Cass. Sez. III n. 899 del 13 gennaio 2016 (Ud 20 nov 2015)
Presidente: Fiale Estensore: De Masi Imputato: Bordonaro.
Alimenti.Prodotti dolciari congelati o surgelati ed omessa indicazione di tale qualità

Ai fini dell'integrazione del reato di tentativo di frode in commercio, nell'ipotesi in cui siano detenuti per la somministrazione alimenti congelati o surgelati all'interno di una pasticceria senza che sia indicata tale caratteristica, è irrilevante che tali trattamenti avvengano in fase di lavorazione ovvero a prodotto finito, posto che non è oggetto di contestazione il procedimento produttivo o di conservazione degli alimenti, ma la mancanza di adeguata informazione ai consumatori, ai quali i prodotti dolciari vengano presentati come freschi.

 RITENUTO IN FATTO

La Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 4393/2014, ha confermato la sentenza emessa dal medesimo Tribunale il 10/4/2010, nei confronti di Bordonaro Paola - imputata del reato di cui agli artt. 56 e 515 c.p., perchè quale legale rappresentante del Bar Caffè Gelateria "Fiorio-Paloma" s.a.s., detenendo per la successiva somministrazione, presso i locali della suddetta attività, vari prodotti di pasticceria congelati, di cui non era indicata nè sulle liste menù rinvenute sui tavoli della saletta di somministrazione, nè sulla vetrina espositrice, il reale stato fisico di conservazione, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare agli avventori alimenti diversi per qualità da quanto dichiarato (Torino, 20/6/2008) - con cui l'imputata era stata condannata, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di Euro 500 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, pubblicazione della sentenza e confisca di quanto in sequestro.

La Bordonaro, tramite il difensore fiduciario, propone ricorso affidato a due motivi per l'annullamento della decisione.

Con il primo motivo di doglianza, si deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), erronea applicazione della legge penale, con riferimento all'art. 515 c.p.p., riguardo alla contestata attività di detenzione di alimenti congelati, senza che fosse indicato agli avventori tale stato fisico, con conseguente consegna agli stessi di alimenti diversi per qualità da quanto dichiarato, in quanto ad avviso della difesa è emerso, nel corso dell'istruttoria, che tali alimenti erano stati realizzati con un processo produttivo che prevedeva, nel laboratorio della pasticceria, un trattamento termico, c.d. "abbattimento", consistente in un rapidissimo raffreddamento a - 41 degli impasti ancora in lievitazione e che, nel locale di vendita, avveniva la lievitazione, cottura e finizione dei prodotti dolciari da porre in vendita. Si assume, che il dato letterale dell'art. 515 c.p. non prevede che le modalità con cui un bene viene prodotto siano rese note al consumatore, ove esse non siano tali da caratterizzare il prodotto stesso, avendo il C.T. della difesa dimostrato che il processo produttivo in oggetto non incide sulla qualità dei prodotti, che sono assolutamente identici a quelli realizzati senza applicazione del trattamento termico.

Con il secondo motivo di doglianza, si deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), vizio motivazionale della impugnata sentenza, per non avere la Corte di Appello di Torino adeguatamente considerato che nel capo di imputazione si utilizza il termine "congelato", mentre nella motivazione della impugnata sentenza viene utilizzato il termine "surgelato", trascurando così la distinzione terminologica tra "congelato", "surgelato" ed "abbattimento" e pure la particolarità del processo produttivo concretamente impiegato.

Tale vizio, secondo la difesa, è confermato dalla affermazione del giudice di appello che si trattava "di prodotti che, nel corso della loro lavorazione, erano stati surgelati e che invece venivano proposti come freschi" e che la responsabilità penale dell'imputata risiede nel fatto che "aveva esposto in vendita i prodotti da forno decongelati senza indicare tale fondamentale caratteristica", situazione questa che, sempre ad avviso della difesa della Bordonaro, non ha alcun riscontro nella realtà, non essendovi stata alcuna attività di congelamento o surgelamento, ma il differente trattamento termico costituito dall'abbattimento. Con memoria ex art. 585 c.p.p. del 26/10/2015, la ricorrente ha chiesto che venga riconosciuta la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., introdotta con il D.Lgs. n. 28 del 2015, questione che non ha potuto ratione temporis dedurre nel giudizio di appello, attesa la particolare tenuità del fatto, trattandosi di una isolata violazione dell'etichettatura di alcuni dei prodotti venduti nell'esercizio commerciale torinese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito riportate.

