E' un testo di Adele De Quattro, dottoranda di ricerca presso la Seconda Università degli Studi di Napoli - 19° Ciclo Dottorato di ricerca in diritto dell'ambiente nazionale, europeo e comparato Adele De Quattro *

Gli orientamenti legislativi della Legge “delega ambientale” 15 dicembre 2004 n. 308.
SOMMARIO: 1. Profili di legittimità e ampiezza della legge delega. – 2. Principi direttivi della legge delega (commi 8 e 9). – 3. La c.d. “compensazione ambientale” (commi da 20 a 24). – 4. Disciplina dei rottami ferrosi e non ferrosi qualificabili come rifiuti (commi da 25 a 31). – 5. Depenalizzazione dei reati paesaggistici (commi da 36 a 39). – 6. Prima versione dei testi unici in materia ambientale.


1. Profili di legittimità e ampiezza della legge delega.

Dopo un faticoso e complesso iter parlamentare, durato tre anni e con ben cinque passaggi parlamentari e tre voti di fiducia (due al Senato e uno alla Camera dei Deputati), è stata approvata la Legge 15 dicembre 2004 n. 308 recante “Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione”.
Le materie oggetto di “delega ambientale”, che dovranno essere riscritte entro diciotto mesi dalla entrata in vigore della legge, riguardano : a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati; b) tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche; c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione; d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna; e) tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente; f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l’autorizzazione ambientale integrale (IPPC); g) tutela dell’aria e riduzione delle emissioni in atmosfera.
Tale riforma ha suscitato non poche polemiche sia sul piano politico sia da parte delle associazioni ambientaliste, creando attese e aspettative sociali tali da salvaguardare una materia in continua evoluzione qual è l’ambiente, anche se, per lunghi anni abbiamo assistito, in tale ambito, ad una iperproduzione normativa o di norme lacunose, e addirittura contrastanti tra loro.
Lo scopo della citata legge è proprio quello di voler fare fronte a tali problematiche, riorganizzando la materia ambientale, recependo adeguatamente le direttive comunitarie, distribuendo le competenze con razionalità: quindi disciplinare materie non in seguito a situazioni emergenziali, ma di semplice attuazione delle direttive comunitarie.
Tuttavia, è opportuno analizzare i punti salienti che caratterizzano la legge delega, da cui si evince che risultano oggetto di modifiche materie o recentemente riordinate (es: rifiuti) o risultato di lunghi e faticosi lavori legislativi (es: aree protette).
Appare innanzitutto criticabile l’utilizzo della legge delega da parte del Governo che conferisce al Parlamento il ruolo inerente alla sola approvazione dei singoli decreti, quindi un ruolo palesemente marginale: si tratta infatti di una vera e propria delega in bianco (peraltro di dubbia costituzionalità) che affida ad una commissione di 24 esperti esterna al Parlamento la riorganizzazione dell’intera materia ambientale in soli due anni.
La legge in esame, in realtà, contiene una delega troppo ampia e generalizzata per poter affrontare argomenti vasti e complessi contenuti nelle leggi ambientali, emanate in lunghi anni di legislazione. Infatti, rinviando alla Carta Costituzionale, l’articolo 76 molto chiaramente sancisce che l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con la precisa determinazione di principi e criteri direttivi da parte del Parlamento; la definizione del tempo entro cui la delega può essere esercitata e la definizione dell’oggetto della delega: tutti criteri che sono rispettati nella legge in questione.
Ciò vuol dire che lo strumento della delega è disciplinato sulla base di alcuni limiti e non deve essere vago, ma avere tempi e oggetti precisi: alla luce di tali considerazioni la legge delega appare, per ampiezza di contenuti e vaghezza dei criteri, una delega in bianco tendente a riordinare, coordinare ed integrare tutto ciò che riguarda la materia ambientale.
