GUP Tribunale Ancona ord.7 maggio 2012 .     
Urbanistica. Appostamenti di caccia e normativa edilizia

Norme della Regione Marche. Esercizio venatorio da appostamento fisso e temporaneo. Previsione che gli appostamenti fissi di caccia autorizzati dalle Province in conformita' alle disposizioni della legislazione venatoria aventi determinate caratteristiche dimensionali non siano soggetti al rilascio dei titoli abilitativi edilizi - Contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale in materia - Violazione della competenza legislativa concorrente statale in materia di governo del territorio - Violazione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento penale. - Legge della Regione Marche 5 gennaio 1995, n. 7, art. 31, comma 1, terzo periodo, lett. c), come modificato dall'art. 22 della legge della Regione Marche 15 novembre 2010, n. 16 e dall'art. 18 della legge della Regione Marche 28 dicembre 2010, n. 20. - Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. l), e terzo.

IL TRIBUNALE Norme interessate: art. 31 comma I, terzo periodo lett. C) della legge regionale Marche 5.1.1995 n. 7, come modificato dalle leggi regionali n. 16 e n. 20 del 2010 in relazione all'art. 117 comma 2 lett. L) e comma 3 della Costituzione. Visto il procedimento indicato in epigrafe a carico di: 1 - Bugaro Giacomo, nato ad Ancona il 30/06/1969, ivi residente in via Toti n. 1, elettivamente domiciliato in Ancona, P.zza Plebiscito n. 55, contro l'avv. Maurizio Barbieri; 2 - Natalini Armando, nato a Polverigi il 16/02/1960, residente a Chiaravalle via Galilei n. 11; Imputati entrambi, per i reati di cui: a) agli artt. 110, 81, 1° co., C.P., 44 c. 1 lett. c) d.P.R. n. 380/2001, 181 d.lgs. n. 42/2004, perche', previo accordo e in concorso tra loro, il primo quale esecutore, il secondo quale responsabile dell'Area Gestione del Territorio del Comune di Chiaravalle, in assenza del permesso di costruire e della autorizzazione paesaggistica, realizzavano e/o consentivano di realizzare, sul terreno identificato catastalmente al foglio 15 mappale 17 e 24 del comune di Chiaravalle, sottoposta a vincolo ambientale ai sensi del citato T.U. in quanto sito nella fascia di rispetto del Fiume Esino, le seguenti opere: 1. un invaso di acque finalizzato alla caccia delle dimensioni di m 75×140 circa per uno sviluppo di mq 10.500,00 circa; 2. un argine di altezza variabile fino ad un massimo di m. 2,00 rispetto alla quota originaria; per il contenimento delle acque; 3. nella parte centrale un capanno per la caccia in seminterrato con struttura tamponante e copertura in elementi metallici delle dimensioni di m 2,60×5,20 ed altezza m 2,60 con portico anteriore con struttura in legno e copertura in onduline delle dimensioni di m. 1,60×2,55 ed altezza pari al capanno principale; 4. nell'angolo direzione autostrada un appostamento seminterrato con struttura in legno e copertura in onduline delle dimensioni di m. 2,00×3,00 ed altezza m. 2,00; 5. una condotta interrata per l'adduzione dell'acqua all'invaso fino al pozzo sulla corte della vecchia casa colonica preesistente; Acc. in Chiaravalle il 22.11.2010. Il solo Natalini: b) reato p. e p. dagli artt. 81, 323, 361 c.p., perche', nella qualita' di cui sub a), allo scopo di consentire al Bugaro l'indebito vantaggio patrimoniale consistente nella possibilita' di effettuare la caccia (avente ad oggetto patrimonio indisponibile dello Stato) da luoghi non consentiti, essendo stato posto a conoscenza con comunicazione dello stesso Bugaro in data 3.6.2010, della prossima effettuazione delle opere abusive pure descritte sub a), ometteva qualsiasi controllo sulle stesse, e, pur essendo stato notiziato in data 28.9.2010 della sussistenza delle opere abusive preannunciate, ometteva di inoltrare qualsiasi comunicazione di notizia di reato alle autorita' competenti. Avvenuto tra il 3.06.2010 e il 15.11.2010 in Chiaravalle. Persona offesa sindaco