La ristrutturazione edilizia, gli interventi modificativi nel tempo e la Circolare MIT e Funzione Pubblica del 2 dicembre 2020

di Antonio VERDEROSA

L’art. 3, lettera d), del Testo unico dell’Edilizia (TUE) qualifica come “ interventi di ristrutturazione edilizia”, “ gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ”.

Secondo la restrittiva interpretazione della Suprema Corte, nell'ambito delle opere edilizie, anche alla luce dei criteri di cui all'art. 3 del Testo Unico edilizia, la semplice ristrutturazione si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, senza aumenti della volumetria. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di nuova costruzione.

Attualmente sono due le ipotesi di ristrutturazione edilizia, il c.d. intervento conservativo o risanamento conservativo o restauro conservativo, che può comportare anche l'inserimento di nuovi volumi o modifiche della sagoma e il c.d. intervento ricostruttivo attuato mediante demolizione e ricostruzione, nel rispetto del volume e della sagoma dell'edificio preesistente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 443 del 2017).

Come è noto, la definizione di ristrutturazione edilizia è stata soggetta nel tempo ad interventi modificativi ed integrativi da parte del legislatore che ad essa ha dedicato (riprendendo una anteriore definizione contenuta nell'art. 31, comma 1, lett. d) della legge n. 457/1978) l'art. 3, comma 1, lett. d) del Testo Unico edilizia, aggiungendo ulteriori riferimenti nell'art. 10, lett. c) del medesimo Testo Unico. L'art. 3, comma 1, lett. d), nel suo testo originario, prevedeva che fossero interventi di ristrutturazione edilizia, quelli “ rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica ”. Già dal testo originario, dunque, erano presenti due tipologie di ristrutturazione edilizia, identiche quanto alla finale realizzazione di un “organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, ma distinte dalla presenza o meno della demolizione del fabbricato preesistente, che, ove effettuata, per poter rientrare nel campo della ristrutturazione edilizia e non già della nuova costruzione, doveva concludersi con la “fedele ricostruzione di un fabbricato identico ”, al punto da avere identità di sagoma, volume, area di sedime e, in generale, caratteristiche dei materiali.

A fronte di tale definizione, l'art. 10, nel disciplinare gli interventi “ subordinati a permesso di costruire”, ricomprendeva tra questi (comma 1, lett. c): “ gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso ”.

La giurisprudenza amministrativa ha quindi rilevato come non vi sia una contraddizione tra la prima norma (di definizione della ristrutturazione edilizia) e la seconda (relativa agli interventi soggetti a concessione edilizia), poiché il legislatore nazionale, a fronte delle due tipologie di ristrutturazione edilizia, non ha affatto escluso che quest'ultima possa comportare anche modifiche di volume o di sagoma, ma più precisamente ha escluso che possano aversi queste ultime modifiche solo nel caso di ristrutturazione caratterizzata da integrale demolizione e successiva ricostruzione del fabbricato, unico caso in cui è richiesta la “ fedele ricostruzione di un fabbricato identico”.

Il Testo Unico edilizia ha apportato alla definizione alcune modifiche, di modo che, nel caso di demolizione e ricostruzione, per potersi definire l'intervento quale ristrutturazione edilizia, lo stesso doveva portare ad un manufatto “ con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”. Con il nuovo testo il legislatore abbandona sia lo specifico riferimento alla identità di area di sedime e di caratteristiche dei materiali, sia il più generale concetto di “fedele ricostruzione ”, non potendo quest'ultimo essere più ribadito una volta escluse le caratteristiche ora riportate.

A fronte della modifica della definizione, il legislatore è intervenuto anche sull'art. 10, comma 1, lett. c), prevedendo la necessità del permesso di costruire per: “ gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso ”.

