TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 2619 del 28 dicembre 2009
Urbanistica. Attività di cava

L’attività di cava non può ritenersi estranea all’attività edilizia. L’art. 3, co. 1, lett. e.7) d.p.r. 380/01 nelle definizioni degli interventi edilizi contempla anche le attività produttive all’aperto ove contemplino l’esecuzione di lavori che comportino la modificazione del suolo inedificato. E’ quindi già il legislatore, sia statale che regionale, che nel momento in cui disciplina gli interventi edilizi, individua come tale anche la realizzazione di attività produttive descritte in modo che possano attagliarsi in tutto e per tutto a quelle di cava.
La tesi che l’attività di cava non sia un’attività edificatoria in senso proprio trae origine dalla circostanza che essa non è assoggettata al rilascio dei normali titoli edilizi, entrando a far parte del procedimento regionale di autorizzazione all\'esercizio di cava, nell\'ambito del quale, anche tramite l\'intervento in funzione consultiva del comune interessato, deve valutarsi la compatibilità urbanistica dell\'intervento.
La circostanza che il titolo edilizio sia diverso (autorizzazione regionale, anziché concessione edilizia o permesso di costruire) non esclude comunque la necessità di un titolo edilizio, in quanto ritiene l\'autorizzazione regionale alla coltivazione come assorbente anche la concessione edilizia
N. 02619/2009 REG.SEN.
N. 01003/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 1003 del 2007, proposto da:
VEZZOLA Spa,
rappresentata e difesa dagli avv. Italo Ferrari, Francesco Fontana, Gianfranco Fontana,
con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gianfranco Fontana in Brescia, via Diaz, 28;
contro
PROVINCIA DI BRESCIA,
rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Basile, Katiuscia Bugatti, Pierluigi Mantini, Magda Poli,
con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Magda Poli in Brescia, c.so Zanardelli, 38;
per l\'annullamento,
previa sospensione dell\'efficacia,
del provvedimento del direttore settore ambiente 8.6.2007 n. 1955 che annulla in autotutela l’autorizzazione all\'attività estrattiva di sabbia e ghiaia in loc. Cascina Zamboni.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l\'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Brescia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell\'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2009 il dott. Carmine Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


La società Vezzola spa impugna il provvedimento del 8. 6. 2007 con cui la Provincia di Brescia (dopo averlo sospeso con provvedimento del 24. 4. 2007) ha annullato in autotutela il provvedimento dirigenziale 187 del 26. 1. 2006, recante autorizzazione alla coltivazione di una cava sita al margine del Comune di Montichiari, al confine con l’aeroporto civile Gabriele D’Annunzio di Montichiari.
La Provincia aveva deciso di annullare in autotutela il provvedimento autorizzatorio all’apertura della cava perché aveva rilevato che esso non avrebbe dovuto essere rilasciato, in quanto il Piano territoriale di coordinamento provinciale di Brescia approvato il 21. 1. 2004 (e pubblicato sul B.U.R.L. del 22. 12. 2004) recava una norma di salvaguardia che, in attesa dell’approvazione del piano territoriale d’area dell’aeroporto D’Annunzio in cui erano destinate ad essere indicate le linee di sviluppo dello stesso, proibiva nell’area limitrofa allo scalo qualsiasi nuova attività edificatoria per un periodo massimo di 3 anni.
Alla scadenza del termine triennale, era poi intervenuta la l.r. 5/07, che recepiva la misura di salvaguardia nella fonte legislativa, stabilendo il divieto di attività di trasformazione urbanistica nell’area adiacente all’aeroporto per un periodo massimo di 15 mesi dal momento di entrata in vigore della stessa, termine successivamente prorogato da altre leggi regionali sopravvenute.

