Cass. Sez. III n. 53638 del 29 novembre 2018 (Cc 10 luglio 2018)
Pres. Lapalorcia Est. Aceto Ric. Alemanno
Urbanistica.Zone terremotate

Tutte le opere realizzate al fine di superare l’emergenza “sisma” devono possedere caratteristiche tali da poter essere rimosse alla cessazione dell’esigenza stessa. Diversamente ragionando si consentirebbe la violazione delle norme che disciplinano il governo del territorio al di fuori delle specifiche esigenze che ne giustificano la deroga.

RITENUTO IN FATTO

    1. Il sig. Nicola Alemanno, Sindaco pro-tempore del Comune di Norcia, persona sottoposta alle indagini in virtù della carica ricoperta, ricorre per l’annullamento del decreto del 07/03/2018 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Spoleto che, sulla ritenuta sussistenza indiziaria dei reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A), e 110 cod. pen., 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 (capo B), ha ordinato, ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., il sequestro preventivo dell’immobile, realizzato in Norcia, denominato “Centro Polivalente Comunale di Protezione Civile per l’emergenza sisma 2016”, noto anche come “Padiglione delle esposizioni” o “Sala Boeri”.
        1.1. Con unico, articolato motivo, deducendo (per le ragioni che più avanti saranno più ampiamente illustrate) l’insussistenza sia del “fumus commissi delicti” che del “periculum in mora”, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la violazione delle ordinanze del Capo del Dipartimento della Protezione Civile n. 388 del 2016, n. 389 del 2016, n. 391 del 2016, n. 394 del 2016, adottate ai sensi dell’art. 5, legge n. 225 del 1992, nonché l’erronea applicazione degli artt. 44, d.P.R. n. 380 del 2001 e 181, d.lgs. n. 42 del 2004.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    2. Il ricorso è fondato limitatamente alla sussistenza del “periculum in mora”, è infondato nel resto.

    3. Si contesta al ricorrente di aver realizzato, nella sua già indicata qualità, la struttura in questione in assenza di permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica (trattandosi di intervento realizzato in zona protetta ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 42 del 2004).
        3.1. La tesi difensiva, articolatamente sostenuta nel ricorso, secondo la quale l’opera sarebbe sottratta al regime “concessorio” di cui agli artt. 10 e segg., d.P.R. n. 380 del 2001, è manifestamente infondata per un lato, supportata da inammissibili deduzioni fattuali per un altro.
        3.2. In questa sede, infatti, rileva esclusivamente la violazione di legge (art. 325, commi 1 e 2, cod. proc. pen.); ogni digressione rispetto al fatto, così come descritto dal decreto impugnato, non può validamente supportare alcuna eccezione difensiva.
        3.3. Il fatto, contestato nella rubrica e ritenuto dal Giudice della cautela, consiste nella realizzazione di un “fabbricato [esteso 450 mq.] composto da un unico livello fuori terra, con struttura portante in legno (travi e pilastri ancorati con tirafondi in acciaio alla fondazione in calcestruzzo armato) tamponato con pannelli in legno e con copertura lignea a falde inclinate (…) in mancanza dei presupposti di cui all’art. 1 co. 2 lett. a) dell’OCDPC n. 388/2016, di quelli di cui all’art. 3 OCDPC n. 389/2016, di quelli degli artt. 1, 2, 3, 4 dell’OCDPC n. 394/2016, seppur formalmente richiamati nell’ordinanza [sindacale] n. 347/2017 [che ha autorizzato la costruzione dell’opera in assenza dei necessari titoli edilizi]” .
        3.4. Tale struttura, spiega il Giudice, è stata realizzata per finalità (“uso sociale”) non consentite dalla legislazione emergenziale la cui portata derogatoria rispetto alle norme che disciplinano, sotto ogni profilo, il governo del territorio, non è applicabile al di fuori dei casi in essa tassativamente previsti.
        3.5. Ai sensi dell’art. 1, comma 2, dell’Ordinanza n. 388 del 26/08/2016 - Primi interventi urgenti di protezione civile conseguenti all'eccezionale evento sismico che ha colpito il territorio delle Regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo il 24 agosto 2016 - «I soggetti di cui al comma 1 [tra i quali i sindaci dei comuni interessati] assicurano la realizzazione: a) degli interventi necessari nella fase di prima emergenza volti a rimuovere le situazioni di rischio, ad assicurare l'indispensabile attività di soccorso, assistenza e ricovero delle popolazioni colpite dai predetti eventi calamitosi; b) delle attività da porre in essere, anche in termini di somma urgenza, inerenti alla messa in sicurezza delle aree interessate dagli eventi calamitosi; c) degli interventi urgenti volti ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose».
