Cass. Sez. III n. 40781 del 4 ottobre 2019 (UP 20 giu 2019)
Pres. Andreazza Est. Gentili Ric. Salsi
Urbanistica.Lottizzazione abusiva negoziale
Integra il reato di lottizzazione abusiva negoziale non solamente l’avvenuta cessione di una porzione immobiliare in maniera tale che, attraverso il suo frazionamento attuato per via contrattuale, ne sia irreversibilmente mutata la destinazione giuridica, ma, trattandosi di un reato di pericolo anche il compimento di atti che siano astrattamente idonei a dare corso ad una trasformazione del territorio diversa da quella divisata con gli strumenti di programmazione urbanistica adottati dagli organi competenti; atti fra i quali vi è anche, in caso di lottizzazione negoziale, anche la offerta in vendita dei singoli lotti abusivamente frazionati
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 25 giugno 2014 ha in ampia parte confermato la decisione con la quale il precedente 14 gennaio 2013 il Tribunale di Reggio Emilia aveva dichiarato la penale responsabilità di Salsi Guerrino e di Panciroli Giulio in ordine al reato loro ascritto, si tratterebbe di una lottizzazione abusiva negoziale, e li aveva, pertanto, condannati alla pena di giustizia disponendo altresì la confisca e la attribuzione al patrimonio del Comune di Reggio Emilia dei manufatti ancora non trasferiti.
La Corte territoriale, confermato integralmente l’impianto accusatorio a carico dei prevenuti, ha, tuttavia, limitato la confisca dei manufatti alle sole opere non ancora oggetto di trasferimento ma per le quali vi era stata trattativa di vendita quali civili abitazioni.
In estrema sintesi, la Corte territoriale ha rilevato che la operazione eseguita dai due imputati, nelle rispettive qualità imprenditoriali, aveva portato dapprima alla realizzazione di una serie di manufatti edilizi la cui destinazione, sia a termini di piano regolatore sia a termini di convenzione urbanistica stipulata con il Comune di Reggio Emilia doveva essere quella di residences, quindi turistici ricettiva, come anche testimoniato dall’originario loro primo accatastamento sotto la categoria D2, a corredo di taluni impianti sportivi per l’esercizio della pratica del golf, ma successivamente alla cessione di talune di tali costruzioni, e nella intenzione di cederne diverse altre, in guisa di civile abitazione, in tal modo essendosi determinata una sostanziale modificazione urbanistica del territorio, in spregio alla programmazione operata dal Comune e attuata con la ricordata Convenzione intercorsa fra questo e le Società rappresentate dagli imputati.
Avverso la predetta sentenza hanno interposto ricorso per cassazione i due prevenuti, articolando sei motivi di ricorso.
Il primo di essi concerne la violazione di legge in cui sarebbero incorsi i giudici del merito nel ritenere integrata la lottizzazione; ciò in particolare deriverebbe dal significato univoco dato alla espressione residence dai detti giudici, laddove l’espressione ha trovato un preciso significato normativo solo in epoca successiva alla realizzazione dei manufatti; anteriormente a tale qualificazione l’uso della parole residence non era in contrasto con una destinazione abitativa stabile dell’immobile; anche il tema relativo al classamento degli immobile è stato enfatizzato dalla Corte, trascurando di considerare che la normativa urbanistica e quella catastatale hanno diverse finalità e, pertanto, sono del tutto autonome fra di loro; infine sul punto i ricorrenti hanno rilevato che il contenuto dei contratti di compravendita stipulati non è tale da far ritenere che gli acquirenti non sarebbero stati tenuti al rispetto della Convenzione urbanistica.
Il secondo motivo riguarda la violazione di legge ed il travisamento della prova in ordine alla sussistenza di un maggior carico urbanistico a seguito della destinazione degli immobili a civile abitazione; infatti sia nel caso della destinazione turistico alberghiera che in quella abitativa il carico urbanistico sarebbe stato lo stesso, senza una apprezzabile aggravio, elemento questo necessario ai fini della ricorrenza del reato.