I motivi che sostengono il ricorso contro tale provvedimento sono i seguenti:
1. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione di legge, in quanto la lettera della norma di salvaguardia dell’art. 100 P.T.C.P. vieta qualsiasi “attività edificatoria”, e l’attività di cava non costituisce a rigore attività edificatoria, essendo assoggettata ad un regime completamente differente da quello della comune attività edilizia;
2. il provvedimento sarebbe inoltre illegittimo per violazione dell’art. 10 l.r. 14/88, in quanto la possibilità di coltivare l’area in questione sarebbe in realtà consentita dal Piano provinciale delle attività estrattive che, in forza dell’art. 10 appena citato, avrebbe prevalenza sugli altri atti pianificatori;
3. il provvedimento sarebbe inoltre illegittimo anche per violazione dell’art. 14, co. 3, l.r. 5/07, in quanto l’attività di cava non poteva ritenersi impedita neanche dalla misura di salvaguardia prevista direttamente dalla fonte legislativa, in quanto tale ultima fonte, dopo aver previsto il divieto di qualsiasi attività di trasformazione urbanistica nell’area confinante con l’aeroporto, faceva salve però le attività edilizie già assentite;
4. il provvedimento sarebbe infine illegittimo per violazione dell’art. 21 nonies l. 241/90, perché, come tutti i provvedimenti in autotutela, avrebbe dovuto recare una motivazione sul bilanciamento tra interessi pubblici e privati sottesi all’annullamento, che nel caso in esame farebbe difetto.
Nel ricorso era formulata altresì istanza di risarcimento del danno subito per effetto della sospensione dell’attività di cava, individuato in euro 630.000 per ogni 45 gg. di sospensione dell’attività imprenditoriale.

Si costituiva in giudizio la Provincia di Brescia, che deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 25. 11. 2009, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.


DIRITTO


Il ricorso è infondato.