        3.6. L’art. 3 (“Procedure acceleratorie”) della successiva Ordinanza n. 389 del 28/08/2016 - Ulteriori interventi urgenti di protezione civile conseguenti all'eccezionale evento sismico che ha colpito il territorio delle Regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo il 24 agosto 2016 - prevede, a sua volta, quanto segue: «1. Gli interventi da realizzare ai sensi del comma 2 dell'art. 1 dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 388 del 26 agosto 2016 (…), che sono dichiarati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità, costituiscono variante agli strumenti urbanistici vigenti. 2. Per la realizzazione dei soli interventi urgenti finalizzati alle operazioni di soccorso, alla messa in sicurezza dei beni danneggiati, all'allestimento di strutture temporanee di ricovero per l'assistenza alla popolazione nonché per l'esecuzione di strutture temporanee per assicurare la continuità dei servizi pubblici e del culto, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, della direttiva del Consiglio dei ministri del 22 ottobre 2004 e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, i soggetti di cui all'art. 1, comma 1 dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 388 del 26 agosto 2016 possono provvedere, sulla base di apposita motivazione, in deroga alle seguenti disposizioni normative: a) decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articoli 21, 22, 23, 26, 136, 142, 146, 147, 152, 159 e relative norme di attuazione».
        3.7. Tale norma, spiega il Giudice, è stata espressamente richiamata nell’ordinanza sindacale n. 347 del 2017 a giustificazione della realizzazione dell’opera in assenza dei titoli edilizi ordinariamente previsti.
        3.8. L’edificio realizzato, prosegue il Giudice, non rientra in nessuna delle categorie indicate nell’art. 1, comma 1, Ord. n. 388 del 2016, ma nemmeno in nessuna di quelle descritte dagli artt. 1 (le cd. strutture abitative di emergenza - S.A.E.) e 2 (strutture temporanee ad usi pubblici, quali: municipi, scuole, sedi delle forze dell'ordine, strutture sanitarie, nonché luoghi di culto) dell’Ordinanza n. 394 del 2016.
        3.9. A sostegno di tale conclusione il decreto fa riferimento a due argomenti, l’uno di natura testuale-letterale, l’altro di natura fattuale.
        3.10. Quanto al primo argomento, il Giudice richiama la delibera consiliare comunale n. 19 del 28/02/2017 che, nell’accettare la donazione della struttura da parte del comitato “Un aiuto subito terremoto centro Italia 6.0”, la definisce come «struttura polivalente denominata “polo della cultura alimentare locale”, che ospita eventi, incontri, manifestazioni, riunioni, esposizioni, fiere ed ogni altro genere di attività promosse dal Comune di Norcia, che possono servire a promuovere le eccellenze e le peculiarità del territorio»; l’ordinanza sindacale del 04/03/2017 di autorizzazione alla sua realizzazione la definisce «struttura polivalente per il ripristino delle attività sociali, espositive ed istituzionali».
        3.11. Quanto al secondo argomento (quello fattuale), il decreto fa riferimento alla descrizione del consulente tecnico del Pubblico Ministero dalla quale risulta che la struttura, stabilmente ancorata a fondazioni in calcestruzzo armato e dotata di opere di urbanizzazione, è suddivisa, al suo interno, in due ampi ambienti «ove si è rinvenuta la presenza di sedie, tavoli, palco con stendardo comunale, pianoforte, schermi televisivi e macchine erogatrici di generi alimentari e bevande», in linea, dunque, con la funzione dichiarata nelle delibere e autorizzazioni comunali.
