Buona fede, affidamento ed invalidità dell’atto amministrativo in materia urbanistica ed edilizia 
di Nicola DURANTE 

Pubblicazione Ufficio Studi della Giustizia Amministrativa

Premessa

Nel diritto privato, si distingue tra buona fede in senso soggettivo ed in senso oggettivo.

La buona fede in senso soggettivo è lo stato psicologico di chi ignora di ledere l’altrui diritto .

La buona fede in senso oggettivo è una regola di condotta etico-sociale, cui le parti di un rapporto giuridico devono necessariamente conformarsi, stante il suo valore di fonte legale integrativa dell’oggetto delle rispettive obbligazioni[1]. Essa si sostanzia in un obbligo di correttezza e lealtà e comporta il divieto di suscitare consapevolmente falsi affidamenti e di contestare ragionevoli affidamenti, nonché, in un generale, l’obbligo di preservare l’interesse della controparte fino al limite dell’apprezzabile sacrificio.

Il legittimo affidamento è la posizione giuridica, tutelata dall’ordinamento, di chi versa in una situazione di buona fede, per avere incolpevolmente confidato sulla conformità di una determinata situazione alla realtà fattuale ed alle regole del diritto[2].

Anche il diritto dell’Unione Europea offre protezione all’affidamento, quale corollario del principio di certezza del diritto, il quale “impone, segnatamente, che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare qualora esse possano avere conseguenze sfavorevoli sugli individui e sulle imprese”[3].

Nel diritto amministrativo, l’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990 prescrive che “i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”[4].

Tali due princìpi – riconducibili a quello generale di buona andamento di cui all’art. 97 Cost. – insieme al canone di legalità nel perseguimento dell’interesse pubblico [5] compongono un quadro di certezza giuridica, idoneo a favorire la libera iniziativa privata, attraverso la tutela dell’aspettativa al mantenimento nel tempo dei rapporti giuridici[6].

Trattandosi di princìpi informatori dell’azione amministrativa, la violazione della buona fede e del legittimo affidamento conduce all’annullamento dell’atto amministrativo per violazione del richiamato art. 1, comma 2-bis,

Altra e diversa questione è invece quella in cui buona fede ed affidamento incolpevole si configurano come situazioni giuridiche tutelate pur a fronte di provvedimenti legittimamente adottati dalla P.A., la quale abbia nondimeno posto in essere comportamenti scorretti in danno del privato.

In tali casi, il provvedimento è immune da vizi caducanti, ma l’amministrazione è tenuta a risarcire il danno causato, a determinati limiti e condizioni[7].

Buona fede, affidamento, invalidità ed attività urbanistica

In linea di massima[8], la materia urbanistico-edilizia mal si presta all’affermazione del principio di buona fede ed alla tutela dell’affidamento incolpevole, e ciò per tre ordini di ragioni.

Anzitutto, perché è retta dal confliggente principio di stretta legalità, in base al quale l’attività edificatoria si attua nel rigido solco tracciato da norme universali (le leggi ed i regolamenti) e speciali (gli strumenti urbanistici e le norme tecniche di attuazione).

Poi perché, di regola, la natura di atto generale propria del piano regolatore esenta la P.A. dall’obbligo di motivare le scelte urbanistiche ivi effettuate, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della legge n. 241 del 1990, secondo cui “la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale”[9].

Infine, per via dell’alta discrezionalità che connota l’azione amministrativa, la quale si manifesta in scelte afferenti non soltanto all’organizzazione edilizia del territorio, bensì anche al più vasto e comprensivo quadro delle possibili opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico[10].

Dalla natura latamente discrezionale discende che al G.A. è consentito di esercitare il sindacato sull’eccesso di potere nei rigorosi limiti della manifesta irragionevolezza o del travisamento del fatto[11].

In questo scenario, un ruolo determinante per la salvaguardia delle posizioni private lo gioca la tutela del legittimo affidamento: in costanza di esso, infatti, l’obbligo di fornire una motivazione specifica, generalmente sacrificato nella scelta urbanistica, si riespande.

La buona fede e l’affidamento, tuttavia, per esistere, presuppongono un atto od un comportamento della P.A. che abbia ingenerato nel privato un’aspettativa legittima all’edificazione.

I principali atti fondativi di un legittimo affidamento sono la convenzione di lottizzazione e l’accordo di diritto pubblico o privato[12].

