Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3435, del 9 luglio 2015
Urbanistica.La perequazione urbanistica attiene alla potestà pianificatoria e conformativa del territorio e non all’ordinamento civile.

La perequazione urbanistica attiene alla potestà pianificatoria e conformativa del territorio e non all’ordinamento civile. E’ pur vero che a mezzo dell’esercizio delle tecniche perequative sono creati i presupposti per la l’utilizzabilità dei diritti edificatori in funzione perequativa e compensativa, sulla base di una autonoma trasmissibilità di tali posizioni giuridiche, ma ciò non toglie che le tecniche citate attengono alla fase della conformazione edilizia ed al suo dinamico evolversi e non alla creazione di diritti reali interferenti con quelli tipici di disciplina codicistica, o con la tutela e le garanzie assicurate dallo Stato. Ed anzi, occorre ricordare che proprio al fine di prevenire e dirimere problemi legati alla circolazione dei diritti edificatori, il legislatore statale, mercé l’art. 5, comma 3, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70 conv. in legge 12 luglio 2011, n. 106, ha introdotto una novella al codice civile, prevedendo l’obbligo di trascrizione per “i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale", con ciò riconoscendo implicitamente che la posizione giuridica soggettiva, espressamente denominata “diritto edificatorio”, possa essere oggetto di legislazione regionale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03435/2015REG.PROV.COLL.

N. 04275/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4275 del 2012, proposto da: 
Name Srl, in p.l.r.p.t. rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Soddu, con domicilio eletto presso Francesco De Beaumont in Roma, Via Astura 2/B; 

contro

Comune di Avellino, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Alfredo Maggi, con domicilio eletto presso Raffaele Porpora in Roma, Via Pavia N.28; 
Provincia di Avellino, non costituita in giudizio.

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE II n. 00318/2012, resa tra le parti, concernente adozione del Piano Urbanistico Comunale.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Avellino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2015 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Soddu e Maggi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso proposto al TAR Salerno, la Società NA.ME s.r.l. deduceva di avere acquistato nel 2002 un terreno, sito in Avellino, già interessato da destinazione urbanistica “zona extraurbana R per attrezzature turistiche e residenziali”, ex art. 42 del P.R.G. approvato con d.m. 9.12.1971, n. 3141, nonché oggetto di un Piano di Zona per i fuori sito adottato dal Consiglio comunale con deliberazione 23 dicembre 1981, n. 303; successivamente classificato zona C1 PEEP, in base ad una Variante al PRG rimasta inattuata, ed interessato da domanda di approvazione di Piano di lottizzazione, respinta dall’amministrazione, nonché da una variante di salvaguardia che attribuiva al terreno in questione destinazione agricola semplice Ea.

Da ultimo, il Comune, con la delibera G.C. n. 518 del 12.10.2005, adottava una proposta di PUC che classifica l’area come zona Ts Area da trasformare per servizi Pennini – Ovest.

La Na.Me S.r.l. proponeva osservazioni nel senso di mutare la qualificazione dell’area da Area da servizi Ts 20 a Zona di nuovo impianto – Ni (art. 16 N.T.A.) con Ut = 0,4 mq/mq.. Poiché tali osservazioni venivano respinte dal Comune con deliberazione C.C. 23.1.2006, n. 18 sub 13, Na.Me S.r.l proponeva ricorso al TAR Salerno, sulla base delle seguenti censure:

1) eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore nei presupposti di fatto e di diritto, manifesta illogicità ed irrazionalità. Violazione dell’art. 3 l.r. 22.12.2004, n. 16 e del d.m. 2.4.1968, n. 1444. Violazione dell’art. 3 l. 7.8.1990, n. 241, difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della l.r. 20.3.1982, n. 14, in quanto la contestata previsione urbanistica vincolistica sarebbe generica, illogica e ingiustificata in base alla misura di standard prevista per legge;

