 Cass. Sez. III n. 29416 del 10 luglio 2013 (Ud. 3 mag. 2013)
Cass. Sez. III n. 29416 del 10 luglio 2013 (Ud. 3 mag. 2013)
Pres. Gentile Est. Sarno Ric. Rustioni ed altro
Acque. Regolamento per la semplificazione degli adempimenti amministrativi in materia ambientale
Gli obiettivi che il d.P.R. 19 ottobre 2011 persegue ed i limiti in cui può efficacemente operare sono quelli indicati dall'art. 4 quater della legge e, cioè, quelli di semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese assicurando, in relazione alla dimensione dell’impresa ed al settore di attività, la proporzionalità degli adempimenti amministrativi; l'eliminazione di autorizzazioni, licenze, permessi, attestazioni, ecc. nonché degli adempimenti amministrativi e delle procedure necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici; l’estensione dell’utilizzo dell’autocertificazione; l’informatizzazione, nonché un regime di controlli adeguato alle esigenze in premessa indicate. La semplificazione delle attività amministrative non può tuttavia andare a scapito ed anzi deve operare nel rispetto dei principi fondamentali dettati per la disciplina di settore, altrimenti ponendosi non solo un problema di ingiustificabile disparità di trattamento tra imprese beneficiarie del trattamento più favorevole ma anche di lesione degli stessi interessi protetti dal dlgs 152/06, sovente di rilevanza costituzionale.
  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE    
 SEZIONE TERZA 
 Dott. GENTILE  Mario            - Presidente  -  del 03/05/2013
 Dott. FRANCO   Amedeo           - Consigliere -  SENTENZA
 Dott. GRILLO   Renato           - Consigliere -  N. 1373
 Dott. SARNO    Giulio      - rel. Consigliere -  REGISTRO GENERALE
 Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Consigliere -  N. 43129/2012
 ha pronunciato la seguente: 
 sul ricorso proposto da:
 RUSTIONI DAVIDE N. IL 10/01/1966;
 PISATI MANRICO N. IL 13/12/1966;
 avverso la sentenza n. 3903/2012 TRIBUNALE di MILANO, del 24/06/2012;
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/05/2013 la relazione fatta dal  Consigliere Dott. GIULIO SARNO;
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Montagna Alfredo,  che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
 RITENUTO IN FATTO
 1. Rustioni Davide e Pisati Manrico hanno proposto appello  avverso la sentenza in epigrafe con la quale il tribunale di Milano  ha condannato entrambi alla pena dell'ammenda per il reato di cui al  D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, loro contestato per avere  effettuato, in qualità di soci amministratori della ditta  "EURODENTAL s.n.c.", scarichi di acque reflue industriali in pubblica  fognatura, presso la sede dell'attività, senza la prescritta  autorizzazione. Il fatto risulta accertato il 21 maggio 2008.  2. Come si rileva dalla sentenza del tribunale, nel corso di un  sopralluogo presso la ditta citata si accertava che, durante le fasi  lavorative, venivano utilizzate acque che dopo essere state impiegate  per la lavorazione, la rifinitura dei manufatti e per la pulizia  degli attrezzi, effettuavano un passaggio in "una vasca di  decantazione, ove venivano recuperate le parti pesanti, per  scaricarsi in pubblica fognatura. Gli agenti, pertanto, chiedevano  l'esibizione dell'autorizzazione agli amministratori della società e  gli odierni imputati esibivano documentazione scaduta di validità in  data 23.07.2006 e mai rinnovata.
 Nel corso dell'udienza dinanzi al tribunale il difensore degli  imputati produceva, unitamente all'autorizzazione del 23.07.2002,  dichiarazione di scarico di acque reflue domestiche, datata  10.06.2008.
 Il tribunale citando giurisprudenza di questa Corte, riteneva che lo  scarico di acque industriali senza autorizzazione fosse integrato  anche dalla gestione di uno scarico dopo la scadenza del titolo  abilitativo e che sulla base degli accertamenti espletati non potesse  sussistere alcun dubbio sulla responsabilità degli imputati.  3. Con i motivi di appello gli imputati deducono:
 3.1 Omessa pronuncia in ordine alla richiesta applicazione  dell'attenuante speciale di cui alla L. n. 152 del 2006, art. 140. Al  riguardo fanno rilevare di avere sempre continuato ad osservare gli  accorgimenti previsti dalla legge ai fini di evitare l'inquinamento  delle acque e che l'avere conseguito il titolo abilitativo prima  della richiesta di rinvio a giudizio valga come riparazione del danno  prima del giudizio penale.
