Cass. Sez. III n. 48820 del 7 dicembre 2023 (CC 2 nov. 2023)
Pres. Ramacci Est. Mengoni Ric.Nn
Urbanistica.Demolizione ed incidenza delle caratteristiche del manufatto nella valutazione del principio di proporzionalità con riferimento al diritto alla salute

Il diritto alla salute, specie a fronte di patologie gravi ed invalidanti, trova attuazione in primo luogo ponendo il malato in un ambiente – non necessariamente ospedaliero - del tutto salubre, edificato ed attrezzato nel pieno rispetto della disciplina di legge, proprio perché questa è volta a garantire anche il benessere di chi abita in quei luoghi, specie se malato. In altri termini, il rispetto della normativa in materia edilizia risponde non solo all’ovvia esigenza di tutelare un bene collettivo, come tale sottratto alla libera ed indiscriminata disponibilità dei singoli, ma anche alla necessità che questi stessi possano usufruire del bene in sicurezza, proprio perché regolarmente edificato, tutelando la propria salute e la propria incolumità – in sintesi, il proprio benessere - anche (e soprattutto) per l’ipotesi di eventi superiori come le calamità naturali (si pensi alla normativa antisismica o a tutela dal rischio idrogeologico) o, per l’appunto, le malattie o situazioni invalidanti che costringano un soggetto a vivere, magari costantemente, all’interno di uno spazio chiuso.


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 27/4/2023, la Corte di appello di OMISSIS rigettava l’incidente di esecuzione con il quale OMISSIS aveva chiesto la revoca o la sospensione dell’ordine di demolizione emesso con la sentenza pronunciata dallo stesso Ufficio il 6/6/1998, irrevocabile il 6/11/1998, con riguardo al reato di cui all’art. 20, l. 28 febbraio 1985, n. 47.
2. Propone ricorso per cassazione il OMISSIS, deducendo i seguenti motivi:
- inosservanza o erronea applicazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost., 3, 6 e 8 CEDU. Premessa la descrizione delle gravissime condizioni di salute del figlio minorenne del ricorrente, si lamenta che la Corte d'appello non avrebbe fatto un corretto uso del principio di proporzionalità, né avrebbe correttamente bilanciato i valori costituzionali coinvolti. In particolare, l'ordinanza non avrebbe apprezzato il fondamentale diritto alla salute del minore, che non potrebbe risultare cedevole rispetto al ripristino dei luoghi, pena un gravissimo pericolo di vita o, comunque, un grave ed insostenibile turbamento a seguito del mutamento dell'ambiente di vita quotidiana. Sotto altro profilo, e sempre nell'ambito della necessità di valutare in concreto gli interessi, la Corte non avrebbe considerato che l'immobile da abbattere si troverebbe all'interno di un quartiere completamente urbanizzato e circondato da altri fabbricati, così che la demolizione non potrebbe arrecare alcun beneficio al territorio comunale;
- mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Ribadito l'argomento appena richiamato, si lamenta ancora che l'ordinanza si sarebbe concentrata sul diritto all'abitazione, senza però valutare quello alla salute del minore. In particolare, non sarebbe stata esaminata la documentazione prodotta dalla difesa, dalla quale emergerebbe che le condizioni dello stesso si aggraverebbero qualora questi venisse tolto dal proprio ambiente di vita; se è vero, infatti, che il contesto familiare sarebbe riproducibile in ogni altro luogo, sarebbe, tuttavia, dimostrato anche che una differente abitazione - necessariamente diversa per spazi e struttura - verrebbe di certo percepita dal giovane, con ogni conseguenza negativa. Non sospendere l'ordine di demolizione, dunque, sarebbe “irragionevole, illogico ed inumano”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
4. La Corte di appello ha rigettato l'incidente di esecuzione con una motivazione del tutto solida, priva di qualunque vizio, ispirata all'ampia documentazione prodotta e a logica rigorosa; una motivazione, dunque, non censurabile con gli argomenti contenuti nel ricorso, che, oltre a svilupparsi su molteplici elementi di puro merito che questa Corte non è ammessa a verificare, trascura l'indubbia forza argomentativa del provvedimento impugnato, non riuscendo ad opporvi alcuna doglianza adeguata.
