Cass. Sez. III n. 21910 del 7 giugno 2022 (UP 7 apr 2022)
Pres. Andreazza Est. Reynaud Ric. Licata
Urbanistica.Lottizzazione abusiva confisca e prescrizione del reato

Alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza sovranazionale e domestica non v’è dubbio che il fondamento normativo sostanziale dell’applicazione della confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere ivi abusivamente costruite, da disporsi con la sentenza del giudice penale che accerta esservi stata lottizzazione abusiva, sia rinvenibile nell’art. 44, comma 2, t.u.e., la cui applicazione non è impedita dalla prescrizione del reato, quando ne sia accertata la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo. La previsione di cui all'art. 578-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, con riguardo alla confisca in esame ha esclusivamente efficacia processuale, precisando – in conformità, peraltro, all’orientamento interpretativo già in precedenza assolutamente maggioritario – che il giudice dell’impugnazione ha l’obbligo di decidere il gravame sull’accertamento della responsabilità per il reato di lottizzazione abusiva, pur estinto per prescrizione sul piano penale, ai soli fini della decisione sulla confisca.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 settembre 2020, la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza impugnata, per quanto qui interessa ha assolto l’imputato appellante, perché il fatto non sussiste, dal reato di lottizzazione abusiva contestato al capo A), del quale il medesimo era stato in primo grado ritenuto responsabile, con conseguente revoca della confisca dei terreni lottizzati.

2. Avverso detta sentenza, limitatamente alle suddette statuizioni, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale, deducendo la violazione dell’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (t.u.e.) ed il vizio di motivazione, concludendo per l’annullamento della sentenza impugnata con declaratoria di prescrizione del reato di lottizzazione abusiva e conferma della confisca disposta in primo grado.
2.1. Il ricorrente allega che del tutto correttamente il primo giudice aveva ritenuto il reato di lottizzazione abusiva materiale consistito nella realizzazione, in una vasta area destinata a verde agricolo e caratterizzata da un sistema di viabilità interna, di uno stabilimento balneare e di due fabbricati gemelli a due elevazioni f.t. che, pur progettati e autorizzati per essere destinati ad attività produttiva connessa a quella agricola e zootecnica, erano in realtà stati edificati con evidenti difformità, le quali, già allo stato grezzo, ne rendevano evidente la destinazione, incompatibile con gli strumenti urbanistici, ad uso abitativo di tipo turistico-ricettivo. Nella stessa area era inoltre stata progettata la realizzazione di un centro golfistico con club house, e ciò nell’ambito di unico programma di trasformazione del territorio, peraltro caratterizzato dalla dolosa parcellizzazione delle richieste di autorizzazione, in violazione delle prescrizioni previste dagli strumenti urbanistici ed in assenza di piano di lottizzazione.
2.2. Secondo il ricorrente, la Corte d’appello, pur premettendo di condividere il principio giusta il quale il reato in esame è caratterizzato da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche soltanto il pericolo di una urbanizzazione non prevista o contraria a quella programmata, lo aveva in realtà violato, contraddittoriamente concludendo che nel caso di specie il primo giudice avesse considerato penalmente rilevante quello che, al più, costituiva una mera intenzione, senza che il pericolo di urbanizzazione si fosse concretamente realizzato.
2.3. Si era inoltre omesso di considerare, trascurando prove decisive quali le consulenze tecniche del pubblico ministero e le fotografie, che: la consistenza delle opere già realizzate al grezzo e delle difformità rispetto al progetto autorizzato rendeva concreta ed evidente la diversa destinazione dei due opifici; la progettazione delle ulteriori varianti, quale contenuta nei files sequestrati ai progettisti incaricati dall’imputato, confermava la destinazione dei manufatti in costruzione a struttura turistico-alberghiera; esisteva un evidente collegamento dei tre distinti progetti, finalizzato a una destinazione comune, dolosamente celato dall’imputato alle amministrazioni preposte al rilascio dei permessi.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va premesso che, diversamente da quanto argomentato dalla difesa dell’imputato nella memoria conclusiva depositata in vista della decisione, il ricorso è ammissibile.
1.1. Per un verso, non può trovare nella specie applicazione l’invocato principio giusta il quale la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso per cassazione inammissibile, ai sensi degli artt. 581, comma 1 lett. c) e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio (così, Sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015, Rugiano, Rv. 264535). Né può ritenersene la non specificità sul presupposto che non si sarebbe chiarito dove la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, alla luce del principio giusta il quale non può attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (così, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518-02).
1.2. Ed invero, pur proposte nell’ambito di un unico, articolato, motivo in cui si lamentano sia la violazione della legge penale, sia i tre distinti vizi di motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. – ciò che non è vietato, né inopportuno, laddove, come nella specie, si tratti di punti obiettivamente connessi – le doglianze sono chiaramente enucleate e distintamente individuabili senza sforzo interpretativo.
