Consiglio di Stato Sez. VI n. 8613 del 7 ottobre 2022
Urbanistica.Mutamento della destinazione d’uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse
 
Il mutamento della destinazione d’uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria . Questo perché il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee integra una vera e propria modificazione edilizia che, incidendo sul carico urbanistico, necessita di un previo permesso di costruire, non assumendo rilevanza l'avvenuta esecuzione di opere (segnalazione M. Grisanti)

Pubblicato il 07/10/2022

N. 08613/2022REG.PROV.COLL.

N. 05695/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5695 del 2021 proposto dal signor Tommaso Delbalzo, in proprio ed in qualità di socio-amministratore della società Villa Lina di Delbalzo Tommaso e C. S.n.c., rappresentato e difeso dagli avvocati Mauro Vallerga e Emiliano Bottazzi, con domicilio presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia;

contro

il Comune di Loano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Masetti, con domicilio presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, Sez. II, 19 maggio 2021 n. 458, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Loano nonché i documenti prodotti;

Visto il decreto monocratico 19 giugno 2021 n. 3387 e l’ordinanza cautelare 16 luglio 2021 n. 3931;

Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica, con documenti depositati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del 14 aprile 2022 il Cons. Stefano Toschei e uditi, per le parti, gli avvocati Emiliano Bottazzi e Andrea Masetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello n. R.g. 5695/2021 il signor Tommaso Delbalzo, in proprio ed in qualità di socio-amministratore della società Villa Lina di Delbalzo Tommaso e C. S.n.c., ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, Sez. II, 19 maggio 2021 n. 458, con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. 630/2020) proposto dal predetto nei confronti dell’ordinanza n. 79 del 19 marzo 2020, adottata dal Comune di Loano, avente ad oggetto “ordinanza di rimessa in pristino all'ultimo stato autorizzato dell'immobile sito in Loano, via all'Orto - supermercato PAM”.

2. – La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché di quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:

- il signor Delbalzo è proprietario di un ampio compendio nel Comune di Loano immobiliare (sede, in passato, del “Cinema Loanese”) che, nel tempo, è stato oggetto di un intervento di ristrutturazione con cambio d’uso da cinema a media struttura di vendita e oggi ospita un punto vendita con insegna “PAM”;

- il signor Delbalzo è proprietario anche di un edificio in via dell’Orto, posto in adiacenza rispetto al compendio di cui sopra, adibito, al piano terreno, a magazzino e collegato con l’ex “Cinema Loanese”;

- nel 2018, quando già erano in corso i lavori di trasformazione dell’ex cinema in media struttura di vendita, il signor Delbalzo ha presentato una SCIA (n. 92/2018) al fine di ristrutturare l’immobile di cui sopra (l’edificio in via dell’Orto) e, con una successiva SCIA (n. 19/2019), ha manifestato l’intenzione di voler accorpare tale edificio, per intero, a quello vicino, adibito a media struttura di vendita, allora in corso di realizzazione;

- il Comune di Loano, con note nn. 17332 e 17335 del maggio 2019, inibiva l’esecuzione degli interventi oggetto delle due segnalazioni certificate, rappresentando (con riferimento alla SCIA 92/2018) che il piano primo dell’edificio avrebbe dovuto conservare la destinazione residenziale e che il piano terreno dello stesso edificio, così come altri due locali, posti in affaccio sulla via Garibaldi, avrebbero dovuto essere mantenuti “indipendenti” (e non accorpati) alla realizzanda media struttura di vendita;

- a quel punto il signor Delbalzo presentava due nuove SCIA (nn. 34 e 35 del 2020) con le quali comunicava il mantenimento della destinazione residenziale del piano primo e rinunciava all’accorpamento funzionale del piano terreno destinato a magazzino, stralciandolo dal progetto relativo alla realizzazione della media struttura di vendita, ma mantenendo l’apertura tra i due fondi;

