Consiglio di Stato Sez. VI n. 2864 del 14 aprile 2022
Urbanistica.Regime sanzionatorio per interventi edilizi realizzati con titolo abilitativo poi dichiarato illegittimo

Il fondamento del regime sanzionatorio più mite riservato dal legislatore agli interventi edilizi realizzati in presenza di un titolo abilitativo che solo successivamente sia stato dichiarato illegittimo ‒ rispetto al trattamento ordinariamente previsto per le ipotesi di interventi realizzati in originaria assenza del titolo ‒ va rinvenuto nella specifica considerazione dell’affidamento riposto dall’autore dell’intervento sulla presunzione di legittimità e comunque sull’efficacia del titolo assentito. A tal fine, all’amministrazione si impone di verificare se i vizi formali o sostanziali (accertati in sede giurisdizionale) siano emendabili, ovvero se la demolizione sia effettivamente possibile senza recare pregiudizio ad altri beni o opere del tutto regolari. In presenza degli anzidetti presupposti per convalidare l’atto, «[l]’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36» del testo unico (art. 38, comma 2, del d.P.R. 380 del 2001).


Pubblicato il 14/04/2022

N. 02864/2022REG.PROV.COLL.

N. 03687/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3687 del 2015, proposto da
IMMOBILIARE SAN MICHELINO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Riccardo Farnetani, con domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Damiano Pallottino in Roma, via Luigi Calamatta, n. 16;

contro

COMUNE DI MONTESPERTOLI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Duccio Maria Traina, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Paoletti in Roma, viale Maresciallo Pilsudski, n. 118;

nei confronti

REGIONE TOSCANA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Vincelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marcello Cecchetti in Roma, piazza Barberini, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana n. 1595 del 2014;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Montespertoli e della Regione Toscana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 marzo 2022 il Cons. Dario Simeoli;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒ I fatti principali, utili ai fini del decidere, possono essere così riassunti:

- la società Immobiliare San Michelino s.r.l. (di seguito: la ‘Società’) è proprietaria dal febbraio 2007 di un terreno agricolo nel Comune di Montespertoli sul quale esistono da lungo tempo due fabbricati aventi destinazione agricola;

- in data 15 giugno 2007, la società presentava domanda di permesso di costruire volto a consentire interventi di ristrutturazione edilizia sui due fabbricati, demolizioni delle superfetazioni con recupero di volumetria e realizzazione di un terzo fabbricato, finalizzati a realizzare sette unità immobiliari;

- il Comune di Montespertoli rilasciava il permesso di costruire n. 302 del 2007 per «ristrutturazione per il recupero di ex edifici agricoli con trasposizione di volumetrie esistenti»;

- a seguito di inchiesta penale che portava all’emanazione di un provvedimento di sequestro del cantiere, l’Amministrazione comunale, con ordinanze n. 78 del 2009 e n. 177 del 2009, disponeva la sospensione dei lavori e, con l’ordinanza n. 31266 del 7 dicembre 2009, disponeva l’annullamento del permesso di costruire n. 302 del 2007, nonché l’applicazione di sanzioni pecuniarie pari al valore delle opere abusivamente eseguite, senza indicare l’importo di dette sanzioni;

- a fondamento del provvedimento di autotutela il Comune deduceva che il permesso di costruire n. 302 del 2007 era illegittimo in quanto contrastante con gli strumenti urbanistici comunali, con il PIT Regionale nonché con l’art. 39 della legge della Regione Toscana n. 5 del 1995 e dell’art. 44 della Regione Toscana n. 1 del 2005;

- con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la Società impugnava quindi il provvedimento n. 31266 del 2009, nonché le circolari della Regione Toscana n. 777 del 2007 e n. 289 del 2005, ponendo a fondamento della domanda di annullamento le seguenti censure:

a) i lavori di cui si discute non erano difformi dal permesso di costruire (poi annullato in autotutela) e neppure erano in contrasto con gli strumenti urbanistici comunali, con il PIT regionale, con l’art. 39 della legge della Regione Toscana n. 5 del 1995 e con l’art. 44 della Regione Toscana n. 1 del 2005;

b) non sussistevano anche gli ulteriori presupposti necessari per l’autotutela, tenuto conto: della buona fede della società ricorrente, essendo trascorsi quasi due anni tra rilascio del permesso di costruzione e l’atto di annullamento; dell’avanzato stato di esecuzione dei lavori e dell’assenza di contrasto con interessi pubblici; della possibilità di sanare eventuali illegittimità riscontrate, come ad esempio predisporre un piano di recupero o pagare maggiori oneri;

c) in sede di atto di annullamento erano state esternate ragioni giuridiche diverse da quelle preannunciate nelle ordinanze di sospensione dei lavori, che parlavano solo di contrasto con il PIT e con le citate leggi regionali;

d) doveva ritenersi erronea la quantificazione della sanzione pari al valore delle opere abusive, in quanto gli immobili realizzati non erano interamente abusivi e dovendo la sanzione essere applicata solo sulla porzione di volumetria del terzo edificio non consentita dagli strumenti urbanistici;

- la Società ricorrente chiedeva, in via subordinata, la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei provvedimenti (ove riconosciuti illegittimi) del Comune;

