quale il Tribunale di Asti aveva riconosciuto Gloria Laforè (altrimenti detta Gloria Delorier), in qualità di proprietaria del terreno e committente dei lavori, colpevole del reato di cui all'art. 110 c.p., art. 81 c.p., L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, comma 1, lett. c) e D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163, per avere realizzato abusivamente, in zona sottoposta a vincolo ambientale, in quanto nella fascia di rispetto del fiume Tanaro, la demolizione di un basso fabbricato già abusivo e la costruzione di un fabbricato di superficie complessiva maggiore (mq. 117), costituito da una platea in conglomerato cementizio, con muratura perimetrale e sovrastante solaio di travetti prefabbricati con interposte pignatte, privo del getto di completamento al momento dell'accertamento (in Asti il 24 novembre 2000), con altezza interna dal piano grezzo di mt. 3, tettoia aperta su quattro lati di mt. 12 per 10 costituita da nove pilastri in profilato metallico, capriate metalliche reticolari e sovrastanti lastre di copertura, condannandola alla pena di 15 giorni di arresto e Euro 15.000,00 di ammenda. Con la sospensione condizionale della pena e con l'ordine di demolizione dell'opera abusiva.
Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione l'imputata, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
1 - l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in quanto la Corte avrebbe violato il diritto dell'imputata di partecipare all'udienza del 28 settembre 2005, respingendo una richiesta di rinvio formulata dalla sua difesa con la produzione di un certificato medico relativo allo stato di malattia di sua figlia;
2 - la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione in ordine all'individuazione dell'imputata come committente dei lavori abusivi, desunta dai giudici di merito unicamente dalla sua qualità di proprietaria. Inoltre la motivazione sarebbe carente anche in ordine al carattere di novità del fabbricato, che costituirebbe invece opera di ripristino di altra preesistente abbattuta;
3 - la mancanza o l'illogicità della motivazione in punto di trattamento sanzionatorio nonché quanto alla mancata conversione nella sola pena pecuniaria;
4 - l'illegittimità dell'ordine di demolizione, che può essere impartito dal giudice L. n. 47 del 1985, ex art. 7, u.c., solo in presenza di inerzia della P.A.;
5 - violazione di legge nel computo della prescrizione: dovrebbe essere maturata il 24 maggio 2005; la Corte vi somma alcune sospensioni, non per il solo periodo di durata della relativa causa o per i dieci giorni successivi, come dovrebbe ex art. 159 c.p. o art. 477 c.p.p., ma illegittimamente fino alla successiva udienza fissata anche a distanza di tempo rispetto a tali scadenze.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile.
Col primo motivo, la ricorrente lamenta il mancato rinvio dell'udienza da parte della Corte territoriale nonostante l'impedimento legittimo della stessa a parteciparvi rappresentato alla Corte dal suo difensore e consistente nello stato di malattia della figlia.
Il motivo è assolutamente generico, non avendo la parte ricorrente specificato le ragioni per cui la malattia della figlia le avrebbe impedito di partecipare all'udienza comportante un impegno non maggiore di una mattinata.
A norma dell'art. 420 ter c.p.p., applicabile al dibattimento in forza del richiamo contenuto nell'art. 484 c.p.p., comma 2 bis, il rinvio a nuova udienza è infatti previsto "quando l'imputato... non si presenta in udienza e risulta che l'assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento".
Ne consegue che nel caso in esame l'imputata avrebbe dovuto specificare alla Corte territoriale le ragioni per cui lo stato di malattia della figlia era tale da rendere assolutamente indispensabile la sua presenza e solo la sua presenza presso di lei nel tempo occorrente per recarsi in udienza da Asti a Torino con un impegno di poche ore (età della figlia che rendeva necessaria una assistenza continua, anche per il tipo di malattia, situazione per cui questa non poteva essere assistita per breve tempo da altri, padre o parenti o collaboratori domestici che fossero, etc.). In assenza di tali specificazioni, correttamente la Corte ha pertanto ritenuto non ricorrere una ipotesi di impedimento riconducibile alla previsione di cui alla norma citata.
Il secondo è terzo motivo di ricorso sono manifestamente infondati, in quanto si limitano a ripetere censure alle quali la Corte ha già dato adeguata risposta, senza addurre alcuna considerazione in ordine alla insufficienza o illogicità di quest'ultima.
La Corte territoriale ha infatti indicato una serie di indizi gravi, precisi e concordanti nel senso di attribuire all'imputata la qualità di committente dell'opera: anzitutto la qualità di proprietaria del fabbricato abbattuto e ricostruito con dimensioni maggiori, che pure appare un indizio importantissimo, ma anche il fatto che la ricorrente aveva presentato personalmente, prima dell'opera, una comunicazione di inizio di opere di manutenzione ordinaria sul fabbricato in questione, aveva poi presentato al Comune una domanda di sanatoria dell'opera compiuta, un ricorso straordinario al Capo dello Stato e un'istanza di sospensiva al Consiglio di Stato avverso l'ordine di demolizione da parte del Sindaco, etc..
Inoltre, i giudici hanno altresì dato atto che l'opera costituiva il risultato dell'abbattimento di un precedente manufatto, ma correttamente ne hanno ritenuto il carattere di novità quantomeno in ragione della ricostruzione con dimensioni maggiori. Anche quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte ha ricordato come la pena sia stata determinata in una misura molto prossima al minimo edittale e con la concessione delle attenuanti generiche e argomentato che una pena minore non si giustificherebbe anche alla luce dei precedenti penali dell'imputata.
Infine, quanto alla mancata sostituzione della pena detentiva, i giudici d'appello hanno correttamente rilevato l'inconsistenza della censura secondo la quale la pena pecuniaria sarebbe maggiormente adatta al reinserimento sociale del reo, rilevando come in proposito e in maniera più appropriata fosse stata concessa dal giudice di primo grado la sospensione condizionale della pena. Anche al quarto motivo di ricorso la Corte ha già dato adeguata risposta, rilevando come l'ordine di demolizione da parte del giudice non sia subordinato dalla L. n. 47 del 1985, art. 7, u.c., all'inerzia della P.A., ma unicamente al fatto che la demolizione "non sia stata altrimenti eseguita", fatto non ancora prodottosi nel caso in esame.
Infine, manifestamente infondato appare l'ultimo motivo di ricorso, avendo la giurisprudenza di questa Corte costantemente affermato fino alla diversa disciplina introdotta dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, comma 3, con riguardo alle cause di sospensione per ragioni di impedimento delle parti o dei difensori) che alle sospensioni della prescrizione per una delle ragioni previste dalla legge si aggiunge quella necessaria per la fissazione di una nuova udienza, in quanto strettamente dipendente dalla prima (Cass., sez. 3^, pen. 6 aprile 2004 n. 16022).
Concludendo, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e di una somma, che si determina in Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2006.
Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2006