pro-tempore comune di Chiaravalle. Parte civile WWF Italia, via Po n. 25 - Roma. Osserva nell'ambito del procedimento sopra indicato, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio trasmessa in data 25.2.12 dall'ufficio di Procura, veniva fissata - dopo un rinvio dell'udienza del 16.4.12 disposto per difetti di notifiche - l'odierna udienza preliminare, in esito alla quale entrambi gli imputati venivano rinviati a giudizio per il reato di cui all'art. 181 d.lgs. 42/04 e, limitatamente alle condotte descritte ai punti nn. 1, 2 e 5, per il reato di cui all'art. 44 c.1 lett. c) d.P.R. n. 380/2001, il solo Natalini anche per i reati di cui agli artt. 323, 361 c.p., come meglio indicato in epigrafe. Con memoria depositata in data 3.5.12, cui il P.M. di udienza si riportava nel corso delle odierne conclusioni, l'Ufficio di Procura avanzava richiesta di dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza, nel senso di cui si dira' ed in relazione all'art. 117 della Costituzione, della questione di legittimita' costituzionale della legge regionale Marche n. 7 del 5.1.1995, cosi' come modificata dalle leggi regionali n. 16 e n. 20 del 2010. La questione prospettata merita accoglimento. Deve innanzitutto premettersi che la questione di legittimita' costituzionale viene da questo Giudice prospettata solo con riferimento alle condotte descritte ai punti nn. 3 e 4 del capo di imputazione sub a) ed in relazione al solo art. 44 comma 1 lett. c) d.P.R. n. 380/2001, in quanto solo in relazione ad esse da ritenersi rilevante, trattandosi di fattispecie cui, per quanto si dira' di seguito, la legislazione regionale ha sottratto rilievo penale. Infatti, le modifiche alla legislazione regionale in materia di appostamenti di caccia, riverberano direttamente effetti sulla fattispecie di cui all'art. 44 lett. c) d.P.R. n. 380/01 (realizzazione di appostamento fisso di caccia senza permesso di costruire), nella fattispecie al vaglio di questo Giudice riguardanti, dunque, le sole ipotesi descritte ai punti nn. 3 e 4 (si ribadisce che quanto alle condotte descritte ai punti nn. 1, 2 e 5 gli imputati sono stati rinviati a giudizio non ritenendosi che la legislazione regionale abbia operato la «parziale depenalizzazione» anche delle fattispecie ivi descritte, relative alla costruzione di un invaso di acque di circa mq 10.500, di un argine di altezza sino a m. 2 per il contenimento delle acque stesse e di una condotta interrata per l'adduzione dell'acqua). Dunque, la parziale depenalizzazione ad opera della legge regionale non puo' non ritenersi che inerire la costruzione del capanno per la caccia in seminterrato e dell'appostamento seminterrato, opere compiutamente descritte ai punti nn. 3 e 4 del capo di imputazione sub a). La legge regionale n. 7 del 1995 (in particolare, per quel che qui interessa, l'art. 31) e' stata oggetto di due successive e ravvicinate modifiche, ad opera dapprima dell'art. 22 della l.r. 15.11.2010 n. 16, poi dell'art. 18 della l.r. 28.12.2010 n. 20. Con la legge n. 16 e' stato dapprima aggiunto l'inciso, sotto riportato in grassetto: «Gli appostamenti fissi di caccia autorizzati dalle Province in conformita' alle disposizioni della legislazione venatoria non sono soggetti alle prescrizioni normative previste dalla 1.r. 34/1992 e non sono soggetti, altresi', al rilascio dei titoli abilitativi edilizi previsti dalle normative vigenti, purche' conformi ai limiti dimensionali e alle modalita' costruttive fissati dalla Giunta regionale»; modifica vigente a decorrere dal 19.11.2010. Poi, con la successiva legge n. 20 il comma cosi' veniva modificato (sempre in grassetto): «Gli appostamenti fissi di caccia autorizzati dalle Province in conformita' alle disposizioni della legislazione venatoria non sono soggetti alle prescrizioni normative previste dalla 1.r. 34/1992 e non sono soggetti, altresi', al rilascio dei titoli abilitativi edilizi previsti dalle