- nel corso del sopralluogo effettuato a fine lavori, dal personale del Comune di Loano, se per un verso veniva constatato che i due locali affacciati sulla via Garibaldi erano stati separati dalla media struttura di vendita, nondimeno veniva contestato al proprietario l’esistenza di un collegamento fra il magazzino della media struttura di vendita e il piano terreno dell’edificio adiacente e che anche il piano primo del suddetto fabbricato sarebbe stato “asservito” al vicino edificio commerciale, utilizzandolo in particolare non come magazzino, ma per installare al suo interno un quadro elettrico e farvi passare alcune tubature dell’impianto di refrigerazione utilizzato nel sottostante supermercato;

- da qui l’adozione dell’ordinanza di demolizione n. 79/2020 con cui: a) in relazione alle opere denunciate con SCIA n. 34/2020 (afferente l’intervento sulla media struttura di vendita realizzata nell’ex Cinema Loanese), è stato contestato l’illecito ampliamento del magazzino, esteso “anche al piano terra del fabbricato di via dell’Orto”; b) in relazione alle opere denunciate con SCIA n. 35/2020, afferente l’intervento sul fabbricato di via dell’Orto, è stato contestato l’abusivo mutamento d’uso sia del magazzino posto al piano terra sia del piano primo dell’immobile in locali “commerciali”, perché entrambi posti a uso della vicina media struttura di vendita (con insegna PAM).

3. – Il signor Delbalzo proponeva ricorso dinanzi al TAR per la Liguria chiedendo l’annullamento dell’ordinanza di demolizione perché illegittima per plurime ragioni e, in particolare, in quanto:

- l’adozione del provvedimento sanzionatorio non è stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento;

- violazione e/o falsa applicazione degli artt. 31 e 33 d.P.R. 380/2001, visto che le opere realizzate sull’immobile residenziale, seppure fossero ritenute abusive, dovrebbero comunque essere considerate in difformità da un intervento di “ristrutturazione” (quale era quello denunciato con la SCIA n. 35/2019), con la conseguenza che potrebbe essere disposto il ripristino, ai sensi dell’art. 33 d.P.R. 380/2001, ma non la più grave sanzione, in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, dell’acquisizione di diritto al patrimonio comunale, prevista dall’art. 31 del medesimo testo unico dell’edilizia. Peraltro l’immobile in questione ricade in zona A del PRG, sicché il ripristino non potrebbe essere ordinato senza aver prima acquisito il parere della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio;

- violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 l. 241/1990, travisamento, difetto assoluto di presupposto e di motivazione. I lavori nell’immobile residenziale di via dell’Orto non erano ancora conclusi all’epoca dell’adozione dell’ordinanza di demolizione, quindi il comune non ha potuto constatare – e, quindi, contestare – cognita causa l’intervenuto mutamento di destinazione d’uso. A ciò si aggiunga che la presenza degli impianti della media struttura di vendita al piano superiore non costituirebbe un elemento da solo sufficiente a qualificare l’edificio quale pertinenza della struttura commerciale, mentre il piano terreno sarebbe stato già - prima del sopralluogo del personale comunale – adibito a magazzino.

Il TAR per la Liguria ha respinto il ricorso, ritenendo infondati i motivi dedotti, sul presupposto che, tra l’altro, “dai verbali della Polizia locale relativi ai sopralluoghi del 05.11.2019, del 11.11.2019 e del 02.10.2020 (prodotti dall’Amministrazione quali propri docc. 13 e 14, con la relativa documentazione fotografica) emerge che il piano terra del fabbricato di cui al mappale 338 è collegato, mediante un’apertura, all’adiacente magazzino del negozio, di cui costituisce un ampiamento, come si evince dal fatto che al suo interno erano presenti carrelli, attrezzature e materiali in uso al supermercato; mentre il primo piano è costituito da un unico locale, privo di suddivisioni interne e vuoto, e contiene unicamente gli impianti della MSV. Se ne deduce quindi che effettivamente l’immobile di cui al mappale 338, nel suo complesso, è stato messo a servizio del supermercato confinante, assumendo una destinazione commerciale” (così, testualmente, alle pagg. 5 e 6 della sentenza qui oggetto di appello)

