Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 6290, del 22 dicembre 2014
Urbanistica.Pianificazione urbanistica a fini di tutela ambientale

Le pronunce della giurisprudenza di questo Consiglio sull’impiego della pianificazione urbanistica a fini di tutela ambientale non sono il frutto di sparute esigenze processuali. Esse, invece, rappresentano i punti di emergenza di un contenzioso generato dalla necessità di comporre un equilibrio tra esigenze opposte e sovrapposti livelli di governo che, poco rimarcato nel diritto positivo, riemerge nel momento del fatto, quando materialmente l’amministrazione opera il contemperamento degli interessi pubblici e privati. Ed è sintomatico evidenziare come lo strumento tecnico per giungere a questo equilibrio sia la valutazione dell’assetto dimensionale della pianificazione, atteso che, per la tutela dei beni artistici, il piano regolatore generale può recare previsioni vincolistiche incidenti su singoli edifici, configurati in sé quali zone, quante volte la scelta, pur se puntuale sotto il profilo della portata, sia rivolta non alla tutela autonoma dell'immobile ex se considerato ma al soddisfacimento di esigenze urbanistiche evidenziate dal carattere qualificante che il singolo immobile assume nel contesto dell'assetto territoriale e, per la tutela dei beni ambientali, l’esercizio di poteri di pianificazione urbanistica e di autorizzazione edilizia non può non tenere conto del ‘valore ambiente’, al fine di preservarlo e renderne compatibile la conservazione con le modalità di esistenza e di attività dei singoli individui, delle comunità, delle attività anche economiche dei medesimi. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 06290/2014REG.PROV.COLL.

N. 02155/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 2155 del 2014, proposto dal 
Comune di Pescara, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Tommaso Marchese, ed elettivamente domiciliato, unitamente al difensore, presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria n. 2, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

Achille Trave e Trave 2 costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv.ti Osvaldo Prosperi, Marina D’Orsogna e Stefano Gattamelata, ed elettivamente domiciliati presso quest’ultimo in Roma, via di Monte Fiore n. 22, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
Daria Forte, rappresentata e difesa dagli avv.ti Fabio de Massis e Alessio Petretti, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, via degli Scipioni n. 268/A, come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, sezione prima, n. 385 del 19 luglio 2013, resa tra le parti e concernente una variante parziale e specifica del PRG



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2014 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Tommaso Marchese, Marina D'Orsogna in proprio e su delega dell'avvocato Alessio Petretti, Stefano Gattamelata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso iscritto al n. 2155 del 2014, il Comune di Pescara propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, sezione prima, n. 385 del 19 luglio 2013 con la quale è stata dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso n. 488 del 2011, salvi gli effetti della soccombenza virtuale ai fini delle spese, e sono stati accolti i ricorsi n. 249 del 2012 e n. 288 del 2012, rispettivamente proposti per l'annullamento:

- quanto al ricorso n. 488 del 2011 (proposto da Achille Trave e Trave 2 costruzioni s.r.l.): della deliberazione n. 126 del 21 luglio 2011 con la quale il Consiglio Comunale di Pescara ha riadottato la zonizzazione riguardante particelle di comproprietà della società ricorrente con destinazione della sottozona B2; della deliberazione con la quale il Consiglio Comunale di Pescara ha richiesto approfondimenti al Gruppo di lavoro per la rimodulazione delle schede sul patrimonio storico-architettonico della Città di Pescara; del verbale n. 1 del 29 giugno 2011 nel quale il Gruppo di lavoro per la Rivisitazione delle Schede sul patrimonio storico e architettonico della Città di Pescara ha espresso parere relativo al pregio architettonico di Villa Agresti e proposto l'inserimento della stessa nella sezione A1 prevista dalle NTA del PRG vigente; di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale ed esecutivo; nonchè per il risarcimento dei danni patiti dalla parte ricorrente a seguito dell'illegittimo cambio di destinazione urbanistica deciso dall'Ente resistente.