 3.2 Nel merito contestano che la condotta posta in essere sia  equiparabile come sostenuto dal tribunale a quella di chi scarica  acque reflue industriali senza avere mai conseguito alcuna  autorizzazione amministrativa.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 4. Trattandosi di condanna alla sola pena dell'ammenda l'appello, a  mente dell'art. 593 c.p.p., deve anzitutto essere convertito in  ricorso per cassazione.
 5. Ciò posto il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.  5.1 Si rende necessario anzitutto fare chiarezza sulla natura dello  scarico dello studio in questione e sulla disciplina di riferimento.  La sentenza, recependo la contestazione iniziale, ha ritenuto  necessaria l'autorizzazione per lo scarico di acque reflue  industriali e sembra avere, di conseguenza, ritenuto irrilevante la  dichiarazione di scarico di acque reflue domestiche prodotta dagli  odierni ricorrenti.
 Orbene, che nella specie non si tratti di acque domestiche è  evidente ove si consideri il dettato del D.Lgs. n. 152 del 2006, art.  74, lett. g), secondo cui sono acque reflue domestiche quelle  provenienti da insediamenti di tipo residenziale o da servizi e  derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività  domestiche.
 5.2 Ciò che occorre, invece, verificare in premessa per valutare la  correttezza della motivazione del tribunale, è se le acque in  questione possano essere assimilate a quelle domestiche con tutte le  conseguenze che da ciò possono scaturire in tema di rilevanza penale  del fatto.
 Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, comma 7, definisce le acque  assimilabili a quelle domestiche individuandole, salvo il disposto  dell'art. 112, in quelle:
 a) provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del  terreno e/o alla silvicoltura;
 b) provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame che, per  quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano  l'utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale  stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di  cui all'art. 112, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di  terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6  dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto;
 c) provenienti da imprese dedite alle attività di cui alle lettere  a) e b) che esercitano anche attività di trasformazione o di  valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di  normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo  aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura  prevalente dall'attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia  a qualunque titolo la disponibilità;
 d) provenienti da impianti di acquacoltura e di piscicoltura che  diano luogo a scarico e che si caratterizzino per una densità di  allevamento pari o inferiore a 1 Kg per metro quadrato di specchio  d'acqua o in cui venga utilizzata una portata d'acqua pari o  inferiore a 50 litri al minuto secondo;
 e) aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche  e indicate dalla normativa regionale;
 f) provenienti da attività termali, fatte salve le discipline  regionali di settore.
 5.3 Rispetto al caso di specie rileva in particolare il disposto  della lettera e) ed è un fatto che diverse regioni si siano dotate  di una specifica normativa sulla assimilabilità delle acque  provenienti da alcune attività commerciali a quelle domestiche.  Tra queste vi è anche la Regione Lombardia che, in attuazione della  L.R. 12 dicembre 2003, n. 26, ha adottato il regolamento n. 3 del 24  marzo 2006.
 5.3 Questa Sezione, proprio con riguardo a reflui immessi in  fognatura da un laboratorio odontotecnico lombardo, ha già affermato  che integra il reato previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137,  comma 1 e non la sanzione amministrativa di cui all'art. 133, comma  2, dello stesso D.Lgs., l'immissione in pubblica fognatura, senza la  prescritta autorizzazione, di acque reflue non aventi caratteristiche  qualitative equivalenti a quelle domestiche a causa del mancato  rispetto delle condizioni imposte dalla normativa regionale, non  essendo equiparabili tali reflui alle acque reflue domestiche (Sez.  3, n. 35137 del 18/06/2009 Rv. 244587). Nella specie si trattava di  reflui provenienti le cui caratteristiche qualitative non  rispettavano le condizioni, previste dal Reg. att. della L.R.  Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26, per l'equiparazione alle acque  domestiche.