- con motivi aggiunti, la Società impugnava il provvedimento comunale n. 9150 del 9 aprile 2010, che aveva determinato in € 1.477.152 l’importo della sanzione pecuniaria dovuta (unitamente al regolamento comunale approvato con deliberazione consiliare n. 12 del 2010 e relativo al calcolo delle sanzioni), riproponendo le censure già avanzate con il ricorso introduttivo del giudizio e avanzando le ulteriori seguenti doglianze: l’assenza di dolo o di colpa della Società ricorrente; l’erroneità del calcolo della sanzione (il medesimo provvedimento comunale n. 9150 del 2010, veniva impugnato anche con ricorso autonomo, sulla scorta delle medesime censure articolate nei motivi aggiunti);

- con separato ricorso, la Società impugnava altresì il provvedimento del Comune di Montespertoli n. 26793 del 22 settembre 2010 (in uno con il regolamento di cui alla deliberazione consiliare n. 12 del 2010) ‒ con cui, in sostituzione di quanto già stabilito con il precedente atto prot. n. 9150 del 9 aprile 2010, era stata determinata in € 929.491,00 la sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 138 della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, in conseguenza dell’annullamento del permesso di costruire n. 302 del 2007 ‒ lamentando che, pur avendo l’Amministrazione comunale parzialmente accolto l’istanza della società medesima del 31 luglio 2010 volta alla rideterminazione della sanzione, in particolare per quanto concerne la determinazione del valore iniziale degli edifici, sarebbe stato erroneo l’assunto comunale secondo cui «i tre fabbricati sono integralmente abusivi».

2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, con sentenza n. 1595 del 2014, riuniti tutti i ricorsi: i) ha respinto l’impugnazione avverso il provvedimento n. 31266 del 2009 (recante l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire n. 302 del 2007) e circolari approvate con deliberazioni della Giunta Regionale Toscana n. 777 del 2007 e n. 289 del 2005; ii) ha dichiarato improcedibili, per sopravvenuta carenza d’interesse, i motivi aggiunti ed il ricorso autonomo entrambi proposti avverso il provvedimento n. 9150 del 2010, di quantificazione della sanzione pecuniaria; iii) ha respinto l’impugnazione avverso il provvedimento n. 26793 del 2010 con cui, in applicazione dell’art. 138 della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, la predetta sanzione pecuniaria è stata rideterminata in € 929.491,00; iv) ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulle domande risarcitorie formulate in via subordinata.

3.‒ Avverso la predetta sentenza la Società ha quindi proposto appello, riproponendo le censure già sollevate in primo grado, sia pure adattate all’impianto motivazionale della sentenza di primo grado.

In particolare:

a) con il primo motivo, la Società lamenta che, diversamente da quanto sostenuto dal primo giudice, non sussisterebbero i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela da parte del Comune relativamente al permesso di costruire n. 302 del 2007, in quanto: diversamente da quanto statuito dal primo giudice, l’art. 44 della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005 non sarebbe applicabile perché riguarderebbe edifici non agricoli, mentre nel caso di specie trattasi di edifici agricoli che con il permesso di costruire n. 302 del 2007 hanno mutato destinazione d’uso da agricolo ad abitativo, mentre sarebbe applicabile l’art. 45 della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, il quale non vieta gli interventi di ristrutturazione di cui al caso in esame, ed anche a voler ritenere applicabile l’art. 44, questo dovrebbe essere applicato nella sua originaria formulazione (essendo gli interventi avvenuti prima del 2008), che consentirebbe la ristrutturazione edilizia di fabbricati non agricoli, anche in assenza di Piano Strutturale, purché tali interventi siano previsti dagli strumenti urbanistici comunali vigenti; il Tribunale avrebbe, altresì, erroneamente ritenuto assorbiti gli ulteriori motivi volti a censurare ulteriori profili motivazionali del provvedimento di annullamento d’ufficio con i quali l’Amministrazione affermava che le opere sarebbero state per di più realizzate in violazione del permesso a costruire n. 302 del 2007, tenuto peraltro conto che l’intervento in esame andrebbe qualificato (non come ristrutturazione urbanistica, bensì) come ristrutturazione edilizia, come tale non soggetta a piano di recupero e che le ulteriori demolizioni effettuate dalla società (non previste nel permesso di costruire) sarebbero state realizzate per cause tecniche (ovvero per mettere in sicurezza il cantiere, così come consentito dal regolamento comunale); il primo giudice avrebbe, infine, erroneamente ritenuto sussistenti gli altri presupposti di legge necessari per l’autotutela, in quanto l’intervento realizzato non comporterebbe alcuna compromissione dell’assetto urbanistico della zona, avendo la società ricostruito le volumetrie preesistenti senza alcun ampliamento ed avendo rispettato le caratteristiche tipologiche e architettoniche dei vecchi edifici, sarebbero trascorsi quasi due anni tra il rilascio del permesso di costruire e l’atto di autotutela, quando ormai i lavori erano così avanzati da doversi escludere non solo la sanzione pecuniaria ma la stessa possibilità di ricorrere all’autotutela, la stessa ordinanza n. 31266 del 2009 avrebbe riconosciuto la buona fede della società essendosi questa «affidata all’interpretazione delle norme fornita dall’ufficio tecnico comunale», la società avrebbe maturato un ragionevole affidamento sulla stabilità dell’assetto delineato dall’amministrazione, tale da portarla alla stipula di un oneroso mutuo e all’instaurazione di trattative con terzi;

