Ogni ampliamento del manufatto edilizio è nuova costruzione
(Nota critica a Cassazione, Sez. III penale, n. 4139 depositata il 29.01.2018)

di Massimo GRISANTI


La sentenza in commento (Cass. penale, n. 4139/2018, Zizzi + 2, Pres. Fiale, Est. Ramacci) lascia interdetto il lettore, almeno lo scrivente, in ragione dell’enunciazione che l’ampliamento di un manufatto edilizio, modificante la sagoma, rientra nella categoria della ristrutturazione edilizia.
Nel caso portato all’esame della Suprema Corte gli imputati “… effettuavano senza valido titolo (avendo presentato unicamente una d.i.a.), in area sottoposta a vincolo paesaggistico, l’ampliamento di un immobile preesistente consistito nella realizzazione di un vano tecnico e di un bagno a solaio piano, un muro in tufo e pietra con trave in cls e sedute in tufo (in Cisternino, accertato il 16/5/2013) …”.   Il manufatto edilizio ampliato è un trullo.
Dopo aver ricordato che come “… l’ampliamento di un fabbricato preesistente non può essere considerato pertinenza, diventando parte dell’edificio di cui completa, una volta realizzato, la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all’edificio medesimo …”, la Suprema Corte inciampa macroscopicamente nella sussumibilità dell’intervento nella categoria della ristrutturazione edilizia ex art. 3, c. 1, lett. d) d.P.R. 380/2001.
Infatti, i Giudici di legittimità affermano che “… la semplice descrizione delle opere eseguite come accertata nel giudizio di merito evidenzia la correttezza della qualificazione dell’intervento come ristrutturazione edilizia effettuata dal primo giudice e confermata dalla Corte territoriale”.   E per dire ciò effettuano il richiamo alla definizione emergente dal combinato disposto degli artt. 3, c. 1, lett. d) e 10, c. 1 TUE, a mente del quale anche le modifiche volumetriche integrano la ristrutturazione edilizia.
Sennonché i Giudici hanno compiuto una parziale disamina esegetica dell’art. 3 TUE, atteso che la definizione dell’intervento di nuova costruzione – anche all’indomani delle modifiche apportate dal legislatore a quella della ristrutturazione edilizia – comprende “… quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali: e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6)”.
L’utilizzazione dell’avverbio “comunque” impone all’interprete di escludere che tra gli interventi di ristrutturazione siano sussumibili quelli che comportino ampliamento all’esterno della sagoma esistente.
Nel caso di specie, dal momento che la Corte aveva già escluso il carattere pertinenziale dell’ampliamento, ne sovviene che aver deciso la sussumibilità dell’intervento de quo nella ristrutturazione edilizia si appalesa come evidente errore esegetico delle definizioni delle categorie d’intervento.
In sostanza, solamente le modifiche volumetriche che riempiono i “vuoti” ovverosia chiostrine, cavedi già presenti nell’edificio, generalmente già computati volume ab origine in forza di disposizioni regolamentari comunali, quindi nella sua sagoma, possono rientrare nella definizione di ristrutturazione edilizia.   Non altre.
Ritengo necessario che i Giudici operino quanto prima una chiara precisazione a tal riguardo.