I. Nel primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la misura di salvaguardia posta dall’art. 100 del PTCP non sarebbe applicabile alle attività oggetto dell’autorizzazione annullata in autotutela, in quanto non avente ad oggetto interventi edificatori. La tesi della ricorrente argomenta dalla lettera della previsione della misura di salvaguardia.
L’art 100 PTCP stabilisce, infatti, che: “Il P.T.C.P. ha come obiettivo strategico lo sviluppo dell’aeroporto di Montichiari. Prevede, quindi, la messa in atto di un programma rivolto a definire, mediante atti di pianificazione complessa di cui all’art.15: l’adeguata programmazione degli interventi infrastrutturali; le strategie per lo sviluppo economico-sociale; il grado di compatibilità ambientale dell’aeroporto col territorio coinvolto.
Nelle aree interne al poligono delimitato: a nord, dalla poligonale di cui alla Tav.1.1; ad est, dalla ex S.S. 236 “Goitese”; a sud, dalla ex S.S. 668 “Lenese”; a ovest, dalla linea ferroviaria Brescia-Parma - così come riportati nella tavola stessa, fino all’approvazione del Piano Territoriale d’Area per l’aeroporto G. D’Annunzio o di specifici Accordi di Programma, e comunque non oltre tre anni dall’approvazione del P.T.C.P. l’attività edificatoria è ammessa limitatamente agli interventi di manutenzione, restauro e ristrutturazione edilizia degli edifici esistenti senza mutamenti di destinazioni d’uso a scopo residenziale; s’intendono altresì operanti, nelle more suddette, le servitù attualmente in essere per gli aeroporti civili e militari.
Nelle aree esterne al poligono predetto, le nuove previsioni urbanistiche di tipo insediativo dovranno essere valutate in termini di compatibilità territoriale e ambientale rispetto alla presenza dell’infrastruttura nonché in relazione alle esigenze di sicurezza dei sentieri di decollo e atterraggio degli aeromobili. In particolare, dovrà essere evitata la localizzazione di nuovi insediamenti residenziali e di funzioni e servizi di livello territoriale - o comunque ad alta frequentazione - nei coni impostati sugli assi delle piste di partenza e decollo, da dimensionarsi indicativamente in base ai parametri della letteratura corrente in materia”.
Trattandosi di un’area interna al poligono in parola (in quanto addirittura adiacente l’aeroporto), essa è gravata dalla previsione che prescrive che “l’attività edificatoria è ammessa limitatamente agli interventi di manutenzione, restauro e ristrutturazione edilizia degli edifici esistenti”. La ricorrente ritiene non applicabile questa previsione in quanto l’attività di cava non sarebbe un’attività edificatoria. A sostegno di tale tesi cita la numerosa giurisprudenza che ha affermato che l’attività di cava è soggetta ad uno statuto speciale rispetto a quella della normale attività edilizia.
La tesi della ricorrente, peraltro, non è corretta. L’attività di cava, infatti, non può ritenersi estranea all’attività edilizia.
Come evidenziato dalla difesa della Provincia nel corso del giudizio, l’art. 3, co. 1, lett. e.7) d.p.r. 380/01 nelle definizioni degli interventi edilizi contempla anche le attività produttive all’aperto ove contemplino l’esecuzione di lavori che comportino la modificazione del suolo inedificato. La stessa definizione è ripresa pedissequamente dall’art. 27, co. 1, lett. e), n. 7), l.r. 12/05. E’ quindi già il legislatore, sia statale che regionale, che nel momento in cui disciplina gli interventi edilizi, individua come tale anche la realizzazione di attività produttive descritte in modo che possano attagliarsi in tutto e per tutto a quelle di cava.
La tesi che l’attività di cava non sia un’attività edificatoria in senso proprio trae origine dalla circostanza che essa non è assoggettata al rilascio dei normali titoli edilizi, entrando a far parte del procedimento regionale di autorizzazione all\'esercizio di cava, nell\'ambito del quale, anche tramite l\'intervento in funzione consultiva del comune interessato, deve valutarsi la compatibilità urbanistica dell\'intervento.
La circostanza che il titolo edilizio sia diverso (autorizzazione regionale, anziché concessione edilizia o permesso di costruire) non esclude comunque la necessità di un titolo edilizio, in quanto ritiene l\'autorizzazione regionale alla coltivazione come assorbente anche la concessione edilizia (Tar Campania 10696/07: il fatto che non occorra anche il titolo autorizzatorio comunale sotto il profilo urbanistico ed edilizio non significa che l\'attività estrattiva possa essere svolta anche in contrasto con la disciplina urbanistica, ma semplicemente che la valutazione di tale conformità non spetti al comune tramite il rilascio del titolo edilizio, ma debba entrare a far parte del procedimento regionale di autorizzazione all\'esercizio di cava, nell\'ambito del quale, anche tramite l\'intervento in funzione consultiva del comune interessato, deve valutarsi la compatibilità urbanistica dell\'intervento).
A ciò si aggiunga che alcune leggi regionali hanno previsto che nel complesso iter procedimentale per il rilascio di detta autorizzazione partecipi anche il Comune, a tutela di quegli interessi di controllo dell’attività edilizia che gli sono propri, e che vengono valutati unitariamente in sede di rilascio dell’autorizzazione regionale.
D’altronde, la stessa giurisprudenza che riconosce che non sia necessario un titolo edilizio in senso proprio per l’esercizio di attività di cava aggiunge, peraltro, che l’attività difforme rispetto al titolo rilasciato integra comunque la contravvenzione prevista attualmente dall’art. 44 d.p.r. 380/01, che è norma di sanzione dell’attività edilizia (CdS, VI, 4342/08: L\'attività di apertura e coltivazione di cava, pur non richiedendo il preventivo rilascio della concessione edilizia, non essendo subordinata al preventivo controllo dell\'autorità comunale, deve comunque svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, configurandosi, in difetto, ovvero in caso di svolgimento della stessa in zona non consentita, la violazione dell\'art. 20 lett. a) l. 28 febbraio 1985 n. 47 - norme in materia di controllo dell\'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie; conforme Cass. pen. sez. feriale, 39056/08).
In definitiva, la tesi della ricorrente volta a sostenere la non applicabilità all’attività di cava della norma di salvaguardia dell’art. 100 PTCP non è corretta e deve essere respinta.

