Consiglio di Stato Sez. VI n. 6490 del 27 settembre 2021
Urbanistica.Prova circa l'ultimazione dei lavori e condono edilizio

L'onere della prova circa l'ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere il condono edilizio grava sul richiedente la sanatoria, dal momento che solo l'interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto da sanare. Tale prova dev’essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e, comunque, su elementi oggettivi


Pubblicato il 27/09/2021

N. 06490/2021REG.PROV.COLL.

N. 02814/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2814 del 2015, proposto da
Michela Duraccio, Omargennaro Di Gianni e Natalia Di Gianni, rappresentati e difesi dall'avvocato Felice Laudadio, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via G. Gioacchino, n. 39;

contro

Comune di Ottaviano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Nappo, con domicilio eletto presso lo studio Ferruccio De Lorenzo, in Roma, via Giuseppe Mangili, n. 29;
Biagio Ciccone, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 04913/2014, resa tra le parti, concernente la realizzazione di opere edilizie abusive.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Ottaviano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 settembre 2021 il Cons. Alessandro Maggio e udita per la parte l’avvocato Laura Laudadio per delega dell'avv. Felice Laudadio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il sig. Domenico Di Gianni ha presentato istanza di condono edilizio ex L. 28/2/1985, n. 47 per la sanatoria di un fabbricato di sua proprietà, ubicato nel Comune di Ottaviano, costituito da un piano rialzato e tre piani fuori terra.

Con determinazione 3/4/2007, n. 5539 l’istanza è stata accolta limitatamente al piano rialzato e ai primi due piani fuori terra, sul presupposto che l’ulteriore piano fosse stato realizzato successivamente al 1/10/1983.

Conseguentemente, con ordinanza 18/4/2007, n. 82, il Comune ha ingiunto la demolizione del piano non sanato.

Successivamente, constatata la mancata esecuzione del provvedimento ripristinatorio, il comune ha adottato l’ordinanza 3/12/2008, n. 84 con la quale ha dichiarato l’acquisizione gratuita al proprio patrimonio del bene illecitamente realizzato.

L’ente ha, infine, adottato la determinazione 22/6/2010, n. 15398 con la quale ha ingiunto al sig. Di Gianni lo sgombero dell’unità immobiliare ubicata all’ultimo piano dell’edificio al fine di consentire l’esecuzione della demolizione d’ufficio “ovvero di attivare l’eventuale utilizzazione per fini pubblici”.

Con ricorso e successivi motivi aggiunti, il sig. Di Gianni ha impugnato davanti al T.A.R. Campania - Napoli tutti gli atti più sopra citati.

L’adito Tribunale con sentenza 15/9/2014 n. 4913 ha respinto il gravame.

Avverso la sentenza hanno proposto appello i sig.ri Michela Duraccio Omargennaro Di Gianni e Natalia Di Gianni, eredi dell’originario ricorrente, deceduto nelle more del giudizio.

Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio l’amministrazione appellata.

Alla pubblica udienza del 16/9/2021 la causa è passata in decisione.

Con i primi due motivi si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nell’escludere che, in relazione all’ultimo piano dell’edificio, sussistesse il requisito temporale (ultimazione dell’opera entro la data del 1/10/1983) richiesto dall’art. 31 della L. n. 47/1985 ai fini della sanabilità dell’abuso.

E invero, la ravvisata insussistenza del detto requisito si fonderebbe sulle sole affermazioni fatte dall’amministrazione comunale, a loro volta basate su dati forniti dal sig. Biagio Ciccone, non verificati attraverso appositi accertamenti.

Per contro, non sarebbero stati presi in considerazione gli elementi di prova addotti dal sig. Di Gianni, fra i quali, tra l’altro la perizia tecnica redatta dall’arch. Patrizio Prisco, dai quali emergerebbe la preesistenza dell’ultimo piano dell’edificio alla data del 1/10/1983.

Il Tribunale non si sarebbe, inoltre, pronunciato sui dedotti vizi di carenza d’istruttoria e difetto di motivazione.

Le doglianze, che si prestano a una trattazione congiunta, sono infondate.

In base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, l'onere della prova circa l'ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere il condono grava sul richiedente la sanatoria, dal momento che solo l'interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto da sanare.

Tale prova dev’essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e, comunque, su elementi oggettivi.

In difetto, l'amministrazione ha il dovere di negare la sanatoria dell'abuso (Cons. Stato, Sez. VI, 20/4/2020, n. 2524; 9/7/2018, n. 4168 e 17/5/2018, n. 2995; Sez. IV, 30/8/2018, n. 5101; Sez. II, 15/2/2021, n. 1403).