Il terzo motivo attiene alla illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, pur riconoscendo la astratta frazionabilità del complessivo intervento edilizio, consentirebbe tale operazione solo ove sia comunque rispettata la destinazione turistico ricettiva delle singole porzioni frazionate.
Il quarto motivo attiene alla carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, ravvisabile nella mancata verifica fra quanto consentito dalla Convenzione e quanto contenuto nei contratti stipulati e stipulandi, in capo ai due imputati.
Il quinto motivo attiene alla confisca, conseguente alla affermazione della penale responsabilità dei due ricorrenti, riferita, però, agli immobili per i quali non vi è stato atto di trasferimento, avendo, in sostanza, la Corte territoriale omesso di considerare che solamente con l’atto di trasferimento si sarebbe realizzata, attraverso la mutata destinazione d’uso, la condotta illecita; in tale modo vengono di fatto sanzionati degli atti preparatori che , trattandosi di contravvenzione, non sono certamente punibili.
Infine i ricorrenti denunziano la intervenuta prescrizione dei reati loro contestati.
Dopo che i ricorsi erano stati assegnati alla VII Sezione penale di questa Corte, ed avendo la difesa dei ricorrenti presentato una memoria, in data 8 giugno 2016, con i quali, oltre ad opporsi alla trattazione in detta sede della loro impugnazione, formulavano motivi di impugnazione integrativi a quelli già esposti, alla udienza del 24 giugno 2016, il processo veniva restituito, per la trattazione in forma ordinaria a questa III Sezione della Corte di cassazione, per essere discusso alla odierna udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I due ricorsi sono inammissibili in quanto i motivi posti a sostegno dei medesimi sono o direttamente inammissibili ovvero manifestamente infondati.
Procedendo nell’esame di essi conformemente all’ordine della loro prospettazione, si rileva che il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti denunciano la sentenza impugnata in quanto in essa si sarebbe dato per scontato che la espressione “residence” utilizzata nella convenzione urbanistica intercorsa fra la Srl “Le fonti di Canossa” e la Srl “Le fonti di Matilde” da una parte ed il Comune di Reggio Emilia dall’altra non stesse ad indicare un insediamento abitativo tendenzialmente stabile ma solamente un insediamento abitativo finalizzato ad un uso turistico.
In particolare i ricorrenti osservano che tale esclusiva accezione del termine era stata oggetto di normativa solo a partire dalla entrata in vigore della Legge regionale n. 16 del 2004 della Regione Emilia-Romagna quindi successivamente alla ricordata convenzione urbanistica.
Il motivo è palesemente infondato, posto che, per come è evidente, la normativa richiamata si è limitata ad attribuire valenza legislativa ad un’accezione lessicale del termine “residence” già ampiamente e solidamente radicata nella lingua italiana, accezione per la quale la espressione abitazione in “residence” sta a definire una abitazione non stabile, destinata a fine essenzialmente transitori, spesso di scopo turistico, caratterizzata, peraltro, dalla gestione da parte del proprietario dell’immobile di una serie di servizi in favore del fruitore dell’immobile che testimoniano ulteriormente la natura non stabilmente abitativa dell’uso cui l’appartamento è destinato.
Come spesso avviene la disposizione legislativa ha cristallizzato il significato di un’espressione già stabilmente radicato nella lingua e non ha certo determinato la attribuzione alla predetta espressione di un significato che anteriormente non le era proprio.
Con il secondo aspetto della censura i ricorrenti hanno lamentato il fatto che i giudici del merito abbiano ritenuto essere in antinomia fra loro la adibizione delle unità abitative in tal modo realizzate a stabile residenza con la espressione residences contenuta nella convenzione urbanistica; si tratta argomento palesemente infondato, posto che la stabilità residenziale di determinate abitazioni e la loro destinazione, invece, a finalità turistico recettive, comporta delle scelte di politica urbanistica fra loro evidentemente diverse e tale da essere travolte laddove le stesse non siano rispettate nelle loro originarie linee direttive.
