Cass. Civ. Sez. U Sent. 16796 del 30 luglio 2007
Presidente: Carbone V. Estensore: Bonomo M.
Endesa Italia Spa (Dell'Anno Paolo) contro Regione Lombardia (Fidani Viviana ed altro)
ACQUE - ACQUE PUBBLICHE - DERIVAZIONI E UTILIZZAZIONI (UTENZE) - CANONI - IN GENERE - Canoni per le utenze di acque pubbliche - Disciplina anteriore all'entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 - Riduzione prevista dall'art. 18, comma 1, legge n. 36 del 1994 - Emanazione del decreto di cui all'art. 26, comma 4, d.lgs. n. 152 del 1999 - Necessità - Esclusione.

La riduzione del canone relativo alle utenze di acqua pubblica, prevista dall'articolo 18, comma 1, lettera d) della legge 5 gennaio 1994 n. 36, nella misura del 50 per cento per ogni modulo di acqua assentito ad uso industriale, a favore del concessionario che restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate, era immediatamente applicabile, a condizione che non fosse in contestazione la corrispondenza qualitativa delle acque restituite a quelle prelevate, anche prima che l'art. 26, comma 4, del d.lgs. 11 maggio 1999 n. 152 prevedesse che con un successivo d.m. sarebbero state definite le modalità per la relativa applicazione. (La S.C. ha escluso la rilevanza, nel caso di specie, dell'abrogazione, da parte dell'art. 175 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, sia dell'art. 18 della legge n. 36 del 1994 che dell'art. 26 del d.lgs. 152 del 1999, decorrendo tale abrogazione dalla data di entrata in vigore della parte terza del d.lgs. 152/2006 e restando validi ed efficaci, secondo l'art. 170, comma 11, d.lgs. 151/2006, fino all'emanazione dei corrispondenti atti adottati in attuazione della medesima parte terza, i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall'art. 175).


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente aggiunto -
Dott. NICASTRO Gaetano - Presidente di sezione -
Dott. SENESE Salvatore - Presidente di sezione -
Dott. MORELLI Mario Rosario - Consigliere -
Dott. BONOMO Massimo - rel. Consigliere -
Dott. AMATUCCI Alfonso - Consigliere -
Dott. MALPICA Emilio - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
Dott. TIRELLI Francesco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ENDESA ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro- tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 60, presso lo studio dell'avvocato DELL'ANNO PAOLO, che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BONCOMPAGNI 71/C, presso lo studio dell'avvocato POMPA GIULIANO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato VIVIANA FIDANI, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 45/05 del Tribunale superiore acque pubbliche, depositata il 10/03/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/07/07 dal Consigliere Dott. Massimo BONOMO;
uditi gli avvocati Paolo DELL'ANNO, Giuliano POMPA;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per l'accoglimento del secondo motivo, assorbiti gli altri motivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società Endesa s.p.a., proprietaria di una centrale idroelettrica nel territorio del Comune di Montanaro Lombardo e titolare della relativa autorizzazione provvisoria alla derivazione idrica per prelevare n. 425,016 moduli annui d'acqua dal fiume Adda per uso industriale e raffreddamento dei condensatori, con successiva integrale restituzione e correlativo dimezzamento del canone (L. n. 36 del 1994, art. 18, comma 1, lett. d)), beneficio sempre applicato dal Ministero delle finanze, proponeva ricorso innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche avverso il Decreto dirigenziale U.O. Tributi, Patrimonio e Contratti 25 novembre 2003 n. 20233 e del parere dell'Avvocatura regionale lombarda 30 maggio 2002, ivi richiamato, con cui la predetta Regione (subentrata allo Stato nella competenza in questione, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 1999) aveva limitato la fruizione di detto beneficio ai casi in cui esso fosse stato oggetto di espresso riconoscimento in favore del concessionario in sede di rilascio della concessione, con immediato raddoppio dei canoni stessi. Lamentava la ricorrente: 1) violazione dei principi in materia di successione di leggi nel tempo, in materia di irretroattività dei provvedimenti amministrativi, nonché eccesso di potere per difetto istruttorio e sviamento, per la mancata emanazione del decreto interministeriale di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 26, comma 4; 2) violazione dell'art. 26 cit. ed incompetenza della Regione nell'adottare il discusso decreto disciplinante beneficio di cui trattasi; 3) ulteriore eccesso di potere per difetto istruttorio e sviamento, in presenza di una concessione idrica che garantisce l'integrale restituzione delle acque utilizzate in termini quantitativi e qualitativi.