normative vigenti, purche' abbiano le seguenti dimensioni: a) appostamento fisso alla minuta selvaggina, di norma collocato a terra, avente dimensioni non superiori a 9 mq; b) appostamento fisso per colombacci costituito da un capanno principale collocato a terra o su alberi o traliccio artificiale con dimensioni non superiori a 9 mq per ciascun capanno principale o secondario; c) appostamento fisso per palmipedi e trampolieri costituito da un capanno collocato in prossimita' dell'acqua, sugli argini di uno specchio d'acqua o prato soggetto ad allagamento le cui dimensioni non possono superare complessivamente i 20 mq.»; modifica vigente dal giorno 1.1.2011. Le due modifiche legislative, di cui l'ultima, in relazione al dettato normativo di cui alla lett. c) descrittiva in modo perfettamente coincidente la fattispecie al vaglio di questo Giudice, sono divenute vigenti (rispettivamente, come detto, il 19.11.2010 ed il 1.1.2011) in un momento in cui il reato di cui all'art. 44 lett. c) si era gia' consumato. Se e' vero infatti che nel capo di imputazione si legge «Accertato in data 22.11.2010», e' altrettanto pacifico, in base agli atti, che le opere risultano ultimate in epoca antecedente, senz'altro entro il settembre 2010. Tuttavia deve ritenersi che tale normativa regionale, di natura extrapenale, anche laddove volesse considerasi successiva alla consumazione del reato, abbia incidenza in termini di astratta configurabilita' del reato medesimo, trattandosi di norma successiva favorevole applicabile ai fatti pregressi in base all'art. 2, comma 4, c.p. Va a questo punto valutata la questione della non manifesta infondatezza della legittimita' costituzionale dell'intervento normativo regionale. Come noto, unanime giurisprudenza, anche costituzionale, e dottrina maggioritaria hanno sempre sostenuto che in materia penale la potesta' legislativa spetti esclusivamente allo Stato. Con la nota modifica del titolo V della Costituzione risalente al 2001, peraltro, il tema sembra aver raggiunto una definitiva soluzione: l'art. 117 c. 2 lett. L) Cost. stabilisce infatti espressamente che lo Stato ha potesta' legislativa esclusiva nella materia dell'ordinamento penale, non potendosi ritenere, evidentemente, ammissibile che uno stesso comportamento sia sanzionato penalmente in una certa Regione e non in un'altra, essendo il bene in gioco, da una parte, quello della liberta' personale, dall'altra, quello, pure rilevante, di volta in volta tutelato dal precetto penale. La Corte costituzionale - nell'interpretazione del principio della riserva di legge in materia penale, posto dall'art. 25 c. 2 Cost. - ha infatti costantemente affermato il «monopolio» del legislatore statale, fondando tale posizione su un'esegesi del complessivo sistema costituzionale che disvela la statualita' del ramo penale del diritto in ogni vicenda costitutiva o estintiva della punibilita'. E' stato evidenziato, in particolare, che (cfr sentenza n. 487 del 25.10.89 riferita a disposizioni legislative della Regione Siciliana incidenti sul regime di condono edilizio posto dall'art. 31 della L. 47/1985): a) la scelta circa le restrizioni dei beni fondamentali della persona e' cosi' impegnativa che non puo' non essere di pertinenza dello Stato; b) la riserva di competenza alla legge statale e' anche una conseguenza della necessita' che vi siano in tutto il territorio nazionale condizioni di eguaglianza nella fruizione della liberta' personale, pena la violazione dell'art. 3 Cost.; c) un eventuale pluralismo di fonti regionali penali contrasterebbe con il principio dell'unita' politica dello Stato. La Consulta dunque, in coerenza con tali principi, ha piu' volte censurato leggi regionali comunque incidenti sul sistema penale, in senso cioe' favorevole o contrario al reo. E' parimenti evidente che non e' possibile per le Regioni «aggirare» la potesta' esclusiva statale attraverso «modifiche mediate» della fattispecie penale, ossia intervenendo (per stare alla materia urbanistica) con disciplina amministrativa «di favore» (cosi' determinando una parziale «depenalizzazione»), ovvero con disciplina piu' rigorosa (cosi', viceversa, ampliando l'area del penalmente rilevante). In entrambi i modi, di fatto, il risultato sarebbe quello di una diretta incidenza legislativa regionale nel diritto penale, in senso meno punitivo ovvero maggiormente punitivo: il che e' ora chiaramente vietato dal precetto costituzionale sopra richiamato. Deve escludersi, pertanto, in ossequio al principio di legalita', che la scelta di criminalizzare o meno una certa condotta possa attribuirsi alla Regione, consentendo l'opzione fra attrarre o meno una certa attivita' al regime del permesso di costruire. Non a caso il legislatore statale, con intervento coevo a quello di modifica costituzionale, ha inteso precisare i rapporti tra interventi regionali e area penale. Infatti, proprio il d.P.R. 6.6.2001 n. 380 (Testo unico in materia edilizia, che funge da legge-cornice in relazione alla concorrente potesta' normativa regionale: cfr. ancora art. 117 Cost., che al comma 3 tra le varie materie indica anche quella del governo del territorio) detta in tal senso una disciplina inequivocabile: a) l'art. 10, comma 3 del t.u. edilizia consente alle Regioni l'esercizio di una flessibilita' normativa nella direzione di ampliare l'area applicativa del permesso di costruire; ma tale ampliamento, proprio per evitare la creazione di nuove ipotesi «regionali» assistite da sanzione penale, testualmente «non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 44»; ed e' appena il caso di rilevare che, coerentemente, il testo unico non prevede per le Regioni la possibilita' opposta, ossia quella di individuare interventi sottratti al regime del permesso di costruire; b) in parallelo, ed ai sensi dell'art. 22, comma 4, del t.u. edilizia, le Regioni (a statuto ordinario) possono, con legge, ampliare o ridurre l'ambito applicativo della denuncia di inizio dell'attivita' (D.I.A.), con la specificazione che gli ampliamenti o le riduzioni delle categorie sottoposte dalla legge statale alla c.d. «SUPERDIA» (art. 22 c. 3 t.u. edilizia) non incidono, pero', sul regime delle sanzioni penali (come infatti e' noto la realizzazione di interventi edilizi ai sensi dell'art. 22 c. 3 e' presidiata da sanzione penale: art. 44, c. 2-bis t.u. edilizia) che alla sola normativa statale si correlano, in considerazione dei ridetti limiti posti dalla Costituzione alla potesta' legislativa regionale. Le legge regionale in parola, dunque, appare in contrasto con l'art. 117, c. 2, lett. L) Cost. Di recente, proprio in relazione a casi del tutto analoghi a quello in esame (legge regionale che sottrae un intervento al regime del permesso di costruire) la Corte di cassazione ha inoltre avuto modo di precisare che «in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi» (Cass. pen. Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007, Rv. 238555; Cass. pen. Sez. 3, n. 33039 del 15/06/2006, Rv. 234935; Cass. pen. Sez. 3, n. 24201 del 25/05/2005, Rv. 231948). Si nota qui un ulteriore e concorrente approccio alla questione di cui si tratta: il problema cioe' riguarda non soltanto il tema della potesta' legislativa statale esclusiva (la materia penale), ma anche quello della potesta' legislativa concorrente (art. 117 c. 3 Cost.: nel nostro caso, il governo del territorio). Riguardando la questione dal punto di vista della materia del «governo del territorio», infatti, tutte le volte che alla normativa regionale possa essere data un'interpretazione costituzionalmente orientata, in armonia con i «principi fondamentali della materia» delineati dalla legge-quadro statale, non sara' necessario da parte del giudice sollevare la questione di costituzionalita' della legge regionale, per contrasto con la legge-cornice, con riferimento alla