Cass. Sez. III n. 25174 del 17 giugno 2009 (Ud. 21 mag.2009)
Pres. Grassi Est. Sarno Ric. Buccarello e altro.
Urbanistica. Edificazione abusiva in zona vincolata

L\'integrazione del reato di edificazione abusiva in zona assoggettata a vincolo non implica un\'effettiva lesione materiale del vincolo stesso, nè alcun accertamento della violazione del bene protetto, essendo la lesione dell\'interesse tutelato "in re ipsa".

 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRASSI Aldo - Presidente -

Dott. TERESI Alfredo - Consigliere -

Dott. FIALE Aldo - Consigliere -

Dott. MULLIRI Guicla - Consigliere -

Dott. SARNO Giulio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

1) B.C., n. il (OMISSIS);

2) M.C., n. (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 16/05/2008 CORTE APPELLO di LECCE;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr.

SARNO GIULIO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. PASSACANTANDO

Guglielmo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore avv. De Francesco Biagio.

 

OSSERVA

B.C. e M.C. propongono ricorso per Cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di Appello di Lecce confermava quella del Tribunale di Lecce - Sezione Distaccata di Tricase in data 10/12/2006 che aveva condannato entrambi gli imputati alla pena di giustizia per il reato di cui all'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c) (comm. (OMISSIS)), disponendo la demolizione delle opere abusive entro mesi 2 dal passaggio in giudicato della sentenza.

Agli odierni ricorrenti è stato in particolare contestato di avere eseguito, in concorso tra loro, su area assoggettata a vincolo paesaggistico, le seguenti opere abusive:

1) scantinato per una superficie aggiuntiva di circa 17 mq., l'allungamento di mt. 2,50 verso sud del locale in progetto per una superficie aggiuntiva di circa mq 13,40 circa, allo scopo di ricavare altro locale in adiacenza della scala interna semicircolare per l'accesso allo scantinato; il tutto allo stato rustico;

2) difformità della copertura del vano scala che porta al primo piano, nonchè una superficie aggiuntiva di 3,50 mq;

3) realizzazione di una superficie aggiuntiva di mq 8,00 al primo piano dell'immobile, di un locale pluriuso allo stato rustico, privo di ogni finitura ed impianti.

In questa sede gli imputati congiuntamente eccepiscono la violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 32 e 34 e artt. 133 e 165 c.p..

In relazione al primo profilo, si premette che nessuna rilevanza poteva avere nella specie il vincolo paesaggistico insistente sull'area, risultando omessa qualsiasi contestazione relativa a reati ambientali ed anzi verificata la compatibilità ambientale da parte della soprintendenza e del responsabile urbanistico del Comune.

Quanto alle modifiche accertate si sostiene che le stesse non potevano essere intese di per se stesse come variazioni essenziali, essendo complessivamente di modestissima entità e non avendo determinato mutazioni di prospetto, aumento consistente di cubatura e/o della superficie, di destinazione d'uso, modifiche sostanziali di parametri urbanistico - edilizi, nè delle caratteristiche dell'intervento assentito.

In più si sostiene difettare nella specie la correlazione tra accusa e sentenza risultando in realtà contestata la difformità totale delle opere realizzate rispetto al progetto assentito.

Quanto alla pena non si sarebbe tenuto conto nella determinazione di essa nè dell'assenza di danno ambientale nè delle condizioni economiche degli imputati.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Per quanto concerne il reato contestato occorre puntualizzare quanto segue.

Va anzitutto rilevato in questa sede che, come correttamente affermato dalla Corte di merito, la pena indicata al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), nelle zone sottoposte a vincolo paesistico ed ambientale - come nella specie - si applica anche nel caso di interventi edilizi in variazione essenziale o in totale difformità.

Il cit. D.P.R., art. 32, comma 3, come evidenziato dai giudici di appello, prevede che gli interventi costituenti variazioni essenziali rispetto al progetto approvato, qualora interessino immobili sottoposti a vincolo paesistico ed ambientale siano considerati in totale difformità dal permesso "ai sensi e per gli effetti degli artt. 31 e 44" e che i restanti interventi sui medesimi immobili siano da considerare variazioni essenziali. In applicazione dei richiamati principi la Corte di appello ha ritenuto che gli interventi riscontrati debbano essere considerati variazioni essenziali in quanto eseguiti su immobili posti in zona paesaggisticamente vincolata.

Il ricorrente contesta l'assunto dei giudici di merito con una serie di rilievi che vanno partitamente esaminati.

a) Ritiene anzitutto che nella specie non possa avere incidenza la questione relativa alla esistenza del vincolo in quanto, a prescindere dalla inesistenza di una specifica contestazione dei reati ambientali, risulta per tabulas il positivo accertamento di compatibilità ambientale concretatosi dapprima nel parere favorevole della soprintendenza competente e, successivamente nel rilascio della certificazione da parte del responsabile urbanistico del Comune di Castrignano del Capo, fatto questo che di per sè escluderebbe secondo il ricorrente conseguenze dannose sul piano ambientale.

b) E dunque, non dovendosi in alcun modo tenere conto dell'esistenza del vincolo, le difformità riscontrate non potrebbero costituire variazioni essenziali trattandosi di lievissime modifiche intervenute su parti accessorie dell'edificio e su volumi tecnici.

c) In ogni caso, sempre secondo il ricorrente, la formulazione della contestazione, facendo riferimento alla totale difformità degli interventi eseguiti sull'immobile, non consentirebbe in nessun caso la declaratoria di condanna per la ritenuta esistenza di variazioni essenziali rimanendo altrimenti violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza.

Ciò posto va in questa sede anzitutto rilevato che la nozione di variazione essenziale muta in relazione alla circostanza che l'abuso intervenga su immobile insistente o meno in area vincolata.

Per questi ultimi, infatti, si deve ritenere essenziale la variazione anche se consistita in "interventi minori"alla luce di quanto indicato al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32, comma 3.

Con la conseguenza che anche per interventi secondari trovano comunque applicazione le sanzioni indicate al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) riferendosi la norma da ultimo citata sia all'intervento in totale difformità che a quello in variazione essenziale rispetto al progetto assentito.

Nessuna incidenza può avere la mancata contestazione della violazione ambientale o l'accertamento di compatibilità ambientale da parte dell'amministrazione competente in relazione all'intervento eseguito.

Come questa Corte ha già avuto modo di precisare infatti, per la configurabilità del reato di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c) - omologo nella formulazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) -, è sufficiente, infatti, che l'attività abusiva venga operata in una delle zone anzidette, e non occorre una effettiva lesione materiale del vincolo, nè alcun accertamento della violazione del bene protetto, poichè la lesione dell'interesse tutelato è "in re ipsa". (Sez. 3, 18/06/1999 n. 10502 RV 214441).

Nessun difetto di correlazione tra accusa e sentenza è poi ravvisabile nella specie.

Premesso che, quanto al trattamento sanzionatorio, il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) non opera distinzioni tra difformità totale e variazione essenziale, si deve osservare che nel capo di imputazione si fa menzione e si elencano le "difformità" riscontrate rispetto al progetto approvato; il che non significa che gli interventi stessi siano stati qualificati come eseguiti in "totale difformità".

Quanto alla pena le doglianze si sostanziano in puri rilievi di merito, inammissibili come tali in questa sede.

 

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2009.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2009