II. Nel secondo motivo di ricorso la ricorrente affronta il profilo del rapporto tra Piano territoriale di coordinamento provinciale e Piano cave, ed evidenzia che se nel primo è stata dettata la misura di salvaguardia che vieterebbe l’attività di cava per tre anni, nel secondo, invece, l’area della ricorrente è stata specificamente contemplata tra quelle da destinare ad attività di cava. Ne deriverebbe un contrasto tra i due strumenti di piano, che andrebbe risolto, a giudizio della ricorrente, in favore del piano cave, che prevarrebbe sul PTCP per effetto della norma specifica dell’art. 10 l.r. 44/88 che autorizza il piano cave ad apportare modifiche al PTCP.
In realtà, la conclusione della ricorrente non è corretta.
La necessità di rapportarsi con gli altri strumenti di piano è presa in esame dallo stesso PTCP in cui era collocata la misura di salvaguardia oggetto di questo giudizio, che al rapporto con gli altri strumenti di pianificazione dedica un intero titolo del piano, comprendente ben 16 norme (dall’art. 19 al 34). Il PTCP esamina prima il problema del rapporto con la pianificazione sovraordinata (artt. 19 – 24), ed in particolare con i Piani di bacino, con il Piano paesistico regionale, con i Piani Parco ed i Piani di settore, e poi la questione del rapporto con la pianificazione subordinata (artt. 25 – 33), in particolare con gli altri piani provinciali di settore, con i Piani di sviluppo socio – economico o Piani urbanistici delle Comunità Montane, con gli strumenti urbanistici comunali, con i Piani attuativi di interesse sovracomunale, dedicando infine un ultimo articolo (il 34) alla perequazione urbanistica.
Il piano provinciale cave non è citato tra i piani provinciali di settore dell’art. 26 (Piano agricolo provinciale, Piano Faunistico Venatorio, Piano sentieristico provinciale, Piano delle sedi scolastiche, studio energetico provinciale, Piano Viario, Piano di Protezione Civile, Piano della Rete Ecologica Provinciale), che sono considerati strumenti di attuazione del PTCP. Al piano cave sono dedicati soltanto la norma generale dell’art. 24 e le norme speciali degli artt. 57 e 58.
L’art. 24, intitolato “Rapporto con i piani di settore regionali con delega provinciale” (che la stessa norma individua nel Piano Regionale di risanamento delle acque, nei Piani delle attività estrattive - Piano Cave, e nel Piano per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), stabilisce al co. 1 che “nella propria attività relativa alla pianificazione territoriale regionale di settore la Provincia tiene conto degli indirizzi previsti in materia dal P.T.C.P.”. Il concetto viene ribadito nel co. 3 che regola anche la questione della successione di norme nel tempo aggiungendo che “nel caso di nuovi Piani o varianti dei vigenti, essi dovranno tenere conto degli indirizzi del P.T.C.P. in materia”.
Dall’art. 24, pertanto si ricava che il PTCP ha una funzione di coordinamento dei piani di settore regionali con delega provinciale, e tra questi anche del piano cave. La conclusione è confermata dalla lettura degli artt. 57 e 58.
L’art. 57, intitolato “Attività di escavazione: rapporto con i piani cave”, stabilisce (tra le raccomandazioni) che “il P.T.C.P. recepisce i Piani cave in essere raccomandando, in relazione ai Progetti di gestione produttiva degli A.T.E. ed ai progetti di escavazione e recupero, la predisposizione di superfici boscate o di strutture vegetazionali lineari al contorno, piani di escavazione con fronti il meno estesi possibile in relazione all’area di cava e progetti di recupero che tengano in conto le caratteristiche dei siti” ed aggiunge (tra le prescrizioni) che “i nuovi piani cave o le varianti dei vigenti dovranno perseguire la minimizzazione delle superfici d’acqua e degli impatti. Dovranno essere privilegiati gli ampliamenti delle cave esistenti. In relazione alle cave non di monte, laddove possibile e nel rispetto della destinazione d\'uso finale dell\'ambito territoriale estrattivo, devono essere previste, al perimetro delle aree di nuova escavazione, ampie fasce boscate. Il ripristino ambientale delle aree di cava dovrà integrarsi con il progetto di rete ecologica provinciale nel rispetto degli aspetti ecosistemici”.