Più in particolare:

- dal certificato catastale (allegato alla SCIA n. 34/2019) emerge che il locale posto al piano terra rientra nella categoria C/6, relativa a rimesse e autorimesse, pertanto esso non poteva essere adibito a magazzino commerciale ma in ogni caso era posto a servizio dell’appartamento al primo piano a uso residenziale;

- per il primo piano, tenuto conto anche che la comunicazione di conclusione dei lavori faceva riferimento a entrambi gli immobili, sia nell’intestazione sia nelle mappe allegate, l’amministrazione non poteva non ritenere che lo stato dei luoghi fosse definitivo, contestandone quindi la difformità rispetto al titolo.

4. - Propone appello il signor Delbalzo chiedendo la riforma della sentenza del TAR per la Liguria n. 458/2021 e, di conseguenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento dell’ordinanza di demolizione impugnata in quella sede.

Egli affida il mezzo di gravame ai seguenti motivi:

1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 l. 241/1990 - erroneità e difetto di motivazione della decisione n. 458/2021. Ad avviso dell’appellante ha errato il giudice di primo grado nel ritenere infondato il primo motivo di ricorso ivi proposto, atteso che la partecipazione procedimentale dell’interessato assume un particolare rilievo proprio nei casi in cui, quale è quello qui in esame, la contestazione circa l’illecito edilizio riguardi difformità da un titolo precedentemente rilasciato (piuttosto che la realizzazione di una intera opera senza il prescritto titolo abilitativo), consentendo di accertare con maggior cura ed in fase precontenziosa se le opere considerate “abusive” siano davvero tali o, piuttosto, non possano essere riconosciute legittime tramite una più attenta “lettura” dei titoli;

2) Violazione dell’art. 3 l. 241/1900 con riferimento alle contestazioni afferenti l'immobile di via dell’Orto – Travisamento – Abnormità della decisione. In primo luogo e con riferimento al piano terra del fabbricato va confutata l’affermazione del primo giudice che tende a sostenere che tale unità immobiliare fosse in passato “asservita” e pertinente all’unità residenziale del piano primo (e che quindi avesse, anch’essa, destinazione residenziale), pur senza negare che il locale sia attualmente impiegato come deposito dai gestori della vicina media struttura di vendita. Ciò in quanto: a) detto locale non era affatto adibito ad autorimessa, come erratamente sostenuto dal TAR, anche perché la via dell’Orto non è (e non è mai stata) carrabile, presentando una dimensione in larghezza che non consente di realizzarvi una autorimessa; b) esso non era funzionalmente né strutturalmente collegato al piano superiore, che infatti era dotato di un ingresso indipendente (una porta pedonale affacciata su via dell’Orto, posta a fianco del portone d’accesso al locale piano terra, dalla quale tramite una ripida rampa di scale si giungeva direttamente dalla strada al piano primo, senza porre in comunicazione le due unità immobiliari). Sicché, al più, il comune prima e il giudice di primo grado poi, avrebbero dovuto riconoscere l’esistenza di un rapporto di pertinenzialità tra i due locali, accettando (ed accertando) che anche il magazzino al piano terra del fabbricato di via dell’Orto avesse sempre avuto destinazione commerciale e, per l’effetto, non avesse subito alcun mutamento d’uso. In secondo luogo e con riferimento al primo piano del citato fabbricato, la semplice installazione di impianti in una parte dell’immobile determina non già il suo “mutamento d’uso” (dalla funzione residenziale a quella commerciale), ma – più semplicemente – la costituzione di una servitù di cavidotto a favore del sottostante locale commerciale, e ciò per destinazione del padre di famiglia (ossia, (del)l’unico proprietario di entrambi i “fondi”, servente e dominante, cioè il signor Delbalzo);