Come più sopra riportato nel riepilogo dei motivi, sono infatti immediatamente evincibili le ragioni della violazione di legge e della contraddittorietà della motivazione rispetto al principio di diritto affermato e poi incongruamente ed illegittimamente disatteso (supra, sub § 2.1.), come pure quelle (supra, sub § 2.2.) con cui si è lamentata l’omessa motivazione su elementi dal ricorrente ritenuti decisivi ed il travisamento, per omissione, di prove acquisite, ciò che integra gli estremi dell’illogicità motivazionale (Sez. 6, n. 8610 del 05/02/2020, P., Rv. 278457), nella specie sicuramente deducibile, avendo il ricorrente evidenziato la diversa valutazione – ritenuta ben più convincente – datane dal primo giudice, sì che non opera la preclusione della proponibilità del vizio in cassazione connessa alla “doppia conformità” delle sentenze di merito (cfr., ex multis, Sez. 6, n. 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665).

2. Benché le parti processuali non abbiano ritenuto di affrontare il tema nelle memorie conclusive, trattandosi di questione che sarebbe rilevabile d’ufficio, reputa il Collegio di dover altresì chiarire che l’impugnazione è ammissibile anche sotto un distinto profilo. Si allude al fatto – spesso valorizzato dalla giurisprudenza di questa Corte per ritenere inammissibile il ricorso (cfr. Sez. 4, n. 16029 del 28/02/2019, Briguglio, Rv. 275651; Sez. 4, n. 23178 del 15/03/2016, Tremontini, Rv. 267940 – che essa è stata proposta dal pubblico ministero contro una pronuncia assolutoria intervenuta su reato già prescritto al momento del giudizio d’appello (la circostanza, attestata dalla sentenza impugnata a pag. 11, non forma oggetto di contestazione).
Ed invero, secondo il condivisibile orientamento di questa Corte, non può pronunciarsi declaratoria d’inammissibilità, per difetto di interesse, del ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto qualora fosse già maturata la prescrizione al momento della pronuncia della sentenza impugnata, allorquando emerga un interesse concreto del pubblico ministero alla dichiarazione della causa di estinzione del reato rispondente a una ragione, anche esterna al processo, obiettivamente riconoscibile (Sez. 6, n. 2025 del 12/12/2018, dep. 2019, Celsi, Rv. 274844; Sez. 5, n. 30939 del 24/06/2010, Mangiafico, Rv. 247971). Nel caso di specie, questo interesse è peraltro “interno al processo”, posto che, lamentando l’erroneità della sentenza assolutoria pronunciata in grado d’appello per il reato di lottizzazione abusiva, rispetto al quale in primo grado era intervenuta condanna, con conseguente confisca dei terreni lottizzati ai sensi dell’art. 44, comma 2, t.u.e., in ricorso (pag. 8) ci si duole del fatto che, pur essendo medio tempore sopravvenuta la prescrizione del reato, la Corte d’appello avrebbe dovuto confermare la statuizione sulla confisca.
2.1. La prospettazione del ricorrente – osserva il Collegio – rende ammissibile il ricorso, perché certamente corretta in diritto.
Non v’è dubbio, difatti, che nel caso di specie, qualora si fosse accertata la ricorrenza dei necessari presupposti, si sarebbe dovuto fare applicazione del principio giusta il quale, in caso di declaratoria, all'esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione, il giudice d'appello (come la Corte di cassazione) è tenuto, in forza dell'art. 578-bis cod. proc. pen., a decidere sull'impugnazione agli effetti della confisca di cui all'art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870-02). La richiamata disposizione era certamente applicabile perché la sentenza di condanna emessa in primo grado aveva disposto la confisca e il reato si era successivamente prescritto prima del giudizio di appello. Pur dando atto di ciò, la sentenza impugnata ha esaminato l’impugnazione anche con riguardo al reato di lottizzazione abusiva, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., poiché pure per esso vi era stata in primo grado condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, facendo poi prevalere sulla declaratoria di estinzione del reato, anche ai fini penali, il proscioglimento nel merito, benché non evidente, in conformità ai principi da tempo al proposito elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273; Sez. 4, n. 53354 del 21/11/2018, Zuccherelli, Rv. 274497).
