Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24056 del 02/03/2006 Ud. (dep. 12/07/2006 ) Rv. 234471
Presidente: Postiglione A. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: P.G. in proc. Bigi. P.M. Ciampoli L. (Conf.)
(Annulla con rinvio,Trib.T. Pausania, sez.dist.Olbia, 3 febbraio 2005)
PRODUZIONE, COMMERCIO E CONSUMO - PRODOTTI ALIMENTARI (IN GENERE) - CAMPIONI (PRELIEVO E ANALISI) - Suddivisione del campione in aliquote - Disposizioni di cui al D.Lgs. n. 123 del 1993 - Previsione di una quarta aliquota con D.M. - Legittimità - Fondamento.

In tema di controlli microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili, la disposizione di cui al D. M. 16 dicembre 1993 che prevede la predisposizione di una quarta aliquota del campione, non si pone in contrasto con la previsione originaria di cui al D.Lgs. 3 marzo 1993 n. 123 della ripartizione del campione in tre aliquote, atteso che il citato D. M. risulta emanato in virtù della delega contenuta nell'art. 4 del decreto n. 123 e che lo stesso introduce una disposizione integrativa e non modificativa delle disposizioni del decreto legislativo.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Presidente - del 02/03/2006
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 384
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 29823/2005
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TEMPIO PAUSANIA e dal PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI, sezione distaccata di Sassari;
avverso la sentenza emessa il 3 febbraio 2005 dal Giudice del tribunale di Tempio Pausania, sezione distaccata di Olbia;
nei confronti di:
BIGI Alberto;
udita nella Pubblica udienza del 2 marzo 2006 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIAMPOLI Luigi, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata in accoglimento del ricorso del Procuratore generale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Bigi Alberto venne rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. c), per avere detenuto per la vendita mitili con cariche microbiche superiori a quelle consentite.
Il giudice del tribunale di Tempio Pausania, sezione distaccata di Olbia, con sentenza del 3 febbraio 2005 assolse l'imputato perché il fatto non sussiste, osservando che i campioni per le analisi erano stati raccolti in modo irregolare e precisamente: a) che era stato prelevato un campione di prodotto suddiviso in due aliquote, in contrasto con quanto disposto dal D.M. 16 dicembre 1993, art. 2 e dal D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 4, i quali prevedono che per gli alimenti deteriorabili i campioni devono essere suddivisi in quattro aliquote; b) che tale suddivisione è necessaria per lasciare una aliquota a disposizione della autorità giudiziaria per eventuali perizie e si pone quindi a garanzia del diritto di difesa, che nella specie era stato violato.
Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Tempio Pausania ha dapprima proposto appello e poi ricorso per Cassazione deducendo:
a) che il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 4, prevede la suddivisione del campione solo in tre aliquote e non quattro, sicché nella specie mancherebbe solo la aliquota da riservare per eventuale perizia da parte della autorità giudiziaria, mentre il D.M. 16 dicembre 1993, che prevede quattro aliquote, è privo di effetti perché non può modificare un atto avente forza di legge;
b) che in ogni caso il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, è superato dal D.P.R. 14 luglio 1995 che approva l'atto di indirizzo alle regioni sui criteri uniformi per l'elaborazione di programmi di controllo sugli alimenti e dal piano regionale per il controlla dei molluschi bivalvi vivi approvato per l'anno 2004 dalla regione Sardegna, il quale prevede la suddivisione del campione in sole due aliquote;
c) che l'interessato è stato preavvertito delle analisi alle quali però non ha ritenuto di assistere.
Il Procuratore generale presso la corte d'appello di Cagliari ha proposto a sua volta ricorso per Cassazione eccependo che la violazione dell'art. 223 disp. att. c.p.p. da luogo ad una nullità a regime intermedio, sanata per effetto della decadenza stabilita dall'art. 182 cod. proc. pen..
Il Bigi ha presentato memoria difensiva, con la quale, tra l'altro, osserva:
a) che il D.M. 16 dicembre 1993 ha funzione integrativa del D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, in attuazione della delega contenuta nell'art. 4, comma 3, di quest'ultimo e che comunque la mancata conservazione della terza aliquota destinata ad eventuale perizia costituisce grave violazione di una norma posta da fonte avente forza di legge. b) che l'atto di indirizzo alle regioni ed il piano regionale sono atti amministrativi che non possono derogare a norme poste da fonti aventi forza di legge.
c) che il ricorso del Procuratore generale è inconferente perché il vizio rilevato dalla sentenza impugnata non è relativo alla partecipazione dell'interessato alle analisi, ma al mancato rispetto delle norme relative al prelievo del campione ed alla formazione delle aliquote che rende inutile la stessa partecipazione dell'interessato alle analisi, escludendo ab origine ogni possibilità di verifica sia sul campione in proprio possesso sia da parte della autorità giudiziaria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene la Corte - conformemente alle considerazioni svolte nella sua requisitoria dal Procuratore generale - che il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Tempio Pausania sia infondato, perché effettivamente sussiste la nullità rilevata dal giudice a quo.
