Il decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69 e s.m.i. cosiddetto Salva Casa
(Terzo scritto di approfondimento)
di Massimo GRISANTI

Segue i primi due scritti d’approfondimento pubblicati su Lexambiente i giorni 12 e 13 agosto 2024, dedicati alle modificazioni degli articoli 2-bis e 6 del Testo unico dell’edilizia.
In questo terzo vengono analizzate le modificazioni all’art. 9-bis t.u.e.
    3. Sulle modificazioni all’art. 9-bis (Documentazione amministrativa e stato legittimo degli immobili) del Testo unico dell’edilizia.
        3.1. In generale.
            3.1.1. Ai fini dello stabilire lo «stato legittimo» dell’immobile o dell’unità immobiliare, ovverosia la rispondenza di quanto esistente al titolo edilizio, il legislatore si è riferito ad EFFICACI titoli abilitativi visto che l’oggetto della certificazione è l’INTERVENTO edilizio, giammai l’intenzione progettuale fissata in disegni e relazioni portati all’esame degli enti pubblici. Ciò che non è attestabile come «stato legittimo» integra ABUSO EDILIZIO.
Nelle valutazioni da compiere per l’attestazione dello «stato legittimo» vi rientrano – senza pretesa di elencazione esaustiva e secondo il principio tempus regit actum e sulla scorta di un aggiornato rilievo dello stato dei luoghi – quelle di verifica:
    a) della decadenza del permesso/concessione/licenza, non solo per mancato rispetto dei termini di inizio e fine dei lavori, ma anche per il caso di entrata in vigore di disposizioni urbanistico-edilizie con esse contrastanti;
    b) della debenza e dell’esistenza della licenza edilizia per le opere la cui costruzione è iniziata prima del 1° settembre 1967, sia in ragione della nozione di abitato, sia in ragione dell’obbligo di munirsi di titolo abilitativo prescritto dai regolamenti edilizi comunali adottati anche prima dell’entrata in vigore della Legge Urbanistica [cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 217/2022: “… Inoltre, l’obbligo di previa autorizzazione alla costruzione poteva essere disposto dal regolamento edilizio comunale, emanato in esecuzione della potestà regolamentare attribuita ai comuni nella materia edilizia dai testi unici della legge comunale e provinciale susseguitisi nel tempo: regio decreto 10 febbraio 1889, n. 5921 (Che approva il testo unico della legge comunale e provinciale), regio decreto 21 maggio 1908, n. 269 (Che approva l’annesso testo unico della legge comunale e provinciale), regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148 (È approvato l’annesso nuovo testo unico della legge comunale e provinciale) …”]. I funzionari dovranno verificare, anche nei loro archivi storici, l’esistenza di regolamenti edilizi e/o d’igiene e/o di polizia urbana o rurale, adottati all’indomani dell’Unità d’Italia; mentre gli interessati dovranno dimostrare l’epoca di costruzione dello stabile;
    c) della debenza e dell’esistenza dell’autorizzazione paesaggistica, ricordando che l’obbligo di munirsene, per i beni dichiarati di notevole interesse pubblico, decorre dal momento in cui la PROPOSTA di vincolo paesaggistico è pubblicata all’albo pretorio comunale (v. ex plurimis Corte costituzionale, n. 262/1997), sovente precedente di mesi, se non di anni, la formazione, emanazione e pubblicazione del decreto ministeriale sulla Gazzetta o Bollettino ufficiali della Repubblica o della Regione, il quale conferma la tutela interinale già accordata;
    d) della debenza e dell’esistenza dell’autorizzazione storico-culturale, ricordando che l’obbligo di munirsene sussiste anche per le opere che vengono previste e realizzate in aderenza ai beni culturali (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 4314/2017), quali sono anche le strade pubbliche da oltre settanta anni per le quali non è stata accertata l’inesistenza del valore culturale;