2.2. Laddove ciò accada, reputa dunque il Collegio che, nonostante il già maturato termine di prescrizione, da un lato, sussista l’interesse del pubblico ministero a ricorrere per cassazione avverso la sentenza assolutoria ritenuta erronea, ai fini di ottenere la conferma della statuizione della confisca disposta in primo grado – in tesi illegittimamente omessa dal giudice d’appello, che vi sarebbe stato tenuto ai sensi dell’art. 578-bis cod. proc. pen. – e, d’altro lato, che, laddove non sia evidente la sussistenza di una più favorevole causa di proscioglimento nel merito, pur dovendo ai fini penali dichiarare la prescrizione, la Corte di cassazione sia tenuta a decidere l’impugnazione agli effetti della confisca. L’eventuale riconoscimento di una violazione di legge e/o di un vizio di motivazione condurrebbe infatti ad accogliere il ricorso in parte qua e ad annullare con rinvio la sentenza impugnata affinché il giudice d’appello proceda a rinnovare il giudizio agli effetti della confisca (per la medesima conclusione assunta in un caso simile, v. Sez. 3, n. 31182 del 16/09/2020, Galli, Rv. 280773).
Ritenere diversamente, significherebbe irragionevolmente concludere che alla violazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. consumata in grado di giudizio d’appello non possa darsi rimedio.
2.3. Deve aggiungersi che nel caso di specie non rileva la questione – di recente rimessa alle Sezioni unite da questa stessa Sezione con ord. 16/03/2022 – sul quesito “se la statuizione di confisca per equivalente possa essere lasciata  ferma, o debba invece essere eliminata, nel caso in cui il giudice dell'impugnazione pronunci sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato presupposto previo accertamento della responsabilità dell'imputato e il fatto sia anteriore alla entrata in vigore dell'art. 1, comma 4, lett. f), legge 9 gennaio 2019, n. 3, che ha inserito nell'art. 578-bis cod. proc. pen. le parole «o la confisca prevista dall'art. 322-ter cod . pen.»”.
Benché il reato qui in esame sia stato commesso prima di quella data, e prima ancora della stessa introduzione della citata disposizione nel codice di rito, la questione – evidentemente connessa al rispetto del principio di irretroattività della legge penale con riguardo ad una previsione suscettibile d’integrare gli estremi sostanziali di una “sanzione penale”, anche alla luce dei principi affermati dalla CEDU – riguarda, infatti, la confisca per equivalente e non rileva per quella in materia di lottizzazione abusiva prevista dall’art. 44, comma 2, t.u.e. Se la disposizione codificata nell’art. 578-bis cod. proc. pen. è certamente applicabile anche con riguardo a quest’ultima (come espressamente ritenuto da Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870-02, dovendosi riconoscersi al richiamo contenuto nella norma citata alla confisca "prevista da altre disposizioni di legge", formulato senza ulteriori specificazioni, una valenza di carattere generale, capace di ricomprendere anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale), per la confisca in materia di lottizzazione abusiva detta disposizione ha esclusivamente carattere processuale, sicché indubbiamente opera il principio tempus regit actum.
Ed invero, fermo restando che a questo tipo di confisca deve riconoscersi – e da tempo si riconosce – natura di sanzione penale sostanziale, in quanto tale soggetta alla disciplina dettata in ambito convenzionale dall’art. 7 CEDU (la conclusione è sostanzialmente pacifica dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentt. 30 agosto 2007 e 20 gennaio 2009, rese in  causa Sud Fondi S.r.l. e aa. c. Italia, ha evidenziato gli scopi prevalentemente repressivi dell’istituto), in forza dell’espressa previsione sostanziale di cui all’art. 44, comma 2, t.u.e. la giurisprudenza nazionale ha sempre affermato, ben prima dell’introduzione dell’art. 578-bis nel codice di rito, la confiscabilità dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite pur in presenza di una causa estintiva del reato, purché l'accertamento giudiziale del reato di lottizzazione abusiva riguardi tanto il profilo oggettivo quanto quello soggettivo (Sez.  3, n. 21188 del 30/04/2009, Casasanta e aa., Rv. 243630; Sez.  3, n. 39078 del 13/07/2009, Apponi e aa., Rv. 245347) e ciò avvenga nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati e che verifichi l'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere (Sez.  3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe e aa., Rv. 255112).