        3.12. Le contrarie deduzioni difensive sulla effettiva destinazione dell’opera a sede del Centro Operativo Comunale (C.O.C) e del Consiglio Comunale, quale finalità sottesa all’adozione degli atti amministrativi (ma, osserva il Collegio, distonica rispetto a quella proclamata in detti atti a giustificazione dell’approvazione della sua realizzazione), introducono aspetti di natura fattuale che, nella misura in cui tendono a sottolineare la scollatura tra il fatto descritto nel provvedimento impugnato e quello indicato come reale, non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità, stante la chiara preclusione dell’art. 325 cod. proc. pen. L’utilizzo della struttura per finalità istituzionali (sedute del consiglio comunale, incontri del COC, assemblee dei sindaci ed altre iniziative simili) costituisce, dunque, una mera deduzione fattuale, come ben sottolineato anche dal PG nell’odierna requisitoria, più adeguata al riesame (anche nel merito) del provvedimento che allo scrutinio di mera legittimità. La violazione delle ordinanze del Capo della Protezione Civile elencate nell’epigrafe del motivo di ricorso presuppone, pertanto, un fatto diverso da quello che risulta dal testo del provvedimento impugnato, presuppone, cioè, che oggetto del sequestro sia, nelle intenzioni difensive, un “municipio”, una sede del COC e un luogo di aggregazione sociale (art. 2, Ordinanza n. 394 del 2016) che, però, tale non è. I documenti allegati al ricorso, volti a dimostrare la verità delle deduzioni difensive, sono - come detto - materiale per il giudice di merito non per la Corte di cassazione, sopratutto quando chiamata a vagliare la mera legittimità del provvedimento impugnato.
        3.13. A ciò si aggiunga, in ogni caso, che: a) ai fini del sequestro preventivo, sono necessari e sufficienti gli indizi di reato, dei quali il legislatore non predica nemmeno la gravità; b) l’indizio, quando non grave, è per sua natura polivalente, il che comporta che per escluderne la attitudine accusatoria non è sufficiente introdurre, come nel caso di specie, argomenti volti a proporne una lettura alternativa che non ne neutralizzi completamente la capacità di evocare la sussistenza del reato per il quale si procede.
        3.14. Tali considerazioni sono più che sufficienti a escludere la fondatezza del ricorso quanto alla sussistenza indiziaria dei reati contestati.
        3.15. Il ricorso, però, è manifestamente infondato anche in diritto.
        3.16. Ulteriori argomenti, infatti, militano a sostegno della illegittimità dell’intervento edilizio realizzato in assenza di permesso di costruire, a prescindere dalla dedotta non necessità della validazione del progetto ai sensi dell’art. 7, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 (deduzione, peraltro, di natura fattuale).
        3.17. L’art. 5, comma 5, legge n. 225 del 1992, dispone che «le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono contenere l'indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate».
        3.18. L’art. 5 dell’ordinanza n. 388 del 2016, elenca in modo analitico gli articoli di legge in deroga ai quali si può provvedere per la realizzazione delle attività oggetto dell’ordinanza medesima. Nell’elenco manca qualsiasi riferimento al d.P.R. n. 380 del 2001 e al d.lgs. n. 42 del 2004. Tale mancanza non può essere supplita dal generico richiamo alle «leggi ed altre disposizioni regionali strettamente connesse alle attività previste dalla presente ordinanza», posto a conclusione dell’elenco, considerato che le attività oggetto dell’ordinanza sono esclusivamente quelle indicate alle lettere a), b) e c) dell’art. 1, e cioè (giova ripeterlo): a) gli interventi necessari nella fase di prima emergenza volti a rimuovere le situazioni di rischio, ad assicurare l'indispensabile attività di soccorso, assistenza e ricovero delle popolazioni colpite dai predetti eventi calamitosi; b) le attività da porre in essere, anche in termini di somma urgenza, inerenti alla messa in sicurezza delle aree interessate dagli eventi calamitosi; c) gli interventi urgenti volti ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose.
        3.19. L’art. 3, comma 2, della successiva ordinanza n. 389 del 2016, consente, ai soli fini già sopra indicati (interventi urgenti finalizzati alle operazioni di soccorso, alla messa in sicurezza dei beni danneggiati, all'allestimento di strutture temporanee di ricovero per l'assistenza alla popolazione nonché per l'esecuzione di strutture temporanee per assicurare la continuità dei servizi pubblici e del culto), la deroga al solo d.lgs. n. 42 del 2004.
        3.20. L’ordinanza n. 391 del 2016 (dedotta come violata) non disciplina l’attività edilizia e non contempla alcuna deroga al d.P.R. n. 380 del 2011.