1. - Con il primo motivo la ricorrente si duole, sotto il profilo della violazione di legge sostanziale, avuto riguardo alla concreta configurabilità del delitto di frode nell'esercizio del commercio, per il fatto che la Corte territoriale ha ritenuto di dover disattendere i rilievi difensivi esposti nell'atto di gravame e ritenuto ininfluente la prospettata distinzione tra prodotti congelati e surgelati, rispetto al procedimento di abbattimento termico. Giova premettere che, per quanto si legge nell'impugnata sentenza, nella fattispecie in esame è stato ritenuto elemento dirimente l'omessa menzione dello stato di conservazione dei cibi detenuti per la vendita nell'esercizio commerciale, in continuità con la giurisprudenza di legittimità che parifica, ai fini qui considerati, la situazione dei prodotti congelati e di quelli surgelati, in quanto non rileva la temperatura raggiunta in fase di raffreddamento, quanto piuttosto la violazione dell'obbligo di dichiarare la qualità della merce offerta ai consumatori. Secondo la Corte territoriale, l'abbattimento della temperatura è solamente un metodo per raffreddare velocemente i cibi, che nel caso di specie non assume rilevo, perchè quel che conta è che "i prodotti dolciari semilavorati, dopo essere lievitati ad una temperatura di + 40, fossero sottoposti non già a un semplice raffreddamento rapido ma ad un vero e proprio processo di surgelamento, visto che, come riferito dai teste a difesa G.B., pasticcere del caffè (OMISSIS), essi erano collocati in un ambiente a - 41 e poi riposti in scatole termiche e stoccati in "celle congelanti" ad una temperatura di - 24", ed ancora che, come riferito dal teste a difesa L. F., addetto alla cottura dei prodotti dolciari, quando essi venivano estratti dal sacchetto, si presentavano "freddi e duri, cioè sotto zero".

Il giudice di appello ha tenuto a sottolineare che di tutto ciò gli avventori dell'esercizio commerciale non avevano la minima informazione, in quanto "nel menù versato in atti (prodotto dal P.M.) non vi era alcun riferimento al fatto che la pasticceria derivasse da una procedura che prevedeva il surgelamento", mentre per i prodotti da forno esposti nella vetrinetta, collocata nella sala- bar, nessuna lista contenente informazioni sulla natura surgelata degli alimenti era presente a fianco o in prossimità della stessa.

La decisione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la detenzione di alimenti congelati o surgelati all'interno di un locale di somministrazione, senza che nella lista delle vivande sia indicata tale caratteristica, integra il reato di tentativo di frode in commercio, trattandosi di condotta univocamente idonea a consegnare ai clienti un prodotto diverso, per qualità, da quello dichiarato.

Può infatti concretizzare la fattispecie di reato in esame anche il semplice fatto di non indicare nella lista delle vivande, posta sui tavoli di un ristorante, che determinati prodotti sono congelati, in quanto l'esercizio di ristorazione ha l'obbligo di dichiarare la qualità della merce offerta ai consumatori, di tal che la mancata specificazione della qualità del prodotto (naturale o congelato) integra il reato di tentata frode nell'esercizio del commercio, perchè la stessa proposta di vendita non veritiera, insita nella lista vivande, costituisce un atto diretto in modo non equivoco a commettere il delitto di cui all'art. 515 c.p. (Sez. 3, n. 44643 del 2/10/2013, Rv. 257624, Sez. 3, n. 5474 del 05/12/2013, dep. 4/2/2014, Rv. 259149, Sez. 3, n. 9310 del 14/2/2013,non massimata; Sez. 3, n. 24190 del 27/6/2005, Rv. 231946).

2. - La ricorrente deduce, con il secondo motivo di doglianza, sotto il profilo del vizio motivazionale della impugnata sentenza, che la Corte di Appello di Torino ha finito per trascurare la distinzione tra prodotto "congelato", "surgelato" e sottoposto ad "abbattimento".

Orbene, che i prodotti dolciari detenuti per la successiva somministrazione nel Bar  Caffè Gelateria "Fiorio-Paloma fossero da qualificare "congelati", secondo quanto riportato nel capo di imputazione, discende dalla circostanza che tali alimenti venivano conservati in "celle congelanti" ad una temperatura di - 24", prima di essere estratti per il completamento del processo di lievitazione, per poi essere sottoposti a quello di cottura in forno e di finizione sicchè, negli esatti termini evidenziati dal giudice di primo grado, a poco rileva la distinzione tra surgelazione in fase di lavorazione e surgelazione del prodotto finito, considerato che non è oggetto di contestazione il procedimento produttivo, e neppure quello di conservazione degli alimenti, ma la mancata informazione ai consumatori, da parte dell'imputata, per il ruolo dalla medesima svolto all'interno dell'azienda, "in ordine al trattamento e conservazione dei beni posti in vendita".