Com’è noto, quest’orientamento è stato bensì posto in crisi dalla sent. Corte EDU 29 ottobre 2013 in causa Varvara c. Italia – che, in un caso in cui era stata applicata la confisca di cui all’art. 44, comma 2, t.u.e. nonostante l’intervenuta prescrizione del reato, aveva affermato l’incompatibilità con le garanzie previste dalla convenzione di un sistema in cui sia possibile applicare una pena ad una persona la cui responsabilità penale non sia constatata in una sentenza di colpevolezza –, ma è stato anche successivamente confermato dopo che la Corte costituzionale ha autorevolmente disatteso le conclusioni di quella pronuncia. Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, t.u.e. in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui, in forza dell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, appunto sostenuta nella citata sentenza Varvara, tale disposizione «non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi», pur decidendo la questione di legittimità costituzionale nel senso dell’inammissibilità, con sent. 14/01-26/03/2015, n. 49, la Corte costituzionale ha infatti rilevato: da un lato, che era errato il presupposto interpretativo circa il fatto che la sentenza Varvara fosse univocamente interpretabile nel senso che la confisca urbanistica possa essere disposta solo unitamente ad una sentenza di condanna da parte del giudice per il reato di lottizzazione abusiva; d’altro lato, che la stessa decisione, qualora letta in tal senso, non era espressione di un’interpretazione consolidata nell’ambito della giurisprudenza europea e non poteva pertanto ritenersi vincolante per il giudice nazionale. Prendendo dunque atto delle indicazioni contenute in tale decisione (e nell’analoga pronuncia Corte cost., ord. 24/06/23/07/2015, n. 187), la successiva giurisprudenza di legittimità ha ribadito che il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato allorquando sia stata accertata, con adeguata motivazione, la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi oggettivo e soggettivo (Sez.  3, n. 15888 del 08/04/2015, dep. 2016, Sannella e a., Rv. 266628; Sez.  4, n. 31239 del 23/06/2015, Giallombardo, Rv. 264337; Sez.  3, n. 33051 del 10/05/2017, Puglisi e aa., Rv. 270646; Sez. 3, n. 53692 del 13/07/2017, Martino, Rv. 272791). Quest’interpretazione ha poi ricevuto il definitivo avallo anche nel sistema convenzionale con la sent. Corte EDU (Grande Camera) 28 giugno 2018 in causa G.I.E.M. Srl e aa. c. Italia. La Grande Camera – per quanto qui rileva –, dopo aver verificato la sussistenza di idonea base legale per la confisca in parola nell’art. 44 t.u.e. (§. 220) ed averne ribadito la natura di “pena” sul piano del diritto convenzionale (§§. 221 ss.), confermando la lettura che della sentenza Varvara era stata data dalla Corte costituzionale e dalla successiva giurisprudenza di legittimità, ha affermato che sebbene l’art. 7 CEDU esiga, «per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore» (§. 250) e sebbene «la dichiarazione di responsabilità penale richiesta è spesso contenuta in una sentenza penale che condanna formalmente l’imputato, in ogni caso ciò non costituisce una norma imperativa. In effetti la sentenza Varvara non permette di concludere che le confische per lottizzazione abusiva devono necessariamente essere accompagnate da condanne penali ai sensi del diritto nazionale» (§. 252). La Corte di Strasburgo ha pertanto concluso che «qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell’articolo 7, che in questo caso non è violato» (§. 261).
Alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza sovranazionale e domestica quale sopra riepilogata, non v’è dubbio, pertanto, che il fondamento normativo sostanziale dell’applicazione della confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere ivi abusivamente costruite, da disporsi con la sentenza del giudice penale che accerta esservi stata lottizzazione abusiva, sia rinvenibile nell’art. 44, comma 2, t.u.e., la cui applicazione non è impedita dalla prescrizione del reato, quando ne sia accertata la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo. La previsione di cui all'art. 578-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, dunque, con riguardo alla confisca in esame ha esclusivamente efficacia processuale, precisando – in conformità, peraltro, all’orientamento interpretativo già in precedenza assolutamente maggioritario – che il giudice dell’impugnazione ha l’obbligo di decidere il gravame sull’accertamento della responsabilità per il reato di lottizzazione abusiva, pur estinto per prescrizione sul piano penale, ai soli fini della decisione sulla confisca.

3. Venendo al merito del ricorso, reputa il Collegio che lo stesso sia fondato, sussistendo i denunciati vizi di violazione della legge penale e difetto di motivazione, anche in relazione alla più persuasiva sentenza di primo grado, rispetto alla quale il ricorrente ha sollecitato il confronto di questa Corte a sostegno dei vizi specificamente dedotti.
A quest’ultimo proposito, osserva il Collegio che quando il giudice d'appello riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, al di là della rinnovazione istruttoria – il cui obbligo non viene neppure astrattamente in rilievo nella fattispecie qui in esame – deve  offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430). La maggioritaria giurisprudenza di legittimità evoca spesso, al proposito, il concetto di “motivazione rafforzata”, affermando che la riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, impone al giudice di appello di dare puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Frigerio, Rv. 281404; Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017, C., Rv. 270149;  Sez. 4, n. 4222 del 20/12/2016, dep. 2017, Mangano e aa., Rv. 268948). Pur trattandosi di paradigma non sempre condiviso quando si tratti di révirement in melius (v. ad es., Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017, S., Rv. 270868; Sez. 3, n. 46455 del 17/02/2017, Rv. 271110), e che la stessa sentenza Troise delle Sezioni unite ha preferito al proposito non richiamare, puntualizzando come non sia «possibile far confluire all'interno dell'indistinta locuzione "motivazione rafforzata" ogni ipotesi di ribaltamento della prima decisione, accomunandovi obblighi dimostrativi che hanno origine e finalità sostanzialmente differenti, perché derivanti da una insuperabile asimmetria di statuti probatori» (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in motivazione sub §. 4.2.), ciò che in quest’ottica si vuol significare – e che il Collegio intende ribadire - è che la sentenza di secondo grado deve in tal caso contenere uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del "decisum" impugnato per metterne in luce le carenze o le aporie che ne giustificano l'integrale riforma (Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu e aa., Rv. 261327). In particolare, il giudice di appello non può in tal caso limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005; Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013, Hamdi Ridha, Rv. 257332). Fermo restando che la contraddittorietà o l’insufficienza probatoria dovrà risolversi in senso assolutorio in omaggio alla regola per cui non può affermarsi la penale responsabilità se questa non sia dimostrata  al di là di ogni ragionevole dubbio, anche a fronte della contraddittorietà del quadro probatorio, il giudice di appello che per tale ragione riformi integralmente la sentenza di condanna di primo grado, assolvendo l'imputato, ha l'obbligo di offrire un autonomo ragionamento che non si limiti ad una valutazione soltanto numerica degli elementi di prova contrapposti, ma consideri anche il peso, inteso come capacità dimostrativa, degli stessi (Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016, dep. 2017, D.L., Rv. 269523).