b) con il secondo motivo la società lamenta che il primo giudice, dichiarandolo assorbito, non si sarebbe pronunciato sul motivo di ricorso incentrato sull’inesistenza dell’asserita totale difformità delle opere realizzate rispetto al permesso di costruire, che secondo il Comune legittimerebbe l’irrogazione della sanzione pecuniaria e qualificherebbe l’intervento come ristrutturazione urbanistica anziché edilizia; illegittimamente il Comune avrebbe sanzionato l’asserita difformità totale anziché l’illegittimità del permesso di costruire (peraltro, non vi sarebbe nessuna difformità totale di quanto realizzato rispetto a quanto assentito, salvo qualche minima divergenza che rientrerebbe comunque nella soglia di tolleranza di legge);

c) con il terzo motivo la Società lamenta che il Tribunale, pur avendo implicitamente riconosciuto che la comunicazione di avvio del procedimento era carente, avrebbe erroneamente ritenuto tale carenza irrilevante;

d) con il quarto motivo l’appellante, pur riconoscendo la pacifica irrilevanza della buona fede a fronte di un abuso edilizio da sanzionare con la demolizione, afferma che nel caso di specie nessuna sanzione avrebbe dovuto essere irrogata (o comunque non commisurata all’intera volumetria ma semmai limitata al minimo di legge) in quanto non si tratterebbe di opere realizzate abusivamente, bensì di un provvedimento di autotutela, con il quale il Comune stesso avrebbe riconosciuto la buona fede del privato e l’errore dei funzionari comunali;

e) con il quinto motivo l’appellante censura la sentenza di primo grado laddove, per quanto attiene la determinazione del quantum della sanzione pecuniaria, ha statuito che questa dovesse essere pari al valore venale delle opere abusivamente eseguite, e quindi all’intera volumetria dell’edificio, sull’errato presupposto che le opere realizzate fossero totalmente difformi dal permesso di costruire; in senso contrario, mancando aumenti di volumetria o di superficie, il valore venale da sanzionare dovrebbe ritenersi pari a zero, con la conseguenza che la sanzione dovrebbe essere applicata nella misura minima di legge; anche qualora dovesse ritenersi che la società abbia costruito una volumetria eccedente quella consentita, la sanzione dovrebbe essere limitata alla volumetria realizzata in eccedenza e non all’intera volumetria oggetto di intervento; in via subordinata, viene rilevato che il Comune di Montespertoli avrebbe fatto errata applicazione del proprio Regolamento in riferimento al provvedimento n. 26793 del 2010, in quanto avrebbe dovuto considerare quale valore iniziale, oltre al costo di acquisto, anche le spese incrementative, e cioè il costo della ristrutturazione, pari a circa un milione di euro (il fatto che il permesso di costruire sia stato annullato in autotutela non renderebbe, infatti, la ristrutturazione realizzata illegittima in quanto prevista dal titolo rilasciato dal Comune); inoltre, diversamente da quanto ricostruito dal Comune, non vi sarebbe stata alcuna elusione delle norme urbanistiche comunali poiché la volumetria utilizzata per la realizzazione dell’edificio 3 (mc. 334,50) sarebbe inferiore rispetto a quella della demolizione delle superfetazioni anche del solo edificio 2 (mc. 371,37), e nessuna volumetria sarebbe stata sottratta all’edificio 1; in via subordinata, andrebbe riformata la statuizione con cui il Tribunale ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse la censura di irragionevolezza ed illogicità mossa al regolamento approvato con determinazione n. 12 del 2012, in quanto quest’ultimo porrebbe dei vincoli illegittimi alla determinazione della sanzione;

f) il primo giudice sarebbe incorso in errore dichiarando il proprio difetto di giurisdizione in relazione alla richiesta subordinata di risarcimento del danno, in quanto il danno non discenderebbe da un mero comportamento dell’amministrazione ma dai provvedimenti del Comune di Montespertoli, ed in particolare dal permesso di costruire (qualora fosse ritenuto illegittimo), il quale avrebbe fatto sorgere della Società un affidamento qualificato e meritevole di risarcimento.

4.– Si sono costituiti in giudizio il Comune di Montespertoli e la Regione Toscana, insistendo per il rigetto del gravame.

5.‒ Con ordinanza n. 7591 del 30 novembre 2020, questa Sezione ha disposto una verificazione, ai sensi dell’art. 66 del c.p.a., incaricando il Responsabile della Direzione Urbanistica e politiche abitative della Regione Toscana, con facoltà di delega, di rispondere ai seguenti quesiti:

«Premesso che il Comune di Montespertoli, con provvedimento prot. 31266 del 7 dicembre 2009 ha disposto in via di autotutela l’annullamento del permesso di costruire n. 302/2007 rilasciato (in data 31 dicembre 2007) all’Immobiliare San Michelino s.r.l. per la “ristrutturazione per il recupero di due edifici ex agricoli con trasposizione di volumetrie esistenti”, sul presupposto che detto titolo edilizio fosse in contrasto con gli strumenti urbanistici comunali, il verificatore:

i) descriva le opere di ristrutturazione assentite dal Comune di Montespertoli;

ii) dica se le opere realizzate siano corrispondenti a quelle autorizzate o difformi;

iii) dica se gli edifici ristrutturati siano o meno planivolumetricamente conformi a quelli preesistenti, ovvero se abbiamo determinato incrementi di volumetria o di superficie;

iv) calcoli il valore venale delle opere realizzate in esecuzione del permesso successivamente annullato in autotutela».