L’art. 58 aggiunge che “indirizzo del P.T.C.P. è il contenimento del consumo di suolo attraverso la limitazione dell\'apertura di nuovi poli estrattivi e il recupero di quelli dimessi”.
Il rapporto tra PTCP e piano cave è risolto, pertanto, dallo stesso PTCP nel senso che, per regola generale, il PTCP si limiterà a recepire la disciplina di settore prevista dal piano cave, ed a sua volta, il piano cave sarà obbligato a recepire le indicazioni del PTCP sullo sviluppo del territorio, che, come si è visto, sono indirizzate a contenere il consumo di suolo e l’apertura di nuovi poli estrattivi.
Già dalla lettura di queste previsioni emerge con chiarezza che il rapporto tra PTCP e piano provinciale delle cave non è di equiordinazione, o di separazione delle sfere di competenza (che sarebbe d’altronde in contrasto con quanto statuito da CdS, a.p., 3/82), ma è nel senso dell’attribuzione al PTCP di un potere di coordinamento sugli strumenti di piano di settore, che deve indirizzare le scelte contenute nel piano provinciale delle cave.
Questo potere di coordinamento ed indirizzo del PTCP rispetto al piano cave trova la sua fonte nella norma attributiva di potere dell’art. 2 l.r. 12/05, intitolato “Correlazioni tra gli strumenti di pianificazione territoriale”, che al co. 4 stabilisce che “il piano territoriale regionale ed i piani territoriali di coordinamento provinciali hanno efficacia di orientamento ed indirizzo, fatte salve le previsioni che ai sensi della presente legge, abbiano efficacia prevalente e vincolante”.
L’esistenza di un potere di indirizzo e coordinamento in capo al PTCP comporta che, in casi, come quello in esame, in cui la misura di salvaguardia del PTCP vieta l’impianto di una attività di cava, il piano cave avrebbe dovuto recepire questa indicazione.
Né, d’altronde, si giunge a diversa conclusione per effetto dell’art. 10, co. 1, ultimo periodo, l.r. 14/98 citato dalla difesa di parte ricorrente, secondo cui “le eventuali modifiche (…) ai piani territoriali di coordinamento provinciale (…) devono essere apportate dal piano cave in modo motivato ed espresso”.
Da questa norma - che stabilisce che, per modificare il PTCP, il piano cave deve provvedere in modo motivato ed espresso – si desume chiaramente che, qualora il piano cave non provveda in modo motivato ed espresso, le eventuali antinomie tra PTCP e piano cave debbano essere risolte nel senso della prevalenza del PTCP. Una qualsiasi diversa lettura, volta a ricavare da questa previsione una prevalenza generale del piano cave sul PTCP, infatti condurrebbe ad abrogare surrettiziamente la previsione di legge che chiede che il piano cave provveda in modo espresso, e per di più anche motivato.
D’altronde, la stessa l.r. 14/98 nell’art. 3, co. 1, aveva stabilito (a proposito del piano regionale delle cave) che le funzioni previste dalla presente legge sono esercitate in coerenza con gli strumenti della programmazione regionale, con ciò ponendosi nel solco della previsione generale dell’art. 2, co. 4, della legge urbanistica regionale prima citata che attribuisce al piano territoriale di coordinamento una funzione di indirizzo degli altri piani di settore, che l’art. 10, co. 1, ultimo periodo, l.r. 14/98, invocato da parte ricorrente, ribadisce nel momento in cui, nel riconoscere una deroga a tale ordine nella gerarchia degli strumenti di piano, impone una deliberazione espressa e motivata (che, nel caso in esame, pacificamente non è mai stata assunta).
Ne consegue che, in definitiva - in caso di previsioni del piano provinciale delle attività estrattive che contrastino con il PTCP – è destinato a prevalere il PTCP per effetto delle norme generali dell’art. 2 l.r. 12/05 e dell’art. 3 l.r. 14/08, salvo che si versi nell’ipotesi speciale prevista dall’art. 10, co. 1, ultimo periodo, l.r. 14/98, che prevede la possibilità che il piano cave detti una disposizione derogatoria dell’ordine normale delle competenze, disposizione che però deve essere motivata ed espressa.

