Cass. Sez. III n. 7599 del 3 marzo 2022 (UP 20 ott 2021)
Pres. Rosi Est. Noviello  Ric. Coxe
Urbanistica.Sottotetti

Avuto riguardo alla nozione di sottotetto non può definirsi tale (con i conseguenti vantaggi in termini di esclusione dalla volumetria) un ultimo piano di un immobile che abbia già un’altezza corrispondente o superiore ai 2,70 metri, ossia l’altezza minima prevista per legge (con DM del luglio 1975 e L. 457/78 art. 43) perché un piano sia qualificabile come abitativo. Un piano che abbia una tale altezza deve reputarsi abitativo e non un mero sottotetto

RITENUTO IN FATTO  

    1. Con sentenza del 18 febbraio 2020, la corte di appello di Genova confermava la sentenza del tribunale di Savona del 21 novembre 2017, con la quale Coxe Sergio, Ricci Fulvio e Balestra Pietro erano stati condannati in relazione al reato di cui agli artt. 110 – 113 cod. pen.  44 lett. b) DPR 380/01.


    2. Avverso la predetta ordinanza Coxe Sergio, Ricci Fulvio e Balestra Pietro propongono ricorso per cassazione, mediante il proprio difensore, deducendo rispettivamente quattro, sei e tre motivi di  impugnazione.

    3. Coxe Sergio deduce con il primo i vizi di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. La corte di appello non avrebbe illustrato l’iter logico seguito per ritenere sussistente l’elemento soggettivo della contravvenzione. Non sarebbe comprensibile la esclusione della buona fede del ricorrente e il suo incolpevole affidamento ove si consideri che lo stesso si rivolse al Presidente dell’Ordine degli ingegneri per la realizzazione della attività edile realizzata, che non può sostenersi che il Coxe, mero artigiano edile, possedesse una specifica preparazione in materia di disciplina edilizia ed urbanistica, che il perito avrebbe confermato la liceità della progettazione elaborata dal coimputato ing. Ricci, che la corte di appello avrebbe ritenuto che soltanto la condotta del Ricci sarebbe stata determinante per l’ottenimento del permesso illegittimo, atteso che nessun componente della commissione edilizia che approvò il progetto ne ravvisò alcuna criticità né fu oggetto di indagini da parte della locale Procura. Si evidenzia, altresì, che la ritenuta illegittimità di un titolo abilitativo edilizio non può implicare la corresponsabilità dei soggetti che se ne avvalgano, secondo una sorta di automatismo oggettivo, essendo comunque necessario ravvisare elementi fondanti il profilo di colpa ritenuto. Nel caso in esame, non sarebbe emerso che il ricorrente si sia trovato in una situazione di rischio percepibile circa la legittimità delle opere o che sia stato a conoscenza di una supposta azione negligente o imprudente o inesperta del tecnico incaricato.


