Consiglio di Stato Sez. VI n. 5616 del 25 giugno 2024
Urbanistica.assenza di regolarità edilizia dell’immobile quale causa di decadenza dall’autorizzazione commerciale

Tra i presupposti del legittimo svolgimento dell’attività commerciale va annoverata la regolarità edilizia dell’immobile in cui l’attività è esercitata, rispondendo ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato uno spazio, con la presenza dell’utenza, in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia. Il legittimo esercizio di un’attività commerciale, insomma, postula, sia in sede di rilascio del titolo abilitativo che per l’intera durata del suo svolgimento, l’inziale e perdurante regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio, dei locali in cui l’attività è espletata, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati atti di accertamento e/o provvedimenti repressivi di abusi edilizi

Pubblicato il 25/06/2024

N. 05616/2024REG.PROV.COLL.

N. 07440/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7440 del 2020, proposto da
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Camarda, Antonio Andreottola, Bruno Ricci e Gabriele Romano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gian Luca Lemmo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Quarta, n. -OMISSIS- dell’11 marzo 2020.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2024, il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’avvocato Nicola Laurenti, per delega dell’avvocato Gabriele Romano, e l’avvocato Gian Luca Lemmo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il Comune di Napoli, con la disposizione dirigenziale n. 363 del 30 luglio 2019, ha revocato la licenza identificata nell’archivio informatico del database del Servizio con il codice C-SO/4725, relativa alla somministrazione in circoli privati, ed ha disposto il divieto di prosecuzione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande in circoli privati nel locale ubicato alla via Tito Lucrezio Caro, 28, attualmente condotta dall’Associazione Valle del Re, in persona del presidente sig. -OMISSIS-.

Il sig. -OMISSIS- ha proposto al Tar per la Campania l’azione di annullamento di tale atto ed il Tar per la Campania, Sezione Quarta, con la sentenza -OMISSIS- dell’11 marzo 2020, ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento.

Di talché, il Comune di Napoli ha interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi:

Violazione e falsa applicazione art. 21 nonies L. 241 del 1990.

Il provvedimento adottato esulerebbe dalla previsione astratta di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, mentre sarebbe stato da qualificare come “revoca/decadenza”, in quanto, mediante lo stesso, l’Amministrazione ha disposto, ricorrendo un caso ex lege, il ritiro di un provvedimento favorevole come specifica conseguenza della condotta del destinatario, essendo state violate specifiche previsioni urbanistiche.

Errores in iudicando. Erroneità della sentenza per intrinseca illogicità della motivazione.

Le disposizioni di cui all’art. 3, comma 7, della legge n. 287 del 1991 avrebbero coordinato il profilo urbanistico-edilizio e quello più propriamente commerciale, stabilendo che anche la regolarità edilizia dei locali in cui è esercitata l’attività di somministrazione di alimenti e bevande costituisce condizione per il legittimo esercizio della stessa.

Il legittimo esercizio di un’attività commerciale sarebbe ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l’intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa è posta in essere.

Una volta accertata, l’abusività dei locali destinati all’esercizio dell’attività commerciale non potrebbe che comportare la revoca dell’autorizzazione commerciale, senza che residui spazio a valutazioni di interessi o al disimpegno di attività discrezionale, atteggiandosi la revoca ad atto dovuto.

Il provvedimento contestato si configurerebbe quale revoca-decadenza, atteso che il ritiro del provvedimento favorevole de quo troverebbe causa e sarebbe conseguenza della condotta del destinatario, avendo violato specifiche previsioni normative e, nello specifico, i contestati ed accertati abusi edilizi.

Error in iudicando. Erroneità della sentenza per intrinseca illogicità della motivazione.

Diversamente da quanto ritenuto dal Tar, il Comune di Napoli avrebbe contestato l’avvenuta demolizione da parte del ricorrente, avendo prodotto la disposizione dirigenziale del 14 marzo 2019 afferente l’avvenuta acquisizione delle opere abusive, della loro area di sedime e dell’area necessaria ad eseguire opere analoghe a quelle abusive.

Il sig -OMISSIS- ha contestato la fondatezza delle argomentazioni sviluppate dal Comune ed ha concluso per il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 18 aprile 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. L’appello del Comune di Napoli è fondato e va accolto.

3. Il provvedimento impugnato è stato adottato considerato che l’art. 3, comma 7, della legge n. 287 del 1991 dispone che “ … Le attività di somministrazione di alimenti e bevande devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienico- sanitaria …” e, pertanto, la necessaria conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce uno dei presupposti indispensabili per il legittimo esercizio dell’attività e che, consequenzialmente, l’attività condotta in mancanza di tale presupposto non è conforme a legge.

4. I primi due motivi di appello sono fondati, e ciò si rivela dirimente ai fini della fondatezza dell’appello e del suo accoglimento.

Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso, avendo qualificato il provvedimento come di annullamento in autotutela della licenza di somministrazione ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, per l’esercizio del quale è necessario, ma non sufficiente, un vizio di legittimità dell’atto annullato, occorrendo ulteriori requisiti, quali la motivazione sull’interesse pubblico ed il rispetto di un termine ragionevole che, comunque, non può superare i diciotto mesi, requisiti dei quali il provvedimento impugnato è privo.

Il Collegio, invece, ritiene che il provvedimento in contestazione sia correttamente qualificabile come un provvedimento di revoca/decadenza.

Gli atti amministrativi, infatti, vanno interpretati non solo in base al loro tenore letterale, ma soprattutto risalendo all’effettiva volontà dell’Amministrazione e al potere concretamente esercitato.