5. Al riguardo, il Collegio rileva innanzitutto che l'impugnazione si sviluppa su due soli argomenti, l'uno – di carattere generale - riferito all'intero immobile, l'altro – di carattere particolare – concernente il solo appartamento occupato dal OMISSIS e dal suo nucleo familiare; entrambi non possono essere accolti.
6. Quanto al primo, il ricorrente afferma a più riprese che l'immobile si troverebbe in un'area ormai completamente urbanizzata, circondato da numerose altre costruzioni, cosicché la sua demolizione non potrebbe arrecare alcun reale e concreto beneficio al territorio del Comune di OMISSIS.
6.1. Ebbene, in senso contrario appare agevole osservare, per un verso, il carattere evidentemente fattuale di questa considerazione, come tale inammissibile nel giudizio di legittimità, e, per altro verso, il suo contenuto palesemente congetturale, nei termini di un'illazione priva di ogni sostegno istruttorio. Senza tacere, peraltro, del fatto che quest'ulteriore, prospettata urbanizzazione dell’area non potrebbe comunque avere alcuna incidenza sull'ordine di demolizione, dato che - come affermato dalla Corte di appello - il lungo tempo trascorso dall’irrevocabilità della sentenza che lo contiene (nel corso del quale tale “saturazione” si sarebbe compiuta) è addebitabile esclusivamente al ricorrente, che non aveva adempiuto ad un dovere impostogli con una pronuncia divenuta definitiva il 6/11/1998. L’eventuale valutazione del contesto urbanistico, dunque, avrebbe dovuto esser prospettata e documentata con riferimento a quell’epoca, non certo a quella odierna.
7. Con riguardo, poi, all'appartamento occupato dal ricorrente, dalla moglie e dai figli minori, il ricorso contesta all'ordinanza violazioni di legge e vizi di motivazione che dal testo del provvedimento non emergono affatto.
7.1. In primo luogo, il Collegio rileva che la Corte di appello ha analizzato numerosi indici di proporzionalità dell'ordine di demolizione - tra quelli costantemente richiamati dalla giurisprudenza nazionale e convenzionale - e su questi ha speso considerazioni che il ricorso neppure menziona, tantomeno contesta. Ci si riferisce, in particolare, alla consapevolezza, in capo all’istante, della violazione di legge compiuta, che l'ordinanza ha riconosciuto sul presupposto che questi - proprietario e committente delle opere abusive - aveva edificato un intero edificio, con plurime violazioni di sigilli, modifiche ed integrazioni, oltre a cambi di destinazione d'uso, anche successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna. In ordine, poi, ai tempi della vicenda, sono stati già ricordati gli oltre 17 anni trascorsi tra lo stesso giudicato e l'attivazione del procedimento di esecuzione, ai quali poi se ne sono aggiunti altri 7, sempre senza che l'istante avesse mai adottato una qualunque iniziativa per trovare una differente soluzione abitativa per sé o per la propria famiglia.
8. In ordine, poi, alle gravi condizioni di salute del figlio minore del ricorrente, con lui convivente, la Corte di appello - contrariamente a quanto viene denunciato - ha sviluppato una motivazione ancora del tutto solida e logica, con la quale non solo il diritto all'abitazione, ma anche il fondamentale diritto alla salute è stato compiutamente esaminato e posto in relazione agli altri interessi coinvolti nella vicenda.