        3.21. Solo l’art. 3, comma 5, dell’ordinanza n. 394 del 2016, consente espressamente la deroga ai titoli II e III del d.P.R. n. 380 del 2001 nella misura eventualmente strettamente necessaria «per lo svolgimento delle attività di cui agli articoli 1, 2, 3 e 4» dell’ordinanza stessa. Oggetto dell’art. 1 è la realizzazione delle strutture abitative di emergenza (S.A.E.) di cui all'accordo quadro approvato con decreto del Capo del dipartimento della protezione civile n. 1239 del 25 maggio 2016; l’art. 2 disciplina la realizzazione degli interventi finalizzati a garantire, in modalità temporanea e transitoria, la continuità dei preesistenti servizi pubblici e delle attività di culto nei territori dei comuni interessati; l’art. 4 regola l'ordinata attuazione delle diverse misure volte ad assicurare, senza soluzione di continuità, l'assistenza in forma transitoria alle popolazioni residenti in edifici danneggiati e, tra queste, soluzioni abitative temporanee, previa verifica di fattibilità tecnica. L’art. 3 individua le seguenti azioni di competenza del soggetto attuatore, difficilmente rientranti nel raggio di applicazione del d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi, per lo più, di azioni di raccordo e monitoraggio delle iniziative poste in essere in attuazione della stessa ordinanza n. 394 e di quelle che la precedono. Si tratta infatti: a) del monitoraggio dell'attuazione delle attività di cui all'art. 1 dell’ordinanza e di quelle volte alla realizzazione delle strutture di cui alla successiva lettera b); b) del coordinamento dei fabbisogni per le strutture ad usi pubblici definiti all'art. 2 della presente ordinanza con i possibili soggetti attuatori e con riferimento a idonee soluzioni tecniche di natura temporanea o transitoria, in raccordo con i comuni e le regioni, anche in relazione agli interventi da realizzare, in tutto o in parte, mediante donazioni; c) del coordinamento e raccordo con le strutture territoriali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai fini dell'esecuzione diretta di eventuali interventi pubblici di competenza statale; d) dell'elaborazione di proposte e piani operativi per lo svolgimento delle attività di gestione e manutenzione delle strutture di cui alla presente ordinanza, da porre in essere a cura dei soggetti competenti; e) del raccordo delle attività di cui al presente articolo con quelle disciplinate dall'art. 6, ossia la pianificazione dell'ulteriore fabbisogno di spazi per la realizzazione di strutture temporanee con finalità sociali ovvero volte a consentire la continuità delle attività economiche e produttive preesistenti.
        3.22. La «realizzazione di strutture temporanee con finalità sociali ovvero volte a consentire la continuità delle attività economiche e produttive preesistenti» è invece prevista dall’art. 6 dell’ordinanza n. 394 del 2016, ed è perciò esclusa dalla deroga al d.P.R. n. 380 del 2001 consentita esclusivamente per le attività di cui agli artt. 1, 2, 3 e 4 della medesima ordinanza.
        3.23. Ne consegue che per la realizzazione della struttura in questione, espressamente finalizzata agli usi desumibili dalle intenzioni dei donanti e dalle ragioni dell’accettazione della donazione come palesate e deliberate in atti pubblici comunali, non è consentita alcuna deroga al d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente manifesta infondatezza dell’eccepita violazione delle citate ordinanze emergenziali.
            3.23.1. Il ricorrente deduce, quale ulteriore argomento, la natura precaria dell’opera, natura che deve essere valutata non in base agli ordinari criteri stabiliti dal d.P.R. n. 380 del 2001 (utilizzati dal G.i.p.), bensì in base alla ratio delle ordinanze contingibili ed urgenti e, sopratutto, delle finalità con esse perseguite volte a fronteggiare l’eccezionaltià degli eventi calamitosi in esse considerati. Sostiene, a tal fine, che «anche gli interventi effettuati in base alle predette ordinanze [contingibili ed urgenti] sono temporanei perché la loro caratteristica è data dalle ordinanze del Capo della Protezione Civile. In altre parole, l’intervento è temporaneo e legittimo perché realizzato in base alla Ordinanza della Protezione Civile che è anch’essa temporanea e di natura transitoria in quanto finalizzata a soddisfare una situazione di emergenza. La temporaneità quindi è disancorata dalle caratteristiche costruttive dell’intervento ma è strettamente connesse alle necessità di far fronte alle esigenze emergenziali che si esauriscono al momento in cui la popolazione ritorna alla sua normalità». Nel caso di specie, prosegue il ricorrente, «la temporaneità ha delle connotazioni diverse perché l’esigenza non è quella di soddisfare una minima utilità di poco conto che si esaurisce nel breve tempo ma, proprio perché connessa ad una calamità, essa è ancorata a quello stato di emergenza che è dichiarato dal Consiglio dei Ministri (…) pertanto si deve svincolare e dare un significato diverso al concetto di temporaneità il quale (…) è connesso allo stato di