- quanto al ricorso n. 249 del 2012 (proposto da Achille Trave e Trave 2 costruzioni s.r.l.): della deliberazione n. 7 del 23 gennaio 2012 con la quale il Consiglio Comunale di Pescara ha approvato la variante parziale e specifica al vigente Piano Regolatore Generale nella parte in cui prevede il cambio della pregressa destinazione della Sottozona B2 relativa all'area di comproprietà del ricorrente; nonchè per il risarcimento dei danni patiti dalla parte ricorrente a seguito dell'illegittimo cambio di destinazione d'uso dei terreni di sua proprietà.

- quanto al ricorso n. 288 del 2012 (proposto da Daria Forte): della delibera n. 7 del 23 gennaio 2012 con cui il Consiglio Comunale del Comune di Pescara ha approvato la variante specifica e parziale al vigente Piano Regolatore Generale in esecuzione alle sentenze del TAR di Pescara; di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale ed esecutivo; nonchè per il risarcimento dei danni patiti dalla parte ricorrente a seguito dell'illegittimo cambio di destinazione d'uso dei terreni di sua proprietà.

Dinanzi al giudice di prime cure, con il ricorso n. 488 del 2011 Achille Trave, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Trave 2 costruzioni s.r.l., ha impugnato la delibera n.126 del 21 luglio 2011, con la quale il Consiglio comunale di Pescara ha adottato la “variante parziale e specifica al vigente PRG. Esecuzione sentenze Tar”.

Con il ricorso n. 249 del 2012 i medesimi hanno impugnato il successivo atto di approvazione della stessa variante (delibera n. 7 del 23 gennaio 2012), chiedendo la condanna al risarcimento danni in via subordinata.

Con il ricorso n. 288 del 2012, la ricorrente Daria Forte ha impugnato anch’essa la deliberazione n. 7 del 23 gennaio 2012; chiedendo la condanna al risarcimento danni in via subordinata.

Tutti i ricorrenti sono comproprietari di un fabbricato e di un’area di pertinenza di mq 2.128, censiti nel catasto terreni del Comune di Pescara al fg.9 particella 219.

Il Consiglio comunale di Pescara, con deliberazione n.158 del 2010, ha adottato un variante parziale e specifica al PRG riguardante alcune aree, oggetto di pronunciamenti giurisdizionali di questo Tribunale amministrativo, e tra queste appunto l’area in questione.

Per quest’ultima, in particolare, il Consiglio comunale - rilevato che con sentenza n.96 del 2009 questo Tribunale amministrativo aveva annullato per difetto di motivazione la deliberazione di C.C. n.94 del 2007 (variante generale al PRG denominata “piano delle invarianti”), nella parte in cui aveva destinato la particella in questione a zona B1 (conservazione) - ha pianificato detta particella, ormai ritenuta zona bianca per via dell’annullamento della variante generale, come zona B2 (conservazione e recupero), così come già previsto nel PRG previgente.

A seguito della pubblicazione mediante deposito presso la segreteria comunale, ai sensi dell’articolo 10 della L.R. n. 18 del 1983, con riferimento alla particella in esame è pervenuta un’osservazione (1/a) da parte di alcuni privati ed associazioni ambientalistiche, nella quale, richiedendosi una classificazione in sottozona A1 del PRG, sostanzialmente si evidenzia che l’edificio è stato realizzato da Paride Pozzi (ritenuto uno degli architetti più importanti ad aver operato nella città di Pescara), ed avrebbe un sicuro interesse quale testimonianza dell’architettura del dopoguerra, quale tipica “villa di riviera”, e quindi si evidenzia l’esigenza di salvaguardare l’attuale configurazione architettonica dell’edificio ed “il suo discreto rapporto con il mare attraverso l’ampio giardino che lo fronteggia”.

Con deliberazione di C.C. n.126 del 2011, previo accoglimento di un emendamento consiliare di modifica del parere tecnico all’osservazione n.1/a (da “non accoglibile” ad “accoglibile”), il Comune di Pescara ha pertanto deliberato di adottare nuovamente la zonizzazione della particella in questione ponendola nella sottozona A1 (approvando per le parti non modificate la variante adottata con delibera n.158 del 2010).

