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Corte Costituzionale ord. 55 del 10 febbraio 2006

Acque e acquedotti -Servizio idrico integrato - Quota di tariffa riferita al servizio difognatura e di depurazione -Debenza da parte degli utenti anche se la fognatura siasprovvista di impianti centralizzati didepurazione o questi siano temporaneamente inattivi -Destinazione dei relativi proventi ad un fondo vincolato per la realizzazione egestione degli impianti.

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ORDINANZA N. 55

ANNO 2006

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale MARINI Presidente

- Franco BILE Giudice

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

- Alfio FINOCCHIARO

- Alfonso QUARANTA

- Franco GALLO

- Luigi MAZZELLA

- Gaetano SILVESTRI

- Sabino CASSESE

- Maria Rita SAULLE

- Giuseppe TESAURO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), promossi con n. 11 ordinanze del 27 febbraio 2004 dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, rispettivamente iscritte ai nn. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 2005.

Visti gli atti di costituzione del Comune di Meta, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 2006 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi gli avvocati Ferdinando Pinto e Marcello Cardi per il Comune di Meta e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con undici ordinanze registrate ai numeri da 4 a 14 del 2005, depositate il 27 febbraio 2004 e pervenute alla Corte costituzionale il 5 gennaio 2005, la Commissione tributaria provinciale di Napoli – sui ricorsi proposti da diversi contribuenti nei confronti del Comune di Meta e dell'Azienda risorse idriche penisola sorrentina (ARIPS) – ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 32 e 97 della Costituzione, identiche questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nella formulazione originaria, in quanto esso prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi;

che il giudice a quo premette che i ricorrenti, ritenendo illegittimo il pagamento dei canoni di depurazione delle acque reflue a fronte di un servizio non reso, avevano proposto inizialmente ricorso al Giudice di pace, chiedendo la pronuncia d'illegittimità della pretesa del Comune e richiamando, a sostegno del proprio assunto, anche una nota dell'ARIPS, secondo la quale alcuni comuni, tra i quali lo stesso Comune di Meta, «immettono i loro liquami nel collettore fognario comprensoriale che sversa a mare […] senza alcun impianto di depurazione a terra»;

che il giudice a quo riferisce che il Giudice di pace si era pronunciato solo relativamente all'«obbligo di restituzione dei canoni pagati dal 3 ottobre 2000 in poi», dichiarando invece il proprio difetto di giurisdizione per il periodo precedente, in quanto, in base alla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 11631 del 2002, il canone di depurazione delle acque reflue aveva natura di tributo fino al 3 ottobre 2000, data di entrata in vigore del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258 (Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, a norma dell'art. 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128), a partire dalla quale esso deve considerarsi, invece, di natura privatistica;

che, in ordine a ciascuno dei giudizi, la Commissione tributaria rimettente espone che il contribuente ha proposto ricorso nei confronti del Comune di Meta e dell'ARIPS avverso «il silenzio rifiuto del comune di Meta alla restituzione dei canoni di depurazione delle acque reflue» versati nel periodo dal 1° gennaio 1999 al 3 ottobre 2000, ritenendo tali canoni non dovuti, a fronte di un servizio di depurazione non reso;

che il giudice rimettente riferisce, poi, che il Comune resiste in giudizio affermando che, ai sensi della norma censurata, «l'obbligazione è inderogabile, indipendentemente dalla sussistenza o meno di un servizio corrispettivo, proprio in virtù della natura pubblicistica» e non contesta in punto di fatto l'assenza di qualsivoglia impianto di depurazione, pur rilevando «che l'esistenza della condotta fognaria e di una griglia d'intercettazione costituirebbe di per sé un impianto di depurazione»;

che il rimettente, premessa genericamente la rilevanza della questione, deduce, in punto di non manifesta infondatezza, «l'abnormità del dettato legislativo che impone un onere a carico dei cittadini, anche in situazioni […] nelle quali l'impianto di depurazione non esiste»;