4. Ciò premesso, sul piano del diritto sostanziale deve osservarsi che la lottizzazione abusiva, configurabile con riferimento a zone di nuova espansione o scarsamente urbanizzate relativamente alle quali sussiste un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione (Sez.  3, n. 6629 del 07/01/2014, Giannattasio e aa., Rv. 258932), è contravvenzione a consumazione anticipata. In particolare, il reato è integrato non solo dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata (Sez. 2, n. 22961 del 29/03/2017, De Vigili e a., Rv. 270177, relativa ad ipotesi di lottizzazione negoziale; Sez. 3, n. 37383 del 16/07/2013, Desimine e aa, Rv. 256519, relativa ad ipotesi di lottizzazione materiale concretizzatasi in lavori interni di redistribuzione degli spazi, finalizzati alla trasformazione in appartamenti di un complesso immobiliare con precedente destinazione d'uso alberghiera), sempreché si tratti d’interventi mirati alla realizzazione di opere che, per caratteristiche o dimensioni, siano idonee a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale (Sez.  3, n. 15404 del 21/01/2016, Bagliani e a., Rv. 266811). Si tratta, poi, di reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di lottizzazione, sia quando quest'ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Sez.  U, n. 5115 del 28/11/2001, dep. 2002, Salvini, Rv. 220708; Sez.  3, n. 33051 del 10/05/2017, Puglisi e aa., Rv. 270645).
Laddove manchi la necessaria autorizzazione, il reato di lottizzazione abusiva non è peraltro escluso dal rilascio dei permessi di costruire, dovendosi qui ribadire il risalente indirizzo secondo cui – posto che la convenzione di lottizzazione prevede anche l'accollo di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria – nemmeno l'impegno del privato ad eseguire le opere di urbanizzazione primaria nel contesto del rilascio di un titolo edilizio può surrogare la mancanza di un piano di lottizzazione, poiché l'urbanizzazione dei terreni deve essere programmata per zona e non avvenire in occasione dell'edificazione dei singoli lotti, sicché costituisce lottizzazione abusiva anche la nuova utilizzazione del terreno a scopo di insediamento residenziale pur se sia richiesto il permesso di costruire ovvero siano rilasciati una pluralità di permessi nella zona interessata dal nuovo insediamento, tanto più che il permesso di costruire non ha la funzione di pianificare l'uso del territorio (Sez.  3, n. 302 del 26/01/1998, Ganci e aa., Rv. 210400, che, ovviamente, si riferiva non già al permesso di costruire ma all’identico titolo all’epoca denominato concessione edilizia; più di recente, Sez. 3, n. 36397 del 17/04/2019, Taranto, Rv. 277169- 01).
4.1. Com’è noto, il reato di lottizzazione abusiva – già previsto dall’art. 42, lett. a), l. 1150 del 1942, senza che, tuttavia, ne fosse stata particolarmente tipizzata la condotta – è stato per la prima volta compiutamente definito dalla l. n. 47 del 1985, le cui disposizioni sono state al proposito letteralmente trasfuse nel testo unico approvato con d.P.R. 380 del 2001. La tipizzazione dell’illecito fatta dal legislatore del 1985 ha peraltro codificato gli orientamenti interpretativi che la giurisprudenza – penale ed amministrativa – aveva nel tempo elaborato e consolidato, come riconosciuto da questa Corte immediatamente dopo l’approvazione della legge sul condono edilizio (cfr. Sez.  3, n. 5766 del 09/03/1988, Acanfora, Rv. 178365, secondo cui, in tema di reato di lottizzazione abusiva, la norma di cui all'art. 18 legge 28 febbraio 1985, n. 47 ha definito la condotta lottizzatoria sulla base di elementi indiziari dai quali risulti in modo non equivoco lo scopo edificatorio; tali elementi non sono però tassativi e derivano da una elaborazione giurisprudenziale consolidata, cui il legislatore, con il citato art. 18, ha conferito dignità normativa).