    4. Con il secondo motivo rappresenta la violazione della legge penale con riguardo alla definizione di sottotetto in relazione alla L.R. n. 24/01 e all’art. 10 delle NN.AA.TT PRG di Villanova d’Albenga. Si contesta la tesi della Corte di appello per cui nel calcolo delle altezze dei locali per i quali si discute la configurabilità della nozione di sottotetto, i controsoffitti sarebbero stati inseriti in progetto solo per ridurre le altezze dei locali così da farli rientrare nella nozione di sottotetti, cosicchè lo spazio dei “controsoffitti” non avrebbe dovuto essere preso in considerazione dal CTU per il calcolo delle altezze dei predetti locali. Con l’ulteriore conseguenza per cui, non rientrando nella nozione di sottotetto, il relativo volume avrebbe dovuto essere computato nel volume complessivo dell’edificio progettato, con superamento del volume assentibile ai sensi dell’art. 16 NN.TT.AA. Si osserva, in proposito, che i controsoffitti sarebbero stati imposti dalla Commissione Edilizia per fini di isolamento acustico e termico, per cui non vi sarebbe stato al riguardo alcun artifizio in rapporto alle altezze da computare. Per cui la committenza si limitò ad osservare le prescrizioni del permesso di costruire. Si richiamano altresì, a supporto, anche conclusioni del perito, che avrebbe sostenuto come nel progetto le altezze medie dei locali in esame erano state calcolate secondo il criterio della media aritmetica non ponderata, rispettando i dettami della LR 24/01 e della correlata circolare esplicativa. Cosicchè i giudici avrebbero travisato il passaggio dell’elaborato peritale.
Piuttosto, si osserva che la citata L.R. 24/01 fissando i parametri che consentono la trasformazione ad uso abitativo di locali sottotetto, stabilirebbe un’altezza media dei locali ( pari a 2,30 mt.) con riguardo agli spazi destinabili ad abitazione, mentre per gli spazi accessori o di servizio l’altezza sarebbe riducibile a 2,10 mt. L’altezza minima non è inferiore a 1,50 mt, per spazi a uso abitazione e a 1,30 mt. per spazi accessori o di servizio. Mai sarebbe stata indicata invece l’altezza massima. Fermo l’obbligo di rispettare l’altezza massima esterna fissata per gli edifici. Pari a 6,50 mt. e mai superata, per cui non si sarebbe potuto stabilire alcun altro criterio, ai sensi della L.R. 24/01, per individuare l’altezza massima dei sottotetti. Tanto anche considerando come la ragione della normativa regionale predetta è stimolare il recupero, a fini abitativi, dei sottotetti, per contenere il consumo del territorio e favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici. Inoltre, mentre nella prima versione la legge non indicava altezze per i sottotetti recuperabili, solo nell’ultima ha stabilito una altezza minima ma non massima. Sempre alla luce dello scopo di favorire il contenimento del consumo di territorio. Le motivazioni dei giudici del merito porterebbero altresì a risultati paradossali, in quanto a parità di altezze esterne eguali tra edifici, sarebbero recuperabili a fini abitativi i locali sottotetto con altezza massima di metri 2,69 e non quelli più confortevoli con altezza maggiore di 2,69 metri.
Peraltro, alla luce dell’art. 2 comma 5 lett. b) della L. R. 24/01, poiché si prevede il recupero abitativo dei sottotetti anche mediante Scia “ove gli interventi non comportino modificazioni di cui alla lettera a”, ossia modificazioni della sagoma degli edifici, si comprenderebbe che il ricorso a tale titolo abilitativo attesterebbe il recupero abitativo di locali che già avrebbero i requisiti per essere definiti dalla legge abitativi, seppur ancora privi di destinazione residenziale. I giudici avrebbero inoltre confuso concetti, definendo un intervallo di altezze (tra 2,69 e 2,30) per indicare la fascia di altezza entro cui si possono definire i locali sottotetti utilizzando però parametri diversi, quali l’altezza minima, di 2,69 mt, e l’altezza media, di 2,30 mt.
Consegue che i locali del primo piano, alloggi 1 e 2, avrebbero dovuto essere considerati sottotetti, con esclusione del loro computo dal volume complessivo dell’edificio assentito, che quindi sarebbe risultato inferiore a quello massimo consentito.

    5. Con il terzo motivo rappresenta la violazione dell’art. 159 cod. pen. in relazione all’art. 161 cod. pen. La prescrizione del reato sarebbe decorsa a partire dal 10 ottobre 2014, data dell’intervenuto sequestro. Essa sarebbe ormai maturata, pur con le sussistenti sospensioni, alla data del 25 giugno 2020.

    6. Con il quarto motivo, si deduce l’illogicità del trattamento sanzionatorio, La motivazione circa le ragioni della pena applicata e in particolare circa l’impossibilità di ridurre ulteriormente la stessa sarebbe incomprensibile. A fronte di precisa doglianze formulate rispetto a determinazioni del primo giudice, che pur riconoscendo nella sola condotta del coimputato Ricci un peso determinante per il rilascio del titolo ritenuto illegittimo, ha comunque applicato a tutti i coimputati la stessa pena .