Con deliberazione di C.C. n.7 del 2012, dunque, il Consiglio comunale ha approvato la variante nella parte riadottata con delibera n.126 del 2011, tra cui appunto la qualificazione come zona A1 (organismi edilizi aventi sostanziale unità tipologica e strutturale, nonché caratteristiche di omogeneità e qualità formale tale da configurarsi come significativa testimonianza di un orientamento stilistico e di una fase storica) della particella n. 219 del foglio 9 (villa Agresti), per cui è causa.

In detta delibera si dà atto altresì del parere del gruppo di lavoro istituito per la “revisione delle schede sul patrimonio storico e architettonico della città di Pescara”, con il quale è stata riconosciuta l’importanza storica ed architettonica dell’edificio (per via dell’architetto che l’ha progettato, della sua supposta integrità rispetto al progetto originario, del suo valore di testimonianza della corrente architettonica denominata razionalismo italiano, del suo particolare rapporto con le linee di costa, per il particolare valore delle finiture tipiche dell’epoca).

All’udienza del 6 giugno 2013 la causa è stata discussa e decisa con la sentenza appellata, redatta in forma semplificata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le censure proposte, sottolineando l’illegittimità dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione all’introduzione di una conformazione edificatoria strettamente funzionale alla mera tutela di beni architettonici.

Contestando le statuizioni del primo giudice, il Comune appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le difese già azionate in prime cure.

Nel giudizio di appello, si sono costituiti Achille Trave, Trave 2 costruzioni s.r.l. e Daria Forte, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza del giorno 8 aprile 2014, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza n. 1528/2014, fissando contestualmente la data dell’udienza di trattazione.

Alla pubblica udienza del 14 ottobre 2014, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. - In via preliminare occorre evidenziare che, non essendo stata autonomamente gravata la pronuncia di improcedibilità data sul ricorso n. 488 del 2011, questa è ora coperta dal giudicato. Del pari, non potrà essere esaminata la domanda risarcitoria proposta da Achille Trave e Trave 2 costruzioni s.r.l., già proposta in prime cure come subordinata e, in quanto tale, non esaminata dal T.A.R. che ha accolto la questione principale, poiché non è stata fatta valere con appello autonomo ed è quindi inammissibile, facendo così porre in ombra ogni considerazione sulla sua genericità.

3. - Venendo alle questioni scrutinabili, va vagliato l’unico motivo di diritto proposto dal Comune di Pescara, con il quale si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge urbanistica, come sostituito dall’art. 1 della legge 16 novembre 1968 n. 1187; dell’art. 9 della legge regionale Abruzzo 12 aprile 1983 n. 18; e di ogni altra norma e principio in materia di pianificazione urbanistica, segnatamente avuto riguardo agli edifici di interesse storico, artistico ed ambientale. In concreto, la difesa comunale, dopo un ampio excursus giurisprudenziale, si sofferma nell’affermare che: “a) la sussistenza di competenze statali e regionali in materia di bellezze naturali non esclude che la tutela di questi stessi beni sia perseguita in sede di adozione e approvazione di uno strumento urbanistico generale, e tanto sulla scorta sia della normativa statale, sia di quella regionale di riferimento; b) gli strumenti urbanistici ben possono recare previsioni vincolistiche incidenti su singoli edifici, quante volte la scelta, pur se “puntuale” nella sua portata, sia rivolta al soddisfacimento di esigenze urbanistiche evidenziate dal carattere qualificante che il singolo immobile assume nel contesto dell’assetto territoriale”. Da tali premesse, ne viene ricavata l’erroneità della decisione del primo giudice, in quanto assunta in violazione dei detti principi.

3.1. - Le doglianze non sono accoglibili, stante l’inapplicabilità delle condivisibili posizioni di principio espresse alla fattispecie de qua.