Nella fattispecie, la parte appellante non ha dimostrato di aver ultimato i lavori entro il termine di legge, atteso che nessuno degli atti a tal fine prodotti comprova la preesistenza del manufatto ubicato all’ultimo piano del fabbricato alla data del 1/10/1983.

In particolare, non risultano utili allo scopo né l’aerofotogrammetria dell’edificio risalente al 1969, dato che questa offre una visione dall’alto dello stesso inidonea a rappresentare l’esistenza del piano oggetto di contestazione, né l’invocata decisione del GIP del Tribunale di Nola di non convalidare il sequestro della detta opera, trattandosi, come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure, di misura che non contempla la piena cognizione del fatto, né, infine, la perizia tecnica redatta dall’Arch. Patrizio Prisco, dato cha nemmeno la stessa contiene elementi da cui possa con certezza ricavarsi che il manufatto oggetto del denegato condono fosse già presente alla data del 1/10/1983, facendosi in essa riferimento a documentazione del tutto irrilevante allo scopo o perché proveniente dallo stesso originario ricorrente, o perché formata in epoca successiva alla suddetta data, ovvero perché, pur essendo di epoca antecedente a quest’ultima, non è idonea a mostrare che l’opera di cui si controverte fosse già esistente.

Non avendo l’istante dimostrato, come era suo onere, la sussistenza del requisito temporale necessario per ottenere il condono edilizio anche della porzione di fabbricato realizzata all’ultimo piano, correttamente il Comune ha respinto la domanda di sanatoria.

Trattandosi di provvedimento di natura vincolata risultavano, inoltre, infondate le prospettate censure di carenza di istruttoria e di difetto di motivazione.

Né il fatto che il Tribunale non si sia espressamente pronunciato sulle stesse costituisce motivo di vizio della sentenza, dato che, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello, le eventuali carenze motivazionali della decisione possono essere colmate dal giudice di secondo grado.

Col terzo motivo si lamenta l’errore commesso dal giudice di prime cure nell’aver negato che l’impugnata ordinanza di demolizione dovesse essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, dovendo ritenersi al riguardo irrilevante la natura di atto dovuto e vincolato del detto provvedimento repressivo.

La censura non merita condivisione.

Un consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi, afferma, infatti, che l’ordinanza di demolizione non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento, ciò in quanto la natura vincolata del relativo potere non consente all'Amministrazione di compiere valutazioni di interesse pubblico in ordine alla conservazione del bene (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 15/2/2021, n. 1351; 7/1/2021, n. 187; 13/5/2020, n. 3036; 25/2/2019, n. 1281; Sez. V, 12/10/2018, n. 5887; Sez. IV, 27/5/2019, n. 3432; Sez. II, 29/7/2019, n. 5317 e 26/6/2019, n. 4386).

Col quarto motivo si critica la gravata pronuncia nella parte in cui ha escluso che l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale riguardi l’intero stabile.

L’errore qui denunciato si ricaverebbe dalla nota di trascrizione dell’Agenzia del Territorio allegata al provvedimento di sgombero, dalla quale, per l’appunto, si ricaverebbe che l’acquisizione non riguarda solo l’ultimo piano ma tutto il fabbricato.

La doglianza è infondata.

Come emerge incontrovertibilmente sia dal provvedimento di acquisizione gratuita (ordinanza 3/12/2008 n. 84), sia da quello di sgombero (determinazione 22/6/2010, n. 15398), il comune ha limitato l’apprensione al solo ultimo piano dell’edificio (ovvero quello per cui è stato negato il condono).

Eventuali errori commessi in sede di trascrizione, in ogni caso sempre emendabili, risultano inidonei a incidere sulla legittimità dell’atto acquisitivo, atteso che essi riguarderebbero l’attività posta in essere dall’ufficio fiscale non imputabile all’amministrazione comunale.

Col quinto motivo si deduce che il Tribunale avrebbe errato a respingere le censure con cui si lamentava che entrambe le finalità per il cui perseguimento l’amministrazione ha dichiarato di voler disporre lo sgombero (demolizione o in alternativa utilizzazione a fini pubblici) sarebbero risultate irragionevoli ed eccessivamente penalizzanti per la parte appellante.

In ogni caso il comune non avrebbe comparato i contrapposti interessi pubblici e privati coinvolti nella vicenda.