5.1.‒ Con ulteriore ordinanza del 15 febbraio 2021, n. 1323, la Sezione ‒ «Rilevato che: con ordinanza 30 novembre 2020, n. 7591, questa Sezione ha disposto una verificazione incaricando a tal fine il Responsabile della Direzione Urbanistica e politiche abitative della Regione Toscana, con facoltà di delega; sennonché, come rilevato nella nota della società appellante del 1 dicembre 2020, la Regione Toscana è parte del presente giudizio e si è costituita difendendo la legittimità di tutti provvedimenti impugnati (sia di quelli propri sia quelli del Comune di Montespertoli); Considerato che: ai sensi dell’art. 19, comma 2, del c.p.a., la «verificazione è affidata a un organismo pubblico, estraneo alle parti del giudizio, munito di specifiche competenze tecniche»; su queste basi, l’incarico conferito agli uffici tecnici della Regione Toscana avrebbe al più il valore processuale di meri chiarimenti, non idonei alle finalità istruttorie del presente giudizio» ‒ ha revocato la precedente ordinanza n. 7591 del 2020 per affidare l’incarico ad un organismo pubblico terzo (il Direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università degli Studi di Firenze, con facoltà di delega), lasciando per il resto immutati i quesiti.

5.2.‒ Con ulteriore ordinanza 11 giugno 2021, n. 4507, il Collegio, in accoglimento della richiesta di proroga del termine di deposito della relazione del verificatore, ha fissato il nuovo termine per la consegna della relazione finale alla data del 15 giugno 2021.

6.‒ Terminata la fase istruttoria, all’odierna udienza del giorno 31 marzo 2022, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.‒ Con un primo articolato ordine di motivi, la Società contesta il capo della sentenza che ha respinto la domanda di annullamento del provvedimento di annullamento in autotutela adottato dal Comune di Montespertoli n. 31226 del 2009.

Le censure sono infondate.

1.1.‒ L’intervento in contestazione è stato realizzato sul Podere San Michelino, collocato all’interno della zona agricola del Comune di Montespertoli e facente parte, all’epoca, del complesso dei siti di interesse storico sparsi sul territorio non urbanizzato del Comune.

Come analiticamente descritto dal verificatore, le opere assentite dal Comune di Montespertoli con il permesso di costruire n. 307 del 2017 consistevano in un intervento di ristrutturazione edilizia di due edifici esistenti nell’ambito di un borgo storico all’interno della Zona Omogenea E (di destinazione agricola), come desumibile dal Piano Regolatore Generale.

Il recupero degli edifici sarebbe avvenuto attraverso demolizioni parziali (limitate principalmente all’interno, alle superfetazioni e a modifiche puntuali in prospetto per l’Edificio 1 e alla rettifica del prospetto inclinato esposto a sud-est per quanto riguarda l’Edificio 2) e il ripristino degli stessi edifici, con recupero parziale del volume in un terzo edificio di nuova costruzione.

I due edifici esistenti ricadono l’uno in categoria VTA (Valore Tipologico Architettonico) e VS (Valore Storico) e l’altro in categoria NV (Non Valore): i) sugli edifici VTA e VS si poteva intervenire tramite le categorie di Ristrutturazione Edilizia D1 e D2 (che prevedono al più la riorganizzazione funzionale interna anche attraverso interventi che comportino modifiche agli elementi strutturali verticali al fine di adibire ad uso residenziale volumi destinati ad altro uso); ii) sugli edifici NV l’intervento di ristrutturazione poteva arrivare a prevedere anche il livello D3, consistente nella demolizione e successiva ricostruzione con parziale recupero di volume (limitato a 2/3 di quello esistente per volumi superiori a 500 m3).

Viene ancora precisato che: - per l’Edificio 1 (indicato nella categoria VTA/VS) l’intervento previsto consisteva nel «ripulire da quelle porzioni in contrasto e ripristinare il vecchio nucleo originario con materiali, tipologie e quanto altro necessario a restituirlo all’uso abitativo»; - per l’Edificio 2 (NV) si prefigurava un «adeguamento dello stesso ai requisiti sismici, e quindi è prevista la demolizione parziale del piano primo eseguito in mattoni forati (foratoni) posti per piano», specificando al tempo stesso che «tale demolizione (sommata a quella dell’Edificio 1) è superiore a mc 500 per cui le volumetrie possono essere riutilizzate solo per 2/3»; - l’edificio di nuova costruzione derivante dalla trasposizione dei volumi (Edificio 3) «è derivato dall’accorpamento delle volumetrie demolite dell’Edificio 1 e dell’Edificio 2, ridotte a 2/3 perché superiore di mc 500» e «si avvicina tipologicamente al fienile ed è “legato” all’edificio principale tramite muro con arco».

Nei tre edifici venivano complessivamente realizzate 7 unità immobiliari (2 nell’Edificio 1, 4 nell’Edificio 2 e 1 nell’Edificio 3).

1.2.‒ Le opere così autorizzate sui due edifici preesistenti, consistendo nella loro parziale demolizione e ricostruzione con una diversa volumetria, sagoma, area di sedime, configuravano senza dubbio un intervento di ‘ristrutturazione edilizia’.