Nella specie, infatti, trovano applicazione il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, ed il D.M. 16 dicembre 1993.
Il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123 (recante Attuazione della direttiva 89/397/CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari), dispone all'art. 4, comma 1, che "per i controlli microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili indicati con decreto del Ministro della sanità, il responsabile del laboratorio provvede ai relativi accertamenti su un'aliquota del campione ed in caso di non conformità, provvede con tempestività a darne avviso all'interessato specificando il parametro difforme e la metodica di analisi e comunicando il luogo, il giorno e l'ora in cui le analisi vanno ripetute limitatamente ai parametri risultati non conformi;
un'altra aliquota resta di riserva presso il laboratorio per un'eventuale perizia ordinata dall'autorità giudiziaria". Dunque, la disposizione in esame prevede - in caso di prodotti alimentari deteriorabili - la suddivisione del prodotto in almeno tre aliquote: la prima destinata alla preanalisi, la seconda all'eventuale ripetizione limitatamente ai parametri che risultino non conformi, e la terza da conservarsi presso il laboratorio per una eventuale perizia ordinata dalla autorità giudiziaria. La disposizione è stata poi integrata - e non modificata, come erroneamente sostiene il pubblico ministero ricorrente - dal D.M. 16 dicembre 1993 (emanato in forza della delega contenuta nel medesimo D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 4), il quale ha proceduto alla "individuazione delle sostanze alimentari deteriorabili alle quali si applica il regime di controlli microbiologici ufficiali" ed all'art. 1, comma 1, n. 4, ha stabilito che "i prodotti della pesca freschi" costituiscono prodotti alimentari deteriorabili, mentre all'art. 2 ha stabilito che "per i prodotti alimentari deteriorabili di cui all'art. 1, comma 1, non essendo possibile effettuare l'analisi di revisione secondo le modalità di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 1, il campione prelevato al fine del controllo microbiologico va ripartito dalla persona incaricata del prelievo in quattro aliquote, ciascuna delle quali in quantità congrua per l'espletamento delle analisi da effettuare. Una delle quattro aliquote, conservate con l'osservanza delle previsioni previste dall'art. 1, comma 3, viene consegnata dal prelevatore al detentore del prodotto alimentare unitamente al verbale di prelevamento, mentre le altre tre aliquote vengono consegnate ai laboratori competenti per territorio per l'effettuazione, su una prima aliquota, degli accertamenti analitici e per la ripetizione, su una seconda aliquota, delle analisi limitatamente ai parametri eventualmente risultati non conformi. L'ultima all'quota, infine, resta di riserva presso il laboratorio per un'eventuale perizia ordinata dalla autorità giudiziaria". Il citato decreto ministeriale, dunque, prevede che, oltre alle tre aliquote già prescritte dal D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, sia prelevata una quarta aliquota da consegnarsi al detentore del prodotto alimentare per permettere un compiuto esercizio del diritto di difesa. Tale disposizione non può certamente ritenersi illegittima - come erroneamente ritiene il primo ricorrente - e non può perciò essere disapplicata dal giudice in quanto essa non si pone in alcun modo in contrasto col citato D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, sia perché è stata emanata proprio in forza della delega ivi prevista, sia perché è solo integrativa (e non modificativa) delle disposizioni del decreto legislativo, limitandosi a prescrivere la necessità di una quarta aliquota da consegnare all'interessato, ossia a porre una prescrizione pienamente conforme al sistema delineato dall'atto avente forza di legge, se non anche implicitamente contenuta in tale sistema.
Tale previsione, del resto, è conforme anche alla disciplina regolamentare già vigente in materia di controlli alimentari, dal momento che già l'ordinanza ministeriale dell'11 ottobre 1978, concernente i "Limiti di cariche microbiche tollerabili in determinate sostanze alimentari e bevande" disponeva, alla tabella B, che ai fini del campionamento delle sostanze alimentari occorre in ogni caso costituire quattro aliquote del campione prelevato, da destinare al laboratorio di analisi di prima istanza, all'istituto superiore di sanità per le analisi di revisione, alla autorità giudiziaria per l'eventuale perizia, ed al produttore. Questa disciplina, ed in particolare la prescrizione di suddividere il campione in quattro aliquote da destinare nel modo suddetto, non è stata poi certamente modificata o superata dal D.P.R. 14 luglio 1995, contenente l'"Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e province autonome sui criteri uniformi per l'elaborazione dei programmi di controllo ufficiale degli alimenti e bevande" ne' dagli eventuali atti amministrativi regionali emanati in materia, se non altro perché, non avendo le regioni competenza in materia penale, eventuali differenti norme regionali in tema di campionamento dovrebbero essere interpretate nel senso che non incidono sulle dianzi ricordate norme statali disciplinanti le procedure da seguire per l'accertamento di eventuali reati.