La Regione intimata si costituiva eccependo il difetto di giurisdizione del TSAP e l'infondatezza della domanda. Con sentenza del 26 gennaio - 10 marzo 2005 il TSAP, ritenuta la propria giurisdizione, respingeva il ricorso osservando:
a) che la concessione era munita di un'apposita clausola di automatico adeguamento del canone, il quale era risultato dimidiato nel 1994 in applicazione di tale meccanismo (operante in bonam partem), mai contestato dalla Endesa, che non poteva dolersene per il fatto che esso si prospettava come foriero di un risultato opposto, in collegamento con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999;
b) che il lamentato raddoppio del canone doveva farsi risalire unicamente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 26, al quale i funzionar amministrativi regionali si erano limitati a dare esecuzione in termini vincolati, onde evitare di incorrere in responsabilità di ordine contabile;
c) che non era riscontrabile nessun profilo di eccesso di potere legislativo.
Avverso tale sentenza la Endesa Italia s.p.a. ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi.
La Regione Lombardia ha resistito con controricorso ed ha depositato una memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve anzitutto rilevarsi che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche nella sentenza impugnata ha esaminato la censura di difetto di giurisdizione sollevata dalla Regione ed ha ritenuto pregiudizialmente la propria giurisdizione, sul presupposto che si trattava di una controversia che solo indirettamente si rifletteva anche sui canoni concessori, concernendo innanzi tutto il corretto esercizio del potere discrezionale della pubblica amministrazione competente a disciplinare la fruizione di derivazioni idriche secondo modalità primariamente rispettose degli interessi pubblici. Non essendo tale punto stato oggetto di censura con il ricorso per cassazione, su di esso si è formato il giudicato interno, con la conseguenza che non è più contestabile la sussistenza della giurisdizione di legittimità del TSAP sulla controversia in esame. 2. Con il primo mezzo d'impugnazione la ricorrente lamenta violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 183, comma 1, e dell'art. 132 c.p.c., n. 4.
Si sostiene che la motivazione della sentenza impugnata era meramente apparente, avendo il TSAP, nel ripetere le argomentazioni della Regione, trascurato di valutare che lo stesso provvedimento amministrativo impugnato prevedeva l'inapplicabilità del beneficio di cui alla Legge Galli a quei concessionari che non avessero ricevuto espresso riconoscimento dello stesso nell'atto di concessione, soltanto "in attesa dell'approvazione del regolamento di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 26, comma 4, ". Era stata la Regione, in giudizio, a sostenere che dal D.Lgs. n. 152 era conseguita l'immediata inapplicabilità del beneficio in questione, come se si fosse trattato di un mero automatismo nella determinazione della misura del canone. La sentenza impugnata non aveva esaminato il testo del provvedimento ne' minimamente motivato in ordine alle censure mosse col ricorso.
3. Il mezzo d'impugnazione non è fondato.
La motivazione della sentenza impugnata, pur se molto sintetica, non può considerarsi meramente apparente, avendo il TSAP affermato che il lamentato raddoppio del canone doveva farsi risalire unicamente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 26 e che esso costituiva un automatismo al quale la Regione aveva solo dato esecuzione in termini vincolati.