Per tale ragione, il titolo assentito si poneva in evidente contrasto con l’art. 44 della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, il quale, nella versione applicabile ratione temporis (anteriore alla modifica normativa di cui alla legge della Regione Toscana n. 62 del 2008), stabilisce che negli edifici con destinazione d’uso non agricola posti nelle zone agricole sono ammessi interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e risanamento conservativo. Gli interventi di ristrutturazione edilizia, sostituzione edilizia, ristrutturazione urbanistica, sono invece ammessi solo se «espressamente previsti dagli atti di governo del territorio dei comuni in coerenza con gli strumenti della pianificazione territoriale».

La tesi dell’appellante ‒ secondo cui la norma appena citata sarebbe applicabile ai soli edifici non agricoli, mentre quelli in contestazione erano edifici agricoli che avevano mutato la loro destinazione in abitativa solo a seguito degli interventi autorizzati dal permesso di costruire n. 302 del 2007 (dovendosi quindi applicare per essi il successivo art. 45 che non prevede limitazioni alla ammissibilità di interventi di ristrutturazione) ‒ non può essere accolta.

Vero è che il citato art. 44 si riferisce letteralmente agli edifici esistenti in zona agricola «con destinazione d’uso non agricola»; tuttavia, per evidenti ragioni di coerenza logica e sistematica, la predetta disposizione deve ritenersi applicabile anche in relazione agli edifici che, pur avendo avuto una destinazione agricola originaria, l’abbiamo poi perduta in ragione dell’intervento edilizio che si autorizza (in applicazione della norma stessa). Ciò non solo perché, diversamente opinando, il richiamo operato dall’art. 44, comma 2, al successivo art. 45 (il quale disciplina soltanto le “modalità” e il regime contributivo per la cessazione della destinazione d’uso agricola) non avrebbe avuto senso, ma soprattutto perché è ravvisabile, anche nella predetta ipotesi, la medesima esigenza di tutela delle aree rurali.

1.3.‒ Sotto altro profilo, la Società non poteva invocare la salvezza degli interventi «espressamente previsti dagli atti di governo del territorio dei comuni in coerenza con gli strumenti della pianificazione territoriale».

La valutazione di sostenibilità («coerenza») della previsione del vecchio strumento urbanistico con il nuovo strumento di pianificazione territoriale previsto dalla legge regionale n. 1 del 2005, ovvero il ‘Piano Strutturale’, presupponeva evidentemente che quest’ultimo fosse stato adottato. Ma il Comune di Montespertoli ha adottato il Piano Strutturale soltanto con la delibera n. 81 del 29 luglio 2010. Fino a quella data non erano ammissibili in zona agricola interventi ulteriori rispetto a quelli manutentivi e di restauro e risanamento conservativo.

Alla mancanza del ‘Piano Strutturale’ non poteva poi supplire la variante al PRG di Montespertoli, approvata soltanto a fini di salvaguardia, ovvero per gestire le attività edificatorie nella fase transitoria precedente all’approvazione del Piano strutturale.

1.4.‒ L’accertato contrasto con l’art. 44 (ostativa agli interventi di ristrutturazione edilizia) rende superfluo affrontare l’ulteriore questione qualificatoria se l’intervento in parola dovesse addirittura qualificarsi, come sostenuto dalla difesa comunale, in termini di «ristrutturazione urbanistica», preclusa in radice anche dalla variante al PRG, che consentiva solo la ristrutturazione edilizia.

1.5.‒ Posto che il titolo edilizio è stato annullato per contrasto con l’art. 44 della legge regionale, va rimarcato, per completezza, che le opere (anche se sostanzialmente conformi dal punto di vista plani-volumetrico) sono state realizzate anche in violazione di quanto autorizzato con il permesso di costruire n. 302 del 2007.

Il verificatore ha appurato che:

1) in uno dei due casi (Edificio 1 – Valore Tipologico Architettonico), la demolizione e ricostruzione non risulta permessa neppure a livello di Regolamento del PRG;

2) nel caso dell’altro edificio (Edificio 2 – Non Valore), la demolizione non risulta essere stata richiesta o comunicata al Comune, fermo restando che, per essere ammissibile come da Art. 6 delle NTA del PRG, il recupero del volume di questo ultimo avrebbe dovuto limitarsi a 2/3 della cubatura originaria;

3) relativamente all’Edificio 3, non si hanno informazioni certe circa eventuali difformità da quanto autorizzato dal Comune di Montespertoli; però è evidente che nel momento in cui entrambi gli edifici vengono demoliti e ricostruiti, non sia più possibile recuperare parte della cubatura per realizzare il terzo Edificio, che quindi verrebbe a trovarsi anch’esso in una condizione di difformità.

Per essere conformi agli interventi di ristrutturazione edilizia concessi dal permesso a costruire, le opere realizzate avrebbero dovuto invece constare nel recupero degli edifici esistenti e nella trasposizione dei 2/3 del volume demolito in un terzo edificio.

2.‒ Oltre all’illegittimità del titolo edilizio, sussistevano anche gli altri presupposti richiesti dalla legge per l’esercizio del potere di autotutela.

2.1.‒ In materia edilizia, è noto che si fronteggiano qui due esigenze diametralmente contrapposte: da un lato, l’interesse pubblico alla salvaguardia del governo del territorio; dall’altro, la tutela dell’affidamento risposto sulla certezza degli effetti giuridici prodotti dai titoli ampliativi accordati.

L’Adunanza Plenaria n. 8 del 2017 ‒ pur statuendo che l’annullamento di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all'adozione dell’atto di ritiro, anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole ‒ ha condivisibilmente temperato tale onere motivazionale, in considerazione dell’«auto-evidenza degli interessi pubblici tutelati» e della concreta consistenza della invocata posizione di affidamento legittimo.