La lettura di queste ultime disposizioni non presenta un difficile coordinamento: la nuova disciplina, una volta che, con l'intervento correttivo, si è rinunciato (per la seconda delle due tipologie di ristrutturazione), alla esigenza della “ fedele ricostruzione di un fabbricato identico”, estende la necessità del permesso di costruire a tutti i casi in cui si realizzi un fabbricato “in tutto o in parte diverso dal precedente”, sia nell’ipotesi di integrale demolizione (nel qual caso resta ferma la necessaria identità di volume e di sagoma), sia nel caso in cui non vi sia demolizione e possono esservi (nel rispetto della disciplina urbanistico-edilizia) , modifiche di volume, di sagoma, di prospetti o superfici.

In definitiva, tenendo presente che, sotto la unitaria definizione di ristrutturazione edilizia sono ricomprese due distinte ipotesi (il cui elemento basilare di differenza è dato dalla integrale demolizione del fabbricato preesistente), il legislatore nazionale precisa in quali casi di ristrutturazione è necessario, ai fini della legittimità dell'intervento, il permesso di costruire:

- per il Testo Unico edilizia, nella versione originaria, il permesso di costruire è necessario tutte le volte che vi siano “ aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso ”;

- per il medesimo Testo Unico, il permesso di costruire è necessario per “ gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso ”.

Le due distinte disposizioni non comportano quindi due diverse (e contraddittorie) definizioni di “ristrutturazione edilizia”. I due tipi di ristrutturazione e la loro definizione data dall'art. 3, comma 1, lett. d) e dal successivo art. 10, comma 1, lett. c), non incidono sulla predetta definizione, ma disciplinano i casi in cui, tra quelli innanzi definiti, occorre il permesso di costruire.

Il legislatore è poi intervenuto nuovamente nella materia per effetto della modifica introdotta dall'art. 30, comma 1, lett. a), del DL 21 giugno 2013, n. 69, convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 98. “ gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente ”.

Alla luce della nuova modifica, vi sono ora tre distinte ipotesi di intervento rientranti nella definizione di ristrutturazione edilizia (arg. anche Cons. Stato, sez. IV, nn. 6282 e 5466 del 2020), che possono portare “ ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ”:

- la prima, non comportante demolizione del preesistente fabbricato e comprendente (dunque, in via non esaustiva) “ il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti ”;

- la seconda, caratterizzata da demolizione e ricostruzione, per la quale è richiesta “ la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica (ed in questo caso, rispetto al testo previgente, non è più richiesta l'identità di sagoma) ;

- la terza, rappresentata dagli interventi “ volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza ”.

Inoltre, qualora la seconda e la terza delle ipotesi sopra indicate riguardino immobili sottoposti a vincoli di cui al d. lgs. n. 42/2004, potrà parlarsi di ristrutturazione edilizia solo in presenza, nell'immobile ricostruito, della identità di sagoma dell'edificio preesistente.

Per effetto della lett. c) del precitato articolo 30, comma 1, anche l'art. 10, comma 1, lett. c) del Testo Unico edilizia è stato modificato, di modo che è necessario il permesso di costruire per “ gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni ”.

Infine, con modifica introdotta dall'art. 17, comma 1, lett. d), DL 12 settembre 2014 n. 133, convertito nella legge 11 novembre 2014 n. 164, alla necessità di permesso di costruire per i casi in cui il nuovo fabbricato comporti anche “aumento di unità immobiliari” e “modifica del volume”, si è sostituita la più limitata ipotesi di “ modifiche della volumetria complessiva degli edifici” (eliminando, dunque, il caso dell'aumento delle unità immobiliari).

Inoltre, il legislatore, in sede di elencazione delle ipotesi di ristrutturazione edilizia con necessità di permesso di costruire, ha ricompreso anche quella comportante modifiche di sagoma di edifici vincolati ex d.lgs. n. 42/2004, ipotesi da riferirsi ai soli casi in cui la ristrutturazione riguardi edifici vincolati, ma senza abbattimento, poiché, in tale ultima ipotesi, ai sensi del precedente art. 3, co. 1, lett. d), si fuoriesce dalla definizione di ristrutturazione edilizia.

In questo senso si è assestata la giurisprudenza penale (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 31618 del 2015), secondo la quale, a seguito della riforma del 2014, è stata ampliata la categoria degli interventi qualificabili in termini di manutenzione straordinaria (per i quali non è più necessario il permesso di costruire con tutte le conseguenze penali del caso), ed è stata al contempo e coerentemente ridotta la categoria della ristrutturazione edilizia, caratterizzata ora da interventi edilizi che alterano la volumetria complessiva e l'originaria destinazione d'uso.