    e) dell’esistenza della denuncia del progetto delle opere strutturali in cemento, semplice o armato, nonché in metallo, presso le prefetture e poi gli uffici del genio civile; obbligo sussistente, per quelle in cemento, dall’11.11.1927, giorno di pubblicazione della Gazzetta ufficiale n. 261 del Regno d’Italia del regio decreto-legge 4 settembre 1927, n. 1981, al cui art. 4 della Parte II contemplava l’obbligo di deposito alla prefettura del progetto dell’opera prima dell’inizio dei lavori;
    f) dell’esistenza dell’autorizzazione del Genio civile, poi della Regione, prescritta dall’art. 2 L. 1684/1962, oggi art. 61 t.u.e., per eseguire interventi eccedenti la manutenzione ordinaria e le rifiniture su immobili posti in territori da consolidare o consolidati dallo Stato o dalle Regioni;
    g) dell’esistenza dell’autorizzazione a sopraelevare prescritta dall’art. 14 L. 64/1974, oggi art. 90 t.u.e.;
    h) dell’esistenza della denuncia delle opere in zona sismica – per quelle di bassa sismicità, le quali, dopo l’O.P.C.M. 3274/2003 e fino alle modifiche apportate al t.u.e. con le disposizioni dell’art. 94-bis, sono soltanto le zone sismiche 4: vedi ex plurimis Suprema Corte di cassazione, sez. 3 penale, sentenza n. 56040/2017 (Pres. Fiale, Rel. Liberati, Imp. D’Alessio e Di Franco) – all’ufficio tecnico regionale;
    i) dell’esistenza dell’autorizzazione per le opere eseguite in zona sismica, oggi art. 94 t.u.e., diverse da quelle di bassa sismicità – vedi sopra per la particolarità della classificazione di zona sismica a bassa sismicità all’indomani dell’O.P.C.M. 3274/2003 – che per taluni territori l’obbligo di munirsene inizia a decorrere dal 30.12.1924 ossia il giorno in cui fu pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 303 del Regno d’Italia il regio decreto-legge 23 ottobre 1924, n. 2089, recante “Norme tecniche ed igieniche di edilizia per le località colpite dal terremoto”, al cui art. 44 la contemplava in forma scritta e preventiva da rendersi a cura del Genio civile.
    j) dell’esistenza dell’autorizzazione di svincolo idrogeologico, la quale non può essere rilasciata del tipo a sanatoria perché espressamene qualificata dal legislatore di natura preventiva (v. ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 9983/2023).
E deve pure verificare, chi effettua gli accertamenti, che il titolo abilitativo promanante dalla pubblica amministrazione, a firma del funzionario, non sia NULLO ex art. 6, comma 2, del decreto-legge 293/1994 e s.m.i. per essere stato adottato da un organo decaduto: quod nullum est, nullum producit effectum. E l’evenienza è tutt’altro che peregrina, visto che sovente i sindaci, su cui ricade l’obbligo di ricostituire gli organi dirigenziali decaduti, confondono la scadenza del loro mandato; quindi, di quello del dirigente a cui è stato conferito l’incarico ex art. 109 t.u.e.l., con l’ultrattività dell’esercizio delle loro funzioni fino alla proclamazione del nuovo primo cittadino.
È bene che le pubbliche amministrazioni inizino ad attrezzarsi per un’attività, quella di verifica e attestazione dello «stato legittimo», che sarà, prevedibilmente, una parte considerevole del carico di lavoro degli uffici. Un poco come è accaduto con l’avvento dell’accesso documentale. E ciò perché, entrambe, sono attività essenziali per formare il quadro conoscitivo dell’immobile dal quale partire per ogni considerazione progettuale e/o d’istruttoria o dichiarazione di garanzia contrattuale.
Siccome ciò comporta assunzione di responsabilità, non è peregrino che ciò determinerà, direttamente o indirettamente, un rallentamento dell’attività istituzionale, così ottenendo, colui che ha voluto il provvedimento legislativo, l’effetto opposto a quello propagandisticamente sbandierato.
