Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5821, del 6 dicembre 2013
Urbanistica.Opere interne su immobile abusivo.

Le ulteriori opere eseguite dopo la presentazione dell'istanza di condono edilizio, ancorché interne o di non grande entità, devono dirsi abusive e in prosecuzione dell'illecita pregressa attività edilizia. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 05821/2013REG.PROV.COLL.

N. 01186/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1186 del 2011, proposto da: 
Rosa Scognamiglio, rappresentata e difesa dagli avv. Daniele Perna, Augusto Chiosi, con domicilio eletto presso Giovanna Buonavoglia in Roma, via Amiterno, 3;

contro

Comune di San Giorgio a Cremano, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Lucia Cicatiello, Adele Carlino, con domicilio eletto presso Michela Palumbo in Roma, via Acireale, 19/B;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – Sede di NAPOLI- SEZIONE III n. 27093/2010, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE OPERE EDILIZIE ABUSIVE.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di San Giorgio a Cremano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2013 il Consigliere Fabio Taormina e udito l’Avvocato Fabrizio Perla (su delega di Augusto Chiosi);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Campania – sede di Napoli - ha respinto il ricorso di primo grado (corredato da motivi aggiunti) proposto dalla odierna appellante Scognamiglio Rosa, volto ad ottenere (con il ricorso principale) l’annullamento dell’ordinanza n.27 del 07.10.2008 del Dirigente del Settore Infrastrutture e Pianificazione Territoriale del Comune di San Giorgio a Cremano, con la quale, ai sensi dell’art.27, comma 2, del D.P.R. 380/2001, le era stato ordinato di provvedere alla demolizione di presunte opere realizzate in assenza di permesso di costruire su di un fabbricato, costituito da tre livelli, sito in San Giorgio a Cremano, alla via Tufarelli, e, (con i motivi aggiunti) del provvedimento prot. 0050164 del 16.12.2009, avente ad oggetto il diniego della pratica di condono edilizio presentata ai sensi della Legge n.47/85 in data 29.03.1986 prot. gen. n.13853, fascicolata col n.563.

Il primo giudice ha partitamente esaminato tutte le censure e le ha respinte in quanto infondate.

In particolare (quanto al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado), il Tribunale amministrativo ha, in primo luogo, escluso la fondatezza della tesi secondo la quale l’ordinanza demolitoria era illegittima, perché pronunciata senza il previo esame dell’istanza di sanatoria: detta prospettazione, infatti, ad avviso del Tar, doveva considerarsi superata in considerazione dell’intervenuta pronuncia (negativa) sulla domanda di sanatoria edilizia ai sensi della Legge n.47/85 e della circostanza che le opere sanzionate con l’ordinanza impugnata erano diverse – in quanto realizzate successivamente e a modifica dell’immobile preesistente – da quelle oggetto della richiesta di sanatoria.

Anche la seconda doglianza, incentrata sull’affermazione secondo la quale le opere sanzionate non costituivano un organismo edilizio diverso (e, pertanto, non potevano essere sanzionate con la demolizione), doveva ritenersi superata alla luce della successiva (anche se parziale) demolizione delle opere sanzionate.

Il Tar ha poi respinto le ultime tre censure contenute nel mezzo principale, richiamando la costante giurisprudenza formatasi in tema di sufficienza della motivazione dell’ordinanza di demolizione e di natura vincolata di tale atto provvedimentale (il che impediva di attribuire rilievo viziante all’omessa adozione dell’incombente partecipativo ex art. 7 della legge n. 241/1990).

In ultimo, è stata disattesa anche la censura relativa alla omessa previa valutazione della eventuale sanabilità ai sensi dell’art. 36 D.Lgs. 380/01, posto che la relativa istanza, presentata successivamente all’ordinanza di demolizione, era stata rigettata dall’Amministrazione comunale con provvedimento n. prot. 10966 dell’8 marzo 2010.