2) violazione della l. 22 ottobre1981, n. 875 e dell’art. 64 l. 30 marzo 1990, n. 76 e della l. 18 aprile 1962, n. 167 e dell’art. 34 l.r. 22.12.2004,n. 16. Eccesso di potere per contraddittorietà, non avendo il nuovo strumento pianificatorio previsto in alcuna zona la destinazione Peep già impressa all’area con la delibera C.C. 28.2.1994, n. 22;

3) eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto. Manifesta illogicità ed irrazionalità. Violazione dell’art. 3 l. 7.8.1990, n. 241; difetto di istruttoria e di motivazione. Sviamento, in quanto sarebbe illogico ed irrazionale imprimere un vincolo su di un’area che ha naturale vocazione residenziale;

4) violazione dell’art. 2 l. 19.11.1968, n. 1187. Sviamento di potere. Violazione dei principi in tema di reiterazione dei vincoli urbanistici;

5) violazione dell’art. 3 l. 7.8.1990, n. 241. Eccesso di potere per motivazione insufficiente ed illogica;

6) violazione degli artt. 41, 42, 43, 44 e 117 Cost. e degli artt. 832, 834 e 922 c.c.. Violazione della riserva di legge. Questione di legittimità costituzionale degli artt. 32, 33, e 34 l.r. 22.12.2004, n. 16. Illegittimità derivata del PUC, perché il metodo perequativo utilizzato dal pianificatore non sarebbe consentito dal nostro ordinamento;

7) violazione degli artt. 23 e 24 l.r. 22.12.2004, n. 16. Violazione dell’art. 3 l. 7.8.1990, n. 241; difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto i piani di settore sarebbero stati adottati soltanto dopo l’adozione del PUC, in maniera così da non consentire di formulare osservazioni;

8) violazione dell’art. 45 l.r. 22.12.2004, n. 16. Incompetenza. Sviamento, in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto concludere il procedimento di formazione del piano invece di riavviarlo ex novo dopo l’intervento della nuova legge urbanistica regionale.

Con gravame integrativo, la società impugnava, sulla base delle medesime considerazioni, il sopravvenuto decreto del Presidente della Provincia di Avellino di presa d’atto della delibera C.C. 12.12.2007, n. 130, con la quale erano stati ratificati gli esiti della Conferenza di Servizi, quale ulteriore passaggio procedimentale nel percorso formativo del nuovo strumento urbanistico.

Il TAR, esaminato dapprima l’ottavo motivo di ricorso (con la quale si era dedotta la violazione della norma transitoria di cui all’art. 45 della l.r. n. 16/2004, che, nell’individuare i criteri temporali atti a governare l’applicazione della nuova disciplina urbanistica regionale - afferente, in particolare, al procedimento formativo della pianificazione comunale - prevede che essa non trovi applicazione quando lo strumento di pianificazione comunale sia stato già adottato, come avvenuto nel caso di specie mercé la deliberazione C.C. 23.1.2003, n. 9) e respintolo in ragione dell’intervenuto annullamento in autotutela della deliberazione n. 9/2003, respingeva poi tutti i rimanenti motivi di ricorso.

Avverso la sentenza ha proposto appello la Name srl, sulla scorta di una serie di motivi che saranno di seguito esposti.

Si è costituito in giudizio il comune di Avellino ed ha difeso le statuizioni di prime cure.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 19 maggio 2015.

DIRITTO

Questi i motivi di gravame:

1) L’appellante deduce che il metodo perequativo che ha caratterizzato la nuova programmazione urbanistica generale sulla base della legislazione regionale, sarebbe in radice illegittimo poiché in contrasto con la riserva di legge statale in tema di “ordinamento civile”. Il TAR non avrebbe specificamente vagliato il profilo di censura, dilungandosi su precedenti giurisprudenziali sull’ammissibilità in generale del metodo perequativo, anche a prescindere da espresse previsioni di legge.2) Anche ove si ammettesse in astratto la legittimità dell’istituto perequativo, esso sarebbe – secondo l’appellante – illegittimo per come è stato concretamente applicato nel PUC di Avellino. Il PUC cricomprende il cespite di proprietà dell’appellante in area Ts 20 – Area da trasformare per servizi Pennini-Ovest e la scheda normativa ad essa relativa attribuisce alla parte di concentrazione dell’edificato la destinazione di “Servizi alle persone” con indice territoriale di 0,1 mq/mq., mentre la parte da cedere al Comune, pari almeno all’80 % della superficie totale, ha destinazione a verde pubblico e servizi. Vi sarebbe una sproporzione tra la superficie da cedere e volumetria edificabile, tale da integrare una espropriazione larvata senza congruo indennizzo; la previsione rappresenterebbe l’ennesima reintegrazione di un vincolo, senza motivazione e senza indennizzo. Il giudice di prime cure avrebbe erroneamente respinto le censure sostenendo che l’attribuzione al privato dell’alternativa, ex art. 25 NTA, tra subire l’esproprio e realizzare l’intervento edilizio con cessione gratuita di parte dell’area esclude ipotesi di ablazione forzosa; né gli eventuali squilibri di valore sarebbero indici di illegittimità essendo frutto di un accordo libero fra le parti. Inoltre – sempre secondo l’iter argomentativo seguito dal primo giudice - recenti arresti giurisprudenziali hanno tracciato “un nuovo confine nel rapporto osmotico tra potestà espropriativa e conformativa, traslato verso la prima con effetti ampliativi della seconda, nel senso che è solo la consistenza minimale dello jus aedificandi a connotare il diritto dominicale, quale nucleo indefettibile oltre il quale si configura l’espropriazione larvata o di valore; il surplus di edificabilità discende dalle previsioni urbanistiche e non preesiste alle stesse. Non sono quindi anche sotto tal profilo in grado di scalfire la legittimità degli atti impugnati le articolate deduzioni di parte attorea in ordine alla mancata previsione di indennizzo a fronte una disciplina urbanistica che comprimerebbe fortemente lo jus aedificandi per la ridotta estensione del terreno edificabile all’esito della cessione gratuita e per la destinazione a servizi alla persona. Va peraltro osservato che tale destinazione, come detto, comporta l’espletamento di attività edificatoria con finalità commerciali, essendo previsto l’insediamento di attività di ristorazione, direzionali, ecc.”.

Secondo l’appellante, gli errori risiederebbero: a) nel non aver dato il giusto rilievo alla necessità di una proporzione tra suolo ceduto e possibilità edificatorie concesse; b) non sarebbe “libero” l’accordo, poiché innanzitutto il regime prioritario è quello dell’esproprio, e poi la possibilità di evitarlo attraverso la diretta attività edificatoria introdurrebbe comunque una costrizione, avuto riguardo alla pienezza del diritto di proprietà; c) il carattere di vincolo preordinato all’esproprio non potrebbe essere escluso dal carattere commerciale della prevista edificazione, dovendosi avere riguardo all’80% della superficie sulla quale è stata invece impressa la destinazione a verde pubblico e servizi.

3) La scheda Ts 20 attribuisce all’area edificabile (20%) la destinazione di “servizi alle persone” ed all’area da cedere (80%) la destinazione a verde pubblico. La sentenza appellata ha affermato che “non trova riscontro quanto lamentato da parte ricorrente in ordine alla genericità della destinazione urbanistica dell’area in questione, in quanto i servizi che il Comune potrà realizzare sulle aree oggetto di cessione sono specificati all’art. 2, comma 16, punto 10 delle N.T.A.”. L’affermazione – secondo l’appellante – sarebbe errata, atteso che le categorie sarebbero così ampie e generiche da ricomprendere tutto.