emergenza. In buona sostanza, fino a quando persiste lo stato di emergenza l’opera temporanea è legittima perché soddisfa una esigenza di tipo emergenziale e tale “conformità” viene meno con il decorso dello stato di emergenza a sopratutto - come ha detto il Consiglio della Comunità Europea - con il ripristino della normalità». Tale argomento trova conferma, nell’ottica difensiva, nell’art. 2, d.l. 9 febbraio 2017, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 aprile 2017, n. 45, che consente espressamente la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria connesse alla realizzazione delle strutture abitative d'emergenza (SAE), delle strutture e dei moduli temporanei ad usi pubblici e delle strutture temporanee finalizzate a garantire la continuità delle attività economiche e produttive di cui, rispettivamente, agli articoli 2 e 3 dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 408 del 15 novembre 2016, nonché dei moduli abitativi provvisori rurali di cui all'articolo 3 dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 399 del 10 ottobre 2016, e dei ricoveri ed impianti temporanei di cui all'articolo 7, comma 3, dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 393 del 13 settembre 2016. La realizzazione delle opere di urbanizzazione, si sostiene nel ricorso, costituisce la prova che le opere da esse servite non sono “precarie”, ancorché temporanee, con conseguente non utilizzabilità del concetto di “precarietà” definito dal legislatore ordinario ed elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte per distinguere le opere soggette a regime di edilizia libera da quelle che non lo sono.
        3.24. L’obiezione non coglie nel segno ed è anche frutto di una lettura parziale del dato normativo.
        3.25. In primo luogo non considera che, come già detto, la deroga alle disposizioni del d.P.R. n. 380 del 2001 (ma anche a quelle del d.lgs. n. 42 del 2004) deve essere espressamente dichiarata dal provvedimento emesso in attuazione dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992. E per la realizzazione dell’opera oggetto di sequestro, come visto, non è prevista alcuna deroga (con conseguente venir meno della premessa logico-giuridica del sillogismo difensivo) non potendo la stessa essere considerata struttura abitativa d’emergenza, struttura temporanea ad uso pubblico (nel senso indicato dall’art. 2, della citata ordinanza n. 394 del 2016), struttura temporanea finalizzata a consentire la continuità delle preesistenti attività economiche e produttive danneggiate dagli eventi sismici, né modulo abitativo provvisorio rurale, né ricovero temporaneo di capi di bestiame.
        3.26. Ma sopratutto non può essere accolta la tesi secondo la quale tutto ciò che è realizzato in base alle ordinanze emesse in attuazione del citato art. 5, legge n. 225 del 1992, deve essere per ciò stesso considerato un intervento temporaneo e/o provvisorio. Tale tesi contrasta con la lettera delle norme sin qui scrutinate che non mancano mai di sottolineare la caratteristica emergenziale e temporanea delle soluzioni abitative e/o degli insediamenti edilizi che ne costituiscono l’oggetto. Tale natura deve cioè costituire una caratteristica oggettiva ed intrinseca dell’intervento, una caratteristica che, proprio per questo, ne legittima l’esecuzione in deroga alle normative che disciplinano il governo del territorio. E ciò, del resto, non si pone in contrasto bensì in linea con la nozione di “precarietà” codificata, in termini generali, dall’art. 6, comma 1, lett. e-bis), d.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale possono essere liberamente realizzate «le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni» (si veda, altresì, l’art. 3, comma 1, lett. e.5, d.P.R. n. 380, cit.). Non è un caso che tale specifica norma sia stata richiamata dal legislatore dell’emergenza per escludere la necessità di titoli edilizi per la posa in opera, da parte dei privati (e non dunque da parte dei soggetti attuatori), delle opere o dei manufatti o delle strutture realizzati o acquistati autonomamente dai proprietari, o loro parenti entro il terzo grado, usufruttuari o titolari di diritti reali di godimento su immobili distrutti o gravemente danneggiati dagli eventi sismici di cui all'articolo 1 e dichiarati inagibili, in luogo di soluzioni abitative di emergenza consegnate dalla protezione civile. L’art. 8-bis, d.l. 17 ottobre 2016, n. 189, convertito con modificazioni dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229, prevede che tale disposizione (l’art. 6, lett. e, cit.) «si applica a condizione che le predette opere o manufatti o strutture consistano nell'installazione, in area di proprietà privata, di opere, di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, che siano utilizzati come abitazioni, che siano amovibili e diretti a soddisfare esigenze contingenti e meramente temporanee, anche se non preceduti dalla comunicazione di avvio lavori prevista dal medesimo articolo 6, comma 1, lettera e-bis), e siano realizzati in sostituzione temporanea, anche