In proposito, soccorre la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 18 del 2020, secondo cui la decadenza, intesa quale vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc (o in alcuni casi ex nunc), di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), è istituto che, pur presentando tratti comuni col più ampio genus dell’autotutela, ne deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente:

a) per l’espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall’art. 21 nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti;

b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto;

c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti.

I detti presupposti ricorrono nel caso di specie, in cui vi è stata violazione di prescrizioni amministrative essenziali per il perdurante godimento dei benefici o comunque vi è stato il venir meno dei requisiti per la continuazione del rapporto ed è stata conseguentemente applicata la disciplina dell’art. 3, comma 7, della L. n. 287 del 1991, ai sensi della quale la decadenza costituiva atto necessitato.

Infatti, tra i presupposti del legittimo svolgimento dell’attività commerciale va annoverata la regolarità edilizia dell’immobile in cui l’attività è esercitata, rispondendo ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato uno spazio, con la presenza dell’utenza, in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia (ex multis, da ultimo, Cons. Stato, V, 8 aprile 2024, n. 3182).

Il legittimo esercizio di un’attività commerciale, insomma, postula, sia in sede di rilascio del titolo abilitativo che per l’intera durata del suo svolgimento, l’inziale e perdurante regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio, dei locali in cui l’attività è espletata, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati atti di accertamento e/o provvedimenti repressivi di abusi edilizi (cfr. Cons. Stato, V, 8 aprile 2024, n. 3182, che richiama Cons. Stato, Sez. II, 27 luglio 2020 n. 4774; Id., Sez. III, 26 novembre 2018 n. 6661; Id., Sez. V, 17 luglio 2014 n. 3793).

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, per altro verso, è oramai da tempo consolidata nel senso di ritenere che nel rilascio di una autorizzazione commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività commerciale si va a svolgere, con l'ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l'attività commerciale viene svolta (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 9 aprile 2024, n. 3232, che richiama Consiglio di Stato sez. V, 21 aprile 2021, n. 3209 e Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 ottobre 2011 n. 5537).

Di qui, la l’esigenza della inziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui l’attività commerciale è svolta.

In sostanza, non è tollerabile l'esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell'urbanistica e del commercio (Consiglio di Stato, Sez. V, 29 maggio 2018, n. 3212), laddove la disciplina urbanistica è la prima a dover essere tenuta in considerazione al fine di valutare l’assentibilità di un’attività commerciale e la sua legittima continuazione.

Il provvedimento impugnato ha considerato la nota con cui il Servizio Autonomo Polizia Locale – U.O. Tutela Edilizia ha comunicato che:

- i manufatti ove è esercitata l’attività di somministrazione in via Tito Lucrezio Caro con accessi dai civici 28 e 40, di cui alla licenza del 30 aprile 203, sono del tutto privi di conformità urbanistico-edilizia;

- il sig. -OMISSIS- si è reso responsabile di innumerevoli violazioni in materia edilizia su suolo agricolo ove conduce l’attività in oggetto;

- il Comune ha emesso un’ordinanza sanzionatoria ai sensi dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 che prevede, oltre al ripristino dello stato dei luoghi, l’acquisizione dell’area al patrimonio comunale.

Ne consegue che, a prescindere dalla circostanza, su cui la documentazione in atti non fornisce certezza, che l’ordine di demolizione sia stato o meno eseguito prima dell’adozione del provvedimento decadenziale, quest’ultimo è stato adottato correttamente, anzi, doverosamente, non essendo stato rispettato il necessario presupposto che l’esercizio dell’attività commerciale debba essere continuativamente esercitato, sin dall’avvio, in locali provvisti di conformità urbanistica ed edilizia.

5. D’altra parte, sebbene costituisca un atto sopravvenuto alla vicenda contenziosa, depositato dal Comune appellante in data 6 marzo 2024, è opportuno comunque rilevare che, con sentenza 9501/23 depositata il 22 novembre 2023, il Tribunale di Napoli, Terza Sezione Penale, ha dichiarato il sig. -OMISSIS- colpevole del reato a lui ascritto, vale a dire per il reato previsto e punito dagli artt. 30 e 44, co. 1, lett. c), “perché, quale conduttore dell’area interessata dai plurimi illeciti, gestore della struttura turistico-ricettiva denominata Valle dei Re e committente, senza alcuna autorizzazione, realizzava a partire dall’anno 1999, presso un’area agricola di 6.659 m.q. sita in Napoli alla via Tito Lucrezio Caro nn. 28, 30 e 32 e sottoposta a tutela paesaggistica (…) n. 26 manufatti e opere funzionali all’esercizio della predetta attività commerciale aventi una volumetria complessiva di 3.004,49 m.c. e occupanti una superficie di 1.783 m.q. (…) così determinando la trasformazione urbanistica ed edilizia della predetta area in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici e della normativa di settore, in modo da rendere incompatibile la destinazione finale dei terreni con quella agricola”. La detta sentenza, letto l’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha altresì disposto la confisca, al passaggio in giudicato della sentenza, dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, compiutamente indicate nell’imputazione.

6. Ne consegue che l’appello va accolto e che, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso proposto in primo grado dal sig. -OMISSIS-.

7. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico del sig. -OMISSIS- ed a favore del Comune di Napoli.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe (R.G. n. 7440 del 2020) e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado dal sig. -OMISSIS-.

Condanna il sig. -OMISSIS- al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate complessivamente in € 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, in favore del Comune di Napoli.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e degli articoli 9, paragrafo 1, e 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2024, con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore

Giovanni Gallone, Consigliere

Thomas Mathà, Consigliere

Roberta Ravasio, Consigliere