            3.1.2. È necessario ricordare come a più riprese la Corte costituzionale abbia statuito – a partire dalla sentenza n. 529/1995, resa riguardo al piano urbanistico-territoriale della penisola sorrentino-amalfitana, ove è scritto “… è sufficiente, al riguardo, rilevare che gli edifici di cui si tratta, suscettibili di interventi, sono quelli legittimamente esistenti, e, ovviamente, devono essere regolarmente  assentiti  (fin dall’origine o con valido condono in sanatoria), dal  punto di vista urbanistico, non potendo trattarsi di costruzioni abusive. Ove esistano speciali vincoli, devono poi essere assistiti dalle specifiche autorizzazioni e pareri, ove richiesti. Ciò in quanto, in caso diverso, l’autorità amministrativa competente sarebbe tenuta agli interventi repressivi e sanzionatori, ed in nessun caso potrebbe procedere all’esame di istanze dirette ad abilitazioni per opere di restauro o di manutenzione di edificio esistente, che presuppongono necessariamente una preesistente licenza o concessione edilizia, valida ed operante all’epoca della costruzione, e non oggetto di successivi interventi repressivi o di annullamento, accompagnata da tutte le eventuali autorizzazioni o pareri prescritti in caso di vincolo …” – che la nozione di «stato legittimo» ex art. 9-bis t.u.e. dell’immobile è a doppio binario:
a) nel primo scorre il vagone dei titoli abilitativi preventivi e quelli a sanatoria ex artt. 36 e 37 t.u.e., oggi caricato anche di quelli di cui alla casistica ex comma 1-bis, secondo e terzo periodo. Non a caso, al comma 1-bis il legislatore comprende tra i titoli – con elencazione non esaustiva, invero al limite dell’ingannevole, v. infra al punto 3.1.5, ovviamente senza intenzioni perché le norme sono rivolte essenzialmente ad operatori professionali – quelli «rilasciati o formati in applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 34-ter, 36, 36-bis e 38», MA NON QUELLI in applicazione delle leggi dei tre condoni edilizi;
b) nel secondo scorre il vagone dei titoli di condono edilizio ai sensi delle leggi 47/1985 e 724/1994 nonché del decreto-legge 269/2003 e s.m.i.
E ciò per il motivo che “… Dalla limitata portata delle sanatorie straordinarie si ricava che l’immobile che ne è oggetto non può giovarsi delle normative che riconoscono vantaggi edilizi che esorbitino dagli interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria, e di ristrutturazione finalizzati alla tutela dell’integrità della costruzione e alla conservazione della sua funzionalità …”, così in ultimo nella sentenza n. 142/2024, che replica, in parte qua, quanto già statuito nelle sentenze n. 42/2023 e n. 24/2022.
Sicché, già dubitabile il fatto che sia eseguibile il miglioramento della funzionalità dell’immobile, i condonati edificio o unità immobiliare non possono esser fatti oggetto, nemmeno dietro specifiche previsioni degli strumenti urbanistici comunali, di interventi da cui scaturisce l’effetto del mutamento della destinazione d’uso edilizia – visto che quest’ultima è un elemento che connota la costruzione (cfr. in ultimo Suprema Corte di cassazione, sez. III penale, n. 30952/2024, Pres. Ramacci, Rel. Galanti, Imp. Bouazza) – né eccedenti la ristrutturazione edilizia conservativa.
È assai probabile che siano migliaia gli immobili condonati che già siano stati trasformati illegittimamente nei sensi di cui sopra.
            3.1.3. È altrettanto necessario ricordare che non possono essere creati per prassi amministrativa o per via giurisprudenziale i poteri di sanatoria edilizia amministrativa – occorrendo sempre, a tale scopo, una espressa previsione legislativa – pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l’invasione della sfera del legislatore (cfr. tra le tante Cons. Stato, sez. VI, n. 207/2022 e n. 6048/2018).