se parziale, di un immobile di proprietà o in usufrutto o in possesso a titolo di altro diritto reale o di godimento, destinato ad abitazione principale e dichiarato inagibile» In perfetta aderenza a quanto già prevede l’art. 6, d.P.R. n. 380 del 2001, cit., la norma dispone che «entro novanta giorni dall'emanazione dell'ordinanza di agibilità dell'immobile distrutto o danneggiato, i soggetti di cui al primo periodo provvedono alla demolizione o rimozione delle opere o manufatti o strutture di cui al presente articolo e al ripristino dello stato dei luoghi, ad eccezione dei casi in cui, in base ad accertamenti eseguiti da uffici comunali, siano state rispettate le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali vigenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione e le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; sono fatti salvi il rispetto della cubatura massima edificabile nell'area di proprietà privata, come stabilita dagli strumenti urbanistici vigenti, anche attraverso la successiva demolizione parziale o totale dell'edificio esistente dichiarato inagibile, e la corresponsione dei contributi di cui all'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. 2. Fermo restando l'obbligo di demolizione o rimozione della struttura prefabbricata o amovibile e di ripristino dello stato dei luoghi di cui al comma 1, limitatamente al periodo di emergenza e comunque fino al novantesimo giorno dall'emanazione dell'ordinanza di agibilità dell'edificio distrutto o danneggiato ovvero dall'assegnazione di altra soluzione abitativa da parte dell'autorità competente, non si applicano le sanzioni di cui all'articolo 181 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, le sanzioni di cui all'articolo 44 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, nonché le sanzioni previste per violazione di ogni altra disposizione in materia edilizia o paesaggistica». E non è di poco momento il fatto che agli stessi operatori privati sia consentito procedere direttamente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione (art. 2, comma 1, d.l. n. 8, cit.).
        3.27. E, dunque, non si può sostenere la coesistenza di due diversi concetti di temporaneità dell’opera (rectius, della temporaneità dell’esigenza sottesa alla sua realizzazione), sol perché quelle realizzate dal soggetto attuatore sono servite da opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Non è questo il criterio discretivo. Ancorché destinate a soddisfare esigenze abitative certamente temporanee, ma nemmeno di immediata risoluzione, le strutture abitative realizzate da privati devono ciò nondimeno consistere in manufatti leggeri, anche prefabbricati, e strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili. Dunque, tutte le opere realizzate al fine di superare l’emergenza “sisma” devono possedere caratteristiche tali da poter essere rimosse alla cessazione dell’esigenza stessa. Diversamente ragionando si consentirebbe la violazione delle norme che disciplinano il governo del territorio al di fuori delle specifiche esigenze che ne giustificano la deroga. Come ricordato dal Giudice delle Leggi, «il carattere eccezionale del potere di deroga della normativa primaria, conferito ad autorità amministrative munite di poteri di ordinanza, sulla base di specifica autorizzazione, implica che lo stesso sia temporalmente delimitato e ben definito nel contenuto, tempi e modalità di esercizio, dovendo altresì essere specificato il nesso di strumentalità tra lo stato di emergenza e le norme di cui si consente la temporanea sospensione. In particolare, l'"emergenza", pur se riferita a finalità di interesse generale, non può compromettere il nucleo essenziale delle attribuzioni regionali e, a tal proposito, va rilevato che la legge sulla protezione civile n. 225 del 1992 si fa carico di dette esigenze, apparendo peraltro rispettosa del principio - già evidenziato dalla Corte - della necessaria proporzione tra "evento" e misure da adottare (v. art. 5, primo comma) e che nell'ipotesi di dubbi applicativi, tale normativa va comunque interpretata 'secundum ordinem', in modo da scongiurare qualsiasi pericolo di alterazione del sistema delle fonti» (Sentenza n. 127 del 1995).      
        3.28. L’interpretazione del concetto di “temporaneità” deve essere perciò rigorosa e riguardare, come detto, aspetti oggettivi dell’opera, non potendo tale predicato derivare, per proprietà transitiva, dalla natura extra ordinem della fonte di diritto che ne legittima la costruzione. Nè a risultati diversi conduce l’art. 3 del Regolamento CE n. 2012/2002 del Consiglio dell’11/11/2002, che si limita a definire le misure provvisorie di alloggio come quelle che durano «fino a quando la popolazione colpita sia in grado di ritornare alle abitazioni originarie dopo che queste sono state riparate o ricostruite». E’ un concetto non dissimile a quello espresso dall’art. 6, comma 2, lett. e-bis, d.P.R. n. 380 del 2001 ed evocato dalla natura temporanea delle strutture realizzabili mediante le ordinanze sopra citate.