Nel caso di specie, l’auto-evidenza degli interessi pubblici tutelati va ravvisata nella esigenza di scongiurare il nocumento storico, paesaggistico e architettonico dell’intero ‘sistema territoriale’, tenuto conto che analoghi profili di illegittimità erano stati riscontrati anche in un altro centinaio di titoli edilizi. L’esistenza dell’interesse pubblico attuale all’eliminazione dell’atto era senza dubbio prevalente rispetto all’interesse dei destinatari al suo mantenimento.

L’inciso invocato dalla Società ‒ «la realizzazione non contrasta con rilevanti interessi pubblici» ‒ si riferiva al presupposto richiesto dalla legge per l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della restituzione in pristino prevista dall’art. 138 della legge della Regione Toscana n. 1 del 2015, la quale norma sottende un bilanciamento di interessi che non coincide affatto con quello richiesto per l’esercizio del potere di auto-annullamento.

2.2.‒ In relazione al ragionevole lasso di tempo, va rimarcato che non vengono qui in rilievo, ratione temporis, le recenti riforme che hanno inciso sui presupposti per l’esercizio del potere di autotutela decisoria (la legge n. 124 del 2015 − nel segno di una tendenziale riduzione dei poteri discrezionali dell’amministrazione, al fine di garantire maggiore certezza e stabilità ai rapporti giuridici dei soggetti la cui azione risulta condizionata dalle decisioni amministrative – ha, in particolare, introdotto la fissazione del termine massimo di diciotto mesi per la valida adozione dell’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori e attributivi di vantaggi economici).

Ciò posto, il lasso temporale di meno di due anni, intercorso tra il rilascio del permesso di costruire (in data 31 dicembre 2007) e l’atto di ritiro (in data 7 dicembre 2009), appare contenuto entro un «termine ragionevole», ove si consideri che: a distanza di 14 mesi, in data 27 febbraio 2009, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze aveva disposto il sequestro preventivo del cantiere ed immediatamente dopo l’Amministrazione (in data 12 marzo 2009) aveva sospeso l’efficacia del permesso di costruire; l’elevato numero di attività edilizie illegittimamente autorizzate aveva reso necessario un grosso dispendio di attività amministrativa.

3.‒ Con il secondo motivo la Società sostiene che il giudice non avrebbe potuto ritenere assorbiti anche gli ulteriori profili di contestazione articolati dalla stessa, volti a censurare ulteriori profili motivazionali del provvedimento di annullamento d’ufficio con i quali l’Amministrazione afferma che le opere realizzate sarebbero state per di più realizzate anche in violazione di quanto autorizzato con il permesso di costruire n. 302 del 2007.

Il motivo è infondato.

3.1.‒ A quanto già osservato al punto 1.5 della motivazione, va aggiunto che l’Amministrazione comunale non ha sanzionato le difformità rispetto al titolo assentito, bensì ha applicato la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 138 della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005, in conseguenza dell’annullamento del titolo edilizio, la quale (come si vedrà) è commisurata al valore venale delle opere eseguite in base ad esso.

Ai fini della legittimità del provvedimento sanzionatorio, erano dunque irrilevanti le difformità delle opere rispetto al titolo.

4.‒ Anche la censura relativa al difetto di contraddittorio procedimentale (in quanto la Società non sarebbe stata sufficientemente informata dei vizi di legittimità che inficiavano il titolo edilizio e di non essere stata quindi messa in condizione di partecipare adeguatamente al procedimento di secondo grado) va respinta.

4.1.‒ La Società è stata edotta dell’avvio del procedimento di secondo grado, mediante le ordinanze di sospensione dell’efficacia del permesso di costruire n. 78 del 12 marzo 2009 e n. 177 del 5 giugno 2009, dell’avvio del procedimento volto all’annullamento del titolo edilizio. La Società è stata così posta in condizione di interloquire con l’Amministrazione, accedere agli atti, intervenire nel procedimento e a produrre osservazioni e documenti nel suo interesse, pur avendo rinunciato a farlo.

Va poi rimarcato che l’avviso di avvio del procedimento, a differenza del preavviso di rigetto dovuto nei procedimenti ad istanza di parte, non richiede affatto che vengano anche esattamente prefigurati tutti i vizi che saranno poi posti dall’Amministrazione a fondamento dell’atto di autotutela, ben potendo alcuni profili emergere nel corso dell’istruttoria.

5.‒ L’ulteriore censura relativa al mancato accertamento dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa, in ordine alla sanzione pecuniaria comminata, in violazione dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981, non coglie nel segno.

5.1.‒ Le c.d. sanzioni edilizie ripristinatorie sono infatti poste a carico del proprietario e del responsabile dell’abuso in ragione dell’oggettiva non conformità delle opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di piano.

Tale assunto vale anche per le sanzioni pecuniarie sostitutive di quelle ripristinatorie.

6.‒ Con il quinto complesso ordine di motivi, la Società contesta il capo della sentenza che ha affermato che la sanzione prevista dall’art. 138 della legge della Regione Toscana n. 1 del 2005 è correttamente calcolata con riferimento all’intera volumetria dell’edificio, posto che l’annullamento riguarda il titolo edilizio che autorizzava l’intera edificazione.

Le censure sono infondate.