 Nell'occasione si è puntualizzato che l'art. 5, comma 1 del  regolamento considera acque reflue domestiche, oltre a quelle  provenienti da insediamenti residenziali, le acque reflue derivanti  dalle attività indicate nell'allegato A e che ai sensi dell'allegato  A sono acque reflue domestiche:
 1) Le acque reflue derivanti esclusivamente dal metabolismo umano e  dall'attività domestica ovvero da servizi igienici, cucine e/o mense  anche se scaricate da edifici o installazioni in cui si svolgono  attività commerciali o di produzioni di beni;
 2) In quanto derivanti da attività riconducibili per loro natura a  quelle domestiche e/o al metabolismo umano, le acque reflue  provenienti da una serie di attività specificamente indicate  (laboratori di parrucchiere, barbiere e istituti di bellezza;
 lavanderie a secco a ciclo chiuso e stirerie la cui attività sia  rivolta direttamente ed esclusivamente all'utenza residenziale;
 vendita al dettaglio di generi alimentari e altro commercio ai  dettaglio, anche con annesso laboratorio di produzione finalizzato  esclusivamente alla vendita stessa; attività alberghiera e di  ristorazione).
 Si è rilevato nell'occasione che le acque provenienti da laboratori  odontotecnici, pur se non direttamente equiparate alle acque reflue  domestiche, possono anch'esse rientrare tra quelle assimilabili in  presenza di determinate condizioni rappresentate dalla attestazione  da parte dei titolari dell'attività che il consumo medio giornaliero  di acque è inferiore ai 20 mc. e che gli scarichi sono costituiti  dalle sole acque di lavaggio di calchi in gesso previa decantazione.  La sentenza in questione poneva dunque un problema di prova per  l'assimilazione delle acque al di fuori dei casi espressamente  indicati.
 E del resto non può non considerarsi sotto il profilo sostanziale  che, come recentemente affermato anche nella sentenza di questa  Sezione n. 2340 del 17 gennaio 2013, anche le acque reflue degli  studi odontoiatrici privati possono essere caratterizzate dalla  presenza di sostanze (anestetici, farmaci e residui di lavorazione in  genere), estranee alla vita domestica.
 5.4 In relazione alla fattispecie in esame nessuna prova è stata  fornita dalla difesa circa l'oggetto specifico dell'attività svolta  e l'osservanza delle condizioni indicate dalla normativa regionale,  soprattutto con riferimento al limite dei 20 mc giornalieri,  essendosi genericamente accennato nei motivi di impugnazione al  rispetto "degli accorgimenti previsti dalla legge ai fini di evitare  l'inquinamento delle acque", e si è omesso anche di specificare il  contenuto della "dichiarazione di scarico di acque reflue domestiche"  cui fa cenno la difesa e le ragioni della possibile rilevanza di  quest'ultima nella specie.
 5.5 Occorre verificare ora se i più recenti sviluppi normativi  abbiano introdotto modifiche rilevanti per il caso di specie.  La questione si pone con riferimento al D.P.R. 19 ottobre 2011  (regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in  materia ambientale gravanti sulle imprese, a norma del D.L. 31 maggio  2010, n. 78, art. 49, comma 4 ter, convertito con modificazioni dalla  L. 30 luglio 2010, n. 122).
 L'art. 1 stabilisce che:
 "1. Il presente regolamento si applica alle categorie di imprese di  cui all'art. 2 del decreto del Ministro delle attività produttive in  data 18 aprile 2005. Le imprese attestano l'appartenenza a tali  categorie mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione ai  sensi dell'art. 46 T.U. delle disposizioni legislative e  regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al  D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445".
 L'art. 2 stabilisce, invece, che:
 "1. Fermo restando quanto previsto dall'art. 101 e dall'Allegato 5  alla Parte terza del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sono assimilate  alle acque reflue domestiche:
 a) le acque che prima di ogni trattamento depurativo presentano le  caratteristiche qualitative e quantitative di cui alla tabella 1  dell'Allegato A;
 b) le acque reflue provenienti da insediamenti in cui si svolgono  attività di produzione di beni e prestazione di servizi i cui  scarichi terminali provengono esclusivamente da servizi igienici,  cucine e mense;
 c) le acque reflue provenienti dalle categorie di attività elencate  nella tabella 2 dell'Allegato A, con le limitazioni indicate nella  stessa tabella".