In particolare, un affidamento tutelabile, cui si correla l’obbligo di motivare la scelta pianificatoria, è stato ritenuto sussistente laddove il Comune abbia venduto al privato un immobile avente, al tempo della stipulazione del contratto, una disciplina urbanistica più favorevole di quella introdotta dell’attività pianificatoria sopravvenuta. Ed invero, benché il contratto non contempli limiti alla successiva attività di conformazione e trasformazione del territorio, ugualmente l’affidamento del privato alla precedente destinazione urbanistica è stato considerato legittimo, in quanto maturato in presenza di una serie di concomitanti circostanze, idonee a far sorgere e consolidare la fiducia, il convincimento e l’aspettativa sulla persistente volontà dell’ente di procrastinare il regime edilizio esistente al momento della vendita[13].

Tra i comportamenti idonei a radicare l’obbligo di puntuale motivazione della scelta urbanistica, la giurisprudenza inserisce le fattispecie dell’assegnazione di una destinazione agricola ad un’area limitata interclusa da fondi legittimamente edificati e del sovradimensionamento delle aree standard rispetto ai parametri del D.M. n. 1444 del 1968.

Viceversa, nessuna protezione riceve la semplice aspettativa ad una destinazione migliorativa o non peggiorativa del proprio terreno[14].

L’affidamento del privato può sorgere anche dall’esistenza di una sentenza passata in giudicato avente ad oggetto l’annullamento di un permesso di costruire, di un diniego di esso, o di un silenzio-rifiuto formatosi su una domanda di permesso di costruire, cui la P.A. deve ottemperare.

In tal caso, la tutela che l’ordinamento appresta in favore del ricorrente vittorioso consiste nel considerare come inutiliter datae le modifiche peggiorative dello strumento urbanistico [15] e addirittura quelle normative[16], intervenute dopo la notifica della sentenza passata in giudicato, a nulla rilevando che l’annullamento sia stato disposto per motivi formali o sostanziali[17].

Non solo, ma anche a fronte di variazioni ritualmente sopravvenute (perché antecedenti al formarsi del giudicato od alla sua notifica), l’interessato vanta una posizione di affidamento, che si traduce nell’interesse pretensivo ad ottenere una deroga che, compatibilmente con l’interesse pubblico, recuperi, in tutto o in parte, la previsione urbanistica considerata nella decisione giurisdizionale[18].

Buona fede, affidamento, invalidità ed attività edilizia

Anche in edilizia i margini per un legittimo affidamento sono estremamente ridotti.

Ogni immobile, infatti, possiede uno “stato legittimo”, la cui modifica senza titolo determina un abuso, reprimibile col ripristino o con sanzione patrimoniale, a seconda della sua gravità.

Lo stato legittimo è una condizione permanente del bene[19], che si ricava dai titoli edilizi rilasciati e, per le opere antecedenti all’obbligo della licenza edilizia, dalle informazioni catastali di primo impianto o da altri documenti probanti.

Una volta accertata l’illecita modifica dello stato legittimo, l’amministrazione ha il potere/dovere di sanzionarla, allegando la mera rappresentazione del carattere illecito dell’opera e senza necessità di motivare specificamente sull’interesse pubblico sotteso e sull’affidamento della parte privata, in quanto la selezione e la ponderazione degli interessi coinvolti è già stata compiuta a monte dal legislatore[20].

In un siffatto sistema, in cui la sanzione segue meccanicamente l’abuso, l’affidamento incolpevole non si configura neppure quando l’ingiunzione interviene a distanza di moltissimo tempo dalla realizzazione dell’illecito, ovvero quando l’attuale titolare del bene non è il responsabile dell’abuso, avendo acquistato il bene senza intenti elusivi[21].

Un’opinione diversa si registra, però, da parte della Corte dei diritti dell’uomo, la quale qualifica la demolizione “come una pena ai fini della Convenzione”, in quanto tale “soggetta al requisito del ragionevole tempo”, che va fatto decorrere dalla data del “verbale di contestazione della illegittimità”.

In tal modo, è stato ritenuto in contrasto con l’art. 6, § 1, della Convenzione, un procedimento di accertamento e condanna avente ad oggetto la demolizione di un abuso edilizio “durato tra otto e nove anni per tre gradi di competenza, tra cui più di cinque anni nella fase di indagine, che, tuttavia, non era particolarmente complessa”[22].

Anche in edilizia, affinché possa sorgere un legittimo affidamento, è necessario che la buona fede del privato sia stata ingenerata da uno atto o da un comportamento, attivo od omissivo, della P.A.