Osserva il Collegio come il tema oggetto di scrutinio trascenda il limitato ambito della questione sollevata per andare a incidere sui contenuti possibili della pianificazione urbanistica, nei modi e nell’ampiezza che l’evoluzione nel corso degli anni ha determinato, in diritto certamente, ma soprattutto nella realtà della sua concreta attuazione. Ed è, infatti, comune in dottrina la constatazione che gli strumenti pianificatori, in disparte la continuità funzionale e strutturale dei contenuti pur con variabili sostanziali o solo nominative, hanno effettivamente adattato i propri compiti e finalità seguendo l’evolversi del tessuto sociale di riferimento. In questo senso, le proposte di individuare una successione generazionale dei diversi modelli di pianificazione, oltre a tentare una razionalizzazione di esperienze non sempre omogenee e assimilabili, pongono in luce la differenza ontologica tra le ragioni dei piani nella fase del primo ordinamento urbano, di quelli successivi dell’espansione urbana e, infine, di quelli della trasformazione urbana, più vicini all’esperienza attuale.

Il piano regolatore generale (richiamato qui con la denominazione tradizionale, nonostante le differenti denominazioni, a volte non corrispondenti a effettive differenze strutturali, con cui lo strumento principe di pianificazione comunale viene indicato nelle legislazioni regionali) ha quindi assunto coloriture ulteriori, che pongono delicati problemi di equilibrio tra spinte normative opposte. E se, infatti, è vero che si assiste ad una rinnovata centralità della pianificazione comunale, sia per l’affermarsi di soluzioni innovative a problemi profondi del sistema dell’urbanistica (quali quelle, ad esempio, in tema di strumenti perequativi) sia per la sostanziale presa d’atto della necessaria convergenza delle altre pianificazioni settoriali nello strumento più efficace tra quelli gravanti sul territorio, è del pari vero che la ricerca di contenuti ulteriori all’interno del piano regolatore generale deve necessariamente tener conto del livello di governo dal quale lo strumento promana e dei limiti derivanti dall’invasione di spazi normativi altrui, secondo una actio finium regundorum resa ancora più necessaria della riforma del titolo V della Costituzione.

Le pronunce della giurisprundenza (non solo Consiglio di Stato, sez. V, 24 aprile 2013 n. 2265, massicciamente evocata dalle parti, ma anche Consiglio di Stato, sez. IV, 9 gennaio 2014 n. 36, sull’impiego della pianificazione urbanistica a fini di tutela ambientale) non sono quindi il frutto di sparute esigenze processuali. Esse, invece, rappresentano i punti di emergenza di un contenzioso generato dalla necessità di comporre questo equilibrio tra esigenze opposte e sovrapposti livelli di governo che, poco rimarcato nel diritto positivo, riemerge nel momento del fatto, quando materialmente l’amministrazione opera il contemperamento degli interessi pubblici e privati. Ed è sintomatico evidenziare come lo strumento tecnico per giungere a questo equilibrio sia la valutazione dell’assetto dimensionale della pianificazione, atteso che, per la tutela dei beni artistici, il piano regolatore generale può “recare previsioni vincolistiche incidenti su singoli edifici, configurati in sé quali ‘zone’, quante volte la scelta, pur se puntuale sotto il profilo della portata, sia rivolta non alla tutela autonoma dell'immobile ex se considerato ma al soddisfacimento di esigenze urbanistiche evidenziate dal carattere qualificante che il singolo immobile assume nel contesto dell'assetto territoriale” (sentenza n. 2265/2013) e, per la tutela dei beni ambientali, l’esercizio di poteri di pianificazione urbanistica e di autorizzazione edilizia “non può non tenere conto del ‘valore ambiente’, al fine di preservarlo e renderne compatibile la conservazione con le modalità di esistenza e di attività dei singoli individui, delle comunità, delle attività anche economiche dei medesimi” (sentenza n. 36/2014). È cioè l’inserimento della tutela diversificata, ambientale o culturale che sia, in un complesso pianificatorio di effettivo contenuto urbanistico che permette al piano regolatore generale di estendere le sue funzioni in campi normativi ulteriori, operando in via di completamento degli altri livelli di governo.

