Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4747, del 14 ottobre 2015
Beni Culturali.Legittimità dichiarazione d’interesse culturale particolarmente importante d’immobile, con uso compatibile e finalità di conservazione

Non rileva che il manufatto abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione. Infatti, la tutela storico-artistica protegge non già un’opera dell’ingegno dell’autore, ma un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà: la quale, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dar luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario. Tra l’altro, il provvedimento di tutela non implica l’inutilizzabilità del bene, ma la necessità di un uso compatibile con le finalità di conservazione, cui possono accompagnarsi benefici di natura economica, quali la concessione di contributi ed agevolazioni fiscali. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04747/2015REG.PROV.COLL.

N. 04737/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4737 del 2011, proposto da: 
Dandrea Mauro, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Orsoni, Mariagrazia Romeo e Mario Sanino, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, viale Parioli, 180; 

contro

Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto - Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, non costituito in giudizio nel presente grado; 

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sezione I, n. 764/2011, resa tra le parti e concernente: dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante di immobile;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 9 giugno 2015, il Consigliere Bernhard Lageder e udito, per la parte appellante, l’avvocato Giorgio Orsoni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto respingeva il ricorso n. 474 del 2010, proposto da Dandrea Mauro avverso il decreto del 17 dicembre 2009 (e l’allegata relazione storico-artistica sovrintendentizia), con il quale il Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto aveva dichiarato l’immobile di comproprietà del ricorrente, denominato ‘Casa Menardi Amaraco - Dandrea De Osia’ e sito nel Comune di Cortina d’Ampezzo, di interesse culturale particolarmente importante ai sensi degli artt. 1, comma 3, lett. a), d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42.

Il Tribunale amministrativo regionale fondava la pronuncia di rigetto sui seguenti rilievi:

- la relazione storico-artistica, richiamata dal provvedimento impugnato, era munita di motivazione esaustiva, anche per i riferimenti alla letteratura specialistica, collocando la costruzione dell’edificio correttamente nella prima metà del XIX secolo ed evidenziandone in misura sufficiente gli originari caratteri peculiari, tuttora presenti, i quali ne giustificavano la conservazione, né la relazione ometteva di prendere in considerazione le successive manomissioni che, tuttavia, non avevano comportato un irreversibile stravolgimento dell’impianto originario;

- in linea generale, la valutazione di discrezionalità tecnica, propria del provvedimento impositivo del vincolo, poteva essere contraddetta solo per ragioni di patente illogicità e irrazionalità, nella specie insussistenti;

- né poteva assumere rilievo dirimente la qualificazione dell’edificio, quale effettuata nelle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale, che lo individuavano come edificio di modesto interesse storico e ambientale;

- infondata era, altresì, la censura di disparità di trattamento, posto che la salvaguarda del singolo fabbricato non imponeva, comunque, quella dell’intero sito in cui esso insisteva, né la circostanza, che altro consimile bene fosse stato oggetto di ristrutturazione, privava l’immobile in questione dei connotati giustificativi della tutela.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originario ricorrente, deducendo i motivi come di seguito rubricati:

a) «Violazione di legge - Violazione art. 10 D.lgs. 42/04 - Difetto di presupposto - Eccesso di potere - Arbitrarietà», in quanto dalla relazione tecnica di parte prodotta in primo grado emergeva che l’edificio de quo non poteva ritenersi caratterizzante il nucleo storico della frazione di Verocai, né era riconducibile ad un periodo anteriore alla prima metà del secolo XIX, e, pertanto, non poteva ritenersi integrato il presupposto dell’interesse storico-artistico particolarmente importante di cui all’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004;