Questo accede certamente dopo che sono decorsi 30 giorni dalla presentazione della SCIA o della DIA, poiché l’art. 19 della legge n. 241 del 1990 fa divieto alla P.A. di intimare l’inibizione o la rimozione dell’attività edilizia senza prima aver proceduto secondo le forme dell’autotutela decisoria e, quindi, in assenza di una adeguata motivazione sulla prevalenza dell’interesse pubblico alla rimozione rispetto all’affidamento alla stabilità dell’opera creato nel privato a cagione del ritardato intervento[23].

La giurisprudenza più recente ha esteso analogicamente anche alla CILA l’obbligo di intervenire entro 30 giorni, decorsi i quali occorre procedersi in autotutela decisoria.

Secondo un primo orientamento, infatti, vertendosi in tema di attività edilizia libera, l’indebito utilizzo della CILA consente in ogni momento l’applicazione della sanzione, senza dover passare attraverso la fase dell’autotutela decisoria[24].

Più di recente, però, altro filone ha posto l’accento sulla tutela della buona fede e dell’affidamento, osservando come “la mancata previsione di sistematicità dei controlli rischia di tradursi in un sostanziale pregiudizio per il privato, che non vedrebbe mai stabilizzarsi la legittimità del proprio progetto, di talché la presentazione della CILA, considerata anche la modesta entità della sanzione per la sua omissione, avrebbe in sostanza l’unico effetto di attirare l’attenzione dell’amministrazione sull’intervento, esponendolo ad libitum, in caso di errore sul contesto tecnico-normativo di riferimento, alle più gravi sanzioni per l’attività totalmente abusiva, che l’ordinamento correttamente esclude quando l’amministrazione abbia omesso di esercitare i dovuti controlli ordinari di legittimità sulla SCIA o sull’istanza di permesso”.

Per tale ragione, è stata preferita una ricostruzione “che ha inteso mutuare in subiecta materia i princìpi via via consolidatisi con riferimento alla separazione tra autotutela decisoria ed esecutiva in materia di SCIA o DIA”[25].

Del tutto diverso dai precedenti è il caso del provvedimento che dichiara l’inefficacia della SCIA[26], della DIA [27] o della CILA presentata per un’opera soggetta a permesso di costruire e ne ordina la demolizione, che non è espressione di un potere di autotutela, ma assume valore semplicemente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile. L’amministrazione, infatti, nel ricevere la dichiarazione unilaterale del privato, non la avalla, di modo che l’errore sui requisiti oggettivi di questa non può comportare alcun affidamento per chi la rende[28].

La tutela dell’affidamento non si riscontra neppure nei casi di DIA o SCIA in sanatoria ex art. 37 della legge n. 241 del 1990, laddove, all’inutile decorso dei trenta giorni, non corrisponde il consolidamento della situazione esistente (come per la DIA o SCIA a regime), ma un mero silenzio inadempimento, non potendo il procedimento concludersi senza la previa determinazione del quantum della sanzione dovuta[29].

In edilizia, l’ipotesi principale in cui trova applicazione la tutela dell’affidamento consiste nell’annullamento d’ufficio del permesso di costruire, ordinario [30] od in sanatoria[31], laddove la buona fede del possessore del titolo è tutelata tramite l’apposizione di due limiti alla discrezionalità amministrativa: l’atto di ritiro deve contenere una specifica motivazione sulla prevalenza dell’interesse pubblico diverso dal mero ripristino della legalità violata ed inoltre dev’essere esercitato entro dodici mesi dall’adozione del permesso, pena l’intangibilità di quest’ultimo.

Entrambi i limiti vengono meno, se l’annullamento è causato da un’inveritiera prospettazione della parte, che non versa quindi in uno stato di buona fede[32].

L’affidamento sulla stabilità del titolo gioca un ruolo importante anche in relazione agli effetti dell’annullamento del permesso di costruire, rappresentando un ostacolo alla riduzione in pristino, a patto che i vizi abbiano carattere solo formale (c.d. fiscalizzazione dell’abuso)[33].

Esiste un’ultima fattispecie, del tutto peculiare, in cui l’affidamento assume rilievo in uno col principio di proporzionalità, che è abitualmente definita “abuso edilizio di necessità”.

Si è già chiarito come, nei riguardi di un’opera abusiva, non è ravvisabile alcun affidamento legittimo che ne giustifichi la conservazione[34].

Di conseguenza, è affermazione ricorrente quella per cui l’atto di sgombero non necessita di motivazione rafforzata sulla particolare condizione degli occupanti: vuoi perché l’interesse pubblico è in re ipsa[35], vuoi perché l’inapplicabilità della scriminante penale dello stato di necessità [36] porta ad escludere l’esistenza di un abuso di necessità[37].

Ciò premesso, occorre registrare come, con un noto arresto, la Corte dei diritti dell’uomo abbia affermato che l’art. 8 della Convenzione, letto in combinato disposto con l’art. 1 del Protocollo addizionale, che tutela la proprietà privata, impone al giudice (penale od amministrativo) di pronunciarsi sugli ordini di demolizione, tenendo conto anche delle condizioni personali degli abitanti ed in particolare delle loro limitate risorse economiche e della protrazione per anni della vita familiare nell’immobile da abbattere[38].

Secondo taluno, nel nostro ordinamento la tutela del diritto all’abitazione rileva non tanto ai fini della validità dell’ordine di ripristino, ma ai fini della sua esecuzione, allorquando l’amministrazione deve valutare se demolire il bene o destinarlo a fini pubblici. Va quindi escluso che l’ordine di ripristino sia condizionato all’inesistenza di un abuso di necessità, ponendosi il relativo problema solo al momento della demolizione[39].

Ed in tal senso sembra attestata la giurisprudenza penale, la quale ha recentemente affermato che è “nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona” che occorre valutare la disponibilità, da parte dell’interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi ad un tribunale indipendente, l’esigenza di evitare l’esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l’eventuale consapevolezza della natura abusiva dell’attività edificatoria[40].

Ciò detto, la decisione della Corte EDU affronta il problema dell’abuso di necessità sotto l’esclusiva angolazione della violazione dell’obbligo di proporzionalità della sanzione; tuttavia, specie dal richiamo al requisito della “protrazione per anni della vita familiare nell’immobile da abbattere”, non pare dubbio che la questione possa essere affrontata anche sotto il diverso aspetto della violazione dell’affidamento.

Invero, il diritto all’abitazione è contemplato in importanti atti pattizi internazionali, come l’art. 31 della Carta sociale europea, secondo cui “tutte le persone hanno diritto all’abitazione”, facendo obbligo agli Stati membri di mettere in atto “una serie di adempimenti, finalizzati ad assicurare l’accesso a un’abitazione di livello sufficiente a consentire un tenore di vita dignitoso per tutti e a ridurre al minimo lo status di senzatetto” e l’art. 343 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che tratta dell’assistenza sociale all’abitazione, quale insieme di interventi finalizzati a consentire la vita delle persone in un ambiente dignitoso, anche per coloro i quali non dispongano di mezzi sufficienti per accedere al mercato immobiliare.

Non è dunque peregrino che questi obblighi pubblicistici di protezione possano radicare una qualche posizione di buona fede in capo all’abusivo di necessità e legittimare un affidamento.

Per altro, è da notare che, nell’individuare i presupposti del “diritto a salvaguardare la propria (unica) casa di abitazione” a fronte dell’impugnazione di un’ordinanza di demolizione, il Consiglio di Stato abbia inserito proprio la buona fede: “l’eccezionalità delle contingenze, la buona fede, nonché la assoluta mancanza di alternative devono dunque essere addotte e provate dal ricorrente, tenuto conto altresì della dimensione dell’abuso e dunque della proporzionalità, a valori invertiti, dello stesso rispetto ai bisogni primari del soggetto agente”[41].

D’altronde, il diritto all’abitazione, ispirandosi al principio “che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana”, “rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione” ed è “incluso nel catalogo dei diritti inviolabili”[42].

Né può argomentarsi in senso contrario in ragione della sentenza che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge regionale della Campania sulla “regolamentazione della locazione e alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per inottemperanza all’ordine di demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per necessità al fine di garantire un alloggio adeguato alla composizione del relativo nucleo familiare”[43].

Ivi, infatti, la Corte si è limitata a censurare il fatto che locazione ed alienazione costituiscano “esiti normali” cui genericamente destinare gli immobili acquisiti al patrimonio pubblico (sia pure con preferenza per gli abusivi per necessità), senza poter affrontare la differente ipotesi in cui locazione ed alienazione siano previste come misure di sostegno rivolte esclusivamente in favore degli occupanti per necessità.

Nicola Durante

Pres. Sez. TAR Salerno



[1] BIANCA C.M., Diritto civile, Il contratto, Milano, 2000, 500 ss.; RODOTÀ S., Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004, 3 ss.