3) Violazione dell’art. 33 d.P.R. 380/2001, in relazione all’art. 31 del medesimo decreto, (ancora) con riferimento alle contestazioni afferenti all'immobile di via dell’Orto - Travisamento – Abnormità della decisione. Seppure i due locali in questione fossero stati davvero trasformati da “uso residenziale” a “uso commerciale”, ciò nondimeno il provvedimento gravato avrebbe dovuto riconoscersi come illegittimo per aver inflitto una sanzione abnorme (la demolizione con minacciata acquisizione) rispetto alla natura dell’abuso riscontrato. Infatti, nel caso di specie, semmai si è assistito ad interventi ascrivibili alla categoria della “ristrutturazione edilizia” (siccome definita dall’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 380/2001), essendosi tradotti in modifiche solo interne all’edificio di via dell’Orto, del quale non sono state mutate né la sagoma né la volumetria. In tale contesto fattuale (e giuridico) il comune avrebbe, al più, potuto applicare il regime sanzionatorio di cui all’art. 33 d.P.R. 380/2001, infliggendo la sola sanzione demolitoria e non anche quella acquisitiva.

5. – Si è costituito nel presente giudizio di appello il Comune di Loano che ha contestato analiticamente la fondatezza dei motivi di gravame dedotti dalla parte appellante e ha confermato la legittimità della procedura svolta e dell’ordinanza di demolizione impugnata in primo grado.

Conseguentemente il comune appellato chiedeva la reiezione del mezzo di gravame spiegato dal signor Delbalzo. In via preliminare il comune appellato ha eccepito l’inammissibilità dell’appello proposto, in quanto in esso non comparirebbe una puntuale contestazione di talune statuizioni, contenute nella sentenza di primo grado, che sarebbero di per se sole in grado di sorreggere (e di ritenere appurata) la legittimità dell’atto impugnato. Il comune, inoltre, eccepisce l’inammissibilità del primo motivo dedotto, posto che non risultano essere stati impugnati i due provvedimenti adottati in data 14 maggio 2019 di annullamento delle DIA nn. 79/2018 e 18/2019.

6. – Con decreto 19 giugno 2021 n. 3387 non erano ritenuti sussistenti i gravi motivi per adottare un provvedimento cautelare monocratico, sicché la fase cautelare veniva affidata al Collegio che, con ordinanza 16 luglio 2021 n. 3931, sospendeva l’efficacia della sentenza appellata e del provvedimento impugnato in primo grado, atteso che “l’esecuzione del provvedimento repressivo impugnato è idonea ad arrecare il denunciato danno grave e irreparabile”.

Nel corso del processo entrambe le parti ribadivano le opposte posizioni con memorie conclusive e di replica, confermando le conclusioni rassegnate nei precedenti atti processuali.

7. – L’appello proposto, ad avviso del Collegio, deve essere dichiarato in parte improcedibile e, in parte, deve essere respinto, stante l’infondatezza dei (restanti) motivi dedotti, per le ragioni qui di seguito descritte.

Ne consegue che possono ritenersi assorbite le eccezioni preliminari sollevate nel grado di appello dal comune appellato.

In primo luogo deve confermarsi l’infondatezza del motivo di appello con il quale l’appellante sostiene che il giudice di primo grado abbia erroneamente respinto il primo motivo di ricorso ritenendo non foriera di illegittimità invalidanti la mancata comunicazione di avvio del procedimento.

Come è stato più volte precisato da questo Consiglio (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 13 aprile 2022 n. 2772), la giurisprudenza amministrativa interpreta le norme in materia di partecipazione procedimentale, non in senso formalistico, bensì avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione.

Ne deriva che l'omissione della comunicazione di avvio del procedimento non cagiona l'automatica illegittimità del provvedimento finale qualora possa trova applicazione l'art. 21-octies, comma 2, della stessa legge, secondo cui non è annullabile il provvedimento per vizi formali non incidenti sulla sua legittimità sostanziale e il cui contenuto non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato, poiché detto art. 21-octies, attraverso la dequotazione dei vizi formali dell'atto, mira a garantire una maggiore efficienza all'azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all'attribuzione del bene della vita richiesto dall'interessato (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. II, 18 marzo 2020 n. 1925, 12 febbraio 2020 n. 1081 e 17 settembre 2019 n. 6209; Sez. III, 19 febbraio 2019 n. 1156; Sez. IV, 11 gennaio 2019 n. 256 e 27 settembre 2018 n. 5562).