        3.29. Non v’è dubbio, pertanto, che l’opera oggetto di sequestro non può essere definita in alcun modo temporanea e destinata, per caratteristiche costruttive, ad essere rimossa (non essendo peraltro questa la finalità della sua donazione al Comune di Norcia).

    4. Ha maggior pregio, invece, la deduzione difensiva relativa al “periculum in mora”.
        1.1. Il G.i.p., richiamata la giurisprudenza di questa Corte relativa alla possibilità di sottoporre a sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., anche le opere ultimate (Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003, Innocenti, Rv. 223721), afferma che la libera disponibilità della struttura «è necessariamente destinata ad aggravare le conseguenze degli illeciti in contestazione». Ciò sul rilievo che essa è situata in zona agricola e all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini e dei siti di Natura 2000 ed è destinata ad avere un’incidenza negativa sulle diverse matrici ambientali ed un impatto su una zona oggetto di particolare tutela, secondo quanto è agevole evidenziare in base ai seguenti indici: a) le dimensioni notevoli dell’immobile; b) la destinazione ad un utilizzo da parte di un numero elevato di utenti; c) la dotazione di opere di urbanizzazione; d) i progetti di estensione.
        1.2. Sennonché, il richiamo a tali indici si risolve nella mera (e tautologica) ricognizione dell’esistenza e dell’uso dell’opera sequestrata non accompagnata da un’effettiva e penetrante valutazione delle ragioni della compromissione delle “diverse matrici ambientali” derivante dall’utilizzo dell’opera stessa. Non è chiaro, insomma, in che modo l’utilizzo, ancorché da parte di numerosi utenti, di un’opera di natura comunque non residenziale ma finalizzata a promuovere momenti di aggregazione sociale possa incidere in modo irrimediabile sul carico urbanistico. Nè l’aggravamento delle conseguenze del reato può essere ritenuto insito nella vocazione agricola dell’area di sedime ovvero dal suo inserimento in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (su quest’ultimo punto, da ultimo, Sez. 4, n. 15254 del 28/02/2018, Romano, Rv. 272477, che, in adesione all’orientamento ormai prevalente della giurisprudenza più recente di questa Corte, ha affermato il principio secondo il quale in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integra i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo, in assenza di ulteriori elementi idonei a dimostrare che la disponibilità della stessa, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa implicare una effettiva lesione dell'ambiente e del paesaggio; nello stesso senso, Sez. 3, n. 2001 del 24/11/2017, dep. 2018, Dessi, Rv. 272071; Sez. 3, n. 50336 del 05/07/2016, Del Gaizo, Rv. 268331).  
        1.3. Occorre, al riguardo, richiamare la motivazione di Sez. U, Innocenti, la cui massima è utilizzata dal G.i.p. a sostegno della propria decisione: «la Corte di Cassazione ha più volte ribadito che l'interesse sostanzialmente tutelato nell'ambito dei reati edilizi è rappresentato dalla vigilanza e controllo del territorio mediante l'adeguato governo pubblico degli usi e delle trasformazioni dello stesso, bene questo esposto a pregiudizio da ogni condotta che produca alterazioni dell'ordinato ed equilibrato assetto e sviluppo territoriale in danno del benessere complessivo della collettività e della sua attività, il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente (v. così, in primo luogo, Cass. Sez. U.12.11.1993 - Borgia; e, poi, tra le altre: Cass. 4.4.1995 - Marano; Cass. 12.5.1995 - Di Pasquale). Al riguardo, le decisioni della Corte, nel giustificare l'adozione della misura coercitiva in questione, hanno fatto talora riferimento all'aggravamento del carico urbanistico sulle infrastrutture preesistenti che potrebbe essere provocato dal libero uso dell'immobile abusivo. Il concetto di carico urbanistico appare meritevole di attento approfondimento. Questa nozione deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: a) negli standards urbanistici di cui al D.M. 2.4.1968 n. 1444 che richiedono l'inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell'esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (art. 26 L. N. 47/1985 e art. 4 comma 7 l. 493/1993) che non comportano la creazione di nuove superficie utili, ferma restando la destinazione dell'immobile; e) nell'esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (art. 10 L. n. 47/1985 e art. 4 L. 493/1993). 