Tenendo conto della ratio della disposizione – la quale, appunto, valorizza un contesto indiziario atto a rivelare in modo non equivoco la finalità edificatoria contra legem, ciò che costituisce l'elemento comune alle varie forme (materiale, negoziale, mista) in cui l'illecito può manifestarsi (Sez.  3, n. 3668 del 29/02/2000, Pennelli, Rv. 215625) - la più ragionevole spiegazione ermeneutica del disposto oggi contenuto nell’art. 30, 1° co., t.u.e. in aderenza al dato normativo, porta dunque a concludere che la voluntas legis è stata quella di “anticipare” la tutela del bene protetto pur se affidata ad una fattispecie criminosa che, per la sua natura contravvenzionale, non prevede la rilevanza penale del tentativo.
4.2. La conclusione – che nel caso di specie riveste centrale rilievo – emerge con chiarezza, in primo luogo, dalla stessa formulazione letterale della disposizione incriminatrice riferita all’ipotesi della lottizzazione c.d. negoziale, nella quale è agevole riconoscere – applicati alla fattispecie de qua – i due elementi che, per l’art. 56, primo comma, cod. pen. contraddistinguono il reato tentato: l’idoneità degli atti a mettere in pericolo il bene protetto; la loro inequivoca e oggettiva direzione a conseguire lo scopo illecito. Del resto, è comprensibile che, volendo anticipare la tutela penale per colpire le lottizzazioni illecite, gli interpreti prima, e lo stesso legislatore poi, abbiano – in modo più o meno consapevole - costruito la punibilità attorno al modello legale previsto dall’ordinamento in via generale (e sia pur soltanto per i delitti). In quest’ottica, il legislatore ha innanzitutto voluto indicare quali atti sono di regola idonei a realizzare una lottizzazione abusiva negoziale in via anticipata rispetto all’esecuzione delle opere – per usare le parole della disposizione, a “predisporre una trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni” - e lo ha fatto menzionando quelli che l’esperienza aveva mostrato essere i principali strumenti utilizzati: il frazionamento di più ampi terreni in lotti edificabili; la vendita degli stessi. Non volendo, tuttavia, precludere la possibilità di sanzionare condotte analoghe, parimenti idonee a conseguire lo stesso scopo, la legge ha ampliato la fattispecie delineata come tipica con l’aggiunta di una formula residuale – quella degli atti equivalenti – che chiaramente rivela la portata non tassativa della precedente indicazione, la quale, come questa Corte ha appunto più volte riconosciuto, si presta pertanto a letture estensive (cfr. Sez. 3,n. 36397 del 17/04/2019, Taranto, Rv. 277169-02; Sez.  3, n. 6180 del 04/11/2014, dep. 2015, Di Stefano, Rv. 262387; Sez.  6, n. 48472 del 28/11/2013, D’Amato e aa., Rv. 257457; Sez.  3, n. 27739 del 06/06/2008, Berloni, Rv. 240603).
4.3. L’interpretazione finalistica della disposizione, resa evidente con riferimento all’ipotesi della lottizzazione nella forma negoziale, quella maggiormente lontana dall’effettiva trasformazione del territorio, vale a fortiori con riguardo all’ipotesi della lottizzazione materiale, in cui la condotta aggressiva del bene tutelato già ha avuto concreta manifestazione con l’inizio dei lavori. Ed invero, con riguardo a quest’ultima, la disposizione incriminatrice prevede che «si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabiliti dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione» (art. 30, 1° comma, prima parte, t.u.e., enfasi aggiunta). Anche per questa figura criminosa, dunque, la descrizione della fattispecie è eloquente nell’attribuire rilevanza a condotte che, pur non avendo consumato una trasformazione del territorio in violazione della potestà di programmazione della pubblica amministrazione, ovvero di prescrizioni normative e pianificatorie già adottate, siano a ciò oggettivamente preordinate e, essendo idonee a conseguire il risultato, abbiano quantomeno avuto inizio. Pure con riguardo a questa forma di lottizzazione, pertanto, il legislatore sostanzialmente richiede quel giudizio ex ante, tipico del reato tentato e di quello a consumazione anticipata, per cui è necessario, e sufficiente, valutare se la condotta compiuta sia idonea ed oggettivamente adeguata a determinare l’evento (inteso anche soltanto in senso normativo) che integra il reato (per la necessità di quest’indagine nei reati tentati e in quelli a consumazione anticipata, cfr., ex multis: Sez. 6, n. 36199 del 16/09/2020, Sassano, Rv. 280178; Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, Raicevic, Rv. 277032-02; Sez. 2, n. 24166 del 20/03/2019, Maggiorelli, Rv. 276537; Sez. 1, n. 45734 del 31/03/2017, Bouslim e aa.,  Rv. 271127; Sez. 5, n. 7341 del 21/01/2015, Sciuto, Rv. 262768). Sul piano oggettivo, integrano dunque gli estremi della lottizzazione abusiva c.d. materiale le condotte  di inizio dell’esecuzione di opere idonee a determinare una trasformazione urbanistica od edilizia del territorio in violazione di previsioni di piano o normative, ovvero in assenza di autorizzazione, anche se detta trasformazione non si sia ancora consumata.