Delineato tale quadro generale, si rileva che il diniego di sanatoria è atto vincolato, cosicché la mancata comunicazione del preavviso di diniego non comporta, in base al principio di cui al su citato art. 21-octies, comma 2, primo periodo, effetti vizianti ove il Comune non avrebbe potuto emanare provvedimenti differenti (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2012 n. 2714).

Trattasi di coordinate ermeneutiche incentrate sul carattere doveroso e vincolato della sanzione edilizia, conseguente alla realizzazione di opere eseguite in assenza o in difformità del titolo edilizio, che è stato definitivamente riconosciuto dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 17 ottobre 2017 n. 9, sicché, proprio in ragione di tale caratteristica è stato ancora, recentemente, esclusa la necessità di comunicare l'avvio del relativo procedimento al destinatario (cfr., ancora e tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2022 n. 1953 e 18 gennaio 2022 n. 311).

8. – Quanto al secondo motivo di appello va segnalato quanto segue.

Il locale al piano terra del fabbricato sito in via dell’Orto, nel corso dei due sopralluoghi eseguiti da personale della Polizia locale il 5 novembre 2019 e il 2 ottobre 2020, si mostrava: a) originariamente censito con la categoria C6 (ossia rimessa, autorimessa, ecc.); b) in comunicazione diretta con la media struttura di vendita; c) strumento di collegamento tra la media struttura di vendita e la pubblica via; d) ospitante vari strumenti obiettivamente utilizzabili nella “media struttura” (bilance, prezzatrici, cassette pieghevoli ed altri arredi); e) quindi utilizzabile (e utilizzato) quale locale funzionalmente destinato allo svolgimento dell’attività nella media struttura di vendita, diversamente da quanto previsto dalla SCIA n. 35/2019 (che prevedeva che l’approvvigionamento della media struttura di vendita non dovesse avvenire tramite i locali posti al piano terra del fabbricato in questione, ma attraverso un viottolo a cielo aperto esterno al ridetto fabbricato).

Pare evidente che, rispetto alla destinazione urbanistica e alla SCIA presentata, il piano terra recava evidenti elementi che militano per ritenere il suo utilizzo indirizzato ad una destinazione commerciale e certo non per una rimessa o autorimessa, per come prevede la destinazione urbanistica; né può assumere rilievo, utile a confutare quanto sopra illustrato, la circostanza che la modesta larghezza della via non consentirebbe l’utilizzo del locale per la funzione di rimessa o autorimessa, atteso che ciò non giustifica il cambio di destinazione d’uso senza il prescritto titolo abilitativo (operazione peraltro non consentita dalla normativa edilizia locale, in particolare con riferimento all’art. 13, lett. a, delle NTA al PRG del Comune di Loano per la zona “BA”, ove non è consentito l’intervento di cambio di destinazione d’uso degli immobili ad uso abitativo).

Consegue, dunque, a quanto emerso nel corso dei sopralluoghi e per come è riportato nei relativi verbali (tenuto conto della forza fidefacente fino a querela di falso che assiste i verbali di sopralluogo; cfr., tra le tante e da ultimo, Cons. Stato, Sez. II, 11 ottobre 2021 n. 6795), che si conferma l’infondatezza del secondo motivo di appello, anche con riferimento al collegamento con la media struttura di vendita (di talché risulta essere confermata la funzionalizzazione dei due locali – piano terreno e primo piano – all’attività commerciale, con evidente mutamento di destinazione d’uso – per un verso da autorimessa e per altro da uso residenziale – non consentito dalle norme edilizie locali).

Né infine può assumere un qualche rilievo la contestazione che al momento dei sopralluoghi gli interventi modificativi non erano ancora stati conclusi, atteso che detti sopralluoghi sono stati svolti in conseguenza della (e quindi dopo la) comunicazione di conclusione dei lavori.