La giurisprudenza amministrativa ha poi analizzato la tipologia della ristrutturazione edilizia (anche al fine di distinguerla dalla ipotesi di nuova costruzione, di cui alla successiva lett. e) dell'art. 3, comma 1, del Testo Unico edilizia), tenendo innanzi tutto presenti le distinte ipotesi di ristrutturazione indicate dal legislatore. In generale, si è affermato che la ristrutturazione edilizia si caratterizza per la diversità dell'organismo edilizio prodotto dall'intervento di trasformazione rispetto al precedente (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, nn. 6282 e 5466 del 2020; sez. VI, n. 4267 del 2016) e che essa si distingue dalla nuova costruzione perché, mentre quest'ultima presuppone una trasformazione del territorio, la ristrutturazione è invece caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto, in quanto tale trasformazione vi è in precedenza già stata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1763 del 2015).

Nel quadro sopra delineato, va dunque collocato il caso nel quale le opere oggetto di istanza di permesso di costruire si caratterizzano come una nuova costruzione in quanto realizzate fuori dalla sagoma esterna dell’edificio esistente, in assenza di qualunque carattere di pertinenzialità (almeno per quel che riguarda il volume maggiore).

In sostanza, nell’ipotesi di specie non si è di fronte ad una ristrutturazione edilizia, che per essere tale e non coincidere con una nuova costruzione, avrebbe dovuto riguardare un intervento che conservasse le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente quanto a sagoma, superfici e volumi (cfr. Cons. Stato sez. II, n.5663 del 2019).

Quindi un’opera realizzata esternamente alla sagoma originaria, necessita di permesso di costruire in quanto “Nuova costruzione”. Di conseguenza, una volta qualificato l’intervento in esame come una nuova costruzione, automaticamente scattano i divieti di cui all’art. 9, comma 2, del Testo Unico edilizia per cui, in assenza di piano attuativo, non può essere ammessa l’edificazione.

In particolare, l'art. 9, comma 2, del Testo Unico edilizia va considerato norma generale ed imperativa in materia di governo del territorio, che impone, ai fini degli interventi diretti costruttivi, il rispetto delle previsioni del piano regolatore generale richiedenti, per una determinata zona, la pianificazione di dettaglio, con la conseguenza che in presenza di una normativa urbanistica generale che preveda per il rilascio del titolo edilizio in una determinata zona l'esistenza di un piano attuativo, non è consentito superare questa prescrizione (cfr. Cons. Stato, sez. II, n. 7463 del 2019).

Né, in senso contrario alla necessità dello strumento attuativo, possono essere richiamati i presupposti applicativi del c.d. intervento diretto in fondo intercluso. Pure in presenza di una zona già urbanizzata la necessità dello strumento attuativo è esclusa solo nei casi nei quali la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo (ad es. il lotto residuale ed intercluso in area completamente urbanizzata), ma non anche nell'ipotesi in cui per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all'abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona, ad esempio, completando il sistema della viabilità secondaria nella zona o integrando l'urbanizzazione esistente per garantire il rispetto degli standard minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l'armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all'edificazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 2397 del 2018 e n. 1434 del 2016).

Il recente decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 (“Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”) , ha introdotto, fra le misure finalizzate alla semplificazione e all’accelerazione delle procedure amministrative in vista del rilancio delle attività economiche e produttive, numerose modifiche al testo unico dell’edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Tali modifiche, contenute nell’articolo 10 del decreto legge, investono tutti i settori dell’attività edilizia e alcune di esse sono di immediato impatto per le imprese che devono predisporre i progetti e avviare la necessaria interlocuzione con le Amministrazioni competenti.