    7. Ricci Fulvio, con il primo motivo ha dedotto il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione alla violazione dell’art. 521 comma 2 cod. proc. pen. La predetta disposizione sarebbe stata violata in quanto la condanna è formulata su una accusa diversa da quanto contestato, siccome riferita alla violazione degli artt. 2 comma 6 L. R. 24/2001 e 78 comma 3 L.R. 16/2008,  che non erano citati nel capo di imputazione. Sarebbe al riguardo insufficiente la riconduzione di tali disposizioni nella nozione del capo di imputazione riferita alla normativa urbanistica vigente, atteso che si tratterebbe comunque di una dizione generica e quindi violativa del diritto di difesa. Con conseguente condanna su un diverso fatto di reato.

    8. Con il secondo motivo ha rappresentato i vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125 comma 3 cod. proc. pen. e 115 comma 6 Cost. La corte di appello non avrebbe valutato i motivi di gravame. Inoltre non indicherebbe le ragioni per cui sono state condivise le valutazioni del primo giudice.

    9. Con il terzo motivo deduce i vizi i vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla L.R. 24/2001 e all’art. 10 delle N.T.A. del PRG del Comune di Villanova d’Albenga e in rapporto alla nozione di sottotetto. Si premette che l’art. 10 delle NTA del PRG del comune di Villanova d’Albenga stabilisce che i sottotetti non si computano nel calcolo del volume complessivo di un edificio e che in assenza dei requisiti di cui alla L. R. 24/201 in tema di recupero a fini abitativi dei sottotetti di edifici esistenti, gli stessi in assenza dei requisiti di cui alla predetta disciplina regionale possono utilizzarsi come locali di sgombero e in presenza invece dei medesimi si possono destinare ad uso residenziale previo pagamento di una concessione onerosa. Si contesta quindi l’assunto di cui in sentenza, per cui si sarebbe alfine violato l’art. 16 delle NTA al PRG del predetto comune con riguardo ai limiti di cubatura dell’edificio da realizzare. Ciò perché avrebbe trovato piena applicazione la L.R. 24/01 in tema di recupero di sottotetti, estensibile anche a casi di immobili da realizzare in base a titoli edilizi rilasciati prima dell’entrata in vigore della legge, in ragione del fatto per cui i sottotetti interessati non andrebbero calcolati per la definizione del volume complessivo dell’edificio realizzando.
In particolare, si osserva che la corte di appello sarebbe incorsa in un vizio logico-giuridico nella parte in cui, pur avendo rilevato come la normativa regionale e di cui al citato PRG prevedeva per i sottotetti recuperabili a fini abitativi solo una altezza minima e non la massima, ha stabilito che gli stessi per rientrare nella predetta procedura di recupero avrebbero dovuto avere una altezza massima pari a 2,69 mt. Così incorrendo, i giudici di merito, in palese contraddizione. Inoltre, nel determinare la predetta altezza massima la corte avrebbe confuso l’altezza minima prevista dalla legge nazionale per i locali ad uso abitativo rispetto alla altezza media indicata dalla legge Regionale per i sottotetti. Comunque, il limite massimo di altezza sostenuto dal collegio di secondo grado sarebbe in contrasto con la L.R. 24/01 e il citato art. 10 NTA, che non prevedono un’altezza massima per i sottotetti. Trattandosi di una disciplina di tipo derogatorio. Inoltre, la legge regionale ligure n. 24 citata, all’art. 2 comma 8 consente, per il conseguimento delle altezze minime interne, che gli interventi edilizi per il recupero a fini abitativi dei sottotetti possano avvenire anche attraverso la modifiche delle altezze al colmo e alla gronda del tetto, nonché delle linee di pendenza delle falde, purchè nei limiti massimi di altezza dell’edificio ed unicamente al fine di assicurare i parametri, di cui al comma 6, ovvero al fine di assicurare la altezza media interna netta dei sottotetti. Posto inoltre che non è provato che sia stato superato il limite massimo di altezza dell’edificio pari a 6,5 mt., si conclude osservando come, ai sensi della L. R. citata, non si possa adottare alcun altro criterio, diverso dal riferimento alla predetta altezza massima dell’edificio, per stabilire l’altezza massima dei sottotetti. Si ribadisce quindi, l’intervenuto rispetto dell’art. 16 citato in tema di calcolo del volume assentito dell’edificio.

