Cass. Sez. III n. 45240 del 5 dicembre 2007 (Ud 26 ott. 2007)
Pres. Vitalone Est. Sensini Ric. Scupola
Urbanistica. Ristrutturazione edilizia

Il concetto di ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, vale a dire di un organismo edilizio dotato delle murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. Pertanto, la ricostruzione di un rudere preesistente non può mai ricondursi nell\'ambito di operatività della "ristrutturazione edilizia", trattandosi di intervento sostanzialmente "nuovo", che richiede specifico e preventivo titolo abilitativo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 26/10/2007
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 02603
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 007378/2007
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) SCUPOLA GIUSEPPE LUIGI N. IL 26/06/1932;
avverso SENTENZA del 27/11/2006 CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SENSINI MARIA SILVIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IZZO Gioacchino che ha concluso per l\'inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza in data 27/11/2006 la Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma della pronuncia resa il precedente 21/3/2006 dal Tribunale di Lecce - Sezione Distaccata di Tricase - nei confronti Scupola Giuseppe Luigi, concedeva al predetto il beneficio della non menzione della condanna e confermava nel resto l\'impugnata sentenza. Il prevenuto era stato ritenuto colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) per aver effettuato i seguenti lavori edilizi: realizzazione di un immobile allo stato rustico per un\'area coperta di mq. 200 circa, composto da n. 7 vani ed accessori, in totale assenza della concessione edilizia ed in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. In Castrignano del Capo, il 13/3/2004. Per l\'effetto, lo Scupola era stato condannato, in concorso di attenuanti generiche, alla pena di mesi 2 di arresto ed Euro 22.000,00 di ammenda, con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinata all\'effettivo abbattimento del manufatto abusivo entro due mesi dal passaggio in giudicato della sentenza.
In sintesi, la Corte territoriale, disattendendo in proposito le argomentazioni difensive tese a ricondurre l\'intervento edilizio nell\'ambito della "manutenzione straordinaria", affermava: 1) che non era affatto in contestazione che nell\'area interessata dall\'intervento per cui è processo sorgesse in precedenza un\'antica costruzione rurale, che lo stesso tecnico di fiducia dello Scupola, aveva asserito appartenere al genere localmente noto come "pajara", ossia una sorta di trullo, non avente funzione abitativa, in quanto tipicamente adibito a deposito e custodia degli attrezzi agricoli, ma ciò di cui si controverteva era la tipologia dell\'intervento posto in essere; 2) doveva escludersi che quelli in oggetto potessero qualificarsi come lavori di manutenzione straordinaria, tanto che nella stessa domanda di "condono edilizio", il tecnico di fiducia dell\'imputato aveva esplicitamente definito il manufatto per cui è processo "nuova costruzione"; 3) le dimensioni del manufatto edificato dallo Scupola non sembravano affatto compatibili, ne\' per dimensione complessiva, ne\' per suddivisione degli spazi, con una costruzione tipica, quale il già citato trullo; 4) alla stregua delle suddette considerazioni, l\'opera sicuramente non poteva ritenersi condonabile.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell\'imputato, deducendo: 1) difetto di motivazione laddove la sentenza non aveva adeguatamente valutato che gli interventi edilizi in contestazione si erano risolti: nella rinnovazione delle parti in rovina dell\'originario muro perimetrale "a secco", eseguita utilizzando il pietrame parzialmente crollato e giacente in prossimità del muro stesso, senza peraltro procedere alla demolizione e ricostruzione del preesistente; nella realizzazione di servizi igienico-sanitari e tecnologici, di cui l\'immobile non era all\'origine dotato e nella copertura della superficie abitabile con un solaio in muratura. Il tutto nel rispetto della sagoma, della superficie e della volumetria originarie, senza dar luogo ad alcun ampliamento dimensionale della "pajara".
Non si poteva, dunque, parlare ne\' di interventi di "ristrutturazione edilizia" ne\', tanto meno, di "nuova costruzione", bensì di una tipologia di intervento soggetta a denuncia di inizio attività. Difetto di motivazione anche laddove la Corte di merito aveva affermato, in modo del tutto apodittico, che la "pajara" non era destinata ad uso abitativo: al contrario, essa veniva costruita dalle famiglie di contadini al fine di stabilire la propria dimora in prossimità del luogo di lavoro;
2) violazione della L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 25, in quanto la Corte di merito non aveva sospeso il processo per consentire al prevenuto la definizione della procedura di "condono edilizio". In data 9/10/2007 veniva presentata dal difensore una memoria difensiva, con la quale si ribadiva, tra l\'altro, che l\'intervento posto in essere dal ricorrente doveva qualificarsi di "manutenzione straordinaria" del vecchio trullo, dunque integrante una tipologia di intervento soggetto alla sola d.i.a..