4) Gli allegati al Piano attestano che complessivamente gli standard previsti sono 40 mq/ab, ossia una misura largamente superiore rispetto a quelli previsti dal DM 1444/68. Ciò violerebbe l’art. 31 l.r. 16/2004 (che richiama gli standard di cui al DM 1444/68) e che prevede un regolamento regionale che fissi limiti inderogabili superiori (non adottato); sarebbe affetto da eccesso di potere, attesa la manifesta irragionevolezza attesa l’enorme estensione delle aree da espropriare e le ingenti somme all’uopo occorrenti (vizio che, a differenza di quanto statuito in prime cure, sarebbe pienamente sindacabile dal giudice in quanto attinente ai limiti esterni della discrezionalità); le motivazioni addotte dal Comune sarebbero inconsistenti ed insufficienti e non rispetterebbero quell’obbligo di motivazione rafforzata che invece conseguirebbe all’aumento degli standard (obbligo invece negato dal giudice di prime cure); gli standard sarebbero inoltre concentrati proprio nella zona in cui insiste la proprietà dell’appellante, in contrasto con il principio per il quale essi dovrebbero essere contigui alle aree urbane al cui servizio sono posti; il difetto di motivazione sarebbe ancora più grave ove si consideri che gli standard nel caso di specie costituiscono vincolo preordinato all’esproprio.

5) La Na. Me. aveva presentato osservazioni alla proposta di PUC suggerendo di innalzare la quota residenziale e l’indice di edificabilità. La commissione urbanistica aveva espresso favorevole, e ciò nonostante il consiglio comunale ha rigettato, senza idonea motivazione. Il giudice di prime cure ha affermato in proposito che “è sufficiente che siano esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano regolatore o della sua variante”. La statuizione sarebbe errata in quanto, nella specie, il consiglio comunale avrebbe espresso motivazione del tutto generica oltre che in contrasto con il parere della Commissione tecnica.

6) La zona ove insiste il terreno di proprietà avrebbe vocazione residenziale, non sarebbe sottoposta a vincolo paesaggistico e sarebbe dotata delle necessarie opere di urbanizzazione, sicché la destinazione a servizi impressa dal PUC sarebbe manifestamente incongrua. Il giudice di prime cure ha respinto la censura, richiamando i limiti del sindacato del GA. In realtà – secondo l’appellante – si tratterebbe di manifesta illogicità fondata su evidenze fattuali.

7) La proposta di PUC mancava della preliminare approvazione dei piani di settore, intervenuti successivamente quando ormai era chiusa la fase delle osservazioni. Il TAR ha respinto la censura sulla base della considerazione che l’art. 24 della l.r. 16/2004 dispone che siano offerti alle osservazioni dei consociati unicamente gli “elaborati previsti dalla vigente normativa statale e regionale e delle nta”, tra le quali non è dato ricomprendere, per la loro diversa natura, i Piani di settore. Secondo l’appellante il giudice di prime cure sarebbe incorso in una vera e propria svista, poiché a mente dell’art. 23 comma 9 della legge regionale i Piani di settore fanno parte integrante del PUC: solo a seguito delle modifiche apportate dall’art. 8 della l.r. 19/2009 potrebbe ritenersi che i piani di settori ne facciano parte solo in quanto esistenti. La novella non sarebbe tuttavia applicabile ratione temporis.

8)Il terreno di proprietà dell’appellante nel 1991 era stato destinato a PEEP con possibilità di iniziativa privata. Il PUC non solo ha escluso la destinazione a PEEP, ma non l’ha riproposta in nessun’altra parte del territorio. Ciò in violazione dell’art. 1 della l. 167/1962 e dell’art. 34 della l. 76/90. Il giudice ha respinto la censura per difetto di interesse, indirizzandosi la stessa a previsioni concernenti altre parti del territorio. L’appellante contesta la statuizione assumendo che la destinazione a PEEP ben potrebbe interessare anche il suolo di proprietà.

I motivi sono tutti infondati.