Riguardo al valore attribuito all’avvenuto classamento degli immobili, valorizzato dai giudici del merito ai fini della dimostrazione della originaria esclusiva destinazione di essi alle finalità turistiche, è ben vero, come i ricorrenti segnalano, che la normativa in materia di catasto degli edifici ha finalità distinte rispetto a quella a contenuto urbanistico, ma non può, tuttavia, neppure essere sottaciuto, che l’originario classamento di quelli nella categoria D2, proprio di Alberghi e pensioni, e il successivo riposizionamento catastale dei medesimi nella categoria A2, Civili abitazioni, a seguito delle preoccupazioni dei potenziali acquirenti di essi, appare seriamente sintomatico della consapevolezza da parte di coloro i quali avevano realizzato l’intervento edilizio del fatto che esso ab origine non riguardava edifici da adibire ad abitazioni stabili ma da utilizzare per uso turistico.
Quanto all’argomento relativo al fatto che gli acquirenti degli immobili sarebbero comunque stati tenuti al rispetto del contenuto della Convenzione urbanistica esso, a prescindere da ogni altra considerazione, si scontra con il dato di fatto che individua nell’oggetto delle compravendite, prevedendo esse il frazionamento dell’originario intervento edilizio unitario e la cessione delle singole unità abitative, di per sé un indice della esistenza dell’avvenuta lottizzazione.
In ordine alla pretesa violazione di legge e travisamento della prova in relazione al maggior carico urbanistico riveniente dalla diversa destinazione delle unità immobiliari realizzate, rileva la Corte che la ritenuta inadeguatezza delle infrastrutture esistenti e la necessità di adeguarle ad maggior carico urbanistico derivante dalla adibizione degli appartamenti a stabile abitazione è considerazione di fatto che, in termini di assoluta plausibilità logica, è stata operata dalla Corte di appello, sulla scorta di quanto già ritenuto dal Tribunale, e, pertanto, su di essa non è ammissibile il sindacato di questa Corte di legittimità.
Relativamente al terzo motivo di impugnazione, i ricorrenti si dolgono di una pretesa contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, laddove, ritiene il Collegio, la motivazione della sentenza impugnata è coerente e congrua nell’avere considerato condotta violativa della preesistente Convenzione urbanistica la cessione frazionata degli immobili realizzati, essendo stata attribuita loro, in spregio di quanto convenuto in sede convenzionale, una destinazione abitativa stabile e non esclusivamente transitoria ed occasionale in conformità alla destinazione turistico alberghiera dell’insediamento in questione.
In ordine al quarto motivo di impugnazione, afferente alla omessa o comunque contraddittoria motivazione in ordine alla ricorrenza dell’elemento soggettivo del reato contestato in capo ai ricorrenti, si rileva che, avendo i ricorrenti avuto evidentemente piena contezza del contenuto della Convenzione intercorsa fra le società da loro rappresentate ed il Comune di Reggio Emilia, il fatto di averne violato i termini è di per sé elemento idoneo ad integrare, quanto meno sotto il profilo della negligenza, atteggiamento psicologico questo più che sufficiente per integrare il reato contestato, la contravvenzione urbanistica loro attribuita.
Quanto al quinto motivo di impugnazione, con il quale è stata censurata la, peraltro quantitativamente ridotta rispetto alla sentenza di primo grado, avvenuta confisca degli immobili oggetto della lottizzazione, rileva la Corte la correttezza del ragionamento seguito dal giudice del merito.
Infatti, in primo luogo si rileva come correttamente la Corte territoriale ha escluso dal provvedimento ablatorio gli immobili già ceduti a terzi in quanto ha rilevato che non è stata raggiunta la prova di un atteggiamento quanto meno colposo di costoro nell’acquisto dei singoli appartamenti; questa Corte, infatti, ha chiarito che la confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere disposta anche nei confronti dei terzi acquirenti, qualora nei confronti degli stessi siano riscontrabili quantomeno profili di colpa nell'attività precontrattuale e contrattuale svolta, per non aver assunto le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento con gli strumenti urbanistici (Corte di cassazione Sezione III penale, 2 dicembre 2016, n. 51429).
Il mancato riscontro di tale atteggiamento soggettiva in capo agli acquirenti esclude la confiscabilità degli immobili da costoro acquistati.
Ciò posto, osserva la Corte che, invece, è corretta la conferma della confisca degli immobili offerti in vendita.
Come, infatti, è stato rilevato da questa Corte, con argomentazioni che qui si condividono e cui è opportuno dare continuità, integra il reato di lottizzazione abusiva negoziale, diversamente da quanto ritenuto dai ricorrenti, non solamente l’avvenuta cessione di una porzione immobiliare in maniera tale che, attraverso il suo frazionamento attuato per via contrattuale, ne sia irreversibilmente mutata la destinazione giuridica, ma, trattandosi di un reato di pericolo (come questa Corte ha da lungo tempo confermato; si veda, infatti, già: Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 giugno 1982, n. 6457, più volte confermata anche in tempi recenti, ad esempio: Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 settembre 2013, n. 37383), anche il compimento di atti che siano astrattamente idonei a dare corso ad una trasformazione del territorio diversa da quella divisata con gli strumenti di programmazione urbanistica adottati dagli organi competenti; atti fra i quali vi è anche, in caso di lottizzazione negoziale, anche la offerta in vendita dei singoli lotti abusivamente frazionati (nel senso della integrazione del reato anche attraverso la sola offerta in vendita: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 10 maggio 2017, n. 22961).
Posto che la confisca dei terreni lottizzati e delle opere abusivamente costruite è conseguenza ineludibile del commesso reato, una volta che questo è perfezionato in tutti i suoi elementi, la misura ablatoria è immediatamente disposta su quanto ha formato oggetto del reato.
L’avvenuta sottoscrizione dei contratti preliminari dà sicura contezza dell’intervenuta offerta in vendita degli appartamenti e giustifica, nei confronti di quelli oggetto di tale atto, l’adozione della misura di sicurezza a carattere patrimoniale.
Né vale osservare, come fatto dai ricorrenti, che paradossalmente la confisca non ha riguardato gli edifici che, per essere stati già venduti, hanno più direttamente inciso negativamente sul mantenimento del regolare assetto del territorio; infatti la sottrazione di essi alla misura ablatoria è solamente un effetto occasionale della ritenuta buona fede degli acquirenti che, diversamente, sarebbero stati oggetto di una sanzione in assenza di qualsivoglia colpa da parte loro.
Relativamente, infine, al sesto motivo di impugnazione, con il quale è stata dedotta la avvenuta estinzione dei reati contestati e, quale conseguenza, la illegittimità, oltre che della condanna degli imputati, della stessa confisca, si osserva che, considerata la inammissibilità dei motivi di impugnazione già esaminati, il tempo trascorso successivamente alla pronunzia della sentenza di appello è irrilevante ai fini della maturazione del termine prescrizionale e che, come rilevato dagli stessi ricorrenti, per costoro il termine prescrizionale sarebbe andato a scadere, rispettivamente in data 6 agosto 2014 per il Panciroli ed in data 28 dicembre 2014 per il Salsi; trattandosi per ambedue i ricorrenti di date ampiamente successive alla pronunzia della sentenza impugnata, evento intervenuto in data 25 giugno 2014, e precisato che nessuna importanza ai fini del computo della prescrizione deve essere attribuita alla successiva data di deposito della motivazione della sentenza (come, invece parrebbe ritenere la difesa del Panciroli), essendo, invece, esclusivamente rilevante il momento in cui l’Autorità giudiziaria, tramite la lettura pubblica del dispositivo della sentenza, ha espresso la propria volontà processuale, anche questo motivo di impugnazione è manifestamente infondato.
La inammissibilità dei motivi originari dispensa questa Corte dall’esame dei motivi nuovi di cui alla memoria depositata in data 8 giugno 2016.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorso fa seguito, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei due ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed ella somma di euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2019