Cass. Sez. III n. 9145 del 4 marzo 2016 (Cc 1 lug 2015)
Presidente: Squassoni Estensore: Gentili Imputato: Manna
Urbanistica.Istanza di condono o sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza

In tema di reati edilizi, la revoca o la sospensione dell'ordine di demolizione delle opere abusive, di cui all'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, presuppone l'accertamento da parte del giudice dell'esecuzione della sussistenza di elementi che facciano ritenere plausibilmente prossima la adozione da parte della autorità amministrativa competente del provvedimento di accoglimento.

 RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Noia, con ordinanza del 10 luglio 2014, ha rigettato la richiesta di revoca dell'ordine di demolizione di manufatti abusivi emesso dalla Procura della Repubblica presso il medesimo Tribunale in esecuzione della sentenza di condanna del 13 dicembre 2011, divenuta esecutiva il successivo 26 maggio 2012, a carico di Manna Giuseppe.

Osservava il giudice della esecuzione che la presentazione da parte dell'istante della richiesta di sanatoria non può valere a paralizzare l'esecuzione dell'ordine di demolizione, non essendo stati allegati elementi di fatto o di diritto tali da fare ritenere plausibile l'emanazione in tempi rapidi del detto provvedimento, né è idonea a tal fine la indicazione di difficoltà tecniche nell'esecuzione dell'ordine in questione. Per la cassazione di detto provvedimento ha presentato ricorso il Manna, affidandolo a due motivi; col primo di essi egli ha eccepito la violazione di legge osservando che, avendo versato l'oblazione amministrativa in misura congrua all'accoglimento della domanda di condono, i reati edilizi dovevano intendersi estinti e che erano condonabili anche gli abusi realizzati in zona sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 32 dela legge n. 47 del 1985.

Col secondo motivo era dedotta la violazione di legge per non avere il giudice della esecuzione rilevato la carenza di potere della autorità giudiziaria ordinaria a provvedere alla demolizione in questione, essendo stata contestata nel giudizio la cui sentenza è l'oggetto della esecuzione impugnata anche la violazione della normativa antisismica in relazione alla quale l'organo promotore dell'ordine di demolizione va ravvisato nella Regione e non nel Pubblico ministero.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

Osserva, infatti, la Corte che con giurisprudenza costante questa Corte ha escluso che l'avvenuto pagamento della somma prevista a titolo di oblazione amministrativa in materia di condono edilizio sia fatto autonomamente idoneo ad elidere la valenza della sentenza di condanna già eventualmente emessa al riguardo dalla competente autorità giudiziaria.

Sul punto, infatti, deve ritenersi errata l'affermazione, contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio, secondo la quale il versamento dell'oblazione, determinando l'estinzione della violazione urbanistica riconosciuta con sentenza definitiva, comporti l'automatica caducazione anche dell'ordine di demolizione impartito.

Nè si ravvisano indicazioni contrarie all'orientamento indicato nella ordinanza n. 56 del 1998 della Corte Costituzionale citata dal ricorrente.

La soluzione della questione posta al giudice dell'esecuzione impone l'applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte;

essa ha, infatti, ripetutamente sostenuto al riguardo che in sede di esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito con la sentenza di condanna, il giudice, al fine di pronunciarsi sulla sospensione dell'esecuzione a seguito dell'avvenuta presentazione della domanda di condono edilizio ai sensi della L. n. 326 del 2003, deve accertare la esistenza delle seguenti condizioni: a) la tempestività e proponibilità della domanda; b) la effettiva ultimazione dei lavori entro il termine previsto per l'accesso al condono; c) il tipo di intervento e le dimensioni volumetriche; d) la insussistenza di cause di non condonabilità assoluta; e) l'avvenuto integrale versamento della somma dovuta ai fini dell'oblazione; f) l'eventuale rilascio di un permesso in sanatoria o la sussistenza di un permesso in sanatoria tacito.

In presenza di una istanza di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il giudice dell'esecuzione investito della questione è tenuto inoltre ad una attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura ed, in particolare: a) ad accertare il possibile risultato dell'istanza e se esistono cause ostative al suo accoglimento; b) nel caso di insussistenza di tali cause, a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l'esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso (cfr ex multis: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 15 giugno 2009, n. 24665).

Alla luce degli esposti principi deve ritenersi senz'altro corretta la decisione del Tribunale di Nola, la quale, in piena conformità col riportato indirizzo giurisprudenziale, ha ancorato la propria decisione di rigetto della richiesta del ricorrente di revoca dell'ordine di demolizione - richiesta fondata sulla avvenuta presentazione di un'istanza di condono edilizio presentata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza che aveva disposto, fra l'altro, abbattimento delle opere abusivamente realizzate dal M. - alla insussistenza di elementi che facciano ritenere plausibilmente prossima la adozione da parte dell'autorità amministrativa competente del provvedimento ampliativo.

Con riferimento al secondo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la pretesa incompetenza degli organi della Procura della Repubblica a dare esecuzione al giudicato de quo, osserva ancora una volta il Collegio che, anche in questo caso, è fermo, e tuttora condiviso, l'orientamento di questa Sezione che alla demolizione del manufatto conseguente, allo stesso tempo, alla violazione della normativa edilizia nonchè a quella antisismica, si applica la sola procedura di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, e non anche quella del cit. D.P.R., art. 98, essendo la seconda procedura, quanto alla attribuzione di essa ad organi della Amministrazione locale, espressiva di una deroga al generale principio secondo il quale è assegnata al Pubblico ministero la competenza alla esecuzione dei provvedimenti giudiziari.

Dovendo siffatta norma, data la sua eccezionalità, essere soggetta ad interpretazione restrittiva, deve concludersi che laddove l'imputazione contestata afferisca sia a violazioni riguardate dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 che a violazioni afferenti al successivo art. 98, compete per entrambe, in applicazione della regola generale, al PM l'iniziativa per la relativa esecuzione (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 28 giugno 2014, n. 27698; idem 13 dicembre 2011, n. 46209; idem Sezione 3 penale, 31 marzo 2011, n. 13345).

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equitativamente così determinata da questa Corte, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma si Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2015.