b) «Violazione di legge - Violazione art. 10 D.lgs. 42/04 - Violazione del principio del giusto procedimento - Violazione art. 10 L. 241/90 - Difetto di istruttoria - Motivazionein conferente - Eccesso di potere - Illogicità - Contraddittorietà - Carenza assoluta di motivazione», per la contraddittoria sottoposizione a vincolo di un unico edificio, a fronte della dichiarata finalità di «testimoniare l’insediamento storico del sito» e della mancata adozione di adeguate misure di protezione indiretta ai sensi degli artt. 45 e 46 d.lgs. n. 42 del 2004, per la mancata giustificazione della sottoposizione dell’immobile a vincolo in relazione al suo stato di degrado ed alla sopravvenuta modificazione degli elementi originari, e per l’omessa valorizzazione della qualificazione urbanistica dell’immobile come immobile «con grado di protezione 4B», rientrante tra gli edifici «di modesto interesse storico ed ambientale, fortemente degradati e/o pesantemente ristrutturati di cui si propone la ricostruzione secondo schemi tradizionali» (v. così, testualmente, le n.t.a. del P.r.g. del Comune di Cortina, richiamate nel ricorso in appello);

c) «Violazione di legge - Violazione del principio del giusto procedimento - Eccesso di potere - Disparità di trattamento - Illogicità - Contraddittorietà».

L’appellante chiedeva quindi, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza e in sua riforma, l’accoglimento del ricorso di prima istanza, con vittoria di spese.

3. Sebbene ritualmente evocata in giudizio, l’Amministrazione appellata ometteva di costituirsi in giudizio nel presente grado.

4. Respinta con ordinanza n. 2833 del 6 luglio 2011 l’istanza di sospensiva (sulla base dei rilievi della prevalenza dell’interesse pubblico alla conservazione del bene su quello all’attuazione dei programmi edilizi dell’appellante, e della carenza di prova dell’affermata necessità di procedere alla ristrutturazione dell’immobile per evitare danni ulteriori), la causa all’udienza pubblica del 5 giugno 2015 è stata trattenuta in decisione.

5. I motivi d’appello, tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente, sono infondati.

In linea di diritto, si osserva che il giudizio, che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale, è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell’arte e dell’architettura) caratterizzati da ampi margini di opinabilità.

Ne consegue che l’apprezzamento compiuto dall’Amministrazione preposta alla tutela – da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost. – è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile. In altri termini, la valutazione in ordine all’esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l’imposizione del relativo vincolo ai sensi degli artt. 13, comma 1, e 10, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004, è prerogativa esclusiva dell’Amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta (v., in tale senso, la giurisprudenza consolidata di questa Sezione: ex plurimis, le sentenze n. 1000/2015, n. 3360/2014, n. 2019/2014 e n. 1557/2014).

Orbene, nel caso di specie il provvedimento impugnato trova adeguata motivazione, per relationem, nella relazione storico-artistica della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, richiamata quale parte integrante dal decreto impositivo del vincolo.

Infatti, tale relazione fornisce in maniera del tutto esaustiva le giustificazioni dell’imposizione del vincolo e si sottrae alle dedotte censure di violazione di legge e di eccesso di potere.

La stessa, per quanto qui interessa, testualmente recita: «L’edificio in argomento, denominato “Casa Menardi Amaraco - Dandrea De Osia”, è sito nella frazione di Verocai di Cortina d’Ampezzo, ad altitudine di m 1270 s.l.m., caratterizzata dal nucleo storico di ridotte dimensioni che presente ancora leggibile l’originario impianto insediativo formato dall’aggregazione a nucleo degli edifici attorno a slarghi o incroci dell’antica viabilità rurale, peculiare caratteristica che denota la storicità dell’insediamento tipico delle “Viles” ladine.

Il fabbricato, il cui impianto attuale è riconducibile alla prima metà del sec. XIX, di probabile sedime più antico, si articola secondo l’antica consuetudine edilizia ampezzana che vede la casa rurale connotata dall’unione di abitazione e rustico in un unico corpo, la “ciasa” davanti, con fronte a sud e il “toulà” sul retro, declinata secondo l’interpretazione ottocentesca.

L’abitazione del tipo bifamigliare presenta uno schema planimetrico simmetrico tripartito, a tre piani, con ingresso al piano terra in asse la sala centrale e il vano scala. La struttura portante è in muratura di sasso con solai lignei e copertura lignea a due falde con coronamento del timpano smussato. La caratteristica facciata bianca della parte residenziale presenta la finitura ad intonaco di calce e la forometria originaria; la facciata principale volta verso valle (a sud) è arricchita da un elaborato sistema di poggioli lignei posto in corrispondenza dell’asse centrale dell’edificio, con struttura a baldacchino dei balconi con stilemi tardo barocchi. Il retrostante rustico con base in muratura di sasso, comprende la ex stalla al piano terra e il soprastante fienile realizzato in struttura lignea e dotato di scala interna di comunicazione con il vano scala dell’abitazione. Il rivestimento esterno della parte rustica è realizzato con mantellata lignea.

(…) si ritiene che l’immobile in argomento presenti l’interesse storico-artistico particolarmente importante previsto nell’art. 10, comma 3, del D.lgs. 42/2004, in quanto pregevole esempio di architettura rurale della valle di Ampezzo, caratterizzata dalla presenza di elementi di decorativi lignei della facciata principale, e testimonianza dell’impianto insediativo storico del sito».

La relazione storico-artistica, oltre a trovare conferma, quanto alla descrizione della costruzione esistente, nella documentazione fotografica in atti, è suffragata da riferimenti alla letteratura specialistica e dà adeguato conto della meritevolezza storico-architettonica del bene e del suo inquadramento cronologico-territoriale, con un percorso argomentativo intrinsecamente coerente ed aderente ai dati oggettivi specificamente messi in rilievo quali momenti di testimonianza storico-architettonica tipica rapportata all’area di ubicazione.

La relazione tecnica di parte prodotta dall’odierno appellante, oltre ad essere inidonea ad intaccare gli elementi centrali messi in rilievo nella relazione storico-artistica sovrintendentizia, si muove, ad ogni modo, entro i limiti di opinabilità propri di un giudizio sul pregio storico-architettonico del bene, impingendo nel merito della valutazione espressa dalla Soprintendenza e recepita nell’impugnato provvedimento, senza essere in grado di evidenziare eventuali errori decisivi sui presupposti di fatto o sui criteri tecnico-scientifici applicati, tali da inficiare, sub specie di illogicità ed incongruità, l’impugnato accertamento della sussistenza, con riguardo all’edificio in questione, dell’interesse richiesto dall’art. 10, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004.

Né, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato, lo stato di degrado di un bene osta alla dichiarazione di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, potendo un manufatto in condizione di degrado ben costituire oggetto di tutela storico-artistica, sia per i valori che ancora presenta, sia per evitarne l’ulteriore degrado, restando rimesso all’apprezzamento discrezionale della competente Amministrazione la valutazione dell’idoneità delle rimanenze ad esprimere il valore che si intende tutelare (v., ex plurimis, Cons. Stato, VI, 3 aprile 2003, n. 1718; 3 settembre 2001, n. 4591; 28 dicembre 2000, n. 7034; 30 novembre 1995, n. 1362; 8 aprile 2015, n. 1779; 16 luglio 2015, n. 3560).

Nemmeno rileva che il manufatto abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione. È infatti il caso di osservare che la tutela storico-artistica protegge non già un’opera dell’ingegno dell’autore, ma un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà: la quale, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dar luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario.

Come, poi, opportunamente messo in rilievo nell’impugnato decreto, il provvedimento di tutela non implica l’inutilizzabilità del bene, ma la necessità di un uso compatibile con le finalità di conservazione, cui possono accompagnarsi benefici di natura economica, quali la concessione di contributi ed agevolazioni fiscali.

Irrilevante è, infine, la qualificazione dell’immobile, nelle n.t.a. del P.r.g., come «edificio con grado di protezione 4B», trattandosi di qualificazione informata a parametri urbanistici ed edilizi, la quale certamente non preclude all’Amministrazione preposta all’imposizione ed alla gestione del vincolo culturale ex artt. 13 e 10, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004 di procedere alla valutazione ad essa riservata per legge, attesa la diversità dell’ambito di operatività dei rispettivi plessi normativi, mentre assolutamente generica appare la censura di disparità di trattamento in relazione ad attività edilizie autorizzate per un immobile confinante.

Conclusivamente, per le esposte ragioni, l’appello è da respingere, con assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini decisori.

6. In difetto di costituzione in giudizio della parte appellata, non v’è luogo a pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 4737 del 2011), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2015, con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/10/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)