Il TAR Toscana marca ancor più la propria indipendenza.
(Nota estremamente critica alla sentenza n. 385 del 10/3/2015)

di Massimo GRISANTI

 

Questa sentenza è l’ulteriore conferma che per il TAR Toscana non esistono limiti!

Con la sentenza in commento (Sez. III, Pres. Nicolosi, Est. Gisondi, Cons. Messina), lo stesso Collegio giudicante, già criticato in altre occasioni, ha stabilito che le disposizioni dell’art. 38 D.P.R. n. 380/2001, laddove non consentono l’applicazione della sanzione pecuniaria in presenza di violazioni sostanziali alla disciplina urbanistica, non costituiscono espressione di principio fondamentale.

Stabilisce il TAR:

“(…) Fondata è, invece, la censura con cui il ricorrente denuncia l’illogicità e la insufficienza della motivazione relativa alla sussistenza di rilevanti interessi pubblici che giustificherebbero la scelta della misura ripristinatoria in luogo della sanzione pecuniaria.

Sul punto occorre premettere che l’art. 138 della L.R. 1/2005, laddove non sia possibile la rimozione dei vizi che hanno condotto all’annullamento del titolo edilizio, indica quale opzione preferenziale la adozione di una sanzione di tipo pecuniario consentendo all’amministrazione di disporre la rimessione in pristino solo ove l’opera contrasti con rilevanti interessi pubblici della cui sussistenza deve essere dato conto con apposita motivazione.

Vero è, come osservano il Comune ed il controinteressato, che la formulazione della norma regionale non collima letteralmente con quella prevista in sede nazionale dall’art. 38 del D.P.R. 380 del 2001 secondo il quale la sanzione pecuniaria può essere disposta solo nel caso in cui non sia possibile la rimessione in pristino.

Va, tuttavia, evidenziato che nella interpretazione giurisprudenziale della norma nazionale il concetto di possibilità del ripristino non è inteso nel senso di “possibilità tecnica”.

Al riguardo si è osservato che, l’art. 38 cit. ha introdotto, per i casi di annullamento del titolo edilizio, una disciplina sanzionatoria complessivamente più mite rispetto a quella prevista per le ipotesi di opere realizzate in assenza originaria di titolo, la quale non riproduce la distinzione fra i interventi realizzati in assenza, difformità totale o in variazione essenziale di titolo edilizio, per i quali è prevista la sola sanzione della demolizione e interventi posti in essere in difformità parziale, per i quali, invece, qualora il ripristino comprometta la conservazione della parte legittimamente realizzata, è consentita la irrogazione della sanzione pecuniaria.

Se ne è dedotto che le valutazioni che il comune deve compiere nell’applicare la predetta disposizione ai casi in cui l’annullamento travolga la legittimazione dell’intera costruzione non hanno carattere tecnico ma attengono alla opportunità di disporne la demolizione, dovendosi comparare l'interesse pubblico al recupero dello status quo ante con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino incolpevole che aveva confidato nell'esercizio legittimo del potere amministrativo (Cons. Stato, IV, 2398/2014; TAR Genova, Sez. I, 18/02/2014 n. 282; TAR Catanzaro 6/02/2014 n. 326).

La disciplina dettata dall’art. 138 della L.R. 1/2005, essendo coerente con il significato attribuito alla normativa nazionale dalla giurisprudenza assolutamente prevalente non può, quindi, essere sospettata di incostituzionalità come paventato dalle parti resistenti. E, del resto, anche a voler ammettere la sussistenza di una difformità fra le due disposizioni, non pare al Collegio che la scelta regionale possa considerarsi confliggente con i "principi fondamentali” della materia estrapolabili dalla normativa nazionale (anche edilizia) alla quale non risulta affatto estraneo il principio del bilanciamento caso per caso fra la tutela dell’affidamento e l’esigenza del ripristino della legalità violata.

