La consonanza dei Supremi Consessi in tema di lottizzazione abusiva e confisca
(Nota a Cassazione penale, sez. III, n. 12640/2020)

di Massimo GRISANTI


Con la sentenza n. 12640 depositata il 22 aprile 2020 la III^ Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione (Pres. Izzo – Rel. Ramacci) ha stabilito il seguente principio di diritto:
«… in tema di lottizzazione abusiva, la effettiva ed integrale eliminazione di tutte le opere eseguite in attuazione dell'intento lottizzatorio, nonché dei pregressi frazionamenti, con conseguente ricomposizione fondiaria e catastale nello stato preesistente ed in assenza di definitive trasformazioni, se dimostrata in giudizio ed accertata in fatto dal giudice del merito con congrua motivazione, rende superflua la confisca perché misura sproporzionata secondo i parametri di valutazione indicati dalla giurisprudenza della Corte EDU …».
La decisione del Collegio scaturisce da un approfondito esame dei provvedimenti adottati dai Giudici amministrativi che medio tempore avevano già analizzato la vicenda lottizzatoria.
In particolare, il Consiglio di Stato aveva provveduto a sospendere l’ordinanza n. 19/2011 con la quale il Responsabile dell’Ufficio tecnico del comune di Capaccio aveva intimato la sospensione dell’attività lottizzatoria mista in corso.
Una volta sospesa l’ordinanza, l’autore della lottizzazione aveva proceduto ad eliminarne gli effetti mediante la demolizione delle opere eseguite nonché il riacquisto e la ricomposizione catastale dei terreni lottizzati.
È in ragione dell’asserito completo ripristino dell’assetto territoriale che i Giudici della Cassazione hanno annullato la sentenza della Corte d’Appello, che disponeva la confisca, al fine che i Giudici partenopei operino un riesame della necessità della misura ablatoria.
Il principio di diritto coniato dalla Cassazione si pone perfettamente in linea con il più recente arresto del Consiglio di Stato fissato nella sentenza della VI^ Sezione (Pres. Santoro – Est. De Luca) n. 2415 depositata il 14 aprile 2020, di cui non constano precedenti:
«… In ogni caso, si rileva che l’art. 30, commi 7 e 8, D.P.R. n. 380/01 non prevede l’immediata acquisizione al patrimonio comunale delle aree abusivamente lottizzate, consentendo al privato di attivarsi tempestivamente, una volta ricevuta la notificazione dell’ordinanza di sospensione ex art. 38, comma 7, D.P.R. n. 380/01, al fine di rimuovere spontaneamente gli abusi contestati dall’Amministrazione e realizzare, per l’effetto, un mutamento della situazione fattuale suscettibile di giustificare un’istanza di revoca.
L’istituto della revoca, per come delineato dall’art. 21 quinques L. n. 241/90, tipicamente operante per gli atti discrezionali, risponde all’esigenza di consentire un ripensamento in ordine ad una decisione già assunta, in ragione di un quid novi originariamente non esaminato.
In subiecta materia, benché l’azione provvedimentale sia vincolata – facendosi questione di atti dal contenuto interamente predeterminato dal legislatore, essendo rimesso all’Amministrazione il solo accertamento dei presupposti del provvedere - la revoca, prevista dal dato positivo, consente, pertanto, all’Amministrazione un riesame dell’ordinanza ex art. 30, comma 7, D.P.R. n. 380/01, sulla base di elementi originariamente non valutati.
L’iniziativa del privato, volta a demolire le opere abusivamente realizzate, potrebbe, quindi, configurare una sopravvenienza utilmente valutabile dall’Amministrazione procedente, idonea a determinare la “revoca” del provvedimento ex art. 30, comma 7, D.P.R. n. 380/01 e, conseguentemente, ad impedire l’acquisizione al patrimonio comunale delle aree lottizzate sine titulo.
Difatti, ai sensi di quanto previsto dall’art. 30, comma 8, cit., la sanzione dell’acquisizione al patrimonio comunale è strumentale alla demolizione delle opere integranti la lottizzazione abusiva contestata dall’Amministrazione procedente; ragion per cui, ove tale demolizione venisse tempestivamente eseguita dal proprietario, potrebbe anche ritenersi integrato un mutamento fattuale suscettibile di consentire la revoca dell’ordinanza già emessa, bilanciando in tale modo le esigenze di ripristino della legalità violata, sottese al provvedimento sospensivo ex art. 30, comma 7, cit., con quelle di tutela della proprietà, evitandosi l’estinzione del relativo diritto reale su immobili non più integranti una fattispecie illecita.