6.1.‒ L’art. 138 della legge regionale ricalca la norma statale di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale dispone che: «In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all'interessato dal dirigente o dal responsabile dell'ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa».

Il fondamento del regime sanzionatorio più mite riservato dal legislatore agli interventi edilizi realizzati in presenza di un titolo abilitativo che solo successivamente sia stato dichiarato illegittimo ‒ rispetto al trattamento ordinariamente previsto per le ipotesi di interventi realizzati in originaria assenza del titolo ‒ va rinvenuto nella specifica considerazione dell’affidamento riposto dall’autore dell’intervento sulla presunzione di legittimità e comunque sull’efficacia del titolo assentito. A tal fine, all’amministrazione si impone di verificare se i vizi formali o sostanziali (accertati in sede giurisdizionale) siano emendabili, ovvero se la demolizione sia effettivamente possibile senza recare pregiudizio ad altri beni o opere del tutto regolari. In presenza degli anzidetti presupposti per convalidare l’atto, «[l]’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36» del testo unico (art. 38, comma 2, del d.P.R. 380 del 2001).

Una volta identificato nella tutela del legittimo affidamento l’elemento normativo che differenzia sensibilmente la posizione di colui che abbia realizzato in buona fede l’opera abusiva sulla base di titolo annullato rispetto a quanti abbiano realizzato opere parimenti abusive senza alcun titolo, ne consegue che gli odierni ricorrenti non hanno un interesse qualificato a far valere l’illegittimità dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale sofferta dal proprietario dell’immobile, il quale soltanto avrebbe diritto a dolersene.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 7 settembre 2020, n.17, ha precisato che l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure o la restituzione in pristino, può trovare applicazione unicamente a fronte di vizi che riguardino la forma e la procedura e che – alla luce di una valutazione in concreto effettuata dall'Amministrazione – risultino non rimuovibili.

Per tale via, l’Adunanza plenaria ha delimitato la portata della “fiscalizzazione” dell’abuso edilizio, precisando che esso non può operare, pertanto, come sostenuto invece da un ampio filone giurisprudenziale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 14 aprile 2020, n. 2419), in presenza di vizi sostanziali, che ricorrono quando l’opera sia in contrasto con le norme che regolano le attività edilizie;

In realtà laddove l’Amministrazione, nel provvedimento di annullamento in autotutela impugnato, ammette la buona fede della ricorrente, intende dire che non vi è stata collusione tra questa e l’Ufficio tecnico (in quel momento il dirigente era sottoposto a indagini penali) e non che la stessa non abbia colpa nell’aver eseguito un intervento in contrasto con la legge oltre che con le norme urbanistiche locali.

6.2.‒ Secondo l’appellante la quantificazione della sanzione sarebbe erronea, prospettando tre criteri alternativi, e segnatamente: i) mancando significativi aumenti di volumetria o superficie, la sanzione dovrebbe essere applicata nella «misura minima di legge»; ii) anche ad ammettere che sia stata realizzata una volumetria “in eccedenza a quella autorizzata”, la sanzione pecuniaria dovrebbe essere comunque limitata alla volumetria realizzata in eccedenza; iii) in via ancora gradata, dovrebbe considerarsi sanzionabile l’intera volumetria dell’Edificio 1 e quella non ricostruibile dell’Edificio 2, ma non quella ricostruibile dell’Edificio 2 e quella dell’Edificio 3.

L’impostazione seguita dall’appellante è erronea, in quanto non tiene conto del fatto che la sanzione ‒ conseguendo all’annullamento in autotutela del titolo edilizio ‒ va commisurata al valore venale dell’intera superficie degli edifici realizzati in base al titolo edilizio annullato.

Nella specie, essendo stato annullato l’intero titolo edilizio, la sanzione pecuniaria alternativa alla riduzione in pristino non può che applicarsi al valore dell’intero immobile. Il regime sanzionatorio più mite consiste, come si visto, nella possibilità di conservare, anziché demolire, le opere realizzate.

6.3.‒ Per gli stessi motivi sopra svolti, neppure è coerente con la lettera ed il fondamento della disposizione richiedere che, nel determinare il valore venale originario, l’Amministrazione dovesse tenere conto dei costi sostenuti per le opere di ristrutturazione, essendo proprio questa l’attività illegittimamente assentita.

6.3.‒ L’istruttoria svolta ha inoltre escluso una sovrastimazione del valore delle opere abusive.

Il verificatore ha operato considerando le superfici nette delle unità immobiliari come da progetto (e non quelle superiori realizzate), applicando le aliquote relative alla valutazione della superficie convenzionale ed utilizzando il valore unitario medio della zona territoriale in oggetto, in misura pari all’importo massimo.

Il valore di mercato fornito dall’ Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle Entrate utilizzato al momento della valutazione della sanzione da parte del Comune (Abitazioni civili, con stato di conservazione normale: valore min. 1.500 €/mq, valore max. 2.400 €/mq al primo semestre 2009) risulta oggi per oggetti della stessa tipologia (Abitazioni civili) compreso tra 1.500 e

2.200 €/mq (con riferimento al secondo semestre del 2020), quindi non variato in maniera sostanziale nel tempo.

Facendo riferimento al valore massimo previsto per la tipologia e la zona considerata, si avrebbe quindi un valore al 2009 pari a € 1.688.174,40 (corrispondente a quanto indicato dal Comune di Montespertoli nella valutazione della sanzione pecuniaria) mentre ad oggi (2020) tale valore andrebbe ridotto a € 1.547.493,20.