9. – Quanto al terzo motivo di ricorso il Collegio ritiene di dover premettere quanto segue.

Come è noto, la destinazione d'uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione. Essa individua il bene sotto l'aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona. L'organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d'uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull'organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale. Lo strumento urbanistico rappresenta l'atto di destinazione generica ed esso trova attuazione nelle prescrizioni imposte dal titolo che abilita a costruire, quale atto di destinazione specifica che vincola il titolare ed i suoi aventi causa. Possono conseguentemente distinguersi: a) una destinazione d'uso urbanistico, riferita alle categorie specificate dalla legge e dal D.M. 1444/1968; b) una destinazione d'uso edilizio, che attiene al singolo edificio ed alle sue capacità funzionali. Duplice è, dunque, l'esigenza correlata al controllo della destinazione d'uso degli immobili: da un lato quella di assicurare tutela alla zonizzazione funzionale, dall'altro quella di consentire l'applicazione della normativa sugli standard, regolatrice della differenziazione infrastrutturale del territorio (cfr., tra le molte e in argomento, Cass. pen., Sez. III, 5 marzo 2009 n. 9894).

Da ciò deriva che:

- sotto un primo profilo la destinazione d'uso è un istituto di natura urbanistica. Esso, infatti: a) consente la puntuale zonizzazione funzionale del territorio (ad esempio, attribuendo destinazioni d'uso predeterminate, con esclusione o limitazione delle altre, il pianificatore può far sviluppare, in una determinata area, un quartiere residenziale ed in un'altra area un polo terziario-direzionale); b) incide in maniera determinante sul calcolo degli oneri di urbanizzazione (a tal proposito l'art. 16, comma 4, d.P.R. n. 380/2001 recita: “L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione (...) c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti”). Di conseguenza, costruire un determinato immobile destinandolo all'uso commerciale può risultare molto più oneroso, a parità di cubatura e superficie, rispetto alla scelta di una destinazione agricola); c) definisce i contenuti degli standard urbanistici (a norma del D.M. 1444/1968: i “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti”, non operano in modo uniforme su tutto il territorio comunale, ma secondo zone territoriali omogenee individuate dallo stesso decreto); d) funge da parametro per la valutazione del carico urbanistico connesso ad un determinato intervento (secondo il quadro delle definizioni uniformi allegato allo schema di regolamento edilizio tipo approvato in attuazione dell'art. 4, comma 1-sexies. d.P.R. 380/2001, per carico urbanistico si intende il fabbisogno di dotazioni territoriali di un determinato immobile o insediamento in relazione alla sua entità e destinazione d'uso; costituiscono variazione del carico urbanistico l'aumento o la riduzione di tale fabbisogno conseguenti all'attuazione di interventi urbanistico-edilizi ovvero a mutamenti di destinazione d’uso);

- sotto un diverso profilo la destinazione d'uso è un istituto di natura edilizia che attiene al singolo edificio e alle sue capacità funzionali. Tradizionalmente si usa distinguere tra mutamenti di destinazione all'interno della stessa categoria funzionale di riferimento e mutamenti che segnano il passaggio da una categoria ad un'altra. Un'altra distinzione che si usa fare è tra mutamenti di destinazione accompagnati dalla realizzazione di opere (mutamento strutturale) e mutamenti di destinazione senza realizzazione di opere (mutamento funzionale).

Fermo quanto sopra va rammentato che il legislatore è intervenuto per aggiungere un nuovo tassello alla tassonomia appena abbozzata ovvero la distinzione tra mutamento di destinazione d'uso “urbanisticamente rilevante” e mutamento di destinazione d'uso “urbanisticamente irrilevante”. In particolare, con l’introduzione nel testo unico per l’edilizia dell’art. 23-ter (per effetto dell'art. 17, comma 1, lett. n), d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 novembre 2014, n. 164), la distinzione terminologica è stata così composte: “Art. 23-ter Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante. 1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale. 2. La destinazione d'uso dell'immobile o dell'unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all'articolo 9-bis, comma 1-bis. 3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito”.