    10. Con il quarto motivo deduce i vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’elemento soggettivo del reato. Mancherebbe la motivazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo a fronte di espressa richiesta di assoluzione sul punto atteso che la condotta ascritta sarebbe comunque conseguente ad una errata interpretazione di una normativa complessa e corrisponderebbe ad una consolidata prassi comunale. Si contesta la tesi accusatoria della conoscenza delle problematiche inerenti le norme in questione sia perché il permesso sarebbe stato rilasciato nel settembre 2011 e quindi in epoca precedente alle questioni insorte in ordine ai sottotetti, sia per la ritenuta legittimità dell’art. 10 NTA citato, sia per assenza di ogni contributo causale quale progettista, posto poi che al ricorrente non si contesta alcuna responsabilità quale direttore dei lavori, peraltro astrattamente ascrivibile solo in caso di difformità da quanto assentito. Mancherebbe anche ogni indizio in termini di concorso colposo nella condotta. Ove poi si ritenesse illegittimo l’art. 10 delle NTA del PRG del comune di Villanova d’Albenga, e quindi l’illegittimità del titolo edificatorio, dovrebbe considerarsi come il ricorrente confidasse nella legittimità dell’interpretazione seguita, sino ad allora mai oggetto di contestazioni.

    11.  Con il quinto motivo rappresenta il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 159 e 161 cod. pen. La prescrizione del reato sarebbe decorsa a partire dal 10 ottobre 2014 data dell’intervenuto sequestro. Essa sarebbe ormai maturata, pur con le sussistenti sospensioni, alla data del 25 giugno 2020.

    12. Con il sesto  motivo, si deduce il vizio di violazione di legge e quello di illogicità del trattamento sanzionatorio, atteso che con riguardo alla motivazione per cui vi sarebbe l’impossibilità di ridurre ulteriormente la pena si sarebbe eluso l’art. 133 cod. pen.

    13. Balestra Pietro con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 159 e 161 cod. pen. Posta la decorrenza della prescrizione dalla data del sequestro del 10 ottobre 2014, la prescrizione sarebbe maturata il 10 ottobre 2019 in quanto la difesa del ricorrente espressamente non avrebbe aderito alle astensioni dalle udienze per le quali sono stati disposti due rinviii, a fronte della adesione formulata dagli altri difensori.

    14. Con il secondo motivo rappresenta la violazione dell’art. 521 comma 2 cod, proc. pen. essendo intervenuta condanna su un fatto nuovo rispetto a quanto contestato, non essendo riconducibili le disposizioni citate dalla corte di appello di cui all’art. 2 L.R. 24/01 e 78 L.R. 16/20008 nel richiamo alla normativa urbanistica presente nel capo di imputazione.