che, in particolare, il giudice a quo censura il citato art. 14, comma 1, in riferimento, in primo luogo, all'art. 97 Cost., perché consentirebbe alla pubblica amministrazione «d'imporre ai cittadini una sorta di tassa sine titulo la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta»; in secondo luogo, all'art. 3 Cost., perché determinerebbe «una discriminazione dei cittadini che versano il tributo senza usufruire del servizio di depurazione ed inquinando loro malgrado l'ambiente, rispetto a coloro che versano il tributo e si giovano invece del servizio»; infine, all'art. 32 Cost., perché incoraggerebbe «il lassismo degli enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall'inquinamento che ne scaturisce»;

che il Comune di Meta si è costituito in tutti i giudizi, con memorie di contenuto sostanzialmente identico, eccependo preliminarmente la manifesta inammissibilità delle questioni;

che esso deduce, quale primo profilo di inammissibilità, l'«omessa delibazione di questioni preliminari» da parte del giudice a quo, il quale non avrebbe considerato che i ricorsi dei contribuenti dovevano essere dichiarati inammissibili, non essendo stata presentata all'amministrazione alcuna istanza di rimborso e, dunque, mancando il rifiuto espresso o tacito previsto tassativamente dagli articoli 19 e 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), quale requisito processuale di «proponibilità»;

che, quale secondo profilo di inammissibilità, il Comune rileva l'aberratio ictus in cui sarebbe incorso il giudice a quo, consistente nell'aver omesso di rilevare che la natura tributaria del canone di depurazione delle acque reflue per il periodo oggetto di causa non deriva dalla norma censurata, ma dalla disciplina legislativa ad essa previgente;

che, quale terzo profilo di inammissibilità, il Comune deduce l'«irrilevanza della questione […] in quanto diretta a sindacare una scelta discrezionale del legislatore», il quale – prevedendo che il canone sia dovuto anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi, e che i relativi proventi affluiscano in un fondo a disposizione dei gestori del servizio idrico integrato, la cui utilizzazione è vincolata all'attuazione del piano d'ambito – avrebbe legittimamente scisso la prestazione del pagamento del canone dalla controprestazione dell'erogazione del servizio di depurazione, collocandole in due diversi momenti;

che, nel merito, l'ente territoriale chiede che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;

che, al riguardo, con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 97 Cost., rileva che la norma impugnata non si pone in contrasto con i princìpi di legalità, imparzialità e buon andamento; con riferimento al parametro dell'art. 3 Cost., rileva che la norma censurata appare non irragionevole e, anzi, è diretta «a rendere concreto, anche se solo in una prima fase, attraverso la raccolta dei fondi con vincolo di destinazione, il diritto dei cittadini a godere di un servizio di depurazione delle acque reflue»; con riferimento al parametro dell'art. 32 Cost., rileva la genericità della censura, osservando che «il diritto alla salute invocato dal Giudice Tributario di certo non verrebbe tutelato dal mancato pagamento del canone di depurazione da parte dei cittadini privi di tale servizio»;

che è intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atti di contenuto sostanzialmente identico, concludendo per la manifesta inammissibilità o comunque per la manifesta infondatezza delle questioni;

che l'Avvocatura sostiene, in particolare: a) che il giudice rimettente non ha fornito alcuna motivazione sulla rilevanza della questione ai fini della decisione del giudizio; b) che «nessuna rilevanza sostanziale può, comunque, avere sull'emanando giudizio la questione sollevata perché la natura di tributo dell'emolumento del quale si chiede la restituzione […] svincola la sua debenza da un corrispettivo diretto di servizio»; c) che non sussiste la violazione dell'art. 3 Cost., in quanto non esiste rapporto sinallagmatico tra l'obbligazione pecuniaria del contribuente e il servizio di depurazione delle acque, il quale è reso non ad un singolo utente, ma alla collettività nel suo complesso; d) che non sussiste la violazione dell'art. 32 Cost., in quanto il prelievo censurato è destinato a finanziare opere ed impianti di depurazione, per la salvaguardia del patrimonio idrico e dell'ambiente; e) che non sussiste la violazione dell'art. 97 Cost., in quanto il contenuto di tale parametro appare totalmente estraneo alle ragioni di doglianza espresse dal giudice a quo;