Nella scelta fra le misure conseguenti all’annullamento del titolo edilizio l’amministrazione, qualora opti per la tutela ripristinatoria, deve, quindi, evidenziare in modo adeguato quali siano i “rilevanti interessi pubblici” compromessi dalla realizzazione dell’opera che non rendano possibile la applicazione della sanzione pecuniaria.

Nel fare ciò il comune non può limitarsi ad affermare che non sono stati rispettati alcuni parametri urbanistici previsti dalle NTA di zona, altrimenti la valutazione relativa al tipo di misura sanzionatoria da disporre verrebbe a coincidere con quella relativa alla emendabilità dei vizi formali e procedurali, con la paradossale conseguenza di chiudere ogni spazio per la applicazione della sanzione pecuniaria (ragionando in tal modo, infatti, tutte le volte in cui il titolo è annullato per ragioni di non conformità dei lavori al PRG potrebbe essere applicata la sanzione demolitoria).

Nemmeno, però, può accogliersi la opposta prospettazione secondo cui la valutazione in oggetto dovrebbe essere basata esclusivamente su interessi ulteriori rispetto a quelli urbanistici come quelli attinenti la preservazione del paesaggio, i pericoli di natura sanitaria etc.

Anche una compromissione non trascurabile di interessi di natura prettamente urbanistica può costituire giustificazione della opzione per la tutela ripristinatoria, qualora la violazione del piano regolatore o di altre previsioni urbanistiche abbia determinato uno stravolgimento della tipologia edilizia ammessa nella zona, uno squilibrio nella dotazione degli standard o la violazione di parametri ritenuti inderogabili in sede nazionale come quelli previsti dal D.M. 1444 del 1968.

Nel caso di specie, escluso che possa avere rilevanza ostativa la sussistenza di un vincolo paesaggistico sull’area, stante il fatto che tutti i lavori eseguiti hanno ricevuto apposita autorizzazione paesistica, deve ritenersi che il comune di Pietrasanta non abbia effettuato una corretta applicazione della norma regionale, così come sopra interpretata.

La sussistenza di rilevanti interessi pubblici è stata, infatti, affermata in ragione del fatto che l’opera realizzata contrasterebbe con le norme dello strumento urbanistico che limitano le unità immobiliari, le superfici ed i volumi di nuova realizzazione, senza, tuttavia, specificare l’entità di tali violazioni e le conseguenze da esse prodotte sugli interessi tutelati dalle disposizioni non osservate.

Nella motivazione del provvedimento impugnato si afferma poi che l’opera non rispetterebbe gli standard di cui al DM 1444 del 1968 ma, ancora una volta, non viene specificato quali siano i parametri violati e quale l’entità della violazione. (…)”.

Il Collegio non ha assolutamente indicato la giurisprudenza di interpretazione dell’art. 38 T.U.E. che, a suo dire, dà del concetto di possibilità di ripristino una interpretazione estensiva.

Anzi, è il contrario:

  • Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5115/2013: “… L’art. 38 del DPR 6 giugno 2001 n.3890 (Testo unico dell’edilizia) disciplina il regime sanzionatorio applicabile nelle ipotesi in cui l’intervento edilizio sia stato realizzato sulla base di un titolo poi annullato, con la espressa previsione dell’irrogazione di una sanzione pecuniaria … “ove non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino …” . La norma è finalizzata ad introdurre un regime sanzionatorio più mite per le opere edilizie realizzate conformemente ad un titolo abilitativo successivamente rimosso rispetto ad altri interventi abusivi eseguiti sin dall’origine in assenza di titolo, con il chiaro intento di tutelare un certo affidamento del privato, regime che consente la conservazione del bene (Cons. Stato Sez. IV 10/8/2011 n.4770). Ora nella specie non si può escludere in capo agli interessati una situazione di buona fede, ma il fatto è che nel caso de quo siamo al di fuori del campo operativo della norma sopra illustrata, recante sostanzialmente una forma di sanatoria a formazione progressiva (con la sanzione pecuniaria in luogo della rimozione). Invero, anche tenuto conto della stessa formulazione letterale della disposizione (“qualora non sia possibile .. la rimozione dei vizi delle procedure amministrative …”), l’effetto, per così dire, sanante della stessa è circoscritto alle sole ipotesi in cui il titolo ad aedificandum sia stato annullato per vizi di carattere formale e procedurale, non essendoci, così, spazio per l’applicazione della sanzione pecuniaria, allorché sia stata acclarata la sussistenza di un vizio di natura sostanziale (Cons. Stato Sez. V 12 maggio 2006 n.2960).”;

  • Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1079/2014: “… Nel caso di annullamento in sede giurisdizionale di una concessione edilizia, considerata illegittima per vizio sostanziale, la p.a. non può ricorrere all’art. 38, d.P.R. n. 380/2001, norma che consente di rimediare ai soli vizi formali o procedurali, poiché la regola posta dal richiamato art. 38, comma 1, si estrinseca nell'operatività della sanzione reale che, in quanto effetto primario e naturale derivante dall'annullamento del permesso di costruire, non impone alla p.a. un particolare onere di motivazione, ma trae la sua giustificazione dalla legalità violata, onde la sanzione alternativa pecuniaria deve intendersi riferita alle sole costruzioni assentite mediante titoli abilitativi annullati per vizi formali.”;

  • Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 562/2015: “… 1.4.- Il gravame ripropone inoltre il vizio (che sembra in effetti non esaminato dal primo giudice) di violazione dei principi dell’autotutela in materia edilizia, in quanto l’annullamento di un permesso di costruire non può essere decretato al solo fine di ripristinare la legalità violata, ma deve essere assistito da uno specifico interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio. Anche questa tesi, non può trovare accoglimento, poiché in materia edilizia l’annullamento d’ufficio risponde oggettivamente al pubblico interesse di ripristinare la legalità urbanistico edilizia (v. Cons. di Stato, sez.V, n. 4892/2011) .”;

  • Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5346/2014: “… Non può invece dolersi del danno chi – per una qualsiasi evenienza e con un provvedimento espresso, ovvero a seguito di un silenzio assenso o una s.c.i.a. – abbia ottenuto un titolo abilitativo presentando un progetto oggettivamente non assentibile: in tal caso il richiedente sotto il profilo soggettivo ha manifestato quanto meno una propria colpa (nel presentare il progetto assentibile solo contra legem) e sotto il profilo oggettivo attiva con efficacia determinante il meccanismo causale idoneo alla verificazione del danno. In altri termini, la domanda della Co.ge.a. va respinta perché ha causato l’emanazione delle concessioni edilizie, per avere appunto presentato un progetto non conforme alle norme urbanistiche rilevanti nella presente fattispecie: essa, a ben vedere, in linea di principio va considerata autrice di un illecito, e non già danneggiata, poiché gli unici soggetti astrattamente danneggiati dall’emanazione dei titoli ad edificare (poi annullati in sede giurisdizionale) sono la stessa Amministrazione (del quale è stato violato il territorio, salve le questioni riguardanti le domande di condono), nonché i confinanti che hanno vittoriosamente esperito l’azione impugnatoria contro i provvedimenti in questione.”.

Ed inoltre, come fa il TAR Toscana a stabilire che dalle disposizioni dell’art. 38 T.U.E. non è ricavabile il principio fondamentale della tutela della pianificazione urbanistica, e quindi della volontà del legislatore e della comunità locale in ordine alle modalità di tutela di quel fascio di interessi pubblici ad essa sottesi?

Un principio fondamentale che fonda le sue radici anche nel principio di eguaglianza (in quanto non si vede perché colui che ha violato le regole debba essere comunque premiato con la possibilità di godere dei frutti dell’attività illecita sol perché ha la disponibilità finanziaria di pagare il maltolto), nel principio di legalità dell’azione amministrativa e nella materia della giustizia amministrativa.

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Scritto il 25 marzo 2015