Analoga sorte reiettiva il Tar ha riservato alle censure articolate nel ricorso per motivi aggiunti proposto contro il diniego di sanatoria edilizia straordinaria ai sensi della legge n.47/85: detto diniego era motivato in base alla considerazione che, per i successivi interventi realizzati sul cespite, quest’ultimo era divenuto un opus diverso da quello originariamente oggetto della domanda di sanatoria, cosicché non sussistevano i presupposti di cui all’art. 35 legge n.47/85.

L’odierna parte appellante aveva contestato detta circostanza fattuale, fondandosi sulle risultanze del processo verbale di riapposizione dei sigilli del 23.06.2009 (ove si era evidenziato che “all’atto di riapposizione dei sigilli erano stati eliminati i volumi e relative superfici, contestati nella C.N.R,. del 15.09.2008”) e sulla relazione tecnica redatta in data 1° ottobre 2009 dal tecnico incaricato dalla Procura di Napoli.

Il Tar, però, in contrario avviso, aveva osservato che dal contenuto della relazione integrativa alla relazione tecnica del 1° ottobre 2009, redatta in data 5 novembre 2009, dopo la descrizione delle opere rimosse, emergeva il convincimento che si fosse trattato di un ripristino solo parziale del cespite, integrante la mancata ottemperanza all’ordinanza n.27/2008.

Conseguentemente, l’intero ricorso di primo grado è stato disatteso.

L’odierna appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure, ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe, chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

Ha ripercorso il risalente e prolungato contenzioso intercorso con il Comune appellato ed ha sostenuto che il Tar avrebbe dovuto dichiarare la improcedibilità del mezzo di primo grado ed accogliere il ricorso per motivi aggiunti avverso il diniego di condono reso con provvedimento prot. 0050164 del 16.12.2009.

Era ben vero, infatti, che erano state in passato edificate opere diverse rispetto alla pratica di condono edilizio presentata dal proprio dante causa ai sensi della legge n.47/85 in data 29.03.1986 prot. gen. n.13853, fascicolata col n.563.

Era, pur tuttavia, parimenti rimarchevole la circostanza per cui, successivamente al preavviso di diniego notificatole, ella aveva demolito le ulteriori opere realizzate, mentre non poteva in contrario assurgere alcun rilievo la circostanza che non si era provveduto a ricostruire una tramezzatura ed a eliminare alcuni ulteriori modesti manufatti, trattandosi di opere interne.

L’appellata amministrazione comunale ha depositato una articolata memoria, chiedendo la declaratoria di reiezione dell’appello, perché palesemente infondato, facendo presente che la costante giurisprudenza amministrativa concordava con la tesi secondo la quale la presentazione di una domanda di accertamento di conformità successiva rendeva improcedibile la pregressa domanda di condono.

Con un successivo “controricorso integrativo” datato 18.10.2003, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dell’appello in quanto la procura a margine non conteneva la espressa menzione della sentenza gravata e perché l’atto di appello medesimo non conteneva alcuna critica alla gravata decisione, ma si limitava a ribadire le perplessità e le critiche mosse avverso i provvedimenti già gravati in primo grado.

Nel merito, ha chiesto la reiezione dell’appello, perché infondato.

All’adunanza camerale del 22 marzo 2011 la Sezione, con la ordinanza n. 01305/2011, ha accolto l’istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione, alla stregua della considerazione cui seguente: “Ritenuto che la dichiarazione d’improcedibilità della domanda di condono appare incongrua alla luce delle deduzioni di parte appellante.

Considerato, invero, che il Comune nella fattispecie non possa esimersi dal valutare la situazione di fatto determinatasi per effetto dell’attività demolitoria posta in essere spontaneamente da parte appellante eliminando volumi e superfici realizzate dopo la suddetta domanda di condono.

Considerato che tale attività demolitoria non ha comunque riguardato il manufatto oggetto della domanda di condono. Ritenuto che in ragione di quanto precede va riconosciuta la possibilità del riesame della domanda di condono;”.

L’efficacia della sentenza impugnata, è stata pertanto sospesa.