Si insisteva, pertanto, per l\'annullamento della sentenza. Il ricorso è manifestamente infondato e va, conseguentemente, dichiarato inammissibile.
Invero, i motivi formulati dal ricorrente sono la mera ripetizione di doglianze già esposte dinanzi ai Giudici di merito e da questi motivatamente disattese. È, infatti, inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dai primi Giudici, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell\'impugnazione, dal momento che quest\'ultima non può ignorare le esplicitazioni del Giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell\'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità dell\'impugnazione. Il requisito della specificità implica, infatti, per la parte impugnante, l\'onere non solo di indicare con esattezza i punti oggetto di gravame, ma di spiegare anche le ragioni per le quali si ritiene ingiusta o contra legem la decisione, all\'uopo evidenziando, in modo preciso e completo, ancorché sintetico, gli elementi che si pongono a fondamento della censura (cfr. Cass. Sez. 5, 3/3/1999 n. 2896, La Mantia).
Tanto non è avvenuto nella fattispecie in disamina, essendo risultati - i motivi di censura - ripropositivi di questioni già disattese dai Giudici del merito.
In particolare, va ribadito:
del tutto correttamente, la Corte territoriale ha escluso che gli interventi posti in essere dal ricorrente potessero ricondursi sia nell\'ambito della manutenzione straordinaria che della ristrutturazione edilizia. Invero, il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. b) ricomprende nella manutenzione straordinaria "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico - sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d\'uso".
Lo stesso art. 3, primo comma, alla successiva lett. d) - come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301 - definisce interventi di ristrutturazione edilizia quelli "rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell\'edificio, l\'eliminazione, la modifica e l\'inserimento di nuovi elementi ed impianti". Tuttavia, è assolutamente consolidato in giurisprudenza che il concetto di ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, vale a dire di un organismo edilizio dotato delle murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. Pertanto, la ricostruzione di un rudere preesistente - che si trattasse di rudere, nel caso de quo, è stato inequivocabilemnte accertato in sede di sopralluogo in data 25/3/2004, del quale la sentenza avversata da atto a pag. 2 - non può mai ricondursi nell\'ambito di operatività della "ristrutturazione edilizia", trattandosi di intervento sostanzialmente "nuovo", che richiede specifico e preventivo titolo abilitativo (cfr. Cass. Sez. 3, 23/1/2007 n. 15054, Meli ed altro;
Sez. 3, 13/1/2006 n. 20776, P.M. c/ Polverino; conf. Cons. Stato, Sez. 5, 28/5/2004 n. 3452). Nè, a maggior ragione, può parlarsi di intervento ricadente nell\'ambito della manutenzione straordinaria, che, per sua natura, non può comportare aumento della superficie utile, del numero delle unità immobiliari, ne\' modifica della sagoma o mutamento della destinazione d\'uso.
Nel caso in oggetto, a prescindere dalla destinazione o meno abitativa dell\'antica "pajara", è stato accertato che le dimensioni del manufatto edificato non potevano in alcun modo ritenersi compatibili, ne\' per dimensione complessiva, ne\' per suddivisione degli spazi (erano stati ricavati sette vani), con la costruzione tipica sulla quale si era intervenuti, tanto che lo stesso tecnico di fiducia dell\'imputato, geometra Ratano, aveva espressamente parlato, nell\'istanza di "condono", di "nuova costruzione", ed aveva altresì atto che le aperture originarie erano state modificate, essendosi fatto luogo al loro ampliamento, con conseguente alterazione del prospetto (cfr. pag. 4 sent.).
Palesemente infondato è anche il secondo profilo di doglianza, relativo alla pretesa fruibilità del "condono edilizio" di cui alla L. n. 326 del 2003.
È costante l\'indirizzo di questa Corte secondo cui le opere abusive realizzate in aree sottoposte a vincolo a tutela degli interessi ambientali e paesistici possono ottenere la sanatoria prevista dal D.L. n. 326 del 2003, art. 32, convertito con modificazioni nella L. n. 326 del 2003, solo quando si tratti di interventi di minore rilevanza (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole dell\'autorità preposta alla tutela del vincolo.
Del tutto corretta deve, pertanto, ritenersi la decisione di Giudici di merito che, verificata preliminarmente la sussistenza di condizioni ostative, non hanno accolto l\'istanza di sospensione del procedimento (cfr. Cass. Sez. 3, 3/10/2006 n. 38113, De Giorgi). Conclusivamente, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13/6/2000 n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla ridetta declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell\'art. 616 c.p.p., l\'onere delle spese del procedimento e del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2007