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Sez. 3, Sentenza n. 15600 del 24/03/2005 Ud. (dep. 27/04/2005 ) Rv. 231525
Presidente: Postiglione A. Estensore: Teresi A. Relatore: Teresi A. Imputato: Cappato. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Dichiara inammissibile, App. Milano, 28 Aprile 2003)
EDILIZIA - IN GENERE - Costruzione edilizia - Pertinenza - Nozione - Non incidenza sul carico urbanistico - Necessità.

Massima (Fonte CED Cassazione) In materia edilizia, possono essere qualificate quali pertinenze le opere prive di una autonoma destinazione e che esauriscono la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul complessivo carico urbanistico.

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Presidente - del 24/03/2005
Dott. TERESI Alfredo - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - N. 629
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 26039/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CAPPATO Massimo, nato a Vigevano 8.06.1961;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano in data 8.04.2003 con cui è stata confermata la condanna alla pena dell'arresto e dell'ammenda infintagli nel giudizio di primo grado per il reato di cui all'art. 20 lettera b) legge n. 47/1985;
Visti gli atti, la sentenza denunziata, il ricorso e la memoria difensiva;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Teresi;
Sentito il P.M. nella persona del P.G., Dott. PASSACANTANDO Guglielmo, il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
OSSERVA
Con sentenza 28.04.2003 la Corte di Appello di Milano confermava la condanna alla pena dell'arresto e dell'ammenda inflitta nel giudizio di primo grado a Cappato Massimo, quale colpevole di avere costruito, senza concessione edilizia, un porticato aperto su tre lati su un basamento metri 11 x 11 e da due ordini di colonne in muratura con copertura a falde spioventi in travi di legno e coppi ed un forno a legna in muratura realizzato all'interno del porticato. Proponeva ricorso per Cassazione l'imputato denunciando violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in ordine:
all'affermazione di responsabilità non essendo emerso che egli sia stato autore dei fatti. La sola proprietà del suolo su cui insiste il manufatto non comporta responsabilità e non impone all'imputato di provare la sua innocenza ne' di indicare il nome dell'esecutore dei lavori;
al mancato riconoscimento della natura pertinenziale dell'opera;
alla qualificazione dell'intervento edilizio costituito nella ristrutturazione di un preesistente garage, demolito e ricostruito rispettando l'originaria destinazione sicché l'esecuzione del manufatto non richiedeva il rilascio della concessione, ma soltanto la dia.
Chiedeva l'annullamento della sentenza.
Va, anzitutto, rilevato che il procedimento, trasmesso alla sezione Settima per la declaratoria d'inammissibilità, è stato restituito a questa sezione.
Il primo motivo non è puntuale.
Va, anzitutto, precisato che il principio della responsabilità penale comporta che un soggetto può essere ritenuto concorrente nel reato solo se ha dato un contributo causale, a livello ideativo preparatorio o esecutivo, alla commissione del fatto criminoso od anche se ha dato un apporto causale qualificato di ordine psicologico alla commissione del fatto, un contributo che deve tradursi nell'avere istigato altri a commettere il reato o nell'avere assicurato un proprio aiuto o sostegno e, quindi, nell'avere determinato o rafforzato l'altrui proposito criminoso. Non basta, quindi, per configurare una partecipazione nel reato la mera adesione al progetto criminoso, il semplice consenso o la sola approvazione che non si risolva in un contributo materiale alla realizzazione del fatto.
Pertanto il proprietario, risponde dei reati edilizi non in quanto tale, ma solo se abbia la disponibilità dell'immobile ed abbia dato incarico dei lavori o li abbia eseguiti personalmente. In materia di reati edilizi, il proprietario del suolo può esser considerato committente oppure esecutore dei lavori e, quindi, ritenuto responsabile del reato di costruzione abusiva e delle connesse contravvenzioni edilizie, sulla base di una serie di indizi gravi precisi e concordanti quali la condotta concretamente attuata, l'essere il destinatario finale della costruzione secondo le norme civilistiche dell'accessione, e tutti quei comportamento, positivi o negativi, da cui si possono trarre prove circa una compartecipazione anche morale all'esecuzione della costruzione abusiva. A tale principio si sono attenuti i giudici di merito, i quali con motivazione congrua che sfugge alla sollevata censura, hanno ritenuto che l'imputato abbia commesso gli abusi non soltanto perché proprietario del suolo e del fabbricato abusivo, ma anche perché è stato accertato il suo concreto ed esclusivo rapporto col bene (il manufatto è stato costruito sul suolo recintato, per sua ammissione, sul quale insiste un fabbricato di cui aveva la disponibilità), sicché il giudizio è basato su uno stato di fatto collegato strettamente alla qualità di proprietario che ha tratto vantaggio dalla costruzione, donde l'irrilevanza delle dedotte contrarie, apodittiche asserzioni difensive circa la possibilità che estranei abbiano potuto commettere la violazione invito domino. L'assunto, secondo cui l'intervento sarebbe pertinenza di un preesistente edificio, è stato puntualmente confutato dai giudici di merito i quali hanno correttamente ritenuto che l'opera necessitava della concessione edilizia poiché non poteva essere qualificate pertinenza, per difetto dei requisiti.
"La nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica; deve trattarsi di un'opera preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato e dotata di un volume minimo, tale da non consentire, anche in relazione alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede. (Nella specie la Corte ha escluso che rientrasse nella detta nozione la trasformazione di un patio con volumi edilizi abitativi)" (Cass. Sez. 3^ a 4134, 19.02.1998, Portelli, RV 210692. conformità: 9704056 207609).
Infatti, in tema di urbanistica, è pertinenza un'opera autonoma, dotata di propria individualità, che esaurisce la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale avente destinazione residenziale senza incidere sul c.d. carico urbanistico.
Come tale è compresa nella struttura di esso ed è, quindi, priva di autonomia.
Ne consegue che non costituisce pertinenza il suddetto manufatto perché un porticato di ampie dimensioni e distanziato da una preesistente costruzione, per le sue caratteristiche tecniche e dimensionali, può assolvere ad una fruizione autonoma ed avere una utilizzazione propria.
Anche il terzo motivo manifestamente infondato.
Correttamente, infatti, in sede di merito è stato escluso che sia stata eseguita una ristrutturazione edilizia perché le dimensioni e la volumetria di un preesistente box, adibito a garage e demolito, non coincidono con quelle ben più ampie del porticato con forno a legnaticene la modifica della superficie, delle volumetrie e della destinazione d'uso assoggettavano la nuova opera al regime concessorio.
L'inammissibilità del ricorso, che preclude l'esame della domanda di condono, peraltro improponibile per l'edilizia non residenziale v. ammissione dell'interessato, comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento e della somma di 500,00 euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di 500,00 euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Pubblica Udienza, il 24 marzo 2005. Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2005