    15. Con il terzo motivo deduce il vizio di mancanza di motivazione in relazione al terzo motivo di gravame con il quale si era smentito l’assunto del primo giudice per cui vi sarebbe stata la conoscenza da parte del ricorrente del dibattito in corso al momento del rilascio del permesso 34/2010 in ordine alla applicazione dell’art. 10 NTA del PRG citato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Per la necessaria precedenza logico-giuridica devono essere esaminati il primo motivo dedotto da Ricci Fulvio, inerente il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione alla violazione dell’art. 521 comma 2 cod. proc. pen e l’analoga censura di cui al secondo motivo dedotto da Balestra Pietro. Entrambi sono inammissibili, sia in quanto è condivisibile l’assunto motivazionale per cui il rinvio alla normativa urbanistica vigente, peraltro effettuato nel quadro di una contestazione perfettamente descrittiva di un abuso operato in relazione all’illegittimo scorporo dei locali “sottotetto“ rispetto alla volumetria assentita, è perfettamente corrispondente all’oggetto dell’intervenuta sentenza, sia alla luce del principio per cui si ha mancata correlazione tra fatto contestato e sentenza - o nullità della sentenza per difetto di contestazione - quando vi sia stata una immutazione tale da determinare uno "stravolgimento" dell'imputazione originaria: quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi cioè, rispetto a quello contestato, in rapporto di ontologica eterogeneità o incompatibilità, nel senso che viene a realizzarsi una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto in tal modo di fronte ad un fatto "nuovo", rispetto al quale non ha alcuna possibilità di effettiva difesa (Sez. 1, n. 9958 del 27/10/1997 Rv. 208935 – 01). Circostanza estranea al caso concreto.

