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Consiglio di Stato, V, 29 gennaio 2004, n. 308
EDILIZIA Denuncia di inizio di attività

In tema di d.i.a. edilizia il decorso del termine di venti giorni di cui al comma 7 del d.l. n. 398/1993, convertito in legge n. 493/1993, non comportava la formazione del consenso, che seguiva, invece, solo dopo il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 19 della legge n. 241/1990, modificato dall’art. 2 della legge n. 537/1993, per inibire il prosieguo dell’attività intrapresa. Solo con il nuovo t.u. in materia edilizia (art. 23) il termine (unificato) di trenta giorni vale sia per l’inizio dei lavori che per la preclusione dell’intervento inibitorio della p.a..

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REPUBBLICA ITALIANA               

           IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                      

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,   Quinta  Sezione     

ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello n. 2153/2003, proposto dal Comune di VENEZIA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Nicolò PAOLETTI, Maria Maddalena MORINO e Giulio GIDONI e presso il primo elettivamente domiciliato in Roma, via Tortolini 34,

C O N T R O

LANA Bianca, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Antonio IERADI presso il quale elettivamente domicilia in Roma, via Crescenzio 25,

PER L’ANNULLAMENTO

della sentenza del TAR di Venezia, Sezione II, 13 gennaio 2003, n. 324;

visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata;

viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

visti gli atti tutti di causa;

vista l’ordinanza della Sezione n. 1237 del 1° aprile 2003, di accoglimento dell’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata;

relatore, alla pubblica udienza del 18 novembre 2003, il Consigliere Paolo BUONVINO; uditi, l’avv. PAOLETTI per il Comune appellante e l’avv. IERADI per l’appellata.

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

F A T T O  

1) - Con la sentenza qui appellata il TAR ha accolto il ricorso proposto dalla Sig.ra Lana Bianca per l’annullamento del provvedimento comunale 6 settembre 2002, n. 2002/341146, di diffida a non eseguire i lavori indicati nella D.I.A.

2) - Per l’appellante Comune di Venezia la sentenza sarebbe erronea e dovrebbe essere riformata.

Si è costituita l’appellata, insistendo per l’infondatezza dell’appello e per la conferma della sentenza appellata.

Con memorie conclusionali le parti ribadiscono i rispettivi assunti difensivi.

D I R I T T O  

1) - Con la sentenza in forma semplificata qui impugnata il TAR ha accolto il ricorso proposto dall’odierna appellata per l’annullamento del provvedimento comunale 6 settembre 2002, n. 2002/341146, di diffida a non eseguire i lavori indicati nella D.I.A.

Deduce il Comune appellante l’erroneità della sentenza in quanto basata su di una non corretta interpretazione normativa.

2) – L’appello è fondato.

Nella specie, l’originaria ricorrente ha notificato al Comune di Venezia, in data 18 luglio 2002,  la Dichiarazione di Inizio Attività per opere che sarebbe andata ad eseguire in variante alla concessione edilizia n. 73/86 e successive varianti alla stessa nn. 95/1999 e 9592/2001 (si trattava dell’esecuzione di opere di modifica all’edificio sito in via Cà Marcello, sezione Mestre, finalizzate ad adibire la nuova costruzione ad uso turistico-ricettivo, anziché direzionale).

Il Comune, con il provvedimento impugnato in primo grado, ha diffidato l’interessata dal dare esecuzione ai lavori, in quanto il cambio d’uso non era da ritenersi consentito dal vigente strumento urbanistico.

Il TAR ha accolto il ricorso proposto avverso tale determinazione nella considerazione che, decorso inutilmente il termine di giorni venti di cui all’art. 4, comma 15, del D.L. n. 398/1993, convertito in legge n. 493/1993, non poteva più essere esercitato, dal Comune, il potere inibitorio ivi previsto, ma potevano solo essere emanati provvedimenti di autotutela e sanzionatori.

3) - Tale convincimento non può essere condiviso.

E, invero, ai sensi dell’art. 4 (come sostituito dall'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) comma 7, del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito in legge n. 493 del 4 dicembre 1993, “i seguenti interventi sono subordinati alla denuncia di inizio attività ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2 della legge 4 dicembre 1993, n. 537”:

e) opere interne di singole unità immobiliari che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti e non rechino pregiudizio alla statica dell'immobile ……;

g) varianti a concessioni edilizie già rilasciate che non incidano sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non cambino la destinazione d'uso e la categoria edilizia e non alterino la sagoma e non violino le eventuali prescrizioni contenute nella concessione edilizia ……..”.

Ai sensi del comma 11 dello stesso art. 4, poi, “nei casi di cui al comma 7, venti giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori l'interessato deve presentare la denuncia di inizio dell'attività………” .