La tutela della proprietà privata è, quindi, assicurata dalla possibilità, espressamente prevista dal dato positivo, di revocare il provvedimento ex art. 30, comma 7, DPR n. 380/01 (che per propria natura risulta, invece, connotato dal riscontro oggettivo della realizzazione di interventi di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione – cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 30 gennaio 2020, n. 768, secondo cui “In tal senso una giurisprudenza ormai del tutto consolidata afferma che la lottizzazione abusiva ex art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 prescinde dallo stato soggettivo di buona o mala fede dei lottizzanti: e ciò in quanto rileva in via esclusiva il mero dato oggettivo dell’intervenuta illegittima trasformazione urbanistica del territorio, fermo restando che la tutela dei terzi acquirenti in buona fede, estranei alla commissione dell’illecito, può essere fatta valere in sede civile nei confronti dell’alienante (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2016, n. 26)”) …».
Senza timore di smentita si può quindi affermare che la nota sentenza 28 giugno 2018 della Corte EDU — Grande camera nella causa G.I.E.M. s.r.l. ed altri c/ Italia ha imposto ai Giudici nazionali di valutare più attentamente la proporzionalità dell’azione amministrativa e giudiciale quando essa incida sui beni di proprietà privata, tenendo conto del comportamento del reo una volta che questi venga avvisato dell’illiceità della propria attività edilizia.
 Ma ad avviso dello scrivente, l’occasione è propizia anche per la rimeditazione degli orientamenti giurisprudenziali, largamente maggioritari, che vogliono sia superflua la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo per l’adozione dei provvedimenti di vigilanza edilizia (ex articoli 27, 30 e 31 d.P.R. n. 380/2001), sia possibile la proposizione dell’istanza di accertamento di conformità ancorché sia già stata adottata l’ingiunzione di demolizione.
Infatti, ogni tentativo di deflazione del contenzioso è un’attività preziosa per l’ordinamento sia per un celere ripristino dell’ordinato assetto del territorio, sia per non intasare le aule giudiziarie, sia per ricostruire o mantenere rapporti di civile dialogo tra cittadini e istituzioni.
Ed in particolare, considerato che l’ingiunzione di demolizione è comunque una “irrogazione di sanzione amministrativa” che, ai sensi dell’art. 36 T.U.E., ha effetto decadenziale, anche ai sensi dell’art. 2934 c.c., del diritto del responsabile dell’abuso di avanzare la domanda di sanatoria, ecco che i canonici trenta giorni decorrenti dalla comunicazione di avvio del procedimento finalizzato all’adozione dei provvedimenti di vigilanza appaiono essere quel congruo lasso di tempo che il legislatore ha concesso al reo per poter avanzare l’istanza di sanatoria prima che venga adottata l’ingiunzione di demolizione.
In parole semplici, da una coordinata interpretazione delle norme sul procedimento amministrativo, delle disposizioni dell’art. 36 T.U.E. e delle norme civilistiche (applicabili anche al diritto amministrativo, v. Cons. Stato, adunanza plenaria n. 8/2017) in tema di prescrizione dei diritti – lette secondo la ratio dell’interesse pubblico ad un celere ripristino del violato assetto urbanistico, quindi di un’efficace lotta all’abusivismo edilizio che tanti danni continua a causare al territorio e all’economia regolare – sembra emergere che la spontanea demolizione dell’opera abusiva – oppure la sua regolarizzazione, ove possibile – sia consentita solo fino all’adozione dell’ingiunzione di demolizione: quest’ultima può essere adottata dal Responsabile dell’ufficio tecnico comunale solo dopo aver avviato il procedimento amministrativo finalizzato all’adozione del provvedimento repressivo. E successivamente all’adozione dell’ingiunzione, il responsabile dell’abuso, decaduto dal diritto di poter avanzare istanza di sanatoria, può solo demolire per evitare l’acquisizione del bene e dell’area di sedime al patrimonio indisponibile dell’ente. Una volta infruttuosamente scaduto i termini fissati dall’ingiunzione la demolizione avviene in danno del responsabile dell’abuso.
Concludendo, il legislatore sembra aver previsto una gradazione dell’esercizio del potere di vigilanza in modo da contemperare il fascio di interessi pubblici (compreso il buon andamento dell’attività amministrativa e giudiziaria) col mantenimento del diritto di proprietà privata sui beni oggetto di trasformazione edilizia e territoriale.