1. In particolare, con il primo motivo l’appellante deduce che il metodo perequativo che ha caratterizzato la nuova programmazione urbanistica generale sulla base della legislazione regionale, sarebbe in radice illegittimo poiché in contrasto con la riserva di legge statale in tema di “ordinamento civile”. Il TAR non avrebbe specificamente vagliato il profilo di censure, dilungandosi su precedenti giurisprudenziali sull’ammissibilità, in generale, del metodo perequativo anche a prescindere da espresse previsioni di legge (è citata la sentenza della Corte cost. n. 121/2010).

La censura fondamentalmente si impunta sul disposto della l.r. 16/2004 ed invoca in particolare un’espressa valutazione in punto di costituzionalità in relazione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato sull’ “ordinamento civile”.

La questione è manifestamente infondata. La perequazione urbanistica attiene alla potestà pianificatoria e conformativa del territorio (Cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2010, n. 4545) e non all’ordinamento civile. E’ pur vero che a mezzo dell’esercizio delle tecniche perequative sono creati i presupposti per la l’utilizzabilità dei diritti edificatori in funzione perequativa e compensativa, sulla base di una autonoma trasmissibilità di tali posizioni giuridiche, ma ciò non toglie che le tecniche citate attengono alla fase della conformazione edilizia ed al suo dinamico evolversi e non alla creazione di diritti reali interferenti con quelli tipici di disciplina codicistica, o con la tutela e le garanzie assicurate dallo Stato. Ed anzi, occorre ricordare che proprio al fine di prevenire e dirimere problemi legati alla circolazione dei diritti edificatori, il legislatore statale, mercé l’art. 5, comma 3, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70 conv. in legge 12 luglio 2011, n. 106, ha introdotto una novella al codice civile, prevedendo l’obbligo di trascrizione per “i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale", con ciò riconoscendo implicitamente che la posizione giuridica soggettiva, espressamente denominata “diritto edificatorio”, possa essere oggetto di legislazione regionale.

2. Con il secondo motivo d’appello, è censurato il concreto atteggiarsi del principio perequativo nel caso di specie.

Secondo l’appellante: a) l’amministrazione prima ed il giudice dopo, non avrebbero dato il giusto rilievo alla necessità di una proporzione tra suolo ceduto e possibilità edificatorie concesse. b) Non sarebbe “libero” l’accordo sulla cessione gratuita poiché innanzitutto il regime prioritario è quello dell’esproprio, e poi la possibilità di evitarlo attraverso la diretta attività edificatoria introdurrebbe comunque una costrizione, avuto riguardo alla pienezza del diritto di proprietà; c) il carattere di vincolo preordinato all’esproprio non potrebbe essere escluso dal carattere commerciale della prevista edificazione, dovendosi avere riguardo all’80% della superficie sulla quale è stata invece impressa la destinazione a verde pubblico e servizi.

In merito alla questione occorre evidenziare come le norme tecniche attuative del PUC, relative alla zona di perequazione TS20, prevedono che l’indice di edificabilità sia comunque riferito all’intera superficie territoriale di zona (St) nel cui ambito ricadono sia aree edificabili per servizi alla persona (tra cui sono ricompresi uffici, esercizi di vicinato, ristoranti, alberghi) sia aree da adibire a standard. Sempre alla superficie territoriale di zona fanno poi riferimento le citate norme per individuare il quantum di superficie da cedere al Comune (in alternativa all’esproprio) per standard, a fronte della corresponsione di diritti edificatori da sfruttare nelle aree edificabili in misura di 0.1 mq/mq.

Secondo l’appellante, l’edificabilità riconosciuta a titolo indennitario è poca rispetto al valore economico dell’area.

La censura implica valutazioni di congruità che, in assenza di indicazioni concrete sul valore dei terreni, non possono essere compiute. Del resto, occorre considerare che l’area è in zona extraurbana, e non ha mai goduto nel tempo di una edificabilità diretta, ragion per cui il valore economico invocato quale parametro non può che essere relativamente basso.