In tal modo il giudice, pur aderendo alla tesi sostenuta da una delle parti, ha comunque fornito indicazioni sufficienti ad identificare il suo percorso argomentativo, le quali possono essere soggette a censura, ma non comportano violazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4. 4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione del principi generali di successione delle legge nel tempo, violazione del principio di irretroattività dei provvedimenti amministrativi (art. 11 preleggi) e del principio tempus regit actum, nonché falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 26, comma 4. Tale ultima disposizione, richiamata dalla Regione a giustificazione del disposto contenuto nel decreto impugnato dinanzi al TSAP, demandando ad un futuro decreto ministeriale le modalità per l'applicazione del beneficio della riduzione del canone, previsto dalla L. n. 36 del 1994, art. 18, comma 1, lettere a) e d) non aveva l'effetto di inibire l'applicabilità del citato art. 18 ai titolari di concessioni efficaci alla data dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999, atteso che il diritto al beneficio era sorto nella vigenza della L. n. 36 del 1994. Nè il D.Lgs. n. 152 del 1999, aveva espressamente previsto, per il periodo precedente all'adozione del futuro atto regolamentare, un regime transitorio di inibizione del beneficio, così come già esistente ed applicato.
5. Questo motivo è fondato.
L'interesse alla decisione della presente controversia non è venuto meno a seguito dell'abrogazione, da parte del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 175, sia della L. n. 36 del 1994, art. 18 che del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 26, decorrendo tale abrogazione dalla data di entrata in vigore della parte terza del D.Lgs. n. 152 del 2006 e restando validi ed efficaci, fino all'emanazione dei corrispondenti atti adottati in attuazione della medesima parte terza, i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall'art. 175 (D.Lgs. n. 151 del 2006, art. 170, comma 11).
Tanto premesso, deve verificarsi se la sentenza impugnata abbia correttamente interpretato il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 26, comma 4, dal quale ha fatto derivare l'automatico raddoppio del canone, dopo che la L. n. 36 del 1994, art. 18, comma 1, lett. d), aveva stabilito che il canone per ogni modulo di acqua assentito ad uso industriale era ridotto del 50 per cento se il concessionario restituiva le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate.
Il comma 4 dell'art. 26 citato prevede che "Con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con (...) sono definite le modalità per l'applicazione della riduzione di canone prevista dalla L. 5 gennaio 1994, n. 36, articolo 18, comma 1, lettere a) e d)". Osserva il Collegio che la riduzione prevista nel 1994 dal citato art. 18 era immediatamente applicabile, essendo condizionata solo alla circostanza di fatto della corrispondenza qualitativa delle acque restituite a quelle prelevate, ma non anche alla necessità della previa introduzione di una specifica regolamentazione in ordine alle modalità applicative. Naturalmente la corrispondenza qualitativa delle acque poteva essere in concreto oggetto di contestazione ed in tal caso la spettanza della riduzione sarebbe dipesa dai risultati di un accertamento tecnico.
L'art. 26 citato è sopravvenuto, dopo alcuni anni, quando la suddetta riduzione era pienamente operativa. In tale situazione, la previsione di un decreto ministeriale che regolasse le modalità per l'applicazione della riduzione non poteva, di per sè, escluderla in ogni caso fino all'emanazione del decreto stesso, anche quando non fosse contestata la corrispondenza qualitativa delle acque. Ne consegue che il TSAP non ha interpretato correttamente l'art. 26, avendone fatto derivare, in via automatica, il raddoppio del canone. Sussiste quindi il denunciato vizio di violazione di legge, che comporta l'accoglimento del presente motivo di ricorso. Il terzo mezzo d'impugnazione resta assorbito dall'accoglimento del secondo.
6, La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata e la causa va rinviata al TSAP, in diversa composizione, il quale si uniformerà al seguente principio di diritto: "La disposizione del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 26, comma 4, - secondo cui con decreto ministeriale avrebbero dovuto essere definite le modalità per l'applicazione della riduzione di canone già prevista dalla L. 5 gennaio 1994, n. 36, articolo 18, comma 1, lettera d) - non esclude la perdurante applicazione di tale riduzione ove non sia in contestazione la corrispondenza qualitativa delle acque restituite a quelle prelevate".
Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2007.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2007