Orbene, in disparte taluni problemi di coordinamento della disposizione sopra riprodotta con altre previsioni del testo unico per l’edilizia (cha da più parti sono stati oggetto di osservazione, ma che non rilevano per la definizione del contenzioso qui in esame), è indubbio che la previsione dell’art. 23-ter d.P.R. 380/2001, nel declinare i nuovi significati da assegnare alle ipotesi di mutamento di destinazione d’uso, ha ribadito (comunque) che esiste una differenza netta tra mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale (che è sempre consentito: cfr. comma 3, della norma) e cambio di destinazione d'uso che operi un passaggio tra diverse categorie funzionali (ad esempio: da residenziale a commerciale).

Da ciò deriva anche, evidentemente, la conseguenza per cui il cambio di destinazione tra diverse categorie, anche se operato in assoluta carenza di opere, è riconducibile alla categoria degli “interventi di nuova costruzione” di cui all’art. 3, lett. e), d.P.R. 380/2001 (ovvero “interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti”), con necessario assoggettamento degli stessi al previo rilascio del permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. a), dello stesso testo unico e al relativo regime contributivo e sanzionatorio.

L’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato e, in particolare, della Sezione è ormai inequivoco sul punto, essendosi più volte affermato che il mutamento della destinazione d’uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 4 marzo 2021 n. 1857). Questo perché il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee integra una vera e propria modificazione edilizia che, incidendo sul carico urbanistico, necessita di un previo permesso di costruire, non assumendo rilevanza l'avvenuta esecuzione di opere (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 12 ottobre 2020 n. 6097).

E’ dunque corretta l’adozione del provvedimento sanzionatorio impugnato in primo grado con riferimento al richiamo all’art. 31 del testo unico per l’edilizia.

10. – Chiarito quanto sopra, per doverosa completezza di motivazione, con riferimento al contenzioso qui in esame il Collegio non può fare a meno di considerare che la odierna parte appellante, con memoria depositata nel fascicolo digitale del processo in data 12 marzo 2022, ha dichiarato espressamente (ribadendolo anche nella memoria di replica), di avere oramai concluso i lavori relativi al primo piano (mapp. 338, sub 2) realizzando anche un bagno e che quindi sarebbe intervenuta la cessazione della materia del contendere, mentre residuerebbe il proprio interesse alla decisione del contenzioso qui in esame esclusivamente con riguardo al piano terra del fabbricato (mapp. 338, sub 1, ora 4), che intende conservare alla funzione di magazzino, affermando nel contempo di non avere mai operato alcun mutamento d’uso.

Conclusivamente e tenuto conto di quanto appena specificato con riferimento al permanere dell’interesse della parte appellante alla definizione del presente contenzioso, in ragione di quanto si è sopra illustrato i motivi di appello dedotti non si prestano ad essere accolti con riferimento al piano terra del fabbricato in questione mentre, con riferimento al primo piano del fabbricato, va dichiarato il venir meno dell’interesse alla definizione del presente appello, di talché il mezzo di gravame proposto va in parte dichiarato improcedibile e in parte respinto.

Le spese del grado di giudizio seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., di talché esse vengono poste a carico del signor Tommaso Delbalzo, in proprio ed in qualità di socio-amministratore della società Villa Lina di Delbalzo Tommaso e C. S.n.c. e in favore del Comune di Loano, potendosi liquidarle nella misura complessiva di € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (n. R.g. 5695/2021), come indicato in epigrafe, lo dichiara in parte improcedibile e in parte lo respinge.

Condanna il signor Tommaso Delbalzo, in proprio ed in qualità di socio-amministratore della società Villa Lina di Delbalzo Tommaso e C. S.n.c., a rifondere le spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di Loano, liquidate nella misura complessiva di € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 14 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere, Estensore

Francesco De Luca, Consigliere