            3.1.4. Ebbene, nel caso di specie con le disposizioni dell’art. 9-bis siamo dinanzi a una congerie di surrettizie straordinarie sanatorie edilizie, essendo tali – giusto l’insegnamento della Corte costituzionale reso nelle sentenze n. 73/2017 e n. 233/2015 – quelle che mutatis mutandis assicurano, anche semplicemente, alcuni degli effetti tipici del condono edilizio, quali: la conservazione nella mano privata del patrimonio edilizio abusivo e definire consistenze legittime dal punto di vista urbanistico-edilizio quelle prive della cosiddetta doppia conformità (già) ex art. 36 t.u.e.
            3.1.5. Non bastasse, forse qualche disattento lettore del Salva-casa non ha adeguatamente considerato che il Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 3006/2023 ha statuito che “… proprio in base al tenore testuale dell’art. 9 bis, commi 1 e 1 bis, del d.P.R. 380 del 2001 … l’accertamento dello stato legittimo dell’immobile sul quale debbano essere autorizzati ulteriori lavori valga per il rilascio di tutti i titoli di cui al medesimo t.u. edilizia – compresi quelli relativi alla normativa tecnica di cui alla parte II del medesimo t.u. (fra cui quelli concernenti la disciplina antisismica, sul conglomerato cementizio, sulle barriere architettoniche) - …”. Ovviamente, secondo il principio del tempus regit actum.
Di talché, non è detto che un intervento che oggi è ammissibile senza titolo abilitativo promanante dalla pubblica amministrazione, o la sua ficto iuris, lo fosse stato anche momento rilevante ai fini degli interessi pubblici tutelati (la licenza edilizia al momento del rilascio; al momento dell’inizio dei lavori per il deposito del progetto strutturale o l’autorizzazione sismica o l’autorizzazione a sopraelevare o l’autorizzazione per intervenire in abitati franosi).
Inoltre, proprio in ragione del fatto che i titoli abilitativi sono adottati o detenuti da organi di diverse pubbliche amministrazioni (comune, regione, soprintendenza ecc.) ognuna di esse è tenuta ad attestare un parziale «stato legittimo» secondo gli interessi pubblici da loro curati: così arrivando ad ottenere, il cittadino, un’attestazione conclusiva per collazione.
            3.1.6. Ma andiamo per ordine.
        3.2. In particolare, i primi tre periodi del comma 1-bis.
            3.2.1. Per agevolare la comprensione dei rilievi critici riporto i primi tre periodi: “Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa o da quello, rilasciato o assentito, che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare, a condizione che l’amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Sono ricompresi tra i titoli di cui al primo periodo i titoli rilasciati o formati in applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 34-ter, 36, 36-bis e 38, previo pagamento delle relative sanzioni o oblazioni. Alla determinazione dello stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare concorrono, altresì, il pagamento delle sanzioni previste dagli articoli 33, 34, 37, commi 1, 3, 5 e 6, e 38, e la dichiarazione di cui all’articolo 34-bis.”.
            3.2.2. Seppur nella nozione di titolo legittimante la costruzione vi rientri anche il provvedimento di condono edilizio, in quest’ultimo caso il titolo abilita solo l’esecuzione di lavori di CONSERVAZIONE di quanto ivi cristallizzato. Quindi, il condono edilizio è un atto giuridico che, per gli interventi successivi, ha una ridotta efficacia abilitante. Proseguiamo oltre.
            3.2.3. I primi due titoli presi in esame dal legislatore, quali atti idonei a stabilire lo «stato legittimo», sono soltanto quelli di nuova costruzione, nella forma di un fabbricato ex novo oppure di un suo ampliamento, giammai quelli di modificazione di quanto già costruito.
            3.2.4. Il terzo, invece, è ovviamente diverso dai primi due e riguarda il caso per il quale sia stata effettuata attività edilizia su un immobile o unità immobiliare già esistente.
Il legislatore ha espressamente previsto che sia «rilasciato»: sono tali solo i permessi di costruire o a sanatoria, purché sia stata effettuata, prima del rilascio, la verifica della legittimità dei titoli pregressi.
Inoltre, ha previsto che sia anche quello «assentito»:
    a) non lo sono la relazione asseverata ex art. 26 L. 47/1985, la denuncia di inizio attività ovvero la segnalazione certificata di inizio attività, anche a sanatoria ex art. 37 t.u.e., perché sono atti oggettivamente e soggettivamente privati – vedasi Cons. Stato, adunanza plenaria, n. 15/2011, ove riguardo alla particolare natura del silenzio significativo negativo ebbe così a esprimersi: “… Detto silenzio significativo negativo si differenzia dal silenzio accoglimento (o assenso) di cui all’articolo 20 della legge n. 241/1990 perché si riferisce al potere inibitorio mentre il silenzio assenso presuppone la sussistenza di un potere ampliativo di stampo autorizzatorio o concessorio che nella specie si è visto non ricorrere. Ne consegue che mentre nel silenzio assenso il titolo abilitativo è dato dal provvedimento tacito dell’autorità, nella fattispecie in esame il titolo abilitante è rappresentato dall’atto di autonomia privata che, grazie alla previsione legale direttamente legittimante, consente l’esercizio dell’attività dichiarata senza il bisogno dell’intermediazione preventiva di un provvedimento amministrativo …” – rispetto ai quali i poteri esercitati dalla pubblica amministrazione mai sono di natura abilitativa, ma solo inibitoria o repressiva. Quindi, non sono idonei a stabilire lo «stato legittimo», a prescindere dalla verifica della pubblica amministrazione sui titoli pregressi.
    b) lo è la ficto iuris del silenzio assenso sull’istanza di permesso di costruire, purché il responsabile del procedimento abbia effettuato l’istruttoria ex art. 6 L. 241/1990 e sia rimasta evidenza scritta delle risultanze dell’espletamento del proprio compito di valutazione delle condizioni di ammissibilità, dei requisiti di legittimazione e dei presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento.
            3.2.5. Sennonché, la verifica della legittimità dei titoli pregressi, compito già previsto dall’art. 36 t.u.e., apre un ventaglio di plurime circostanze che si pareranno davanti al responsabile del procedimento:
    a) deve essere effettuata la discovery di tutti i titoli edilizi interessanti l’edificio o l’unità immobiliare ossia quello di prima costruzione e quelli di tutti gli altri abilitanti interventi parziali. Si noti bene, la verifica da condurre non riguarda solo la conformità di quanto eseguito rispetto al titolo edilizio, bensì, prima di tutto, la conformità del titolo al complesso della disciplina urbanistico-edilizia. Nel caso in cui il titolo rilasciato o assentito fosse illegittimo, la pubblica amministrazione è tenuta a adottare un provvedimento di accertamento negativo;
    b) deve essere accertata l’avvenuta formazione del silenzio assenso, tenendo conto di tutte le varie casistiche portate alla luce dalla giurisprudenza amministrativa: a partire dalla falsa rappresentazione, o meno, delle circostanze rilevanti; passando per verificare la presenza di elementi essenziali del progetto, incidenti sulla completezza della domanda; per arrivare alla vexata quaestio, ancora irrisolta, da anni, dal Consiglio di Stato nella forma prescritta del pronunciamento in adunanza plenaria, della possibilità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 2082/2024; sez. VI, sentenza n. 864/2024), o meno (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 7025/2024; sez. IV, sentenza n. 2487/2024), che il silenzio assenso si formi in assenza dei presupposti sostanziali prescritti dalla disciplina urbanistico-edilizia per il conseguimento del titolo abilitativo. L’attendismo del Consiglio di Stato nel sollevare a sé la risoluzione del contrasto è sconcertante perché è un chiaro indice della scarsa considerazione che i Giudici amministrativi nutrono per gli operatori del settore seppur sia acclarata l’incertezza del diritto in cui devono muoversi: uno scollamento che non ha eguali nella storia della disciplina edilizia e che rende impossibile anche la contestazione penale del falso ideologico.
La cosa, chiunque è in grado di comprenderlo, delicata è: il finale e la morale non potranno che essere quelli della favola di Hans Christian Andersen «I vestiti nuovi dell’imperatore».
