Cass. Sez. III n. 38997 del 23 ottobre 2007 (Cc 26 sett. 2007)
Pres. Papa Est. Squassoni Ric. Di Somma.
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Reati edilizi - Ordine di demolizione - Fase esecutiva - Revoca o sospensione - Possibilità - Condizioni.

In tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione delle opere abusive è sottratto alla regola del giudicato, sicchè ne è sempre possibile la revoca (in presenza di atti amministrativi incompatibili con la sua esecuzione) ovvero la sospensione (quando sia ragionevolmente prospettabile che, nell'arco di tempi brevissimi, la P.A. adotterà un provvedimento incompatibile con la demolizione). Ne consegue che non è sufficiente a neutralizzarlo la possibilità che in tempi lontani e non prevedibili potranno essere emanati atti amministrativi favorevoli al condannato, in quanto non è possibile rinviare a tempo indeterminato la tutela degli interessi urbanistici che l'ordine di demolizione mira a reintegrare.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ordinanza 17 ottobre 2006, il Giudice del Tribunale di Tivoli ha respinto l'incidente di esecuzione proposto da D.S.E. avverso l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo contenuto nella sentenza irrevocabile 12 giugno 2003; a sostegno della conclusione, il Giudice ha rilevato come la mera pendenza della procedura per il condono non consentisse la sospensione della esecuzione.

Per l'annullamento della ordinanza, ha proposto ricorso per Cassazione la condannata deducendo difetto di motivazione e violazione di legge; rileva che, in mancanza di cause ostative alla sanatoria, la demolizione di opere che potrebbero essere regolarizzate frustra i possibili effetti a lei favorevoli del procedimento amministrativo.

La deduzione è meritevole di accoglimento.

Due sono i possibili regimi giuridici inerenti allo ordine di demolizione di un manufatto abusivo. Una prima normativa, di natura amministrativa, prevede un procedimento che ha come sbocco, non necessariamente finale, la effettiva demolizione dell'opera in quanto l'ordine sindacale può avere possibili esiti alternativi.

Una seconda disciplina prevede l'autonomo intervento del Giudice penale, inteso a superare situazioni di illegalità, quando la posizione dell'opera non sia definita dagli organi amministrativi.

A tale fine la L. n. 47 del 1985, art. 7, u.c. (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, u.c.) stabilisce che il Giudice, in caso di condanna deve ordinare la demolizione dell'opera salvo che la stessa, spontaneamente o coattivamente, sia stata già eseguita.

In epoca successiva alla sentenza di condanna, la Pubblica Amministrazione è libera di agire e di portare a termine il suo procedimento e tale attività non può essere ignorata in sede giurisdizionale ove la esecuzione dell'ordine deve essere coordinata con le determinazioni prese in sede amministrativa. Pertanto, la sanzione in esame sfugga alla regola del giudicato ed è riesaminabile nella fase esecutiva nella quale può subire modificazioni e, per incompatibilità con provvedimenti susseguenti della Pubblica Amministrazione, può ritenersi inutiliter data.

Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che il Giudice della esecuzione debba revocare l'ordine di demolizione se nuovi atti amministrativi si pongano in contrasto con lo stesso oppure lo debba sospendere quando sia ragionevolmente prospettabile che, nell'arco di brevissimo tempo, la Pubblica Amministrazione adotterà un provvedimento incompatibile con l'abbattimento dell'opera.

Pertanto, non è sufficiente, per neutralizzare l'ordine in esame, la mera possibilità che in un tempo lontano - o, comunque, non prevedibile - saranno emanati atti favorevoli al condannato non potendosi rinviare a tempo indefinito la tutela di interessi urbanistici che l'ordine di demolizione mira a reintegrare. Questi principi cercano di salvaguardare, in un armonico equilibrio, due interessi meritevoli di tutela: quello pubblico alla rapida riparazione del bene violato e quello del privato ad evitare un danno irreparabile in pendenza di una situazione giuridica che potrebbe risolversi a suo favore (ex plurimis: Cassazione sezione 3 sentenza 43878/2004).

In tale contesto, il Giudice della esecuzione è chiamato ad una attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura di sanatoria.

Nel caso concreto, il Giudice si è limitato ad enucleare dei principi giuridici esatti, ma non ha fatto la necessaria valutazione prognostica della fattispecie concreta. In particolare, avrebbe dovuto:

- accertare il possibile risultato della richiesta sanatoria e se esistano cause ostative alla sua concessione (in tale ipotesi, avrebbe dovuto decidere non avendo senso concedere una dilazione);

- nel caso di insussistenza di tali cause, valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l'esecuzione solo in prospettiva di una rapido esaurimento dello stesso.

Per tale lacuna motivazionale, il provvedimento in esame deve essere annullato con rinvio al Tribunale di Tivoli.

P.Q.M.

La Corte annulla la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Tivoli.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2007.