    2. Con riguardo quindi, ai ricorsi proposto da Coxe Sergio, Ricci Fulvio e Balestra Pietro, si osserva che essi, in relazione alle censure prospettanti l’erroneità della ricostruzione giuridica dei giudici di merito in ordine alla nozione di sottotetto, con relative conseguenze sull’inquadramento del caso concreto ovvero l’assenza dell’elemento psicologico del reato (con riferimento ai primi due motivi proposti da Coxe Sergio, al terzo e quarto motivo dedotto da Ricci Fulvio, oltre al terzo motivo dedotto da Balestra Pietro, nella sostanza ricondicibile al tema dei profili soggettivi), non appaiono manifestamente infondati, alla luce delle peculiari caratteristiche della questione inerente la nozione di sottotetto e, rispetto ad essa, in ragione della valutazione da farsi in ordine alle norme di riferimento nel caso di specie.
        2.1. In proposito, va osservato che la vicenda riguarda la demolizione di tre edifici con ricostruzione degli stessi che, per l’accusa, avrebbero dovuto avere una  volumetria ridotta rispetto al preesistente; laddove, invece, gli imputati ebbero a realizzare una volumetria maggiore, sfruttando un complesso di norme (NTA e legge regionale) secondo le quali, allorquando si progetti la realizzazione di un immobile comprensivo di un sottotetto, quest’ultimo non andrebbe computato  nel calcolo del volume urbanistico assentito. E tuttavia, ove abbia una certa altezza – funzionale alla sua abitabilità – può nel contempo essere destinato in abitazione, pagando i relativi oneri urbanistici.
        2.2. Viene quindi in rilievo la ricostruzione della nozione di sottotetto e, in particolare, la questione se possa definirsi sottotetto (con i sopra descritti vantaggi in termini di esclusione dalla volumetria) un ultimo piano di un immobile  che abbia già un’altezza corrispondente o superiore ai 2,70 metri, ossia l’altezza minima prevista per legge (con DM del luglio 1975 e L. 457/78 art. 43) perché un piano sia qualificabile come abitativo.
Appare corretta, al riguardo, la risposta formulata in sentenza, sul rilievo per cui un piano che abbia una tale altezza deve reputarsi abitativo e non un mero sottotetto, anche alla luce del dato di fatto ulteriore, si osserva, per cui nel progetto di riferimento esso era definito sin dall’inizio “piano” e non sottotetto. Sulla base di tali considerazioni, i giudici hanno quindi ritenuto che su due dei tre edifici “ricostruiti”, l’ultimo piano era abitativo e non un sottotetto e che, quindi, si sarebbe superata la volumetria assentita.
Non è quindi, di converso, fondata, la tesi dei ricorrenti, per cui si sarebbe trattato,  comunque, di sottotetti, come tali da non scomputare dalla volumetria abitativa assentibile, in quanto la legge regionale, del definire i requisiti di altezza per “recuperare” i sottotetti già esistenti (con norma che le NTA hanno poi esteso anche agli edifici da realizzare, come nel caso in esame), avrebbe solo stabilito le altezze minime e non quella massima: cosicchè vi sarebbe sottotetto in presenza di qualsivoglia ultimo piano rispettoso di altezze minime, che solo perché così collocato al vertice dell’immobile, assumerebbe la “qualifica” di sottotetto. Ciò, anche in presenza – quindi – di altezze ben superiori ai 2,70 mt., in tal modo lasciando al singolo committente - è opportuno osservarlo, così come già rilevato da questa Corte con sentenza  n. 37847 del 14.5.2013 sez. 3 -, la libertà di stabilire quanta volumetria all’ultimo piano di un erigendo edificio debba essere ricondotta per ciò solo a “sottotetto” e, come tale, essere sottratta alla volumetria assentita. Salvo però, nel contempo, destinarlo ad abitazione con pagamento di oneri concessori.
Al contrario, come sopra anticipato, secondo i giudici di merito, in sostanza, l’altezza massima dovrebbe desumersi dalla disciplina normativa generale, secondo la quale i locali abitativi devono avere un’altezza di 2,70 metri. Con la coerente conseguenza per cui, a partire dai 2,70 metri di altezza, un ambiente assume un’altezza “abitativa” e quindi non è più sottotetto. Ancorchè collocato all’ultimo piano di un edifico.
        2.3. Tale interpretazione deve ritenersi coerente con l’intero quadro normativo di riferimento, da tenersi ben presente a fronte di una nozione di sottotetto assente nella normativa edilizia e urbanistica e che, quindi, non trova riscontro in precise disposizioni tecniche.
Va infatti rilevato che con il termine sottotetto si tende a indicare un ambiente compreso tra il solaio di copertura dell’ultimo piano (soffitto) e il tetto. In tal senso si è condivisibilmente rilevato, in giurisprudenza, che è definito sottotetto l'ambiente ricavato sotto il tetto dell'edificio in condominio, in modo da formare una camera d'aria, limitata, in alto, dalla struttura del tetto ed in basso, dal solaio che copre i vani dell'ultimo piano, assolvendo, di regola, ad una funzione isolante e protettiva di questi vani (Sez. civ.2, n. 6640 del 15/06/1993 (Rv. 482781 - 01).
La riflessione giurisprudenziale ha in proposito enucleato plurime possibili funzioni del sottotetto, in taluni casi idonee a superarne la definizione e funzione “classica” e tipica prima citata.
Infatti, oltre a rilevarsi la destinazione prima indicata di camera d’aria, si è osservato anche che il sottotetto può assumere mere funzioni ornamentali. In tal senso si è infatti rappresentato, in tema di limiti legali della proprietà, che qualora la concreta determinazione della distanza tra costruzioni sia riferita all'altezza dei fabbricati, il relativo computo comporta il riferimento all'intera estensione in elevazione della costruzione, sì da comprendere, in essa, ogni parte che concorra a realizzare un maggior volume concretamente abitabile ed una conseguente compressione di quei beni (luminosità, salubrità, igiene) che le norme dei regolamenti edilizi intendono tutelare, potendo legittimamente restare escluse da tale calcolo quelle sole parti aventi natura ornamentale o meramente funzionale rispetto alle struttura dell'immobile (quale il sottotetto non abitabile, quando la sua formazione derivi dalle particolari modalità costruttive del tetto). (Sez. civ. 2, n. 12964 del 31/05/2006, Rv. 593832 - 01).
Il sottotetto, come tale, può altresì essere un volume autonomo, ove dotato di un’altezza che ne consenta la praticabilità per vari usi, seppur non abitativi: lavanderia, deposito
Esso può altresì essere considerato, in casi concreti, volume tecnico, purchè destinato ad alloggio di impianti. Laddove, al contrario, il sottotetto non abitabile realizzato con la funzione di protezione termica ed acustica dell’edificio non può essere qualificato come volume tecnico se di fatto non risulta essere stato adibito all’alloggiamento di impianti (T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, sent. 30 luglio 2015, n. 4156; nel medesimo senso, nella generale prospettiva del cd. volume tecnico, Cons. Stato, Sez. II, 27.12.2019, n. 8835; Cons. Stato, Sez. II, 25.10.2019, n. 7289).
Ove, invece, il piano collocato all’ultimo piano dell’edificio presenti caratteristiche di abitabilità, con particolare riferimento a parametri di altezza, esso non si qualifica come sottotetto nei termini in precedenza illustrati, superandone la delimitazione concettuale e funzionale in favore di quella abitativa, tanto da dover essere più correttamente definito “mansarda” ( cfr. tra le altre in tal senso Cons. Stato, sez. IV, del 28/01/2014 n. 5383).
In linea con la rilevanza della destinazione rispetto alla percorribilità o meno della nozione di sottotetto, si pone l’indirizzo di questa Corte, secondo cui la sopravvenuta funzione abitativa di un sottotetto, che in base agli strumenti urbanistici aveva soltanto una funzione tecnica, costituisce mutamento di destinazione d'uso (Sez. 3, n. 17359 del 08/03/2007) e sancisce il passaggio dalla nozione di sottotetto a quella di mansarda (Sez. 3, n. 6581 del 19/12/2000 (dep. 19/02/2001 ) Rv. 218702 – 01).

