Cass. Sez. III n. 45968 del 6 ottobre 2017 (Ud 20 lug 2017)
Presidente: Savani Estensore: Di Stasi Imputato: Caputo
Urbanistica. Caratteristiche della pertinenza

Per pertinenza deve intendersi un'opera che non sia parte integrante o costitutiva di un altro fabbricato, bensì al servizio dello stesso onde renderne più agevole e funzionale l'uso. Affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti. L'ampliamento di un fabbricato preesistente- come verificatosi nella specie- non può considerarsi pertinenza, ma diventa parte dell'edificio perchè, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all'edificio medesimo

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 30/09/2016, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Trapani che aveva dichiarato Caputo Domenico responsabile dei reati di cui agli artt. 44 lett. b) dpr n. 380/2001 e 181 divo 42/2004 (capi a e b)- per aver realizzato, in qualità di proprietario e committente dei lavori, in Calatafimi-Segesta su terreno soggetto a vincolo paesaggistico, in assenza di permesso a costruire e di nulla osta della competente Autorità di tutela del paesaggio, tre pergolati in legno e la sistemazione esterna dell'area di pertinenza della sala di ricevimento "Agorà"- e lo aveva condannato alla pena di mesi due di arresto ed euro 23.000,00 di ammenda con pena sospesa condizionata all'esecuzione dell'ordine di demolizione e riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Caputo Domenico, per il tramite del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'affermazione che l'opera realizzata (pergolato) sia funzionale alla realizzazione di un terrazzo coperto ed all'ampliamento del locale ove l'imputato gestiva attività di sala di ricevimenti, non comprendendosi su quali elementi di fatto sia stata fondata tale valutazione. Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 44 lett. b) dpr n. 380/2001 e 5 della legge regionale siciliana n. 37/1985, argomentando che l'opera era soggetta a semplice autorizzazione comunale stante la sua evidente natura pertienziaie. Con il terzo motivo deduce erronea applicazione dell'art. 181 divo 42/2004 in relazione all'art. 149 divo 42/2004 e 20 i r. 71/1978, argomentando che l'opera non era soggetta a preventiva autorizzazione paesaggistica in quanto opera di manutenzione straordinaria. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione dell'art. 165 comma 1 cod.pen.in relazione all'art. 24 della Costituzione, argomentando la Corte di appello avrebbe confermato la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena all'eliminazione dell'opera abusiva, pur avendo l'imputato proposto azione difensiva dinanzi al G.A. Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2 1. Il primo motivo è inammissibile per violazione dell'art. 606 comma 3 cod. proc. pen., atteso che lo stesso involge esclusivamente censure di merito nei confronti dell'impugnata sentenza, riguardanti la rivalutazione del compendio probatorio. Il motivo risulta diretto ad indurre la rivalutazione del compendio probatorio, senza l'indicazione di specifiche questioni in astratto idonee ad incidere sulla capacità dimostrativa delle prove raccolte. Il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve essere diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa; quest'ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato. Il perimetro della giurisdizione di legittimità è, infatti, limitato alla rilevazione delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi specifici del percorso argomentativo, che non possono dilatare l'area di competenza della Cassazione alla rivalutazione dell'interno compendio indiziario. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali eventualmente rilevate per essere rilevanti devono, inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa. La Corte territoriale ha, comunque, congruamente argomentato che, alla luce delle risultanze istruttorie e segnatamente delle foto in atti trasfuse nella sentenza di primo grado, la struttura dell'opera esclude che si tratti di un semplice pergolato ma denota un'opera finalizzata alla creazione di un "terrazza coperto" ed all'ampliamento del locale ove l'imputato gestiva attività di sala di ricevimenti, rimarcando anche l'inserimento di travi per la successiva copertura dell'area.
 Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte territoriale, con argomentazioni congrue e logiche nonché giuridicamente corrette, ha spiegato perché l'opera in questione non può considerarsi pertinenza, rimarcando la mancanza di autonomia funzionale rispetto all'edificio e la sua completa integrazione nello stesso. Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, per pertinenza deve intendersi un'opera che non sia parte integrante o costitutiva di un altro fabbricato, bensì al servizio dello stesso onde renderne più agevole e funzionale l'uso (cfr ex multís, Sez.3, n.20349 del 16/03/2010, Rv.247108); è stato, inoltre, precisato che affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria individualità, che sia oggettivamente 3 preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (Sez.3, n.25669 del 30/05/2012, Rv.253064; Sez.3, n.52835 del 14/07/2016,Rv.268552); in particolare, è stato affermato che l'ampliamento di un fabbricato preesistente- come verificatosi nella specie- non può considerarsi pertinenza, ma diventa parte dell'edificio perchè, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all'edificio medesimo (Sez.3,n.33657 del 12/07/2006,Rv.235382; Sez.3,n.28504 del 29/05/2007, Rv.237138). La Corte territoriale, poi, ha chiarito con apprezzamento di fatto adeguatamente e logicamente motivato- quindi non sindacabile- che non può trovare neppure applicazione l'art 20 della legge regionale siciliana n. 4/2003 in quanto l'opera in questione non ha il carattere della precarietà; ha, infatti, valutato che si tratta di opera stabilmente infissa al suolo e destinata a garantire un ampliamento della ricettività dell'attività commerciale mediante una maggiore e più comoda fruizione dello spazio esterno del locale ove l'imputato gestiva attività di sala ricevimenti, per la cui realizzazione era necessario il permesso di costruire.
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte territoriale, con argomentazioni congrue e logiche nonché giuridicamente corrette, ha ritenuto integrato il reato di cui all'art., 181 dgls 42/2004 spiegando che l'opera in questione ha comportato una modifica del territorio protetto, rimarcando anche sotto tale profilo, tipologia e modalità di edificazione e l'ampliamento del locale preesistente. Manifestamente infondata è la deduzione difensiva che trattasi di opera manutenzione straordinaria e che, quindi, in base al disposto dell'art. 149 divo 42/2004 non necessitava di autorizzazione paesaggistica. Questa Corte ha ripetutamente affermato che, come si ricava dalla definizione offerta dall'art. 3 lett. b) dpr n. 380/2001, si considerano interventi di manutenzione straordinaria le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per integrare o realizzare i servizi igienici sanitari e tecnologici sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche della destinazione d'uso (cfr ex multis, Sez.3, n.22229 del 22/04/2010, Rv.247637; Sez.3, n.20350 del 16/03/2010, Rv.247178;Sez.3, n.12104 del 19/01/2012,Rv.252341). Nella fattispecie, invece, vi è stato un ampliamento dell'edificio preesistente e, pertanto, l'intervento non può certamente considerarsi di manutenzione straordinaria.
4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato. Dall'esame congiunto delle sentenze di primo grado e di appello (che, com'è noto si integrano reciprocamente: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 - dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595), risulta palese l'infondatezza della censura, in quanto i Giudici di merito hanno subordinando il beneficio della sospensione condizionale della pena inflitta alla demolizione dell'opera abusiva, sottolineando l'esistenza di un precedente penale a carico dell'imputato, le modalità del fatto e la gravità delle conseguenze dannose dei reati per l'insistenza delle opere abusive su area vincolata Va rammentato che, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, in tema di violazioni urbanistiche, il giudice può subordinare la sospensione condizionale della pena inflitta alla demolizione dell'opera eseguita, avendo tale ordine, alla stregua di quanto previsto dall'art. 165 cod. pen., la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato (Sez.3,n.3685 del 11/12/2013,dep.28/01/2014, Rv.258517; Sez.3, n.32351 del 01/07/2015, Rv.264252; Sez.7, n.9847del 25/11/2016,dep.28/02/2017,Rv.269208). Il motivo presenta, inoltre, anche un profilo di genericità perché non si confronta con le argomentazioni offerte dalla Corte di appello in ordine alla irrilevanza della pendenza del giudizio amministrativo (pag 6 della sentenza impugnata), confronto doveroso per l'ammissibilità dell'impugnazione, ex art. 581 cod.proc.pen., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso (Sez. 6, n.20377 dell'11.3- 14.5.2009 e Sez.6, n. 22445 dell'8 - 28.5.2009).
5.Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 20/07/2017