III. Il terzo motivo di ricorso si concentra sull’art. 14, co. 3, l.r. 5/07, che ha prorogato per 15 mesi la misura di salvaguardia prevista dall’art. 100 PTCP, sia pure riformulandone il testo, sempre in attesa dell’approvazione del piano d’area dell’aeroporto di Montichiari, che ne avrebbe dovuto definire le linee di sviluppo. In questo caso la tesi della ricorrente è che tale norma non sarebbe ad essa applicabile in quanto la stessa fa comunque salve le costruzioni oggetto di autorizzazioni già rilasciate.
L’art. 14 l.r. 5/07 stabilisce che: “1. Al fine di non compromettere il potenziamento dell\'aeroporto di Montichiari, secondo quanto previsto dagli strumenti della programmazione regionale, fino all\'entrata in vigore del relativo piano territoriale regionale d\'area ai sensi dell\'articolo 20 della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (legge per il governo del territorio) e comunque non oltre il 30 giugno 2010 (termine così prorogato dalla l.r. 33/08), si applicano le disposizioni di salvaguardia di cui al presente articolo. 2. Nell\'ambito individuato dal comma 5 è vietato ogni intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ad eccezione dei seguenti interventi relativi a edifici esistenti: a) manutenzione ordinaria e straordinaria; b) restauro e risanamento conservativo; c) ristrutturazione edilizia non comportante cambio di destinazione d\'uso in senso residenziale. 3. Sono comunque fatte salve: a) la possibilità di realizzare interventi strettamente connessi all\'esercizio delle attività aeroportuali attuali; b) la realizzazione degli interventi già assentiti e di quelli previsti da piani urbanistico-edilizi attuativi vigenti. 4. Sono altresì possibili, previa deliberazione del Consiglio regionale, su proposta della Giunta regionale, attestante la sussistenza di condizioni di compatibilità rispetto al potenziamento dell\'aeroporto: a) l\'attuazione delle previsioni di strumenti di pianificazione approvati dalla Regione; b) l\'approvazione e la successiva attuazione di accordi di programma di rilevanza regionale, già avviati alla data di entrata in vigore della presente disposizione; c) l\'autorizzazione e la successiva attuazione di iniziative finalizzate al recupero e/o smaltimento dei rifiuti. 5. La disciplina di cui ai commi 2, 3 e 4 trova applicazione nell\'ambito individuato dal piano territoriale di coordinamento provinciale della provincia di Brescia vigente alla data di entrata in vigore della presente disposizione”.
La questione posta dalla ricorrente riguarda l’interpretazione del co. 3, lett. b) della previsione in parola che fa salva “la realizzazione degli interventi già assentiti”.
Per interpretare correttamente questa disposizione occorre partire dalla considerazione che, in forza di quanto si è detto nei punti I e II di questa sentenza, il provvedimento dirigenziale 187/06 era illegittimo, in quanto rilasciato in violazione della misura di salvaguardia posta dall’art. 100 PTCP.
La circostanza che la misura di salvaguardia stesse per scadere quando la l.r. 5/07 ne ha prorogato gli effetti per un periodo di 15 mesi (poi ulteriormente prorogato nelle more del giudizio) non incide in alcun modo sulla legittimità o illegittimità del provvedimento 187/06, che deve essere parametrata sulle norme vigenti al momento della sua emanazione. E nel momento dell’emanazione di questo provvedimento, era vigente l’art. 100 PTCP che, come detto, inibiva il rilascio di provvedimenti autorizzatori nell’area adiacente l’aeroporto di Montichiari.
Ne consegue che – anche se non fosse intervenuta la l.r. 5/07 – l’amministrazione provinciale godeva comunque del potere di annullare in autotutela il provvedimento 187/06, posto che il potere di annullamento in autotutela è un potere generale che compete all’amministrazione, a prescindere da qualsiasi norma speciale attributiva di potere.
Se la norma dell’art. 100 PTCP fosse scaduta senza l’intervento della legge regionale di proroga, l’amministrazione provinciale, al più, avrebbe potuto, nell’annullare i titoli autorizzativi viziati, rilasciarne altri aventi lo stesso contenuto e legittimanti l’intervento ex nunc.
Insomma, posto che il provvedimento dirigenziale 187/06 venne emanato sotto il vigore della misura di salvaguardia dell’art. 100 PTCP, e non sotto quella dell’art. 14 l.r. 5/07, non è la salvaguardia di fonte legislativa, ma quella del PTCP, che deve costituire parametro per valutare la legittimità del provvedimento impugnato.
Ciò posto, quando l’art. 14 l.r. 5/07 fa salvi gli interventi già assentiti non può che far riferimento agli interventi legittimamente assentiti, perché se si ritenesse che essa salvi anche gli interventi non legittimamente assentiti impedendo di inibirne la realizzazione, si dovrebbe concludere nel senso che essa costituisce norma speciale che preclude l’esercizio del potere generale di annullamento in autotutela dei provvedimenti illegittimi. Ma una tale conclusione è un non senso, non potendosi ricavare da tale disposizione la volontà del legislatore regionale di derogare a regole generali di esercizio del potere amministrativo in autotutela.
Ne consegue che la norma dell’art. 14 l.r. 5/07 deve essere applicata soltanto agli interventi legittimamente assentiti, e che pertanto essa non possa ricomprendere anche gli interventi oggetto del provvedimento 187/06 la cui legittimità, come detto, si svolge interamente sotto il vigore delle norme esistenti nel momento in cui gli stessi furono emanati.