violazione dell'art. 117 c. 3 Cost. Deve evidenziarsi, circa la possibilita' di intervento della Consulta sulla costituzionalita' di una legge regionale proprio in materia edilizia e con specifico riferimento a previsioni regionali di interventi senza permesso di costruire in violazione della legge-quadro statale, la recente Corte cost. 21.11.2011 n. 309, secondo la quale «sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perche' e' in conformita' a queste ultime che e' disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonche' agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali. L'intero corpus normativo statale in ambito edilizio e' costruito sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall'altro. La definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato». Sulla base di tali premesse, veniva dichiarata incostituzionale una disposizione della legge Lombardia 11.3.2005 n. 12 nella parte in cui escludeva l'applicabilita' del limite della sagoma alle ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e ricostruzione. Ne' vi sara' contrasto con l'art. 117 c. 2 lett. L) Cost., poiche' a quell'interpretazione seguira' un regime amministrativo non difforme da quello previsto dalla normativa statale, con persistente configurabilita' della sanzione penale. Venendo alla norma in esame (art. 31 c. 1, terzo periodo, legge regionale Marche 5.1.1995 n. 7, come modificato dalle leggi regionali n. 16 e n. 20 del 2010) questa appare insuscettibile di interpretazione «conservativa», trattandosi di norma che, in modo perentorio, sottrae al regime del permesso di costruire gli appostamenti fissi di caccia con determinate caratteristiche. Di conseguenza si impone l'eccezione di incostituzionalita' di detta norma, per contrarieta' sia all'art. 117, comma 2 lett. L) Cost., sia al comma 3 del medesimo articolo, in quanto la legge regionale da una parte determina un'area di penale irrilevanza in contrasto con il «monopolio statale» della materia penale, dall'altra viola i «principi fondamentali della materia» previsti dalla normativa statale all'art. 3 c. 1 lett. e) ed all'art. 10 d.P.R. 6.6.2001 n. 380. La questione deve poi ritenersi senz'altro rilevante, poiche' dall'applicazione della norma censurata discende la decisione del presente procedimento: ove si ritenesse conforme a Costituzione l'intervento normativo regionale che qui si censura, ne conseguirebbe declaratoria di non doversi procedere per intervenuta modifica di norma extrapenale, favorevole al reo. Appare senz'altro rilevante procedere alla qualificazione degli interventi edilizi - si rammenta i soli descritti ai punti nn. 3 e 4 del capo di imputazione sub a) - al fine di accertare la commissione del reato contestato: intervento che in base alla normativa statale e' soggetto a permesso di costruire trattandosi di opere non precarie implicanti trasformazione edilizia del territorio, mentre in base alla normativa regionale sarebbero sottratti al regime autorizzatorio: entrambi gli interventi edilizi di cui si discute rientrano infatti nell'ipotesi di cui all'art. 31, comma 1, lett. e), della legge regionale n. 7 del 1995 e succ. mod., trattandosi di manufatti che non superano il limite dimensionale di 20 mq. D'altra parte che si tratti di intervento che di norma e' soggetto a permesso di costruire si desume dalle stesse modifiche legislative regionali di cui si discute, che appunto stabiliscono una deroga a quella che - evidentemente - e' regola generale. La questione e' inoltre rilevante avendo la Corte costituzionale affermato con numerose pronunce che il principio di legalita' in campo penale non preclude lo scrutinio di costituzionalita', anche in malam partem, delle c.d. norme penali di favore, ossia delle norme che stabiliscano, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico piu' favorevole di quello che risulterebbe dall'applicazione di norme generali o comuni; e cio' per «l'ineludibile esigenza di evitare la creazione di zone franche dell'ordinamento» (v. ad es. Corte cost. 23 novembre 2006, n. 394, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di alcune parti della legge n. 61 del 2004 in materia di reati elettorali): laddove la legge regionale Marche in oggetto determina appunto «una zona franca» per la realizzazione di determinati appostamenti fissi di caccia senza permesso di costruire. La questione e' altresi' non manifestamente infondata. La materia penale e' attribuita dal legislatore costituzionale alla competenza esclusiva statale: come sopra ampiamente argomentato, la disposizione della legge regionale in disamina si pone in contrasto con tale precetto. L'edilizia rientra inoltre, in base a consolidata giurisprudenza costituzionale, nell'ambito della materia del «governo del territorio», di competenza concorrente. La normativa statale di cui agli artt. 3 c. 1 lett. e) e 10 d.P.R. 6.6.2001 n. 380 reca la definizione di intervento edilizio e costituisce principio fondamentale non derogabile dal legislatore regionale. Costituisce altresi' principio fondamentale quello specificamente indicato al comma 3 del citato art. 10, in base al quale e' precluso alle Regioni individuare con legge ulteriori interventi che non siano sottoposti al rilascio del permesso di costruire. La censurata normativa regionale, come appena visto, disciplina in modo derogatorio una determinata tipologia di intervento che in base alla normativa statale sarebbe invece soggetta ad autorizzazione, determinando di fatto la sottrazione di alcune specifiche ipotesi alla sanzione penale. Per questi motivi, visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87: deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata, nei sensi di cui in motivazione e in relazione all'art. 117 c. 2 lett. L) e comma 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 31 c. 1, terzo periodo, lett. c) della legge regionale Marche 5.1.1995 n. 7, come modificato dalle leggi regionali n. 16 e n. 20 del 2010, nella parte in cui stabilisce che gli appostamenti fissi di caccia autorizzati dalle Province in conformita' alle disposizioni della legislazione venatoria, ed aventi le caratteristiche dimensionali ivi riportate, non sono soggetti al rilascio dei titoli abilitativi edilizi, norma da ritenere in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale in materia di governo del territorio e, dunque, in violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., nonche' in violazione diretta dell'art. 117 c. 2 lett. L) Cost. intervenendo illegittimamente sulla materia penale. Si impone pertanto la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
 P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 31 comma I, terzo periodo lett.  C)  della  legge
regionale Marche 5.1.1995 n. 7, (come modificato dall'art.  22  della
legge regionale Marche n. 16 del  15.11.2010  e  dall'art.  18  della
legge regionale Marche  n.  20  del  28.12.2010);  art.  1  L.  Cost.
9/2/1948 e 23 L. 11/3/1953 n. 87. 
    Accoglie la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 31
legge regionale Marche n. 7 del 1995 cosi' come modificato  dall'art.
22 della l.r. Marche 15.11.2010 n.  16  e  dall'art.  18  della  l.r.
Marche 28.12.2010 n. 20. 
    Per contrarieta' all'art. 117 comma II lett. L) e comma III della
Costituzione. 
    Sospende il procedimento in corso limitatamente ai punti nn. 3  e
4 di cui al capo di imputazione sub a) in relazione al solo  art.  44
comma I lett. e) d.P.R. n. 380/2001. 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Ordina la notificazione della presente  ordinanza  al  Presidente
della Giunta  regionale  delle  Marche  e  la  sua  comunicazione  al
Presidente del Consiglio regionale delle Marche. 
    Manda la Cancelleria per gli adempimenti. 
 
      Ancona, addi' 7 maggio 2012 
 
            Il giudice per l'udienza preliminare: Zagoreo