Alla pubblica udienza del 19 novembre 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1.L’appello è fondato e deve essere accolto, nei termini di cui alla motivazione che segue.

1.1. Va preliminarmente rilevato che nessuna delle eccezioni preliminari prospettate dal Comune appellato coglie nel segno e che, pertanto, l’appello è esaminabile nel merito.

Va certamente disattesa, infatti, quella (peraltro formulata in forma perplessa) incentrata sull’asserita violazione dell’art. 83 cpc, in quanto ci si trova al cospetto di una procura apposta a margine dell’atto di appello, e quest’ultimo specificava esattamente quale fosse la sentenza gravata.

Quanto alla seconda, il Collegio ribadisce la propria condivisione del principio, che costituisce ius receptum (ex aliis, Cons. Stato Sez. VI, 18-04-2013, n. 2128), secondo il quale “nel giudizio amministrativo l'appello, pur se gravame a critica libera, deve comunque contenere censure specifiche circa la sentenza impugnata.”: contrariamente a quanto sostenuto dall’appellata amministrazione, l’odierno gravame rispetta in pieno il detto requisito.

E’ ovvio che l’appellante abbia dovuto tenere conto dell’omessa valutazione – da parte del Tar - dell’avvenuta demolizione delle opere abusive subsequentes, ed anche della omessa declaratoria di cessazione della materia del contendere, reiterando argomenti già contenuti nel mezzo di primo grado; non può dirsi, però, che l’appello sia privo di censure avverso l’iter motivo della decisione di primo grado: anche tale eccezione va quindi disattesa.

2. Ciò posto, e passando all’esame del merito della causa, va innanzitutto ricostruito l’iter processuale e procedimentale; esso, infatti, appare anomalo, ed in grado potenzialmente di ingenerare portata “confusoria”, in quanto con il ricorso introduttivo del giudizio sono stati impugnati atti facenti parte di una seriazione procedimentale successiva rispetto a quelli (temporalmente assai antecedenti, gravati con il ricorso per motivi aggiunti).

2.1. Ciò premesso, e con maggiore organicità, il Collegio rileva che:

a) l’appellante venne in possesso dell’immobile, acquistato nel 2007, ed in ordine al quale il proprio dante causa aveva presentato domanda di condono edilizio ai sensi della Legge n.47/85 in data 29.03.1986 prot. gen. n.13853, fascicolata col n.563;

b) ella ebbe ad edificare nuove ed ulteriori opere abusive, in ordine alle quali venne emessa l’ordinanza di demolizione n.27 del 07.10.2008;

c) la stessa presentò domanda di sanatoria di tali nuove opere, ai sensi dell’art. 36 d.Lgs. 380/01, rigettata dall’Amministrazione comunale con provvedimento n. prot. 10966 dell’8 marzo 2010;

d) frattanto, però, si procedeva all’esame della “prima” istanza di condono, presentata in data 29.03.1986, che venne dichiarata improcedibile dal Comune con provvedimento prot. 0050164 del 16.12.2009.

Tale improcedibilità sarebbe stata ascrivibile alla circostanza che sull’immobile predetto erano state appunto edificate nuove ed ulteriori opere.

Posto che l’appellante aveva, però, medio tempore, rimosso le dette ulteriori opere, riportando il plesso alla primigenia condizione del 1986, ad avviso dell’appellante si sarebbe dovuto dichiarare la cessazione della materia del contendere quanto alla porzione del gravame (ricorso introduttivo di primo grado) volta ad impugnare gli atti relativi alle “nuove opere”, mentre si sarebbe dovuto accogliere il ricorso quanto alle censure attingenti (ricorso per motivi aggiunti di primo grado) la statuizione di improcedibilità relativa alla domanda di condono del 1986.

2.2.Il Tar ha respinto detta prospettazione sulla scorta di una valutazione in fatto, a tenore della quale non rispondeva al vero che l’appellante avesse demolito tutte le nuove opere realizzate sull’immobile e diverse da quelle oggetto della sanatoria del 1986.