 2. Fermo restando quanto previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152,  art. 101, comma 7, lett. e), in assenza di disciplina regionale si  applicano i criteri di assimilazione di cui al comma 1".  Alla tabella 2 (Attività che generano acque reflue assimilate alle  acque reflue domestiche) dell'allegato A, punto 23 si indicano  "Ambulatori medici, studi veterinari o simili, purché sprovvisti di  analisi e ricerca".
 5.5.1. Occorre infatti definire se e come la disciplina citata possa  incidere sulla sussistenza del reato. Al riguardo si rileva quanto  segue.
 Gli obiettivi che il decreto in questione persegue ed i limiti in cui  può efficacemente operare sono quelli indicati dall'art. 4 quater  della legge e, cioè, quelli di semplificare e ridurre gli  adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese  assicurando, in relazione alla dimensione dell'impresa ed al settore  di attività, la proporzionalità degli adempimenti amministrativi;
 l'eliminazione di autorizzazioni, licenze, permessi, attestazioni,  ecc. nonché degli adempimenti amministrativi e delle procedure  necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici;
 l'estensione dell'utilizzo dell'autocertificazione;
 rinformatizzazione, nonché un regime di controlli adeguato alle  esigenze in premessa indicate.
 Tali principi risultano espressamente recepiti dal D.P.R. n. 227 del  2011, art. 1. Si precisa, infatti, che il decreto si applica  (esclusivamente) alle categorie di imprese di cui all'art. 2 del  decreto del decreto del Ministero delle attività produttive in data  18 aprile 2005, vale a dire alle piccole e medie imprese.  La semplificazione delle attività amministrative non può tuttavia  andare a scapito ed anzi deve operare nel rispetto dei principi  fondamentali dettati per la disciplina di settore, altrimenti  ponendosi non solo un problema di ingiustificabile disparità di  trattamento tra imprese beneficiane del trattamento più favorevole  ma anche di lesione degli stessi interessi protetti dal D.Lgs. n. 152  del 2006, sovente di rilevanza costituzionale.
 Ed, invero, il DPR in esame, all'art. 2, opera importanti  puntualizzazioni nel senso indicato.
 Al comma 1 premette, infatti, che rimane comunque fermo quanto  previsto dall'art. 101 e dall'Allegato 5 alla parte terza del D.Lgs.  3 aprile 2006, n. 152. Rimangono quindi fermi non solo i valori  limite previsti nell'Allegato 5 alla parte terza del D.Lgs. n. 152  del 2006, ma anche quelli che le regioni definiscono a mente  dell'art. 101, comma 2.
 L'u.c., art. 1, poi, oltre a ribadire che non viene in alcun modo  posto in discussione il dettato del comma 7, art. 101, espressamente  afferma, in linea con quanto ora detto, che i criteri di  assimilazione indicati nel decreto si applicano in assenza di  disciplina regionale.
 5.5.2 Venendo ora all'esame dei criteri dettati dall'art. 2, si  rileva che al punto a) vengono individuate le caratteristiche  qualitative e quantitative che devono essere presenti prima di ogni  trattamento depurativo; al punto b) si puntualizza in maniera del  tutto logica e condivisibile che gli scarichi terminali provenienti  esclusivamente da servizi igienici, mense e cucine sono sempre  assimilabili a quelli domestici; mentre al punto c) si individuano  appunto una serie di attività per le quali l'assimilazione delle  acque a quelle domestiche sembrerebbe operare anche al di fuori dei  limiti indicati dalla lettera a).
 Venendo al problema posto dal ricorso in esame, si ribadisce  anzitutto che l'assimilazione di cui al punto c) può operare solo  alle condizioni in precedenza indicate.
 Ma non basta.
 La disposizione pone, infatti, anche limitazioni per così dire  "interne" di cui pure occorre tenere conto.
 La lettera c) richiama l'allegato A tab. 2 che al punto 23 fa  riferimento agli "ambulatori medici, studi veterinari o simili,  purché sprovvisti di laboratori di analisi e ricerca".  Occorre, quindi, dimostrare l'assenza dei laboratori citati per  invocare l'assimilazione.