Con l’implicita conseguenza che, qualora il piano regolatore generale, anziché svolgere valutazioni complessive di area, si limiti ad intervenire con previsioni vincolistiche estranee alla disciplina urbanistica e incidenti su singoli beni, si assiste all’illegittimo travalicamento dei limiti imposti alla pianificazione, che va a ledere le attribuzioni di altri plessi della pubblica amministrazione. In quest’ultimo caso, la pianificazione comunale non agisce come complemento, ma come sostituto delle altre forme di tutela, in maniera ovviamente incompatibile con il riparto di attribuzioni normativamente previsto.

4. - La trasposizione dei detti strumenti concettuali nella vicenda in esame permette agevolmente di dimostrare l’infondatezza dell’appello, proprio perché il Comune di Pescara, agendo in maniera estremamente parcellizzata, è venuto meno al suo onere di valutazione complessiva del distretto in cui andava ad intervenire.

Emerge, infatti, dalla relazione tecnica illustrativa al PRG del 2003, ed è elemento espressamente valorizzato dal primo giudice, che “Pescara non ha un nucleo antico che possa essere considerato un vero e proprio centro storico, eccezion fatta per la zona di porta Nuova a ridosso del fiume, ma piuttosto alcuni complessi di edifici o singoli edifici disseminati sul territorio che per il loro valore storico-architettonico sono meritevoli di salvaguardia”; e che pertanto “la valutazione di importanza degli oggetti architettonici dovrà quindi andare oltre il semplice parametro della qualità formale o della integrità tipologica, ma dovrà anche collegarsi alla capacità di un dato edificio o gruppo di edifici di restituire l’immagine della città antica…in omaggio alla memoria storica ed in coerenza con i criteri ispiratori del Piano…Questo spiega perché, nell’indagine direttamente condotta sul tessuto edilizio, siano stati ritenuti meritevoli di segnalazione – e quindi di tutela – anche edifici, in sé, di scarsa o nulla qualità architettonica, ma capaci per numero, vicinanza e mutue relazioni di rappresentare frammenti di quell’ambiente urbano la cui immagine tradizionale si vuol cercare di salvaguardare”. La già difficilmente condivisibile ricostruzione pulviscolare del concetto di centro storico è stata poi integrata da una considerazione parimenti parziale delle caratteristiche dei beni presenti nel territorio del Comune, atteso che, invece che una ricognizione di tipo generalizzante, si è proceduto in modo individualizzante, con riferimento alle caratteristiche storico - architettoniche del singolo specifico bene.

Si è così determinata l’elusione del potere di conformazione urbanistica del territorio, che si è così trasformato nella decisione di vincolare un bene specifico in ragione del suo supposto pregio storico-architettonico, con palese violazione delle attribuzioni spettanti allo Stato e, per esso, al Ministero per i beni e le attività culturali. Dal punto di vista poi dello statuto della proprietà privata, tale azione ha portato lo stravolgimento del concetto stesso di vincolo che, superando i poteri conformativi dell’amministrazione comunale, valevoli nei casi di incisione su una generalità indifferenziata di beni, si è trasformato in un limite puntuale alla proprietà privata, oltre gli ambiti normativamente concessi al Comune e finalizzati all’espropriazione.

Non si può quindi che condividere la valutazione del primo giudice in merito alla mancata considerazione del bene immobile “come parte di una zona omogenea del territorio comunale, atteso che tutte le considerazioni in esso espresse sono sbilanciate in favore di una centralità dell’esigenza di salvaguarda del valore storico e artistico dell’edificio, funzioni che viceversa esulano dal potere di conformazione urbanistica e che pertanto sono affidate istituzionalmente alla cura di altre autorità”, con palese violazione del riparto di competenze in materia di riconoscimento e tutela dei valori storici, artistici ed architettonici.

5. - L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla oggettiva novità della questione decisa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 2155 del 2014;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 ottobre 2014, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/12/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)