Sia la demolizione che l’utilizzazione del bene per fini pubblici pregiudicherebbero le porzioni di edificio sanate incidendo sul relativo diritto dominicale, dato che la prima comprometterebbe la statica dell’intero fabbricato, mentre la seconda comporterebbe l’immissione in porzioni di edificio di proprietà degli appellanti, essendo l’ultimo piano privo di accesso autonomo.

Il mezzo di gravame non merita accoglimento.

L’avversato provvedimento di sgombero si riferisce ad un bene ormai acquisto al patrimonio comunale, per cui la sua legittima adozione non era subordinata ad alcuna comparazione tra i contrapposti interessi (pubblico e privato) coinvolti.

Per identiche ragioni non assume alcuna rilevanza l’indicazione delle finalità, peraltro del tutto conformi al dettato normativo (art. 31, comma 5, del D.P.R. 6/6/2001, n. 380), per cui il medesimo è stato disposto, trattandosi di specificazione superflua.

In ogni caso:

a) eventuali pregiudizi che dalla demolizione della parte abusiva possano derivare alla parte conforme dell’edificio, sono da valutare solo in fase di esecuzione dei relativi lavori;

b) la mancanza di autonomo accesso all’ultimo piano dell’edificio potrà, al più, influire sulla sua concreta utilizzabilità da parte dell’amministrazione comunale, ma non è circostanza idonea, allo stato, a inficiare l’atto.

Col sesto motivo si ripropongono le doglianze prospettate col primo ricorso per motivi aggiunti, avente a oggetto il provvedimento di acquisizione gratuita, in quanto asseritamente non esaminate dal giudice di prime cure.

Si deduce che:

a) l’atto non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento;

b) l’amministrazione non avrebbe individuato consistenza e volumetria delle opere da acquisire;

c) l’inottemperanza all’ordine di demolizione sarebbe stata accertata esclusivamente da agenti della polizia municipale, mentre non avrebbe partecipato al sopralluogo il responsabile del procedimento, ovvero il Dirigente dell’ufficio tecnico comunale.

Il motivo è infondato atteso che, contrariamente a quanto affermato dalla parte appellante, il giudice di prime cure ha espressamente esaminato le suddette censure.

In ogni caso le stesse non sono meritevoli di accoglimento in quanto:

a) l’atto con cui l’amministrazione comunale dispone l’acquisizione gratuita al proprio patrimonio in conseguenza della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, facendo capo ad un’attività amministrativa dovuta e rigidamente vincolata, con riferimento alla quale non sono richiesti apporti partecipativi del privato (Cons. Stato, Sez. VI, 1/9/2021, n. 6190; 25/6/2019, n. 4336);

b) l’ordinanza n. 84/2008 avente a oggetto l’acquisizione gratuita specifica con sufficiente chiarezza qual è il bene trasferito al patrimonio comunale (ovvero l’ultimo piano del fabbricato);

c) la circostanza che al sopralluogo svolto dalla polizia municipale da cui è poi scaturito l’accertamento della mancata esecuzione dell’ordine di demolizione, non abbia partecipato il responsabile del procedimento, è del tutto irrilevante non essendo richiesto da alcuna norma o principio che egli prenda parte alla detta attività di riscontro e non essendo, del resto, contestata la veridicità di quanto verbalizzato dagli organi di polizia.

Col settimo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel disporre la condanna degli appellanti al pagamento delle spese di lite anche nei confronti dell’interventore volontario, dato che, non rivestendo quest’ultimo la posizione di parte necessaria del giudizio, non sarebbe configurabile nei suoi confronti la soccombenza che giustifica la condanna delle spese.

La doglianza è infondata.

E invero, l’interveniente volontario in un giudizio tra altre parti assume la stessa posizione della parte principale a favore della quale interviene, per cui anche nei suoi confronti opera il principio della soccombenza ai fini della regolamentazione delle spese (Cass. Civ., Sez. VI, 16/5/2017, n. 12025, Sez. III, 23/7/1997, n. 6880).

Ciò è quanto si è verificato nella fattispecie dove il sig. Biagio Ciccone è intervenuto per opporsi all’accoglimento del ricorso, schierandosi, quindi, dalla stessa pare del comune intimato.

L’appello va, in definitiva, respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Ottaviano, liquidandole forfettariamente in complessivi € 4.000/00 (quattromila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 settembre 2021 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente FF

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore

Stefano Toschei, Consigliere

Giovanni Orsini, Consigliere