In particolare, si è intervenuto in modo sostanziale sia sull’articolo 2-bis, comma 1-ter, del testo unico, in tema di rispetto della disciplina delle distanze tra edifici in caso di interventi di demolizione e ricostruzione di edifici già esistenti (comma 1, lettera a), del citato articolo 10), e sia sulla definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del medesimo testo unico, con specifico riguardo sempre agli interventi di demolizione e ricostruzione di immobili preesistenti (comma 1, lettera b), dell’articolo 10).

L’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, nel testo risultante a seguito della novella di cui all’art. 10 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, nella sua nuova formulazione diventa:

d) …."interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria…

La portata della nuova definizione degli "interventi di ristrutturazione edilizia", ci viene fornita dalla Circolare congiunta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministero per la Funzione Pubblica del 2 dicembre 2020 inviata alla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, all’Unione delle Province d’Italia, all’Associazione Nazionale Comuni Italiani, al Dipartimento per le Infrastrutture, i Sistemi Informativi e Statistici e ai Provveditorati Interregionali per le Opere pubbliche.

Le innovazioni significative apportate alla disposizione previgente e chiarite nella Circolare sono quindi: a) la sostituzione del riferimento ai semplici interventi di “demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica” con la più articolata previsione per cui rientrano nella ristrutturazione edilizia “gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico”; b) l’aggiunta di un ulteriore periodo per cui i medesimi interventi di demolizione e ricostruzione possono prevedere, “nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”; c) un maggior rigore della previsione relativa agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del d.lgs. n. 42/2004: mentre in precedenza la demolizione e ricostruzione di detti immobili poteva qualificarsi come ristrutturazione edilizia solo ove ne fosse rispettata la sagoma originaria, oggi si richiede il mantenimento di “sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche” e si precisa che non devono essere previsti incrementi di volumetria; d) l’equiparazione agli edifici vincolati ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 di quelli ubicati nelle zone omogenee A e in quelle ad esse assimilabili in base ai piani urbanistici comunali, nonché “nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico”, fatte salve “le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici”

La modifica di cui al punto a) amplia l’area degli interventi ricadenti nella nozione di ristrutturazione edilizia, individuando i parametri la cui modifica – a differenza di quanto previsto dalla previgente disciplina – non risulta rilevante ai fini della qualificazione di un intervento di demolizione e ricostruzione come ristrutturazione edilizia, piuttosto che come nuova costruzione. In particolare, la giurisprudenza ( Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2019, n. 6666; Tar Napoli, sez. II, 10 giugno 2020, n. 2304; Tar Puglia - Lecce, sez. III, 3 febbraio 2016, n. 233) aveva evidenziato come, dopo la novella operata col già citato decreto - legge n. 69/2013, che aveva eliminato il vincolo dell’identità di sagoma in precedenza previsto dalla norma, dovessero considerarsi rientranti nella ristrutturazione edilizia anche gli interventi di demolizione e ricostruzione comportanti modifiche della sagoma e/o del sedime rispetto all’edificio preesistente. Tuttavia, veniva precisato che, comunque, il nuovo edificio dovesse porsi in sostanziale continuità con quello preesistente, conservandone le caratteristiche planivolumetriche e architettoniche (Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2016, n. 5106). La novella apportata alla definizione dal decreto – legge n. 76/2020 determina, con tutta evidenza, il superamento di tali limitazioni, potendo ormai rientrare nella nozione di ristrutturazione – salvo quanto si dirà in ordine agli edifici vincolati - qualsiasi intervento di demolizione e ricostruzione anche con caratteristiche molto differenti rispetto al preesistente, salvi i limiti volumetrici che saranno appresso richiamati. In effetti, al riferimento a sagoma, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche il legislatore aggiunge anche quello ai “prospetti”, la cui modifica nel regime normativo anteriore comportava la qualificazione dell’intervento in termini di ristrutturazione “pesante”, con conseguente soggezione al regime del permesso di costruire.

Incidentalmente, si evidenzia che, con un’ulteriore innovazione apportata alla lettera b) del comma 1 del medesimo articolo 3 del testo unico dallo stesso d.l. n. 76/2020, la modifica dei “soli prospetti” costituisce oggi intervento di manutenzione straordinaria, sottoposto al regime della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) ai sensi del successivo articolo 22, laddove: - la modifica sia necessaria per mantenere o acquisire l’agibilità di un edificio legittimamente realizzato ovvero per l’accesso allo stesso; - l’intervento non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, sia conforme alla vigente disciplina urbanistica e non pregiudichi il “decoro architettonico” dell’edificio. Quanto alle modifiche apportate alla lettera d) del comma 1 dell’articolo 3, occorre precisare che il riferimento alle “caratteristiche tipologiche” dell’edificio preesistente va letto in stretta correlazione col richiamo agli “elementi tipologici” contenuto nella definizione di restauro e risanamento conservativo di cui alla lettera c) del medesimo articolo 3 (che in parte qua riproduce la nozione introdotta dall’art. 31, comma 1, lettera c), della legge 5 agosto 1978, n. 457). Pertanto, si tratta di una nozione da non sovrapporre a quella di destinazione d’uso dell’edificio – la quale è stabilita dal titolo abilitativo sulla base delle norme urbanistiche di riferimento – e che ha un contenuto al tempo stesso architettonico e funzionale, individuando quei caratteri essenziali dell’edificio che ne consentono la qualificazione in base alla tipologia edilizia (p.es. costruzione rurale, capannone industriale, edificio scolastico, edificio residenziale etc.). Il richiamo ai parametri introdotti dal decreto – legge n. 76/2020 (sagoma, sedime, prospetti, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche) assume rilievo, a contrario, per quanto riguarda il regime degli edifici sottoposti a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 ovvero ubicati in zona A e assimilate, laddove l’eventuale modifica di tali parametri comporta l’impossibilità di ricondurre l’intervento alla categoria della ristrutturazione edilizia e il suo assoggettamento al regime autorizzatorio delle nuove costruzioni (fatte salve, per la seconda categoria di edifici sopra indicati, le diverse previsioni di legge o degli strumenti urbanistici, come meglio in appresso precisato). 2.3. Un’ulteriore novità attiene alla possibilità di incrementi di volumetria non solo “per l’adeguamento alla normativa antisismica”, ma anche “per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico”.

A tale riguardo, si evidenzia che, secondo l’orientamento della giurisprudenza, la riconducibilità a ristrutturazione edilizia è da escludere in presenza di qualsivoglia intervento di demolizione e ricostruzione comportante incrementi volumetrici rispetto al preesistente, anche laddove questi fossero determinati dall’inserimento di impianti o servizi, salvi i casi, espressamente previsti, di aumenti imposti dalla normativa antisismica, (Tar Lazio - Latina, sez. I, 11 giugno 2015, n. 472). Una parziale attenuazione di tale rigore si registra solo qualora detti incrementi si rendano necessari al fine di assicurare il rispetto della normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, limitatamente alla previsione di volumi tecnici quali i vani ascensore (Tar Abruzzo - Pescara, sez. I, 9 aprile 2018, n. 134; Tar Campania - Salerno, sez. I, 9 aprile 2018, n. 134) . La previsione odierna supera tali indirizzi, consentendo che gli interventi di demolizione e ricostruzione soggiacciano al regime della ristrutturazione edilizia anche qualora comportino incrementi volumetrici, purché giustificati dal rispetto delle normative dianzi richiamate (e sempre che, ovviamente, non si tratti di edifici vincolati ovvero ricadenti in zona A o assimilate, fatte salve per questi ultimi le diverse previsioni legislative o degli strumenti urbanistici). Un’ulteriore possibilità di apportare incrementi alla volumetria dell’edificio preesistente deriva dall’espressa salvezza delle previsioni legislative e degli strumenti urbanistici che contemplino siffatti incrementi per finalità di “rigenerazione urbana”. Pertanto, la deroga non è estesa a qualsiasi disposizione che consenta incrementi volumetrici (p.es. in funzione premiale o incentivante), ma vale soltanto per le ipotesi in cui questi siano strumentali a obiettivi di rigenerazione urbana, da intendersi – secondo l’accezione preferibile, nella perdurante assenza di una definizione normativa a carattere generale – come riferita a qualunque tipologia di interventi edilizi che, senza prevedere nuove edificazioni, siano intesi al recupero e alla riqualificazione di aree urbane e/o immobili in condizioni di dismissione o degrado.