 
5. La sentenza impugnata non ha fatto buongoverno degli evidenziati principi e ha reso sul punto un’illogica motivazione rispetto ai non controversi dati probatori in essa rappresentati, non dando adeguatamente conto delle ragioni per cui ha disatteso la difforme – e assai argomentata – decisione di primo grado.
5.1. In primo luogo, va osservato che, in forza delle superiori argomentazioni e diversamente da quanto si opina in sentenza, al di là dell’elemento soggettivo – che nella specie non viene espressamente negato neppure dalla sentenza impugnata – il “superamento delle intenzioni non punibili” che integra il reato di lottizzazione abusiva materiale si ha con il mero “inizio” di opere finalizzate, e ragionevolmente idonee a conseguire, l’illecita trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni. La sentenza impugnata (pag. 15) ha invece fatto richiamo ad un paradigma equivoco, quello degli “atti preparatori” – a cui da tempo non si riconosce efficacia selettiva della punibilità nemmeno nell’interpretazione dell’istituto del reato tentato (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, Macori e a., Rv. 269932; Sez. 2, n. 11855 del 08/02/2017, Fincato e a., Rv. 269930; Sez. 2, n. 52189 del 14/09/2016, Gravina, Rv. 268644) – reputando che nel giudizio di primo grado si erano sopravvalutate «quelle che, al più, potevano essere considerate eventuali intenzioni dell’imputato, in parte sicuramente abortite e comunque non realizzate con tale livello di concretezza da ritenere superata la soglia degli atti preparatori».
Mentre non è necessario che le opere abbiano raggiunto un qualche “livello minimo” di compromissione del bene penalmente protetto, occorre invece valutarne, con giudizio di prognosi postuma, l’oggettiva adeguatezza ed idoneità a conseguire l’evento vietato e la prova della direzione finalistica di una condotta non ancora tradottasi nella compiuta trasformazione illecita del territorio può essere tratta anche aliunde, potendo utilizzarsi, parafrasando la descrizione della condotta di lottizzazione negoziale, elementi, anche indiziari, che denuncino in modo non equivoco uno scopo edificatorio attuabile soltanto sulla base di un piano di lottizzazione conforme alle previsioni normative e degli strumenti urbanistici.
5.2. Ab origine viziato dalla non corretta comprensione dell’oggettivo ambito di applicazione della fattispecie quale più sopra definito, il percorso logico-argomentativo seguito dalla sentenza impugnata si è inoltre tradotto in plurimi vizi motivazionali. Più precisamente:
- si ritiene “plausibile” (pagg. 18 e 19) che l’imputato «avesse originariamente intenzione di procedere alla trasformazione del territorio, mediante la realizzazione di un complesso che prevedesse (da) una struttura ricettiva, collegata ad un campo da gol e ad uno stabilimento balneare», salvo poi valorizzare, in senso contrario, l’intervenuto «l’abbandono della costruzione del campo da golf», dandosi, tuttavia, illogicamente atto che ciò era avvenuto non già in base ad una volontaria decisione che varrebbe a segnare una sorta di desistenza, certamente apprezzabile nei reati a consumazione anticipata in forza del principio generale codificato dall’art. 56, terzo comma, cod. pen., ma a causa, e a seguito, della sospensione del procedimento disposta con provvedimento comunale di richiesta di integrazione e chiarimenti del 22 giugno 2012;
- pur comunque confermando «la possibile (e contestata) trasformazione del territorio», riducendone la portata «alla realizzazione dello stabilimento balneare e della non limitrofa struttura recettiva, simulata attraverso la progettata edificazione dei due edifici», si sminuisce illogicamente la riconosciuta rilevante difformità, rispetto al progetto, nelle aperture dei due realizzandi edifici, reputandolo come unico dato di fatto rilevante ai fini della decisione e conseguentemente ritenendolo non bastevole a «costituire una trasformazione rilevante del territorio o, quanto meno quel pericolo concreto di trasformazione»;
- in particolare, si è, a tal fine, omesso di considerare gli eloquenti progetti di (ulteriori) difformità nella realizzazione delle opere interne scoperti nei computers dei progettisti della società committente – la cui significatività era stata dal primo giudice ritenuta, sulla scorta di una consulenza tecnica a cui la sentenza impugnata neppure accenna, proprio in relazione alla esatta corrispondenza con le già realizzate aperture che quella suddivisione interna di locali aveva e che rivelava l’incompatibilità dei costruendi edifici con la destinazione d’uso progettuale e, per contro, la loro finalizzazione alla diversa destinazione turistico-ricettiva - giungendosi quindi ad illogicamente affermare che le modificazioni illecitamente apportate in fase di costruzione fossero «troppo poco indicative del reale intento di trasformare gli edifici in strutture ricettive»;