Sebbene l’ampiezza e la vaghezza della legge è stata oggetto di numerose critiche, in quanto vengono indicati una serie di principi e criteri direttivi sia di carattere generale che specifico, è opportuno ricordare che il ricorso alle clausole generali (opportunamente accompagnate dai principi giuridici di riferimento) sono sufficienti a delimitare i confini della delega .
La legge prevede indistintamente per tutte le materie la redazione di testi unici, anche per quelle materie che sono state oggetto di recente coordinamento e semplificazione sulla base delle direttive comunitarie: da un lato si vogliono riordinare materie di recente definizione legislativa (quali quella dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati, Dlgs. N. 22/97; Codice dei beni culturali e del paesaggio, Dlgs. N. 42/2004; legge quadro sulle aree protette L. n. 394/1991); dall’altro lato viene tralasciato, inspiegabilmente, il tema della tutela, difesa e valorizzazione del mare e delle sue risorse, disciplinato dalla ormai datata legge del 1982 n. 979.
L’art. 1 stabilisce dei termini molto rigidi circa l’emanazione dei decreti legislativi e l’integrazione dei regolamenti di attuazione ed esecuzione nonché dei decreti ministeriali per specificare le norme tecniche, individuando gli ambiti nei quali la potestà regolamentare è delegata alle regioni: si tratterà dunque di testi unici in grado, non solo di coordinare e riordinare la normativa ambientale, ma di determinarne innovazioni sostanziali .

2. Principi direttivi della legge delega (commi 8 e 9).
Il provvedimento legislativo consta di un solo articolo composto da 54 commi, diviso in due parti: i principi dettati nei commi 1-19 tendono a conferire una delega legislativa al Governo per il riordino della materia ambientale mentre i commi 20-54 contengono una serie di misure specifiche di diretta applicazione che riguardano vari settori dell’ambito del Ministero dell’Ambiente.
In particolare, tra i criteri direttivi generali, sanciti dal comma 8 della legge, vanno evidenziati quelli che tendono ad agevolare la diffusione dei sistemi di gestione ambientale, al fine di prevedere specifiche agevolazioni per le imprese che ne sono dotate; confermare l’applicazione dei principi enunciati dalla Costituzione europea in materia di politiche ambientali ; prevedere misure che tutelino l’applicabilità dei programmi di azione ambientale, secondo quanto previsto dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443; rivalutare il ruolo delle regioni nell’ambito delle nuove competenze previste dalla riforma del titolo V della Costituzione.
Tra i criteri direttivi specifici, sanciti dal comma 9 della legge delega, vi sono quelli inerenti alla gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati al fine di promuovere il riciclo e il riuso dei rifiuti, razionalizzare il sistema di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, promuovere incentivi e forme di sostegno ai soggetti riciclatori dei rifiuti, incentivare il ricorso a risorse finanziarie private per la bonifica ed il riuso anche a fini produttivi dei siti contaminati , promuovere gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati da amianto .
Pertanto, nei commi 8 e 9 vengono indicati una serie di principi sulla base dei quali devono essere emanati i decreti legislativi: quelli riferiti al rispetto delle norme comunitarie, alla certezza delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela dell’ambiente, alla maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali, nonché ai principi di garanzia e salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente, all’affermazione dei principi di prevenzione, precauzione e del principio “chi inquina paga”.
Tali criteri sono pienamente accoglibili se non ci fosse una palese contraddittorietà con le norme di diretta applicazione contenute nei successivi commi.
Infatti, tali contraddizioni emergono, innanzitutto, al comma 8 dove si parla di efficienza e tempestività dei controlli ambientali, ma ciò non sembra in concreto possibile se non possono essere sostenuti in termini di risorse, strumentali e di personale: si pensi per esempio alla carenza di stanziamento di sufficienti fondi a sostegno delle strutture di controllo del nostro Paese; oppure il caos in cui versano gli uffici giudiziari e i conseguenti effetti sui tempi dei processi, pur parlandosi di certezza della pena.
Anche riguardo alla lettera i) dello stesso comma 8 , bisogna precisare che la tutela dell’ambiente non dipende dalla disciplina del sistema sanzionatorio nella misura in cui viene oggi esercitata l’azione penale o amministrativa, che è pressoché fine a sé stessa in quanto priva di contenuti di tipo ripristinatorio: per esempio i processi terminano per prescrizione e la situazione riguardo un sito contaminato non viene risolta; oppure si pensi ai tempi di istruzione dei fascicoli.
Va denunciata in tutte le sedi non solo la carenza di uomini, mezzi, risorse economiche, ma anche l'ipocrita ambiguità e le carenze istituzionali che l'opinione pubblica ormai percepisce.
Nel quadro programmatico di questo Governo, dove la ricerca di soluzioni reali al problema disoccupazione è quanto mai importante, devono trovare spazio le proposte, avanzate da più parti, di investimenti occupazionali nella gestione dell'ambiente
Riguardo invece al comma 9, si stabiliscono criteri di massima economicità e razionalità per le legislazioni settoriali, e il risultato finale che si raggiunge non è di ricomponimento delle leggi ma di improvvisazione.
È importante capire il senso dell’espressione “obiettivi di massima economicità” posti alla base dei futuri decreti legislativi: per ciò che concerne i rifiuti, la differenza della disciplina attuata con la legge delega e il “decreto Ronchi” si ravvisa nella particolare attenzione che viene data al recupero energetico ed alle bonifiche, peraltro citando solo la direttiva europea 2000/76/CE sugli inceneritori e senza alcun riferimento alla direttiva 75/442 che ha istituito una definizione comune di rifiuto applicabile a qualsiasi Stato membro; così come riguardo alla acque non è stata citata neanche la direttiva 2000/60/CE che dovrà essere recepita entro la prossima primavera.
Ma quel che è più paradossale, è il completo silenzio sul VI Programma europeo dell’ambiente 2002 – 2012 (Dec. 22 luglio 2002, n. 1600, in GUUE 10.9.02), strumento di programmazione pluriennale delle attività dell’UE in campo ambientale. Esso rappresenta la dimensione ambientale della strategia europea per lo sviluppo sostenibile e contribuisce all’integrazione delle tematiche ambientali in tutte le politiche comunitarie fissando fra l’altro priorità ambientali. Gli obiettivi del programma rientrano in 4 settori prioritari: 1) cambiamento climatico, 2) natura e biodiversità, 3) ambiente, salute e qualità dell’aria, 4) risorse naturali e rifiuti. Il programma prevede che siano elaborate 7 strategie tematiche per problemi ambientali prioritari che richiedano un approccio di ampia portata.
Emergono ulteriori contraddizioni se il comma citato fa riferimento alla necessità di contrastare l’elusione e la violazione degli obblighi di smaltimento dei rifiuti e poi nei successivi commi 25 e 26 si dà tutt’altra disciplina ai rottami ferrosi.
Pertanto, solo utilizzando in modo obiettivo la legge delega, già di per sé ampia e non sempre chiara, si potranno raggiungere i risultati attesi dal legislatore.

3. La c.d. “compensazione ambientale” (commi da 20 a 24).
Esaminando, poi, le disposizioni di immediata attuazione, nel comma 20 viene stabilita l’aggiunta, al comma primo dell’art. 36 D.Lv. 30 luglio 1999, n. 300 , di un comma 1bis nel quale si prevede che, nei processi di elaborazione degli atti di programmazione del Governo aventi rilevanza ambientale, sia garantita la partecipazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio allo scopo di rappresentare e confermare l’esplicitazione, in sede normativa, del principio dello sviluppo sostenibile, secondo il quale l’ambiente è uno degli elementi di sviluppo, di cui tenere conto nella programmazione e nella esecuzione delle attività umane. Quindi viene attribuito al Ministero un ruolo preminentemente programmatorio, in virtù del quale risulta necessario un suo maggiore coinvolgimento negli interventi di programmazione e di decisione relativi al territorio e a tutte le tematiche ambientali.
Nell’esame critico della legge delega, ciò che ha suscitato maggiori perplessità sono le “misure di diretta applicazione”, in quanto ritenute non solo scollegate dal “riordino”, ma, come nel caso dei rifiuti, contribuenti all’aggravamento del disordine normativo, presente in tale vasta materia.
Nei commi da 21 a 24 viene introdotta la c.d. compensazione ambientale, in base alla quale, in caso sopravvengano determinati vincoli, di natura diversa da quella urbanistica , il diritto di edificare già concesso al cittadino, non è più esercitabile; ma il titolare del diritto può chiedere di esercitarlo su altra area del territorio comunale, di cui abbia acquisito la disponibilità a fini edificatori.
Circa le misure di compensazione si è fatto riferimento al trasferimento su aree diverse del diritto di edificare, con cessione gratuita al Comune dell’area sottoposta a vincolo: in questo caso, il Comune, per rendere possibile il trasferimento del diritto di edificare, può approvare le necessarie varianti al PRG.
Ma poiché non è il Comune che appone il vincolo, il quale comunque dovrà compensare il soggetto in modo oneroso, oppure dovrà “convincere” altrettanti proprietari di suoli non edificabili ad ospitare la nuova volumetria, inducendoli o attraverso l’acquisto dei suoli (acquisto evidentemente sopportato dal Comune), oppure dando la possibilità di aumentare le volumetrie precedentemente edificabili.
Soluzione che sembra comunque complessa perché presupporrebbe o l’esborso di denaro da parte del Comune o continue variazioni al proprio PRG (Piano Regolatore Generale)
Quindi, con le disposizioni della legge delega, la compensazione consiste nel trasferimento di volumetria, peraltro non applicabile per quelle aree sottoposte a vincoli ambientali, mentre precedentemente le forme di compensazione consistevano nel miglioramento degli insediamenti o incentivi di attività compatibili.

4. Disciplina dei rottami ferrosi e non ferrosi qualificabili come rifiuti (commi da 25 a 31).
La legge n. 308, nei commi successivi, prevede un’ulteriore modifica riguardante le materie prime secondarie per l’industria metallurgica, riguardo ai rottami ferrosi e non ferrosi, facendo intendere una palese esclusione di questi ultimi dal regime dei rifiuti, in netto contrasto con quanto disposto dalla normativa comunitaria e rendendo ancora più difficile un adeguato controllo .
Infatti, si prevede la sottoposizione al regime delle materie prime secondarie e non a quello dei rifiuti, dei rottami ferrosi e non ferrosi dei quali il detentore non si disfi, non abbia deciso o non abbia l’obbligo di disfarsi, e che pertanto sono destinati all’effettivo impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici .
In sostanza il comma 25 dell’articolo 1 della legge delega riguarda indistintamente tutti i rottami, prescindendo dal modo in cui gli stessi si siano originati.
Rientrano, ancora, nella categorie di rottami ferrosi e non ferrosi le materie prime derivanti dal recupero se dichiarati tali dai fornitori o produttori dei Paesi esteri, purché le imprese in questione siano iscritte nell’Albo nazionale: ciò attraverso un’interpretazione autentica dell’art. 14 del decreto legge 138 del 2002 (che modificava la nozione di rifiuto contenuta nel D. Lgv. 22/97), norma peraltro censurata dalla Corte di Giustizia Europea ritenendola illegittima rispetto alle Direttive europee .
In sintesi, i rottami sono considerati materie prime secondarie per l’industria metallurgica, solo quando a) il detentore non se ne disfi, non abbia deciso o non abbia l’obbligo di disfarsene; b) non siano conferiti a sistema di raccolta o trasporto ai fini del recupero o smaltimento; c) siano conformi a specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o altre specifiche nazionali e internazionali; d) siano destinati effettivamente all’impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici: tutto ciò modifica l’art. 6 del Decreto Ronchi 22/97 e dalla lettura dei commi 25 e 29 si può facilmente desumere che sono sottoposti al regime delle materie prime tout court tutti i rottami, comunque generati, purché possano essere considerati materie prime secondarie per l’industria metallurgica.
Ulteriore contraddizione emerge chiaramente dal comma 26, in cui è esclusa la definizione di rifiuto purché da un lato i rottami non siano conferiti a fini di recupero; e dall’altro siano tuttavia destinati all’impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici: non vi è pertanto alcuna distinzione tra la definizione di recupero e ciò che invece sia impiego in un ciclo produttivo.
Inoltre, nei commi 27 e 28 , sono indicati dei criteri affinché i rottami importati dall’estero siano considerati come materie prime secondarie per l’industria siderurgica e metallurgica, in particolare è necessario che siano riconosciuti e dichiarati, dai fornitori o produttori di Paesi esteri, come materie prime secondarie derivanti da operazioni di recupero; che tali fornitori o produttori siano iscritti nell’Albo nazionale dei gestori dei rifiuti in cui dovranno iscriversi le imprese europee ed extraeuropee che effettuano operazioni di recupero dei rottami ferrosi e non ferrosi; che la produzione delle materie prime sia stata effettuata nel rispetto delle condizioni e delle norme tecniche contenute nel D.M. 5 febbraio 1998; e infine che l’autorità competente estera abbia attestato la conformità del recupero alle condizioni e alle norme tecniche previste dal predetto D.M.
Un ulteriore punto, che appare certamente rilevante nell’ambito di questa ambiziosa riforma, riguarda il comma 29, con cui il Parlamento ha introdotto il nuovo “certificato di avvenuto smaltimento” dei rifiuti, il quale aggiunge un comma 3 bis all’art. 10 del D. Lgs. N. 22/1997 .
Prima di questa riforma, il produttore dei rifiuti, dopo aver consegnato i rifiuti ad un terzo per il trasporto, aveva solo l’obbligo di verificare l’esatta restituzione del formulario di identificazione entro novanta giorni, per verificare la regolare destinazione dei rifiuti.
Ma, se i rifiuti venivano conferiti ad uno stoccaggio intermedio, i successivi trasferimenti dei rifiuti fino alla loro definitiva destinazione non dovevano essere più controllati dal produttore iniziale, dando così la possibilità di eventuali comportamenti illeciti.
Per questa ragione, il Parlamento ha introdotto l’obbligo del produttore iniziale di tenere sotto controllo i propri rifiuti sino a quando non si realizza lo smaltimento definitivo, evidenziando quindi la rintracciabilità dei rifiuti e la prevenzione di illeciti in materia.

5. Depenalizzazione dei reati paesaggistici (commi da 36 a 39).
Altresì, vanno analizzati gli ultimi commi della legge delega (dal comma 31 in poi) con i quali sono state apportate rilevanti modifiche al nuovo “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (D. Lgv. 22.1.2004, n. 42) peraltro di recente emanazione.
Da tempo si discute circa la possibilità di applicare l’istituto della sanatoria agli abusi edilizi in aree vincolate, e nonostante questa tesi fosse sostenuta da alcuni giuristi, si è sempre riaffermato il principio di escludere la sanatoria in aree vincolate per evitare che venissero vanificati i diritti posti a tutela dei cittadini. A sostegno di ciò è stato emanato il nuovo Codice dei Beni Culturali che vieta tassativamente la possibilità di sanatorie in aree paesaggisticamente vincolate, applicando pienamente gli artt. 9 e 32 della Costituzione sulla tutela del paesaggio, del patrimonio storico – artistico e dell’ambiente.
Il comma 36 della legge delega introduce, per la prima volta nel nostro Paese, una norma che prevede la sanatoria paesaggistica comportando la possibilità di sanare in materia ambientale gli abusi realizzati: infatti, essa è prevista non solo per le costruzioni edili ma relativamente a qualsiasi intervento o opera in area vincolata.
Inoltre la concessione della sanatoria è affidata all’autorità competente in base ad un parere di compatibilità non ben definito: questa funzione spetterà ad un funzionario comunale discrezionalmente e poiché oltre alla sanatoria è prevista la depenalizzazione del reato commesso, sarà altrettanto discrezionale da parte del funzionario stabilire se l’azione penale dovrà proseguire o meno.
In questo caso verrà anche affievolito il principio dell’uguaglianza e dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Nello stesso comma sono stati inseriti nuovi commi all’articolo 181 del nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio , precisamente:
- comma 1/bis che rafforza le sanzioni penali per i beni o le aree dichiarate di notevole interesse pubblico ex art 136 del Codice, con apposito provvedimento emanato in epoca precedente alla realizzazione dei lavori e per le aree tutelate ope legis ex art. 142 del Codice ed abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi;
- comma 1/ter in cui si afferma che ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative del precedente art. 167 del Codice, qualora l’autorità competente accerti la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate abusivamente, non si applica il comma 1 dell’art.181 per i lavori che non abbiano comportato creazione di superfici o volumi; se sono stati impiegati materiali diversi da quelli autorizzati; per i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria;
- comma 1/quater in cui si afferma che il titolare dell’immobile oggetto di abusi presenta istanza all’autorità preposta per l’accertamento della compatibilità paesaggistica dell’opera abusiva e l’autorità dovrà pronunciarsi entro 180 giorni, previo parere della Soprintendenza;
- comma 1/quinquies in cui si afferma la rimessione in pristino delle aree o immobili vincolati per iniziativa del trasgressore, prima che venga ordinata d’ufficio e prima della condanna “estingue il reato di cui al comma 1”. Questo comma si applica non solo agli interventi minimi di cui al comma 1/ter ma a tutti gli abusi in aree vincolate.
Al comma 37 (e successivi commi 38 e 39) la norma prevede che “Per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, l’accertamento di compatibilità paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto all’autorizzazione eventualmente rilasciata, comporta l’estinzione del reato di cui all’articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, e di ogni altro reato in materia paesaggistica…”.
Si tratta quindi di un vero e proprio condono per i reati in materia paesaggistica che si aggiunge alla legge sull’ultimo condono edilizio (art. 32 D.L. n. 269 del 30.9.2003), per la quale era possibile sottoporre a condono solo le opere eseguite prima della data di imposizione del vincolo .
Inoltre viene fatto riferimento ai lavori compiuti su beni paesaggistici, richiamando sia i materiali realizzati che le tipologie edilizie: ecco perché sembrano escluse dalla norma la realizzazione dei volumi ex novo e invece sembra potersi riferire a costruzioni già eseguite.
Pertanto il comma 37 ammette la possibilità di un accertamento postumo, che estinguerebbe tutti i reati, con la condizione che sia stata pagata la sanzione pecuniaria ex art. 167 del Codice; inoltre con tale disposizione sarebbe possibile condonare quasi tutto poiché tutto viene rimesso alla discrezionalità delle autorità competenti.
Infine va anche precisato, che la nuova sanatoria concerne solo le violazioni della legge sul paesaggio e non anche sulle opere sottoposte a disciplina urbanistico – edilizia. Quindi, per gli abusi edilizi rimane ferma la regola secondo cui se le aree sono vincolate il condono può essere ammesso solo quando gli abusi siano compatibili con gli strumenti urbanistici locali; mentre non sarebbe possibile condonare abusi in aree vincolate che siano difformi ai PRG o alle altre norme urbanistiche.

6. Prima versione dei testi unici in materia ambientale.
In seguito all’approvazione, da parte del Parlamento, del disegno di legge delega concernente “il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione”da parte del Governo, sono stati approvati lo scorso 7 settembre, i primi cinque testi unici.
In particolare, questo evento, ha scatenato le reazioni di varie Associazioni ambientaliste in quanto, subito dopo l’approvazione della legge delega, avevano chiesto al Ministero dell’ambiente un confronto per poter discutere sul contenuto della legge stessa: confronto peraltro negato in quanto il Ministero ha rifiutato di fornire gli stralci dei testi unici prima della loro approvazione da parte del Consiglio dei Ministri.
In effetti, il timore e le preoccupazioni delle Associazioni ambientaliste si sono verificate, in quanto: a) innanzitutto il modo in cui si sta procedendo alla “riformulazione” della materia ambientale è lesiva sia dei poteri delle Camere, quanto dell’equilibrio dei poteri, nonché una palese violazione dei principi costituzionali; b) in secondo luogo, sebbene la redazione dei testi sia stata accurata e attentamente vagliata dalla Commissione dei 24 saggi istituita ad hoc, si rileva la presenza nei testi unici, di ampi stralci delle direttive comunitarie, riportano interi capitoli delle stesse leggi che dichiarano di abrogare e poi implicitamente vengono inserite norme che rendono vani o contraddicono i principi di difesa ambientale citati in precedenza.
In sintesi i cinque testi unici riguardano il danno ambientale; rifiuti e bonifiche; la Via, Vas e Ippc; l’inquinamento atmosferico e infine la difesa del suolo e della acque; manca ancora quello sulle aree protette che non è stato ultimato. In particolare il testo riguardante il danno ambientale, prevede l’applicazione in Italia della Direttiva Europea sulla responsabilità ambientale (Dir. 2004/35/CE) ma senza disciplinare né il danno ambientale, né la responsabilità e il risarcimento e rendendo marginale il ruolo delle regioni e degli enti locali, rafforzando il ruolo dello Stato e in particolare del Ministro dell’ambiente e dei prefetti.
Situazione analoga è prevista per le bonifiche, poiché anche in questo testo manca la definizione di responsabilità , e vengono previsti accordi di programma che possono stravolgere il procedimento ordinario riguardo agli interventi di bonifica di aree gravemente inquinate.
Circa l’argomento “rifiuti”, la situazione è abbastanza grave visto che la legge delega rende riutilizzabili e commerciabili senza controlli molte materie e sostanze pericolose, tanto che è in corso una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia da parte della Commissione Europea riguardo alla violazione della Direttiva 75/442.
Il testo unico sulle acque recepisce la direttiva 2000/60 e abroga la legge in difesa del suolo (L. 183/89), quella sulla tutela delle acque (L. 152/99), e la “legge Galli” sugli acquedotti (L. 36/94).
Per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico, sono previsti degli aumenti di pena per chi non rispetta i limiti e le regole imposti dalla legge: pertanto chi è intenzionato a produrre emissioni nocive o pericolose per la salute, rischierà di subire un semplice aumento di pena!
Infine il testo unico più eclatante è quello che riguarda la Via, cioè lo strumento che permette di valutare l’impatto delle grandi opere sull’ambiente. Attualmente nella procedura di Via si dà la possibilità al pubblico e alle autorità interessate la possibilità di intervenire e dare il loro parere prima dell’approvazione. Nel nuovo decreto, invece si prevede un termine di intervento di 90 giorni, trascorsi i quali si sostituisce nella decisione il Consiglio dei Ministri, e se neanche questo decide il progetto sarà comunque approvato.
Sarà comunque possibile un attento esame ed un’analisi più approfondita dei testi unici, in seguito alla loro definitiva emanazione che consentirà uno studio più dettagliato delle tematiche emergenti.


* dottoranda di ricerca in “Diritto ambientale europeo e comparato”.