Del resto, il citato D.P.R. 14 luglio 1995, invocato dal primo ricorrente, all'art. 2, comma 2, dispone che per i prodotti alimentari di cui al comma 1, lett. a) - che, al n. 3, comprende i molluschi bivalvi vivi - si applicano le norme del D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, nonché le disposizioni e le procedure di controllo recate dalle norme di settore indicate nella tabella 1. E la tabella 1, al n. 6, indica quale provvedimento normativo di riferimento per i molluschi bivalvi vivi il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 530. Orbene tale decreto legislativo (recante Attuazione della direttiva 91/492/CEE che stabilisce le norme sanitarie applicabili alla produzione e commercializzazione dei molluschi bivalvi vivi) non pone alcuna disposizione che si ponga in contrasto con le norme del D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, e del D.M. 16 dicembre 1993 in tema di campionamento dianzi ricordate.
Nel caso in esame si trattava di mitili, e quindi di prodotti alimentari deteriorabili, e dovevano perciò in fase di prelievo e di campionamento essere seguite le prescrizioni di cui alle ricordate norme del D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, e del D.M. 16 dicembre 1993. È invece pacifico che l'operatore suddivise il campione in sole due aliquote, anziché nelle quattro necessarie, ed in particolare non prelevò l'aliquota da conservare a disposizione della autorità giudiziaria per eventuale perizia ne' l'aliquota da consegnare all'interessato per l'esercizio del suo diritto di difesa. Sussiste quindi la nullità delle analisi esattamente ritenuta dal giudice del merito.
Ritiene però il Collegio di accogliere il ricorso del Procuratore generale e di aderire alla tesi che si tratti di una nullità cd. a regime intermedio, ossia di una nullità relativa che può essere dichiarata su eccezione di parte e che, essendosi verificata nella fase delle indagini preliminari, deve essere eccepita con le altre questioni preliminari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e che deve quindi ritenersi sanata per effetto della decadenza stabilita dall'art. 182 cod. proc. pen.. Ne consegue, a parere del Collegio, che, non risultando che l'imputato abbia eccepito la nullità stessa ne' nella fase preliminare all'apertura del dibattimento ne' in nessuna altra fase del giudizio di primo grado, il giudice del merito non avrebbe potuto rilevare e dichiarare d'ufficio la nullità stessa non eccepita tempestivamente dalla difesa.
È però anche il caso di rilevare che questa soluzione, se rende utilizzabili - come sostenuto dal Procuratore generale ricorrente - gli atti di analisi, non esclude che il mancato prelevamento delle quattro aliquote, ed in particolare della aliquota destinata ad essere utilizzata per una eventuale perizia ordinata dalla autorità giudiziaria, possa ugualmente produrre un qualche effetto nel giudizio. E difatti, nel caso in cui l'imputato abbia tempestivamente richiesto l'effettuazione di una perizia e questa sia stata ritenuta (eventualmente anche d'ufficio) indispensabile dal giudice, occorrerà stabilire - ma ritiene il Collegio che la questione esuli dall'ambito del giudizio sottoposto all'esame di questa Corte - quale siano le conseguenze sul piano decisorio della circostanza che la perizia non possa in pratica essere effettuata per la mancata osservanza della norma che impone il prelievo e la conservazione di una aliquota del campione espressamente destinata alla eventuale perizia disposta dalla autorità giudiziaria.
Nel caso di specie sembra che il giudice del merito abbia rigettato la richiesta della difesa di effettuare una perizia in quanto la stessa sarebbe stata ormai inutile trattandosi di prodotti deteriorabili ed essendo trascorso un rilevante periodo di tempo. Il giudice, peraltro, avendo rilevato e dichiarato d'ufficio la predetta nullità ed avendola ritenuta assorbente, ha però omesso di valutare se, ai fini della decisione, la richiesta perizia fosse indispensabile nonché le eventuali conseguenze derivanti dal fatto che la stessa era stata resa impossibile dal mancato prelevamento e dalla mancata conservazione, secondo le modalità prescritte dal D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, della terza aliquota destinata appunto ad essere utilizzata per una perizia disposta dalla autorità giudiziaria. La dichiarata sanatoria della nullità ai sensi dell'art. 182 cod. proc. pen. non incide su tale questione che, se del caso, dovrà essere risolta dal giudice del rinvio. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Tempio Pausania.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Tempio Pausania.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 2 marzo 2006.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2006