9. Le conseguenze antigiuridiche, ulteriori rispetto alla consumazione del reato, attengono sostanzialmente al volontario aggravamento o protrarsi della offesa del bene protetto anche dopo la commissione della fattispecie penalmente illecita, ponendosi in stretta connessione con la stessa. D'altro canto, il collegamento di detti effetti pregiudizievoli con il procedimento di repressione del reato comporta necessariamente che l'accertamento irrevocabile di questo sia idoneo ad impedire definitivamente il verificarsi delle conseguenze antigiuridiche.  Nella materia di che trattasi, tale risultato viene conseguito con l'emanazione, per le opere abusive, dell'ordine di demolizione ex art. 7 l. 47/1985 (adottato dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che le opere siano state altrimenti demolite). Detto provvedimento è formalmente giurisdizionale ma qualificabile sostanzialmente come sanzione amministrativa; esso, comunque, pur esulando dalla nozione di effetto penale, costituisce atto dovuto per l'Autorità giudiziaria, privo di contenuto discrezionale e conseguenziale alla sentenza di condanna (v. così Cass. S.U. 19/6/1996 - Monterisi; Cass. 19.12.1997 - Poli; Cass 6.7.2000 - Callea; Cass. 12.1.2000 - Giusta). 10. Il pericolo, attinente alla libera disponibilità del bene, come già si è detto, deve presentare i caratteri della concretezza e dell'attualità. In tal senso si sono pronunciate espressamente queste Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 14.12.1994 - Adelio), sottolineando che, ancorché manchi per le misure cautelari reali una previsione esplicita di concretezza come quella codificata per le misure sulla libertà personale alla lettera c) dell'art. 274 c.p.p., è nella fisiologia del sequestro preventivo di cui all'art.321 c.p.p., quale misura anch'essa limitativa di libertà costituzionalmente garantite, che il pericolo debba essere contrassegnato dalla effettività e dalla concretezza. Pertanto, spetta al giudice di merito con adeguata motivazione compiere una attenta valutazione del pericolo derivante dal libero uso della cosa pertinente all'illecito penale. In particolare, vanno approfonditi la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell'indagato o di terzi possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività. In altri termini, il giudice deve determinare, in concreto, il livello di pericolosità che la utilizzazione della cosa appare in grado di raggiungere in ordine all'oggetto della tutela penale, in correlazione al potere processuale di intervenire con la misura preventiva cautelare. Per esempio, nel caso di ipotizzato aggravamento del c.d. carico urbanistico va delibata in fatto tale evenienza sotto il profilo della consistenza reale ed intensità del pregiudizio paventato, tenendo conto della situazione esistente al momento dell'adozione del provvedimento coercitivo. Nell'ambito di siffatto accertamento, possono venire in rilievo gli interventi di competenza della Pubblica Amministrazione in relazione alla sanatoria di costruzioni edificate senza concessione urbanistica ma conformi agli strumenti urbanistici (v. artt. 22-13-11 l. n. 47/1985). Il che potrebbe comportare il venir meno del "periculum in mora" (ed anche dell'ipotesi di reato prospettata), richiesti per l'emissione della misura preventiva (v. in tema di incidenza della concessione edilizia in sanatoria sul decreto di sequestro: Cass. 22.6.1993 - Cipriano; Cass. 12.5.1995 - Di Pasquale)».
        1.4. Il Giudice nulla ha detto sulla preesistenza di opere nell’area di intervento, sul concreto pregiudizio subito dalla destinazione agricola della zona e dalla sussistenza del vincolo paesaggistico e, sopratutto, non ha tenuto conto della peculiarità del caso in esame caratterizzato dal fatto che l’opera (ormai compiuta) è di proprietà comunale, è stata realizzata in un contesto sconvolto dal sisma ed è (anche per questo) destinata comunque a soddisfare le esigenze fatte proprie dalla pubblica amministrazione che s’è resa protagonista della sua realizzazione. Il che non può non incidere anche sulla valutazione del possibile esito del procedimento amministrativo finalizzato alla demolizione dell’opera, ma niente affatto scontato.
        1.5. Ne consegue che, in parziale accoglimento, del ricorso, il decreto deve essere annullato limitatamente alla sussistenza delle esigenze cautelari con rinvio, per nuovo esame sul punto, al G.i.p. del Tribunale di Spoleto.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Spoleto (Ufficio GIP) per nuovo esame.¯
Così deciso in Roma, il 10/07/2018.