Si tratta di argomentazioni del tutto logiche e coerenti, quelle del giudice di appello, che evidenziano appieno come le condizioni di confezionamento e conservazione degli alimenti, per quanto corrette sotto il profilo igenico-sanitario, fossero tali da configurare il delitto contestato, sia pure nella forma del tentativo in quanto, difettando una adeguata informazione dei consumatori circa le qualità degli stessi, i prodotti dolciari venivano di fatto presentati come freschi, e dunque prodotti diversi da quelli che gli ignari clienti ragionevolmente si attendevano entrando in "un locale di pasticceria, noto nella città non foss'altro per la sua storicità (debitamente documentata e messa in risalto nelle stesse liste menù)" (pag. 6 sentenza di primo grado, pag. 7 sentenza d'appello).

Del resto, la stessa difesa della B. aveva richiamato le linee guida per la trasformazione e la vendita dei prodotti alimentari elaborate dall'Assessorato alla Sanità della Regione Piemonte, quanto al trattamento con il freddo a basse temperature dei prodotti alimentari, ed anche esse rimarcano "il principio della corretta informazione del consumatore, che dovrà essere messo a conoscenza del trattamento subito dall'alimento". Decisiva, pertanto, ai fini dell'esatta soluzione della questione di diritto qui esaminata, è la considerazione del bene giuridico protetto dalla norma (art. 515 c.p.), costituito dall'esigenza di tutela della correttezza dei rapporti commerciali e dell'interesse del consumatore a non ricevere cosa diversa da quella richiesta (Sez. 3, n. 37569 del 25/9/2002, Rv. 222556).

3. - Quanto al motivo aggiunto, questa Corte ha di recente chiarito che l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis c.p., ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali si può rilevare di ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2, la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, sulla base di quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata. Non v'è dubbio che il legislatore, attraverso l'art. 131 bis c.p., ha privato alcune fattispecie di reato, individuate sulla base di un criterio quantitativo, del loro disvalore, non già in astratto considerate, ma soltanto all'esito di una valutazione giudiziale "personalistica", dovendosi avere riguardo alla particolare tenuità del fatto, articolata in due "indici-requisiti" che sono la modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, e la non abitualità del comportamento (Sez. 3, n. 15449 del 15/4/2015, Rv, 263308, cfr. anche la sentenza n. 25/2015 della Corte Costituzionale).

Il nuovo istituto non individua quindi un ulteriore elemento costitutivo del fatto, bensì un limite negativo alla sua punibilità, che non può prescindere poi da un accertamento nel merito (Sez. 2, n. 32989 del 10/4/2015, Rv. 264223); ciò tuttavia non esclude che, nel giudizio di legittimità, si debba preventivamente verificare la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto.

Orbene, nella fattispecie che ci occupa, la ricorrente ha invocato la non punibilità per particolare tenuità del fatto, sottolineando che si è trattato di una violazione isolata e priva di conseguenze pregiudizievoli per la salute dei consumatori.

In generale, appare difficile configurare "la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento" con riferimento a condotte che si inseriscono in attività professionalmente esercitate - e quindi rivolta al mercato - non potendosi prescindere da una valutazione globale degli interessi, di natura ultraindividuale, sottesi alla tutela penale prevista dall'art. 515 c.p. (Sez. 6, n. 11791 del 28/6/1978, Rv. 89444).

Nè appare superfluo rammentare che, in merito all'applicabilità dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, nell'ipotesi di fronde in commercio c.d. qualitativa, questa Corte ha avuto modo di affermare che il reato di cui all'art. 515 c.p. è un reato plurioffensivo che tutela, in primo luogo, il leale esercizio dell'attività commerciale, sicchè non può neppure prospettarsi un danno di speciale tenuità per quel che attiene al principale bene giuridico tutelato (Sez. 3, n. 37602 del 9/7/2009, Rv. 244994).

Più da presso, e con specifico riferimento al caso in esame, la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità dell'istituto di cui la ricorrente ha chiesto l'applicazione, è da escludere in del dato quantitativo dei prodotti (Kg, 3 di pizzette, Kg. 10,5 di croissant alla marmellata e cacao, Kg. 3 di strudel, Kg.

7 croissant alla marmellata, Kg. 6 di fagottini, Kg. 4 di girelle farcite uvetta e mela, Kg. 3 di veneziane, Kg. 5 di croissant vuoti, Kg. 3 di croissant salati).

Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., segue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015.