[2] SACCO R., Affidamento , in Enc. dir., I, Milano, 1958, 661 ss.

[3] CGUE, sez. I, 23 gennaio 2019, C-419/2017, Deza a.s.; idem, 20 dicembre 2017, C-322/2016, Global Starnet; idem, sez. IV, 14 marzo 2013, C-545/2011, Agrargenossenschaft Neuzelle .

[4] TORRICELLI S., Buona fede e confini dell’imparzialità nel rapporto procedimentale , in P.A. Persona e Amministrazione, 2022, 2, 29 ss.

[5] PATRONI GRIFFI F., Il principio di legalità, in Sito della Giustizia Amministrativa , 2019.

[6] Cons. Stato, sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5011.

[7] Palmieri A. - Pardolesi R., Sulla problematica sorte dell’affidamento indotto dalla pubblica amministrazione , in Foro It., 2022, III, 89 ss.

[8] In generale, GRECO R., Problemi processuali in tema di impugnazione degli strumenti urbanistici , in Sito della Giustizia Amministrativa, 2013.

[9] Cons. Stato, ad. plen., 22 dicembre 1999, n. 24.

[10] Cons. Stato, sez. II, 6 novembre 2019, n. 7560.

[11] Cons. Stato, sez. II, 14 aprile 2020, n. 2378.

[12] Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2024, n. 3024.

[13] Cons. Stato, sez. IV, 18 dicembre 2023, n. 10976.

[14] T.A.R. Lazio, sez. II-bis, 9 settembre 2020, n. 9395; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 23 luglio 2020, n. 1433.

[15] Cons. Stato, ad. plen., 8 gennaio 1986, n. 1.

[16] Cons. Stato, sez. IV, 14 marzo 2016, n. 1014; idem, 8 gennaio 2016, n. 27.

[17] Cons. Stato, sez. IV, 2 giugno 2000, n. 3177.

[18] Cons. Stato, ad. plen., 8 gennaio 1986, n. 1.

[19] Cons. Stato, sez. II, 25 gennaio 2024, n. 806; idem, 15 settembre 2023, n. 8339; idem, sez. IV, 24 marzo 2023, n. 3006.

[20] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 26 gennaio 2021, n. 239.

[21] Cons. Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9.

[22] C. Edu, sez. II, 27 novembre 2007, Hamer c. Belgio, ric. n. 21861/2003.

[23] T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 1 ottobre 2020, n. 127659.

[24] Cons. Stato, comm. spec., parere 4 agosto 2016, n. 1784.

[25] Cons. Stato, sez. II, 24 aprile 2023, n. 4110; idem, sez. IV, 23 aprile 2021, n. 3275.

[26] T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 14 dicembre 2023, n. 6915.

[27] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 15 novembre 2023, n. 2659.

[28] T.A.R. Potenza 28 giugno 2023, n. 427.

[29] Cons. Stato, sez. II, 20 febbraio 2023, n. 1708.

[30] Cons. Stato, sez. VI, 28 febbraio 2023, n. 2022; idem, 18 novembre 2022, n. 10186.

[31] Cons. Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 8.

[32] Cons. Stato, sez. IV, 29 febbraio 2024, n. 1967; idem, 30 giugno 2023, n. 3687.

[33] Cons. Stato, ad. plen., 7 settembre 2020, n. 17; idem, sez. VI, 4 gennaio 2023, n. 136.

[34] C.G.A., sez. giurisd., 28 febbraio 2024, n. 158.

[35]Cons. Stato, sez. VII, 21 dicembre 2023, n. 11067, relativo allo sgombero di un alloggio di edilizia popolare; idem, sez. VI, 28 aprile 2021 n. 3412.

[36] Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 2018, n. 2280.

[37] T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 14 marzo 2022, n. 711; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 29 maggio 2019, n. 2879.

[38] C. Edu, sez. V, 21 aprile 2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, ric. n. 46577/2015 .

[39] DI MARIO A., Sanzioni urbanistico-edilizie e canone di proporzionalità, alla luce dei principi sovranazionali , in Sito del Centro di ricerca interdisciplinare sul diritto delle amministrazioni pubbliche dell’Università degli studi di Milano (CERIDAP) , 2023, 19.

[40] Cass. pen., sez. III, 28 maggio 2024, n. 20857.

[42] C. cost. 22 giugno 2021, n. 128; idem, 28 gennaio 2020, n. 44; idem , 25 febbraio 1988 n. 217.

[43] C. cost. 5 luglio 2018, n. 140.