Quanto alla configurabilità di un vincolo preordinato all’esproprio, asseritamente imposto in violazione dell’obbligo di motivazione e di indennizzo, possono qui richiamarsi i principi già affermati dalla Sezione nella decisione 22 gennaio 2010, n. 216. Come in quel caso, anche in questo non è per nulla pacifico che l’area fosse stata precedentemente sottoposta a vincoli espropriativi, atteso che, nella sommaria descrizione prima svolta ed evincibile dai documenti versati in giudizio, le prescrizioni già gravanti sull’area avevano un contenuto schiettamente conformativo (piano di zona per i fuori sito nel 1982, area Peep nel 1991, area agricola durante il vigore della variante di salvaguardia). Anche in questo caso la delibera gravata non introduce elementi di ablazione dello ius aedificandi, atteso che, con il sistema sopra descritto, il privato continua a godere della capacità edificatoria dell’area di sua proprietà, subendo solo un mutamento del luogo in cui tale capacità potrà trasformarsi in concreta edificazione.

3. E’ infondato anche il terzo motivo circa la genericità delle destinazioni previste nell’area oggetto di cessione volontaria o forzosa: come correttamente rilevato dal primo giudice, i servizi che il Comune potrà realizzare sono specificati all’art. 2, comma 16, punto 10 delle N.T.A. ed ivi sono ricompresi, scuole, uffici pubblici, parcheggi, parchi, impianti, etc. secondo una elencazione compatibile con il livello generale della pianificazione propria del PUC.

4. Nel complesso corrette sono anche le statuizioni di prime cure in ordine alle contestazioni aventi ad oggetto il sovradimensionamento degli standard ed il difetto di motivazione, in generale, ed in relazione alla loro particolare concentrazione sul suolo di interesse.

Le obiezioni dell’appellante circa la mancata adozione del regolamento previsto dall’art. 31 della l.r. 16/2004 non tengono conto del fatto che il DM 1444/68 prevede standard urbanistici minimi inderogabili e non standard massimi, ed analogamente, il rinvio alla fonte regolamentare regionale attiene ad eventuali standard urbanistici minimi inderogabili “più ampi”. Nel caso di specie è invece contestato un fenomeno opposto, ovverosia il sovradimensionamento, in relazione al quale si pone solo un problema di adeguato supporto motivazionale.

La motivazione d’insieme è stata fornita a pag. 109 della relazione esplicativa ed essa non appare affetta da manifesti e comprovati vizi di irragionevolezza.

Non può invece esigersi una motivazione analitica in ordine alla distribuzione localizzativa degli standard, trattandosi in ogni caso di valutazioni tecnico discrezionali insindacabili, salve ipotesi di palese sviamento, di travisamento o di oggettiva inattuabilità della previsione, che nel caso di specie non ricorrono.

5. Analoghe considerazioni in punto di motivazione possono farsi in relazione al quinto motivo con il quale l’appellante si duole dell’insufficiente motivazione del rigetto delle proprie osservazioni.

Come già chiarito dal giudice di prime cure, le osservazioni dei privati in sede di adozione e di approvazione dello strumento urbanistico generale hanno carattere meramente collaborativo, sicché esse non fondano peculiari aspettative, ed il loro rigetto - anche in sede di esame regionale- non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (ex multis Cons. St., sez. IV, 15 settembre 2010 n. 6911). La circostanza che la commissione urbanistica abbia in precedenza espresso parere favorevole non muta la configurazione di fondo del regime delle osservazioni ed i caratteri del relativo onere motivazionale, giusto quanto sopra chiarito.