che, con memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica nel giudizio registrato al n. 4 del 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sostanzialmente ribadito quanto già sostenuto nell'atto di intervento, prospettando, quali ulteriori profili di inammissibilità della questione: a) la mancanza di motivazione nell'ordinanza di rimessione circa le ragioni che hanno indotto il giudice a quo a non pronunciarsi sulle questioni preliminari relative all'inammissibilità del ricorso proposto; b) l'inapplicabilità della norma denunciata alla fattispecie sottoposta al giudizio a quo, in quanto tale norma sarebbe entrata in vigore solo al termine del periodo al quale sono inerenti i tributi di cui si chiede il rimborso;

che, con successiva memoria, il Comune di Meta ha sostanzialmente ribadito le argomentazioni già svolte nei precedenti scritti difensivi, concludendo, in via principale, per la declaratoria di inammissibilità della questione, in via subordinata, per la restituzione degli atti al giudice a quo «affinché provveda ad una nuova deliberazione sulla rilevanza», in via ulteriormente subordinata, per l'infondatezza della questione.

Considerato che, con undici ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, il rimettente solleva, in riferimento agli articoli 3, 32 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), in quanto esso prevede, nella formulazione originaria, che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi;

che i giudizi devono essere riuniti, per l'identità delle questioni sollevate;

che le questioni sono manifestamente inammissibili, in primo luogo, per insufficiente descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, che si risolve in difetto di motivazione sulla rilevanza e, in secondo luogo, per aberratio ictus nell'individuazione della norma da censurare;

che, sotto il primo profilo, la Commissione tributaria rimettente si limita ad esporre che i contribuenti hanno proposto ricorso nei confronti del Comune di Meta e dell'Azienda risorse idriche penisola sorrentina (ARIPS) avverso «il silenzio rifiuto alla restituzione dei canoni di depurazione delle acque reflue» versati nel periodo dal 1° gennaio 1999 al 3 ottobre 2000, senza precisare se i contribuenti medesimi abbiano presentato domanda di restituzione delle somme pagate, né come il silenzio-rifiuto oggetto dei ricorsi si sia formato;

che la domanda di restituzione costituisce il presupposto necessario per il formarsi del silenzio-rifiuto, disponendo gli articoli 19 e 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), che il ricorso avverso il rifiuto tacito può essere proposto solo dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto;

che tale omissione non consente il controllo di questa Corte sulla proponibilità dei ricorsi introduttivi dei giudizi a quibus e si risolve, perciò, in difetto di motivazione sulla rilevanza, per insufficiente descrizione della fattispecie da parte del rimettente (v., ex plurimis, ordinanza n. 396 del 2005);

che, sotto il secondo profilo, lo stesso rimettente è incorso in errore nell'individuazione della disposizione applicabile al caso concreto;

che, infatti, la disciplina dei canoni di depurazione delle acque reflue versati nel periodo precedente al 3 ottobre 2000 – oggetto dei giudizi a quibus – rientra non nell'ambito temporale di applicazione del denunciato art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, bensì in quello degli articoli 16 e 17 della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento), mantenuti in vigore per tale periodo dall'art. 62, commi 5 e 6, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), come del resto affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità (ex plurimis: Cassazione, n. 14314 del 2005; n. 3078 del 2005; sezioni unite, n. 6418 del 2005).



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sollevate, in riferimento agli articoli 3, 32 e 97 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2006.

F.to:

Annibale MARINI, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2006.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA