Cass. Sez. III Sent. 21797 del 5 giugno 2007 (Ud.18/04/2007)
Pres. Papa Est. Petti Imp. Dal Canto
PRODUZIONE, COMMERCIO E CONSUMO - PRODOTTI ALIMENTARI (IN GENERE) - REATI - IN GENERE - Vendita di sostanze in cattivo stato di conservazione - Reato impossibile - Configurabilità - Esclusione - Ragioni.

Non ricorre la figura del reato impossibile per inidoneità dell'azione quando il cattivo stato di conservazione delle sostanze alimentari, palese ed evidente, sia facilmente percepibile dal consumatore. (Fattispecie nella quale il prodotto risultava esposto negli appositi banchi di vendita ed il cui prelevamento solitamente - soprattutto nei supermercati - non induce il consumatore ad esercitare una verifica attenta del prodotto).

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 18/04/2007
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 1226
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 33602/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
difensore di:
Dal Canto Alessandro, N. IL 3/11/1960 a Firenze;
avverso la sentenza del tribunale di Firenze del 19 luglio del 2005;
udita la relazione svolta del Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il Sostituto Procuratore Generale Dott. Izzo Gioacchino, il quale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore Avv. Dallavalle Marco il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
letti il ricorso e la sentenza denunciata.
osserva quanto segue:

IN FATTO
Con sentenza del 19 luglio del 2005, il tribunale di Firenze ha condannato dal Canto Alessandro alla pena di Euro 3000.00,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, quale responsabile, in concorso di circostanze attenuanti generiche, del reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lettera b), per avere detenuto e distribuito per il consumo un quantitativo di limoni in cattivo stato di conservazione. Fatto accertato in Scandicci il 26 febbraio del 2002.
Ricorre per cassazione l'imputato per mezzo del proprio difensore sulla base di due motivi.
IN DIRITTO
Con il primo motivo il difensore ripropone l'eccezione di nullità del decreto penale di condanna, poi revocato, perché privo della firma autografa del giudice, in quanto conteneva la mera indicazione "firmato Dott.ssa Grazia Aloiso".
Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 49 c.p., per l'assoluta inidoneità della condotta a configurare il reato: assume che, essendo palese l'alterazione dei limoni esposti sui banchi di vendita, nessun consumatore li avrebbe acquistati e, d'altra parte, al momento del pagamento la stessa cassiera avrebbe provveduto a sostituirli: nella fattispecie l'acquisto era stato effettuato da un funzionario dell'ASL al solo fine di fornire la prova, peraltro dopo minacce ed insistenze nei confronti della commessala quale era disposta a sostituire il sacchetto.
Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi. In relazione al primo si osserva che quello notificato alla parte non è l'atto originale che viene custodito in cancelleria a norma del D.M. n. 334 del 1989, art. 23 delle disp. reg., ma la copia che, a norma dell'art. 460 c.p.p., comma 3, è formata dal cancelliere per la notificazione. Si tratta quindi di un atto formato dal cancelliere per gli adempimenti di sua competenza e per tale ragione non reca la firma autografa del giudice ma solo l'attestazione del cancelliere :
"Firmato Dott....." Non esiste quindi alcuna nullità. In ogni caso, con la revoca del decreto opposto, le nullità che lo riguardano non possono essere più dichiarate e non esplicano più alcun effetto nel giudizio conseguente all'opposizione, fatta eventualmente eccezione per quelle relative al capo d'imputazione che continua a svolgere i suoi effetti anche nel successivo giudizio.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo. A norma del comma secondo dell'art. 49 c.p., la punibilità è esclusa quando l'azione è inidonea a produrre l'evento dannoso o pericoloso. Secondo la giurisprudenza di questa corte,in materia di reato impossibile, l'inidoneità dell'azione va valutata in relazione alla condotta originaria dell'agente la quale, per inefficienza strutturale o strumentale,indipendentemente da cause estranee e estrinseche, quale ad esempio un eventuale controllo, deve essere priva in modo assoluto di determinazione causale nella produzione dell'evento: essa quindi ricorre solo nelle ipotesi di assoluta impossibilità o incapacità ex ante di produrre l'evento e non pure quando esista la possibilità, sia pure remota, che l'evento possa verificarsi.(cfr per tutte Cass. 36295 del 2005; 26876 del 2004). L'opera dell'agente provocatore che determini il reato, secondo l'opinione prevalente in dottrina e comunque secondo quella recepita da questa corte, non esclude la punibilità a norma dell'art. 49 c.p., comma 2, (Cass. 15395 del 1990; 11890 del 1997). Nella fattispecie il reato non è stato causato dall'agente provocatore ossia dal funzionario dell'ASL, ma solo constatato dallo stesso, il quale ha acquisito una confezione di quel prodotto ai soli fini probatori. Il reato si era già perfezionato con l'esposizione dell'alimento sui banchi di vendita.
Nella fattispecie la punibilità non può essere esclusa solo perché lo stato di cattiva conservazione dei limoni offerti in vendita era palese o perché sussisteva la possibilità che la cassiera, al momento del pagamento, sostituisse il prodotto avariato con uno genuino, trattandosi di circostanze estrinseche all'azione. Invero, da un lato, specialmente nei supermercati, non sempre l'acquirente esamina con attenzione la merce prelevata dai banchi di vendita e, dall'altro, la stessa cassiera potrebbe non rendersi conto dello stato di cattiva conservazione del prodotto, poiché la sua precipua funzione non è quella di controllare la genuinità della merce al momento del pagamento bensì quella di ricevere il pagamento del prodotto prelevato dai banchi di vendita. Sussisteva quindi l'astratta possibilità che il prodotto potesse essere acquistato dal consumatore, tanto è vero che in concreto è stato acquistato dal funzionario dell'ASL.
Il ricorrente assume che il funzionario, per potere acquistare quel prodotto avariato, aveva dovuto minacciare la cassiera. L'assunto non è rilevante perché il reato si era perfezionato con l'offerta in vendita e comunque la circostanza dedotta - che il tribunale, secondo la prospettazione del ricorrente, avrebbe omesso di apprezzare - non risulta dalla sentenza impugnata ne' il ricorrente si è preoccupato di indicare la pagina processuale da cui essa dovrebbe emergere, come era suo onere a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lettera e), nel testo risultante dalle modifiche apportate con la L. n. 46 del 2006. Dall'inammissibilità del ricorso discende l'obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in Euro 1000,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d'inammissibilità secondo l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000. P.Q.M.
LA CORTE Letto l'art. 616 c.p.p.;
DICHIARA Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2007.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2007