Si è fatto riferimento al valore massimo riportato nelle tabelle dell’Agenzia delle Entrate perché ritenuto congruo ai fini delle operazioni di valutazione richieste, in quanto relativo al valore di un edificio di nuova costruzione o appena ristrutturato per uno stato di conservazione “normale”.

Nel caso in esame, il Comune ha irrogato una sanzione pari ad € 929.491,00, e tale somma è nettamente inferiore rispetto al valore delle opere accertato dal verificatore. Tale scarto ridimensiona anche le ulteriori deduzioni, relative al mancato completamento dei lavori e alla vicinanza della discarica (che secondo controparte giustificherebbero l’utilizzo dei valori medi OMI, anziché dei valori massimi), le quali sono state peraltro sollevate per la prima volta nella memoria cui si replica.

Come sottolineato dalla difesa comunale, il valore iniziale del bene non è stato calcolato in base al Regolamento comunale n. 12/2010 per l’applicazione delle sanzioni previste dalla l. reg. n. 1/2005, ma sul prezzo di acquisto per venire incontro a parte appellante. Tale Regolamento, infatti, prevedeva che il valore iniziale dovesse essere assunto pari al valore minimo OMI, pari nel caso di specie a €/mq. 1.500, corretto con il “fattore decrescente” (trattandosi di ristrutturazione edilizia) pari a 0,6. Il valore iniziale sarebbe stato, pertanto, di €/mq. 900, e la sanzione pari a € 1.055.100, ben superiore a quella irrogata dal Comune.

7.‒ Con l’ultimo motivo la Società insiste nel chiedere, nell’ipotesi in cui fosse stata confermata la legittimità del provvedimento di annullamento in autotutela, il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del legittimo affidamento maturato.

7.1.‒ Il Giudice di primo grado, in adesione alla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione (a partire dalle note sentenze n. 6594, 6595, e 6596 del 2011) ha dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria avanzata da controparte per difetto di giurisdizione, trattandosi di danno derivante da ‘mero’ comportamento.

La statuizione va tuttavia riformata alla luce delle recenti sentenze dell’Adunanza Plenaria (29 novembre 2021, n. 19, n. 20 e n. 21), secondo cui sussiste la giurisdizione amministrativa sulla domanda risarcitoria proposta dal controinteressato soccombente in un giudizio di annullamento di provvedimenti della pubblica amministrazione tanto in sede di giurisdizione generale di legittimità, quanto nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (nella specie si verteva in materia di urbanistica e edilizia ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera f) del codice del processo amministrativo). Le medesime argomentazioni depongono, senza dubbio, per la sussistenza della giurisdizione amministrativa anche nell’ipotesi di ritiro in autotutela di provvedimento favorevole.

Cionondimeno la domanda risarcitoria va respinta nel merito.

L’Adunanza Plenaria ha precisato che l’affidamento tutelabile in via risarcitoria deve essere ‘ragionevole’, id est incolpevole. Esso deve quindi fondarsi su una situazione di apparenza costituita dall'amministrazione con il provvedimento, o con il suo comportamento correlato al pubblico potere, in cui il privato abbia senza colpa confidato. Nel caso di provvedimento poi annullato, il soggetto beneficiario deve dunque vantare una ragionevole aspettativa alla conservazione del bene della vita ottenuto con il provvedimento stesso, la frustrazione della quale possa quindi essere considerata meritevole di tutela per equivalente in base all’ordinamento giuridico. La tutela risarcitoria non interviene quindi a compensare il bene della vita perso a causa dell’annullamento del provvedimento favorevole, che comunque si è accertato non spettante nel giudizio di annullamento, ma a ristorare il convincimento ragionevole che esso spettasse.

Nella descritta prospettiva, un ragionevole convincimento va escluso nel caso ‒ come quello per cui è causa ‒ di illegittimità evidente. Il manifesto contrasto delle opere assentite con la disciplina edilizia (ostativa ad interventi di ristrutturazione edilizia in area agricola) consente di ritenere infatti che qualunque destinatario, prudente ed accorto, ne dovesse essere consapevole.

8.– In definitiva, l’appello va respinto.

8.1.‒ Le spese di lite del secondo grado di lite seguono la regola generale della soccombenza.

8.2.‒ Anche le spese di verificazione vanno poste a carico dell’appellante soccombente.

Per quantificare l’onorario del verificatore, vanno applicati i criteri normativi che riguardano i compensi spettanti a periti e consulenti di cui al d.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002 e al decreto ministeriale del 30 maggio 2002.

In relazione a precedenti liquidazioni di questo Consiglio di Stato, alla natura e valore della controversia, all’impegno professionale richiesto e alla complessità dell’attività espletata, risulta congruo liquidare al verificatore la somma complessiva di € 4.400,00 (importo da cui va detratto l’acconto previsto nell’ordinanza che ha disposto la verificazione, se già versato dall’appellante), al lordo delle ritenute.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe n. 3687 del 2015, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite del secondo grado di giudizio nei confronti del Comune di Montespertoli e della Regione Toscana, che si liquidano in € 3.000,00, in favore di ciascuno di essi, oltre accessori di legge se dovuti.

Pone le spese di verificazione, come liquidate in motivazione, a carico dell’appellante soccombente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere, Estensore

Stefano Toschei, Consigliere

Thomas Mathà, Consigliere