Non si riattiva l’attività edilizia con provvedimenti spot, consentendo che sia addossato ai professionisti pubblici e/o privati l’onere in mancanza di un chiaro quadro regolatorio in ispecie sul valore della ficto iuris del silenzio.
        3.3. In particolare, il richiamo alle disposizioni del nuovo articolo 34-ter.
            3.3.1. Si anticipa che sono ben tre i presupposti dell’applicabilità delle disposizioni del nuovo articolo 34-ter t.u.e., primo comma:
    a) che fosse efficace la licenza edilizia rilasciata prima dell’entrata in vigore della L. 10/1977, prima che le variazioni apportate in corso d’opera al progetto edilizio fossero state eseguite; cosicché i pareri, autorizzazioni e adempimenti previsti da discipline settoriali a tutela di speciali vincoli (paesaggistico, storico-culturale, idrogeologico, idraulico, sismico ecc.) dovevano essere stati eseguiti prima dell’esecuzione della variante in corso d’opera, rimanendo così da conseguire, quando la violazione edilizia è avvenuta, solo il titolo edilizio comunale a variante; 
    b) che le opere realizzate in variante rispetto al progetto autorizzato siano state eseguite entro il 31 dicembre 1985, termine di ultimazione delle opere stabilito dall’articolo 18 della L. 10/1977 e prorogato più volte, in ultimo dal decreto-legge 747/1983;
    c) che per l’appunto lo scostamento tra l’eseguito e l’autorizzato non sia sussumibile nei concetti di variazione essenziale e di totale difformità.
Mentre il quarto comma del neo art. 34-ter ha un ambito di applicazione diverso perché non ancorato alle licenze edilizie rilasciate prima della cosiddetta legge Bucalossi e circoscritto ai casi in cui i pubblici ufficiali avevano accertato l’abuso edilizio di parziale difformità, ma ad esso non è conseguita l’ingiunzione di demolizione.
            3.3.2. Nello scritto specificamente dedicato all’art. 34-ter approfondirò l’esame delle nuove disposizioni.
        3.4. In particolare, le disposizioni del comma 1-ter.
            3.4.1. Le disposizioni del comma 1-ter sono invero di difficile interpretazione, direi cervellotiche per non dire inapplicabili così come formulate, per i seguenti motivi.
            3.4.2. In una nuova costruzione le entità ex art. 1117 Codice civile non nascono comuni, bensì lo diventano dopo che il costruttore aliena per la prima volta una porzione del fabbricato. Quindi sino a tale momento non si può parlare di difformità insistenti sulle parti condominiali perché non esiste condominio.
            3.4.3. Se invece il richiamo alle entità comuni dell’art. 1117 c.c. è stato fatto a titolo figurativo è impossibile evitare di far notare che tali entità direttamente influenzano la consistenza delle unità immobiliari perché di esse ne costituiscono il guscio. Cosicché dalla loro variazione è variata anche l’unità immobiliare: per conformazione; per entità della superficie e/o del volume; per rapporto aeroilluminante; per coefficiente di dispersione termica ecc.
Non bastasse, siccome nel concetto di edificio non sono incluse le pertinenze (impianto di ascensore, sistema fognario ecc.) – vedi anche le definizioni dell’Intesa del 20 ottobre 2016 per la formazione del regolamento edilizio tipo – ecco che secondo le disposizioni del comma 1-ter le difformità di tali pertinenze mai rilevano ai fini dello «stato legittimo» siccome non contemplate. E ciò assolutamente non è ragionevole perché esse determinano le condizioni ex art. 24 t.u.e. di agibilità dell’edificio e delle relative unità immobiliari.
Se accettassimo le irragionevoli conseguenze dell’interpretazione letterale delle disposizioni arriveremmo al paradosso che verrebbero alienate unità immobiliari “legittime” di sconosciuta sicurezza statico-sismica, igienicità e salubrità, efficienza energetica ecc. E ciò sarebbe manifestamente contrario alla finalità della disciplina urbanistico-edilizia ossia quello di utilizzare il territorio e le sue risorse dimodoché il costruito sia agibile.