Ciò in quanto, dalla relazione integrativa alla relazione tecnica del 1° ottobre 2009, redatta in data 5 novembre 2009, dopo la descrizione delle opere rimosse dalla ricorrente, si concludeva per un ripristino solo parziale del cespite e per la mancata ottemperanza all’ordinanza n.27/2008.

2.3. L’appellante contesta quanto ritenuto dal Tar, in relazione al fatto che le opere erano state effettivamente rimosse, ad eccezione dell’impianto idrico, elettrico e di riscaldamento (irrilevanti opere interne) e della mancata ricostruzione di un tramezzo.

3.Così ricostruita la situazione di fatto, il Collegio concorda con quanto già rilevato dalla Sezione in sede cautelare.

Può, infatti, ribadirsi la condivisione verso l’orientamento giurisprudenziale che, in via generale, stabilisce che (T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 14-09-2012, n. 7799 , Tar Napoli, n. 1891/20129)” le ulteriori opere eseguite dopo la presentazione dell'istanza di condono edilizio, ancorché interne o di non grande entità, devono dirsi abusive e in prosecuzione dell'illecita pregressa attività edilizia, e ciò essendo mancata l'attivazione per esse del procedimento per il completamento previsto dall'art. 35 L. 47/1985.”

Senonché, è parimenti rilevante evidenziare che, prima che venisse presa in esame la “prima” domanda di condono, le dette nuove opere erano state già demolite.

Il Tar ha escluso che vi fosse stata demolizione integrale (con ciò implicitamente riconoscendo che, ove riscontrato sussistente detto presupposto si sarebbe dovuta prendere in esame la prima domanda di condono) sulla base di una motivazione apodittica, che valorizzava soltanto una piccola discrasia tra pregresso ed esistente, riposante in una tramezzatura non rielevata ed in alcuni ulteriori modesti manufatti.

Questi ultimi, tuttavia, non è contestabile che integrino mere (e modeste) opere interne (T.A.R. Abruzzo L'Aquila Sez. I, 18-05-2005, n. 325: “le opere interne di manutenzione non abbisognano di concessione edilizia, ma al più di autorizzazione, la cui mancanza è sanzionata pecuniariamente, ex art. 10, legge 47 del 1985, e non con l'ordine di demolizione.).

A questo punto, da tale ricostruzione discende che, se il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, volto ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza n.27 del 07.10.2008, è divenuto improcedibile, in quanto a quest’ultima venne, seppur tardivamente prestata acquiescenza ed ottemperanza, mercé la condotta attiva demolitoria, resta privo di plausibile motivazione il provvedimento prot. 0050164 del 16.12.2009 avente ad oggetto il diniego della pratica di condono edilizio.

Ciò proprio a cagione del fatto che le opere ulteriori erano state demolite e che, pertanto, non sussisteva (più) il presupposto impeditivo rappresentato della avvenuta esecuzione di nuove opere sul plesso abusivamente edificato, in quanto queste erano state sostanzialmente rimosse e tale rimozione era estesa a tutte le opere strutturali, con esclusione di un tramezzo e meri impianti interni non autonomamente bisognevoli di rilascio di permesso di costruire.

4. Ne consegue che, sulla falsariga di quanto disposto in sede cautelare, l’appello va accolto, la sentenza va riformata, e mentre il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado va dichiarato improcedibile, il ricorso per motivi aggiunti va accolto, annullato con annullamento del contestato diniego di condono, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione che dovrà rideterminarsi sulla detta istanza di condono.

5.La natura e lo svolgimento della controversia legittimano la integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui alla motivazione che precede e, per l’effetto, in riforma della gravata sentenza, dichiara improcedibile il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, mentre accoglie il ricorso per motivi aggiunti ed annulla il contestato diniego di condono, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione che dovrà rideterminarsi sulla istanza di condono medesima.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere

Francesca Quadri, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/12/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)