8.1. In particolare, con una valutazione di merito che questa Corte non è ammessa a sindacare in fatto, l'ordinanza ha sottolineato che la patologia del minore - indubbiamente di notevole gravità - non appare di per sé incompatibile con il possibile spostamento del nucleo familiare in un'altra abitazione idonea ad accoglierlo. E’ stato sottolineato, infatti, che dal complesso della documentazione prodotta emerge che il giovane versa in uno stato patologico (compiutamente descritto a pag. 7) tale che, se per un verso impone di preservare l'ambiente domestico e familiare (dunque, la vicinanza dei genitori), così, per altro verso, rende difficile far comprendere la conformazione e l'ubicazione della casa familiare, così che – afferma la Corte di appello – “l’ambiente domestico necessario a garantire la tranquillità del minore ben potrebbe essere riprodotto in una diversa abitazione.”
8.2. Sotto altro profilo, peraltro, l'ordinanza – con argomento non manifestamente illogico - ha sottolineato che sono ormai trascorsi molti anni (oltre dieci) da quando la malattia del minore si è manifestata in tutta la sua gravità, e che durante un così lungo periodo il ricorrente – come già riportato - non ha mai intrapreso alcuna iniziativa per trovare una differente soluzione abitativa. Questa, peraltro, sarebbe stata certamente consentita dalle condizioni economiche del OMISSIS (altro indice di proporzionalità da valutare), tutt'altro che disagiate, considerando che lo stesso aveva tratto “lauti guadagni” dalla locazione degli appartamenti che compongono il fabbricato in esame, quasi interamente occupato da terze persone estranee al nucleo familiare; questa circostanza risulta ampiamente trattata dalla Corte di appello (pag. 5), con esame della documentazione prodotta e considerazioni ancora estranee al contenuto del ricorso.
8.3. Queste conclusioni - si ribadisce - sono contestate nell'ultimo motivo di ricorso, che tuttavia si sviluppa in argomenti di puro fatto palesemente inammissibili, come il richiamo a stralci della relazione della dottoressa OMISSIS o del Centro studi OMISSIS, che questa Corte non può valutare. Negli stessi termini, ancora, deve essere valutata anche la censura per la quale le conclusioni della Corte di appello circa una possibile, differente soluzione abitativa sarebbero “irragionevoli” e “irrealistiche”, dato che il minore percepirebbe un nuovo ambiente con evidente disagio e perdendo quel “minimo di orientamento” di cui dispone; si tratta, evidentemente, di considerazioni – generiche - ammissibili solo in sede di merito.
9. Sotto un differente profilo, peraltro, si osserva che il ricorso non spende alcuna valutazione circa l’effettiva compatibilità, con la grave patologia, di un ambiente di vita sorto in totale violazione di ogni previsione edilizia e sanitaria, comprese le norme a presidio proprio della salubrità degli ambienti (ad esempio, dimensioni minime dei locali, altezze, rapporto di aeroilluminazione, regolarità degli impianti);  deve rilevarsi, infatti, che il diritto alla salute, specie a fronte di patologie gravi ed invalidanti, trova attuazione in primo luogo ponendo il malato in un ambiente – non necessariamente ospedaliero - del tutto salubre, edificato ed attrezzato nel pieno rispetto della disciplina di legge, proprio perché questa è volta a garantire anche il benessere di chi abita in quei luoghi, specie se malato. In altri termini, il rispetto della normativa in materia edilizia risponde non solo all’ovvia esigenza di tutelare un bene collettivo, come tale sottratto alla libera ed indiscriminata disponibilità dei singoli, ma anche alla necessità che questi stessi possano usufruire del bene in sicurezza, proprio perché regolarmente edificato, tutelando la propria salute e la propria incolumità – in sintesi, il proprio benessere - anche (e soprattutto) per l’ipotesi di eventi superiori come le calamità naturali (si pensi alla normativa antisismica o a tutela dal rischio idrogeologico) o, per l’appunto, le malattie o situazioni invalidanti che costringano un soggetto a vivere, magari costantemente, all’interno di uno spazio chiuso.
Ebbene, su questi decisivi profili l’impugnazione non contiene alcun argomento.    
9. Lo stesso ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 2 novembre 2023