Come evidenziato in precedenza le previsioni contenute nel comma 1-ter dell’articolo 2-bis del testo unico vanno lette nel contesto della disposizione in questione, che è specificamente intesa a disciplinare i casi in cui siano oggetto di demolizione e ricostruzione edifici preesistenti che risultino “legittimamente” ubicati rispetto ad altri immobili in posizione tale da non rispettare specifiche norme in materia di distanze (ivi comprese quelle contenute nel d.m. n. 1444/1968), di guisa che non ne sarebbe consentita l’edificazione ex novo. In questi casi, il primo periodo del comma in esame ha chiarito che la ricostruzione è possibile – in sostanza – in deroga alle norme in questione, e quindi col mantenimento delle distanze preesistenti se non è possibile la modifica dell’originaria area di sedime e purché l’edificio originario fosse stato “legittimamente” realizzato. Al fine di verificare la legittima realizzazione dell’immobile preesistente, soccorre la previsione dell’articolo 9-bis del Testo unico, anch’essa inserita dal decreto - legge n. 76/2020, laddove è indicata la documentazione da cui ricavare lo “stato legittimo” di un edificio (di regola consistente nel titolo edilizio sulla base del quale esso è stato realizzato, ovvero da quello relativo all’ultimo intervento che ha subito). È importante rilevare che la previsione è testualmente riferita ad “ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici”, e quindi indipendentemente dalla ascrivibilità degli interventi alla categoria della ristrutturazione edilizia o a quella della nuova costruzione, nonché – a fortiori – nella prima ipotesi da quale sia il regime autorizzatorio in concreto applicabile. Il secondo periodo, poi, aggiunge che in questi casi sono consentiti gli “incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento”, anche fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, purché sia sempre rispettata la distanza preesistente. In considerazione del suo tenore letterale, questa previsione deve intendersi come riferita non a qualsiasi incremento volumetrico, che possa accompagnare l’intervento di demolizione e ricostruzione, ma solo a quelli aventi carattere di “incentivo”, ad esempio perché attribuiti in forza di norme di “piano casa” ovvero aventi natura premiale per interventi di riqualificazione. Tanto premesso, il terzo periodo del comma in esame – oggetto della novella apportata con il decreto - legge n. 76/2020 -, lungi dall’avere un carattere di principio riferibile alla totalità degli interventi di demolizione e ricostruzione, costituisce manifestamente una specificazione delle previsioni precedenti in relazione all’ipotesi in cui gli interventi qui considerati riguardino edifici siti nelle zone omogenee A o in zone assimilate a queste dai piani urbanistici comunali, ovvero nei centri e nuclei storici consolidati o in aree comunque di particolare pregio storico o architettonico. Per queste ipotesi, il legislatore ha posto un’ulteriore condizione per l’applicabilità delle disposizioni dettate dal medesimo comma (e, quindi, perché la ricostruzione dell’edificio possa avvenire nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti e possa fruire degli eventuali incentivi volumetrici nei limiti anzi detti) : e cioè che l’intervento sia contemplato “esclusivamente nell’ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale”. Ancora una volta, la ratio della previsione risiede nell’esigenza di assicurare una maggior tutela al valore d’insieme delle aree soggette allo specifico regime delle zone A e dei centri storici, escludendo che all’interno di esse gli interventi di cui al medesimo comma 1-ter dell’articolo 2-bis possano essere direttamente realizzati dagli interessati e stabilendo invece che essi debbano inserirsi nella più generale considerazione del contesto di riferimento che solo un piano particolareggiato può assicurare.

Viene, dunque, ampliata l’area degli interventi ricadenti nella nozione di ristrutturazione edilizia, individuando i parametri la cui modifica – a differenza di quanto previsto dalla previgente disciplina – non risulta rilevante ai fini della qualificazione di un intervento di demolizione e ricostruzione come ristrutturazione edilizia, piuttosto che come nuova costruzione.