- si trascura, del resto, che trattavasi non già di opere ultimate, ma di opere in corso di realizzazione al momento dell’accertamento, arrestate soltanto dall’intervenuto sequestro del cantiere, avvenuto, si legge in sentenza, il 22 maggio 2013, vale a dire a distanza di poco più di un anno dal rilascio del titolo abilitativo già all’epoca smaccatamente violato quanto alla realizzazione di ciò che era stato sino a quel momento edificato, vale a dire la struttura con sagoma esterna;
-  parimenti illogico e superficiale è il rilievo che le altezze dei due piani fossero conformi al progetto assentito dal comune (che nella parte più bassa del piano sottotetto aveva altezza di mt. 2,37), senza valutare che quel progetto – secondo la conforme ricostruzione dei due giudici di merito, approvato dal comune con permesso di costruire del 19 aprile 2012 e rilasciato “sulla base del parere favorevole dell’A.R.T.A.” (pag. 4 sentenza impugnata) – era invece radicalmente difforme da quello che neppure un mese prima (il 22 marzo) era stata presentato proprio all’A.R.T.A. (Assessorato Regionale Territorio e Ambiente) per la valutazione d’impatto ambientale, il quale prevedeva che la parte più bassa del piano sottotetto avesse altezza, incompatibile con la destinazione abitativa, di mt. 1,70;
- parimenti illogico – in una sentenza che riconosce la sussistenza del reato urbanistico di costruzione in assenza o totale difformità dal permesso di costruire per le rilevate difformità di sagoma e che dunque su questo piano attesta la condotta illecita dell’imputato – è l’aver espressamente ritenuto “decisivo” (pag. 19) che, stante la vocazione agricola del terreno, non sarebbe stato possibile realizzare strutture ricettive senza una modifica di piano, come se il proprietario/committente fosse soggetto mostratosi ligio al rispetto delle regole.
5.3. Questi rilievi critici assumono maggiore pregnanza a fronte della diversa, articolata e lineare, decisione assunta dal primo giudice (pagg 20-26), nel cui complesso iter argomentativo si valorizzano elementi che il giudice d’appello non considera, sottolineandosi anche l’impegno economico sostenuto dalla società del ricorrente per l’acquisto dei fondi ed il settore turistico-alberghiero in cui la stessa operava (essendo alla medesima per contro estraneo il settore della trasformazione di prodotti caseari e zootecnici cui sarebbero dovuti essere destinati gli “opifici” in costruzione). Oltre agli specifici vizi motivazionali più sopra evidenziati ed alla erronea applicazione della disposizione incriminatrice, dunque, in violazione dei principi esposti supra, sub 3, la sentenza impugnata si confronta solo in parte con la motivazione del tribunale, giungendo ad affermare che quella «ricostruzione non convince» (pag. 15) sulla base di una parcellizzata critica di alcuni soltanto degli elementi addotti nella prima sentenza.
    Al proposito, occorre inoltre ribadire che, quando si tratti di compendio probatorio indiziario – quale in ultima analisi è quello qui rilevante per poter affermare o negare che la condotta ascritta all’imputato integri il contestato reato di lottizzazione materiale – il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l'intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Graziadei, Rv. 266941; Sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013, Kuzmanovic,  Rv. 256967).

6. Per quanto precede, reputa dunque il Collegio che, limitatamente all’assoluzione dell’imputato dal reato di lottizzazione abusiva di cui al capo A, la sentenza impugnata debba essere annullata. Trattandosi, tuttavia, di reato prescritto – come detto, già al momento del giudizio d’appello – ai fini penali l’annullamento va pronunciato senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
Poiché l’impugnazione del Procuratore generale è finalizzata a correggere l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale nel non aver confermato, nonostante l’intervenuta prescrizione del reato, la confisca dell’area lottizzata e dei manufatti sulla stessa realizzati quale dal primo giudice disposta, in applicazione dei principi di diritto più sopra esposti (§§. 2.1 ss.), l’annullamento va invece disposto con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per nuovo giudizio ai soli effetti della confisca.
 
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A) dell’imputazione perché lo stesso è estinto per prescrizione e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per nuovo giudizio agli effetti della confisca.
Così deciso il 7 aprile 2022.