 Va poi considerato che il punto 23 non ricalca la disposizione  contenuta all'allegato B, punto 28, ove, nel fare riferimento alle  attività a bassa rumorosità, rilevante ai sensi dell'art. 4  (semplificazione della documentazione di impatto acustico) vengono  invece espressamente citati gli "studi odontoiatrici e odontotecnici  senza attività di analisi chimico cliniche e di ricerca".  cnià ì ra fà rilevanza delle attività di analisi rispetto alla  ratio della previsione dell'art. 4 ma ciò che interessa ora è  rilevare che lo studio odontotecnico è cosa diversa dallo studio  odontoiatra.
 Senza voler porre in discussione ovviamente che anche l'esercizio  dell'attività di odontotecnico rientra tra quelle sanitarie, è un  fatto che l'odontotecnico è figura distinta dall'odontoiatra e  svolge attività diversa da quest'ultimo essendo dedito alla  preparazione delle apparecchiature dentarie e dirigendo, in sostanza,  il laboratorio destinato alla lavorazione dei materiali per la  preparazione di apparecchi dentari.
 Ora, avuto riguardo alla tipologia degli scarichi connessi alla  attività svolta, mentre per l'odontoiatra si appalesa ragionevole  ricondurre l'attività svolta a quella di uno studio ambulatoriale  medico, più complesso appare il procedimento logico di parificazione  rispetto all'attività dell'odontotecnico che medico non è ed  esercita precipuamente un'attività di laboratorio.  E, dunque, si ritiene che a ben vedere gli studi odontotecnici, se  intesi come laboratori, debbano di regola restare comunque esclusi  dalla equiparazione con riferimento alle acque immesse in fognatura,  ove non rispettino gli altri parametri indicati ai punti a) e b) del  decreto.
 5.5.3 Da quanto sin qui detto emerge chiaramente che
 l'equiparabilità delle acque scaricate dallo studio Eurodental a  quelle urbane avrebbe postulato comunque la prova dell'esistenza di  tutte le condizioni in precedenza elencate, ivi compresa la  precisazione del tipo di attività svolta presso lo studio, che, come  detto in precedenza, nella specie difetta completamente.  6. Rimangono allora da verificare le restanti questioni sollevate in  questa sede.
 7. Si appalesa del tutto generico ed infondato il rilievo sulla  mancata applicazione nella specie del dettato del D.Lgs. n. 152 del  2006, art. 140.
 L'art. 140 (circostanza attenuante), riproducendo quella del D.Lgs.  n. 152 del 1999, art. 61, recita: "1. Nei confronti di chi, prima del  giudizio penale o dell'ordinanza-ingiunzione, ha riparato interamente  il danno, le sanzioni penali e amministrative previste nel presente  titolo sono diminuite dalla metà a due terzi".
 I ricorrenti ritengono decisivo al riguardo di essersi muniti del  titolo autorizzativo in un un momento antecedente alla richiesta di  rinvio a giudizio.
 Ora se può convenirsi sul momento finale utile per poter beneficiare  dell'attenuante e sul fatto che non operando alcuna distinzione tra i  reati contemplati nel titolo richiamato dal D.Lgs. n. 152 del 2006,  l'attenuante possa trovare applicazione anche per il reato in esame  sotto il profilo della elisione delle conseguenze dannose del reato,  rimane insuperabile nella specie la considerazione che vi è assoluta  incertezza sulla effettiva regolarizzazione della situazione  sembrando non conseguita dopo la scadenza l'autorizzazione richiesta  per lo scarico delle acque reflui industriali. Peraltro, secondo i  principi generali, è ai ricorrenti che incombeva l'onere  dimostrativo sul punto.
 8 Palesemente infondata è, infine, la questione posta con il secondo  motivo avendo più volte questa Corte affermato che, così come  ritenuto dal giudice di merito, l'autorizzazione scaduta equivale  all'assenza di autorizzazione e configura, quindi, il reato  contestato.
 9. Al rigetto consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle  spese processuali.
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese  			processuali.
 Così deciso in Roma, il 3 maggio 2013.
 Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2013
 
                    