Ebbene - premesso che, nel caso in esame, il Comune non ha fatto questione alcuna circa l’astratta applicabilità della disciplina relativa alla D.I.A. in una fattispecie quale quella in esame, di variante a concessione edilizia incidente anche sulla destinazione d’uso - è da notare che, in effetti, il decorso di venti giorni dal momento della denuncia di inizio attività non determina affatto, in base alle norme succitate, che hanno trovato applicazione nella specie, la formazione di un sostanziale silenzio assenso o, comunque, di un consenso tacito all’esecuzione dell’opera.

Al contrario, in base a dette norme, il termine di venti giorni a seguito della cui decorrenza potevano essere iniziati i lavori valeva solo come termine di massima utile a consentire alla P.A. di verificare la ritualità della denuncia ai sensi del citato art. 4.

In tal caso, difettando un immediato intervento della Amministrazione, potevano essere iniziati, in base al predetto regime normativo, i lavori, ma ciò non inibiva affatto che la stessa Amministrazione potesse, poi, intervenire, nel rispetto del disposto di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990, come modificato dall’art. 2 della legge n. 537/1993, e degli specifici termini ivi indicati (sessanta giorni) per inibire il prosieguo dell’attività intrapresa.

In base all’art. 19 ore detto, infatti, “in tutti i casi in cui l'esercizio di un'attività privata sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla-osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, ………..il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge……….. l'atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio di attività da parte dell'interessato alla pubblica amministrazione competente, attestante l'esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge …… In tali casi, spetta all'amministrazione competente, entro e non oltre sessanta giorni dalla denuncia, verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento motivato da notificare all'interessato entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione dell'attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine prefissatogli dall'amministrazione stessa”.

Il decorso del termine di soli venti giorni di cui al comma 7 del d.l. n. 398/1993, quindi, non comportava la formazione del consenso, questa potendo seguire, se del caso, solo dopo il decorso di sessanta giorni ai sensi delle norme appena riportate.

Il richiamo all’art. 2 della legge n. 537/1993, modificativo dell’art. 19 della legge n. 241/1990, operava, infatti, un rinvio dinamico al quale si ricollegava l’operatività, anche nel campo edilizio, e a determinate condizioni, di tale disciplina; ma non sostituiva affatto al termine, ivi indicato, di sessanta giorni – necessario per la formazione del consenso - quello più breve, di appena venti giorni, previsto per la D.I.A. (termine, questo, normalmente inidoneo ai fini di un compiuto esame delle pratiche edilizie da parte della P.A., specialmente nei grandi centri).

E poiché nella specie il Comune di Venezia ha fatto pervenire all’interessata la propria determinazione preclusiva del consenso prima del decorso di sessanta giorni dal ricevimento, da  parte della stessa Amministrazione, della D.I.A., ne consegue la legittimità, sotto il profilo in esame, del provvedimento impugnato.

4) - Può soggiungersi, ad ogni buon conto, che, a disciplinare la D.I.A., è sopravvenuto il T.U. in materia edilizia 6 giugno 2001, n. 380, che ha modificato l’assetto normativo che ha trovato applicazione nella specie.

In particolare, l’art 23 (R)  [la cui rubrica reca: - (L comma 3 e 4 - R comma 1, 2, 5, 6 e 7) (Disciplina della denuncia di inizio attività) - (legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 2, comma 10, che sostituisce l'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241; decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, art. 4, commi 8-bis, 9, 10, 11, 14, e 15, come modificato dall'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 10 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669)] prescrive che:

 - comma 1: “il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia……..”;

 - comma 6: “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento …….”.

Il T.U. per l’edilizia ha, quindi, espressamente collocato allo scadere del trentesimo giorno dalla notificazione della D.I.A. il termine dopo il quale l’interessato può iniziare i lavori e il termine ultimo entro il quale la P.A. può inibire l’inizio delle opere; in altre parole, ha unificato i due termini in questione, ampliando quello relativo all’inizio dei lavori e dimezzando quello relativo all’adozione di eventuali misure inibitorie preventive.

Vertendosi, però, come si ripete, in una fattispecie caratterizzata dall’applicabilità della pregressa disciplina normativa, non può che ribadirsi la piena correttezza, nel caso in esame, dell’operato del Comune di Venezia.

5) – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare fondato e va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso di primo grado.

Le spese dei due gradi di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado.

Spese dei due gradi compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma il 18 novembre 2003 dal Collegio costituito dai Sigg.ri:

 

ALFONSO  QUARANTA      Presidente

PAOLO   BUONVINO    Consigliere  est.

FRANCESCO  D’OTTAVI  -  Consigliere

CLAUDIO MARCHITIELLO-Consigliere

ANIELLO    C E R R E T O  -  Consigliere