Ad oggi non esiste possibilità di usucapione da parte della Pubblica Amministrazione. Verso la doverosa responsabilizzazione della Pubblica Amministrazione?
(Annotazione a CONSIGLO DI STATO, Sez. IV, n. 3346 del 3/7/2014)

di Massimo GRISANTI

Tanto tuonò, che piovve!

 

Finalmente il Consiglio di Stato, Sez. IV (Pres. Virgilio, Est. Taormina, Cons. Russo, Corradino, Migliozzi), con la sentenza in esame stabilisce che la Pubblica Amministrazione non potrà fino al 2021 (vent’anni dall’entrata in vigore del D.P.R. n° 327/2001) validamente usucapire beni immobili illegittimamente occupati.

 

E nemmeno le condizioni economiche in cui versa l’Ente Pubblico possono avere rilevanza a far indurre a soluzioni diverse gli Organi di Giustizia, “non costituendo la stessa causa di esonero da responsabilità risarcitoria”.

 

Richiamando i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, così come interpretati dalla CEDU, il Consiglio di Stato ha dato una interpretazione costituzionalmente orientata all’istituto civilistico dell’usucapione nell’ambito dei rapporti tra P.A. e Cittadino (che così viene elevato dal rango di suddito dove era stato relegato dalla Casta Amministrativa, la quale è sempre stata restìa a pagare i propri errori).

 

Condividendo quanto già espresso dal TAR Umbria nella sentenza n. 41/2014 (v. http://lexambiente.it/urbanistica/184-dottrina184/10373-urbanisticaespropriazione-indiretta-o-larvata-di-beni-privati.html) il Supremo Consesso amministrativo così si pronuncia:

“(…) 2.5. La questione dei rapporti tra l’istituto civilistico dell’usucapione e quello dell’occupazione sine titulo e conseguente trasformazione da parte della P.A. di un bene privato e connessi aspetti in tema di tutela restitutoria e risarcitoria, risulta quanto mai delicata, non solo sotto il profilo strettamente civilistico, quanto e soprattutto in riferimento alla compatibilità con l’art. 1 del Protocollo Addizionale della C.E.D.U..

Secondo una tesi oggi invalsa sia presso la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lazio Roma sez II bis, 2 ottobre 2009, n.9557; T.A.R. Abruzzo, 26 giugno 2008, n.860; T.A.R. Basilicata 2 gennaio 2008, n.4; T.A.R. Sicilia Palermo sez III, 5 luglio 2012, n. 1402; C.G.A.S. 14 gennaio 2013, n. 9; T.A.R. Puglia Lecce sez III, 15 novembre 2013, n.2310) che ordinaria (Cassazione civ. sez I, 4 luglio 2012, n. 11147; id. sez. III, 8 settembre 2008, n.17570) l’usucapione sarebbe pienamente applicabile in favore della PA anche alle occupazioni preordinate alla realizzazione di opere pubbliche laddove vi sia possesso protrattosi ininterrottamente per venti anni, quale “valvola di chiusura del sistema” (T.A.R. Lazio - Roma sez II bis, 2 ottobre 2009, n. 9557) altrimenti dovendosi riconoscere la perpetuità di azione di restitutio in integrum o risarcitoria da parte del soggetto privato vittima dell’occupazione, fermo restando la problematica della corretta individuazione del momento della “interversio possessionis”.

Così opinando, il possesso da parte dell’Amministrazione non sarebbe né violento né clandestino (1163 c.c.) e sarebbe pertanto utile ai fini del perfezionamento dell’usucapione, fermo solo restando appunto la necessità di individuare l’interversio possessionis che la giurisprudenza identifica, non senza incertezze, nell’immissione in possesso (T.A.R. Abruzzo, 26 giugno 2008, n.860; T.A.R. Basilicata 2 gennaio 2008, n.4) o - più correttamente - nella intervenuta scadenza del periodo di occupazione legittima (T.A.R. Sicilia Palermo sez III, 5 luglio 2012, n. 1402; C.G.A.S. 14 gennaio 2013, n. 9; T.A.R. Puglia Lecce sez III, 15 novembre 2013, n.2310) oppure ancora alla data di entrata in vigore del D.p.r. 8 giugno 2001 n. 327 (vedi l’isolata ma ampiamente motivata T.A.R. Lazio - Roma sez II bis, 2 ottobre 2009, n.9557).

Secondo altra tesi, ai fini di una valida “interversio possessionis” devono ritenersi insufficienti i meri atti di esercizio del possesso, quali, nel caso dell'apprensione materiale di un terreno edificabile, l'inizio e finanche il compimento di una attività edificatoria (nella specie la realizzazione di una strada pubblica): e ciò, in quanto tali atti non sono specificamente rivolti "contro il possessore" (art. 1141 comma 2 c.c.), giacché, secondo i principi generali, tutto ciò che viene edificato sul suolo accede di diritto alla proprietà di esso (omne quod inaedificatur solo cedit - art. 934 c.c.); tali attività non concretano dunque una valida interversione del possesso, ma soltanto una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla mera detenzione materiale del bene in forza del decreto di occupazione di urgenza (così T.A.R. Liguria sez. I, 23 novembre 2011, n. 1635; vedi anche T.A.R. Toscana sez I, 22 gennaio 2013, n.84 che nega radicalmente che il possesso sine titulo da parte dell’Amministrazione, integrando un illecito permanente, possa dirsi utile ai fini dell’usucapione).

Ritiene il Collegio (con ciò manifestando condivisione alle eccezioni formulate da parte appellata nelle proprie memorie) per il vero, assai discutibile la teorizzata usucapibilità di beni illecitamente occupati dall’Amministrazione: e ciò sia alla luce dell’ampia nozione di violenza del possesso elaborata dalla giurisprudenza (ex multis Cassazione civ. sez. II, 7 dicembre 2012, n. 22174) laddove si è sostenuta la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, quanto soprattutto in relazione alla assai dubbia compatibilità con l’art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU (“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.”).

La costante giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (seconda sezione, 30 maggio 2000, Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia, n. 31524/96; terza Sezione, 12 gennaio 2006, Sciarrotta c. Italia, n. 14793/02), ha più volte affermato la non conformità alla Convenzione (in particolare, al citato Protocollo addizionale n. 1) dell'istituto della cosiddetta "espropriazione indiretta o larvata" (censurando quindi la possibilità di individuare sistemi di acquisizione diversi da quello consensuale del contratto e da quello autoritativo del procedimento espropriativo ed in particolare ogni fenomeno di creazione pretoria di acquisto della proprietà mediante fatto illecito).

La disciplina sovranazionale contenuta nella C.E.D.U pur non avendo assunto forza di diritto comunitario – bensì di “norma costituzionale interposta” ex art 117 c. 1 Cost. (Corte Costituzionale 11 marzo 2011, n.80, id. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349) – impone al giudice l’interpretazione delle norme interne primarie conformemente, ove possibile, alla C.E.D.U. quale parametro di legittimità costituzionale interposto (art. 117 c. 1 Cost.) ed in caso di insanabile contrasto, di sollevare la questione di legittimità costituzionale.

Predicare quindi che l’apprensione materiale del bene da parte dell’Amministrazione al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante (art. 42 bis d.P.R. 327/2001) possa essere qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’acquisto per usucapione, rischierebbe di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata.

E, per soprammercato, non onerose per l’Amministrazione, dal momento che la c.d. retroattività reale dell’usucapione estinguerebbe anche ogni pretesa risarcitoria (ex multis Cassazione civ. sez III, 8 settembre 2006, n.19294; id. sez. II 24 febbraio 2009, n.4434;T.A.R. Basilicata 2 gennaio 2008, n.4; T.A.R. Puglia - Lecce sez I, 8 luglio 2004, n.4916).

2.5.1. In senso troncante per la reiezione della doglianza nella situazione di specie poi, si rileva che per giurisprudenza consolidata, l’interruzione dell’usucapione può avvenire oltre che con la perdita materiale del possesso soltanto con la proposizione di apposita domanda giudiziale, non essendo all’uopo sufficienti atti di contestazione, diffida o messa in mora (ex multis Cassazione civ, 11 giugno 2009, n.13625; id. sez. II, 11 luglio 2011, n.15199).

Quantomeno sino all’entrata in vigore del d.P.R. 327/2001, risultava radicalmente preclusa, da parte del destinatario dell’occupazione preordinata all’esproprio, l’azione di restitutio in integrum, qualificando l’occupazione acquisitiva più che un mero fatto illecito, una vera e propria “fattispecie ablatoria seppur atipica” (Corte Costituzionale 23 maggio 1995, n.188, Corte Costituzionale 30 aprile 1999, n.148, Cassazione civile sez I, 6 giugno 2000, n.7583).

Ne consegue che, a tutto concedere, (alla stregua dell’art 2935 c.c. - secondo cui la prescrizione decorre “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”) il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi a partire dall’entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, (l’art. 43 ivi contenuto, come è noto, aveva sancito il superamento normativo dell’istituto dell’occupazione acquisitiva) il che implica che il termine ventennale non sarebbe neppure ad oggi maturato. (…)”.

 

Preme ricordare che all’indomani dell’entrata in vigore della Legge n. 241/1990 l’azione della P.A. doveva – e deve – essere svolta in conformità ai principi dell’ordinamento comunitario. Pertanto si ribadisce il convincimento che alcuna valida usucapione può essere vantata dalla P.A. a partire dal 2/9/1990, nemmeno se agisce iure privatorum, perché per essa il divieto di apprensione dei beni occupati deriva dai principi di buona (e leale) amministrazione ex art. 97 Cost., fonte di affidamento dei Cittadini.

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Scritto il 7/07/2014