    3. Ribadita, quindi, la corretezza della decisione impugnata rispetto alla esclusione, dalla nozione di sottotetto, di locali dell’ultimo piano connotati da un’altezza di tipo abitativo, deve altresì riconoscersi, a fronte dell’articolato quadro ricostruttivo della nozione di sottotetto come sopra illustrato, come tale concetto - pur necessariamente deducibile dal bagaglio di conoscenze di soggetti dotati di conoscenze professionali nella materia in questione, quali i ricorrenti, come anche rilevato dalle sentenze di merito intervenute, così da doversi escludere ogni invocazione di buona fede ovvero di assenza dell’elemento psicologico del reato loro ascritto - rende le prospettazioni difensive, circa la sussistenza nel caso di specie di “sottotetti” e di assenza dell’elemento psicologico, non manifestamente infondate, con conseguente valida instaurazione del rapporto processuale e valutabilità, in questa sede, anche della intervenuta maturazione della prescrizione del reato (cfr. sul tema Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 (dep. 25/03/2016 ) Rv. 266818 – 01). Che invero, per Coxe e Ricci risulta maturata pur dopo la pubblicazione della impugnata sentenza, alla data del 22 aprile del 2020. Laddove deve riconoscersi che la stessa è maturata anteriormente per il Balestra, alla data del 16 ottobre 2019, atteso che per il medesimo non opera la sospensione della prescrizione per la prima astensione dall’udienza per cui è stato disposto rinvio non avendo il corrispondente difensore aderito.

    4. E' appena il caso di rilevare che risulta superfluo qualsiasi altro approfondimento al riguardo, proprio in considerazione della maturata prescrizione: invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza dì eventuali nullità (anche se di ordine generale) o di vizi di motivazione, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito che ne deriverebbe, è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 1021 del 28.11.2001, dep. 11,01.2002, Rv. 220511). Va ribadito infine, che, per quanto sinora osservato, non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., in ragione delle risultanze processuali di cui dà atto la Corte d'appello. Come è noto, ai fini della eventuale applicazione della norma ora citata, occorre che la prova della insussistenza del fatto o della estraneità ad esso dell'imputato, risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni poste a fondamento della sentenza impugnata. Sotto questo profilo nella motivazione della sentenza della Corte di appello non sono riscontrabili elementi di giudizio indicativi della prova evidente dell'innocenza degli imputati.

    5. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. Con revoca dell’ordine di demolizione.
P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione e revoca l’ordine di demolizione.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2021