6.Parimenti infondato è il sesto motivo, tramite il quale l’appellante evidenzia la vocazione edificatoria dell’area, e l’incongruità della destinazione impressa. Il TAR ha fatto corretta applicazione dei principi circa la non sindacabilità delle scelte pianificatorie in assenza di manifeste irragionevolezze. L’appellante in questa sede insiste sull’abnormità ed irrazionalità della scelta, e tuttavia dagli atti di causa emerge che si tratta di un’area extraurbana, per la quale non è stata esclusa l’edificazione, anche se per parte limitata e con destinazione d’uso di servizi alla persona (uffici, esercizi di vicinato, ristoranti, alberghi). Dunque scelte sicuramente non abnormi. Né l’assenza di una valenza naturalistica o paesaggistica dell’area può essere circostanza tale da rendere vincolata la scelta pianificatoria nel senso della edificabilità residenziale, atteso che alla pianificazione urbanistica rimane il compito di garantire l’armonico ed ordinato sviluppo del territorio secondo obiettivi di funzionalità e fruibilità .

7. Con il settimo motivo l’appellante osserva che la proposta di PUC mancava della preliminare approvazione dei piani di settore, intervenuti invece successivamente quando ormai era chiusa la fase delle osservazioni. Il giudice di prime cure sarebbe incorso in una vera e propria svista nel non ricomprendere i piani di settore tra gli elaborati del PUC sottoposti al regine delle “osservazioni”, poiché a mente dell’art. 23 comma 9 della legge regionale i Piani di settore fanno parte integrante del PUC: solo a seguito delle modifiche apportate dall’art. 8 della l.r. 19/2009 potrebbe ritenersi che i piani di settori ne facciano parte solo in quanto esistenti. La novella non sarebbe tuttavia applicabile ratione temporis.

Il motivo non ha pregio. La novella può considerarsi di natura interpretativa, avendo specificato che i piani di settore, pur costituendo parte integrante del PUC non devono necessariamente essere contestuali all’ approvazione dello stesso.

8. Con l’ottavo ed ultimo motivo l’appellante si duole della mancata previsione di una destinazione a PEEP, non solo sull’area di proprietà ma neanche in nessun’altra parte del territorio, in asserita violazione dell’art. 1 della l. 167/1962 e dell’art. 34 della l. 76/90. Il giudice di prime ha respinto la censura per difetto di interesse, indirizzandosi la stessa a previsioni concernenti altre parti del territorio. L’appellante in questa sede insiste, assumendo che la destinazione a PEEP ben potrebbe interessare anche il suolo di proprietà.

Ritiene il collegio che, per come formulata, la censura sia in parte infondata ed in parte priva del necessario interesse.

E’ lo stesso appellante che riferisce dell’art. 4 comma 15 delle NTA, attraverso il quale il Comune ha previsto di determinare la quota residenziale pubblica ed i relativi aspetti localizzativi nel PUA. Dunque non ha violato l’obbligo sopra evidenziato, ma ha solo deciso di postergarne l’adempimento, com’è ragionevole che sia, in sede di Piano attuativo.

L’appellante non manca di segnalare che la norma citata prevede altresì che la localizzazione debba avvenire nelle zone di sostituzione e ricomposizione urbana, nonché nelle zone di trasformazione di proprietà pubblica, e ciò sarebbe in contrasto con l’art. 3 della l. 167/62 che invece fa cadere scelta sulle zone di edilizia residenziale con preferenza in quella di espansione dell’aggregato urbano.

Tuttavia l’appellante non è proprietario di aree in zona di edilizia residenziale, né l’unico proprietario di aree in zona di espansione, ragion per cui non si comprende come l’eventuale accoglimento della censura possa tornargli utile. In ogni caso giova osservare che l’aver previsto quali zone di localizzazione quelle “di sostituzione e ricomposizione urbana”, nonché “le zone di trasformazione di proprietà pubblica” non è di per sé in contrasto con le previsioni legislative, ben potendo - le zone citate – possedere anche caratteristiche residenziali oltre che ricadere in aree di espansione urbana.

- In conclusione l’appello è respinto.

- Avuto riguardo alla complessità delle questioni sollevate, in parte afferenti a problematiche giuridiche non ancora oggetto di orientamenti giurisprudenziali consolidati, le spese della fase possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/07/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)