IV. Nel quarto ed ultimo motivo di ricorso si deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato sotto il profilo della insufficiente motivazione dell’interesse pubblico all’annullamento dell’atto.
E’ noto, infatti, che l’annullamento in autotutela non consegue alla mera constatazione della illegittimità del provvedimento di primo grado, ma segue ad un giudizio di bilanciamento tra l’interesse pubblico all’annullamento dell’atto e l’affidamento privato alla conservazione della situazione medio tempore consolidatasi.
Nel caso in esame, peraltro, si ritiene che le censure contenute in ricorso siano ingenerose e che nel provvedimento impugnato non faccia difetto la motivazione sul bilanciamento degli interessi sottesi all’annullamento dell’atto.
Occorre, infatti, considerare che si versa in presenza di provvedimento di primo grado emesso il 26. 1. 2006, la cui procedura di annullamento è stata avviata il 23. 10. 2006, ovvero a meno di un anno di distanza dal momento di emanazione del provvedimento.
Occorre anche aggiungere che la misura di salvaguardia pretermessa era finalizzata ad attendere il piano d’area dell’aeroporto di Montichiari per impedire che intorno all’area dell’aeroporto si consolidasse un tessuto urbanistico incompatibile con i progetti di espansione dell’aeroporto.
In questo contesto la motivazione del provvedimento di annullamento in autotutela specifica che “la norma del PTCP (è) finalizzata a non precostituire situazioni territoriali che potessero impedire, o quantomeno rendere difficoltose ed onerose, soluzioni infrastrutturali di assoluta necessità per lo sviluppo dell’aeroporto” (terzo considerato), ed aggiunge che “è risultato necessario prevenire tempestivamente ogni possibile ulteriore compromissione dell’area de quo, a tutela degli interessi pubblici sottesi ai procedimenti pianificatori di competenza regionale volti allo sviluppo aeroportuale dello scalo di Montichiari” (terzo rilavato).
Essa, inoltre, effettua anche il bilanciamento con l’interesse privato, laddove specifica che “comunque la misura soprassessoria (…) non preclude in via assoluta e definitiva l’attività estrattiva, ma impone un periodo di divieto temporaneo finalizzato alla pianificazione d’area” (quinto ritenuto), così evidenziando che il sacrificio imposto al privato è tutto sommato contenuto a fronte degli interessi pubblici in gioco, che è proprio il tipo di motivazione che viene chiesta al provvedimento di annullamento in autotutela.

V. La reiezione della domanda principale volta all’annullamento del provvedimento impugnato comporta anche la reiezione dell’istanza di risarcimento del danno asseritamente patito, atteso che – in particolare in punto di interessi oppostivi - la lesione dell\'interesse legittimo è condizione necessaria, pur se non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. (Cass. s.u., 500/99).

VI. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. staccata di Brescia, I sezione interna, così definitivamente pronunciando:
Respinge il ricorso.
Respinge l’istanza di risarcimento del danno.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’amministrazione resistente delle spese di lite, che determina in euro 3.000, più i.v.a. e c.p.a. (se dovute).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall\'autorità amministrativa.


Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2009 con l\'intervento dei Magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Carmine Russo, Referendario, Estensore


L\'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/12/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO