Note in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto e reati ambientali

di Luca RAMACCI

 

 

NOTE IN TEMA DI NON PUNIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO E REATI AMBIENTALI

Mentre si discute animatamente dell'introduzione dei delitti contro l'ambiente nel codice penale, attesa da oltre un ventennio (e non molto gradita dal mondo dell'industria) 1 e, segnatamente, delle pratiche conseguenze che potrà avere la formulazione del nuovo delitto di «disastro ambientale»2, è stata, invece, distrattamente accolta, almeno per quanto riguarda i possibili effetti sulle disposizioni penali poste a tutela dell'ambiente già vigenti, la pubblicazione, in Gazzetta Ufficiale, del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 , recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», che avrà pieno vigore a far data dal 2 aprile 2015.

Si tratta di nuove disposizioni la cui emanazione è stata accompagnata da accese polemiche, alimentate dal consueto clamore massmediatico, con titoli ad effetto in cui si ipotizzava la generalizzata impunità anche per fatti di particolare gravità.

Fortunatamente la realtà è ben diversa, anche se l'istituto di nuova introduzione desta non poche preoccupazioni per gli effetti che potrà avere nella quotidiana applicazione, sebbene, almeno a parole, ci si sia preoccupati di specificare che l'introduzione delle nuove norme non costituisce «neanche indirettamente una forma di depenalizzazione». 3

Ciò nonostante, non può farsi a meno di osservare come, ancora una volta, si sia tentato di sopperire alle inefficienze di un sistema giudiziario ormai al collasso, per carenza di personale e mezzi, scaricando sulle spalle della magistratura (alla quale, però, all'occasione non si risparmiano il dileggio e riforme punitive4) l'ennesima, estemporanea soluzione in luogo di riforme veramente efficaci e di facile attuazione che, intervenendo su disposizioni già esistenti (si pensi, a esempio, alla prescrizione 5 ed al sistema delle impugnazioni) potrebbero arrecare un minimo sollievo ad un sistema farraginoso, certamente inadatto ad un Paese caratterizzato da un elevatissimo tasso di corruzione e da una criminalità organizzata ormai capillarmente presente su tutto il territorio nazionale.

Nella consapevolezza che la disamina di disposizioni appena emanate altro non consente se non generiche riflessioni e che solo la concreta applicazione e la successiva elaborazione giurisprudenziale potranno delineare, con una certa nitidezza, pregi e difetti del nuovo istituto, senza alcuna pretesa di completezza provo a verificarne l'ambito di operatività con riferimento ai c.d. reati ambientali.

Occorre essere chiari, innanzi tutto, su un punto: solo un'applicazione meditata della non punibilità per la particolare tenuità del fatto potrà apportare effettivi benefici, mentre un uso distorto, finalizzato alla rapida eliminazione dei fascicoli processuali, avrebbe effetti disastrosi, dando concretezza a quelle ipotesi giornalistiche che indicano nel nuovo istituto la sostanziale resa dello stato di fronte alla criminalità diffusa e la responsabilità di tutto ciò verrebbe inevitabilmente attribuita a chi queste disposizioni è chiamato ad applicare, come ben si comprende leggendo il parere espresso dalla Camera dei deputati laddove, nell'escludere, come si è detto, che le modifiche legislative operino una sostanziale depenalizzazione, si specifica che sarà il giudice, caso per caso, a dover verificare se il fatto concreto sia di particolare tenuità.

Se, dunque, vi sarà superficialità nelle valutazioni, se si instaureranno negli uffici giudiziari prassi applicative finalizzate esclusivamente a far quadrare le statistiche, applicando le nuove norme, ad esempio, massivamente, per tipologie di reato, prescindendo dal singolo caso, oltre a svilire le proprie funzioni, il giudice renderà di fatto dannoso un istituto che, al contrario, se oculatamente utilizzato, consente di sopperire, almeno in parte, ad un sistema processuale penale che prevede i medesimi incombenti tanto per l'omicidio quanto per le questioni di minimo rilievo.

La questione si pone, con maggiore evidenza, per ciò che concerne le violazioni ambientali6, rispetto alle quali la sottovalutazione da parte di alcuni uffici giudiziari7, che le considerano di minore rilievo, è particolarmente evidente e la necessità di districarsi in una materia complessa ed in continua evoluzione può indurre, non percependo adeguatamente la rilevanza di certe condotte, a scegliere la strada della nuova ipotesi di non punibilità come quella più agevolmente percorribile.

Il rischio, intendiamoci, è già presente ed agli stessi risultati può pervenirsi, ad esempio, con una interpretazione non equilibrata del principio di offensività o con un utilizzazione dei criteri di priorità nella trattazione degli affari penali non conforme alle direttive del CSM8, ma l'ampissima portata delle nuove norme può avere effetti certamente dirompenti.

Fatta questa precisazione, va innanzi tutto rilevato che l'istituto di recente introduzione non è estraneo al nostro sistema penale, perché se ne rinvengono due analoghi nel processo minorile 9 ed in quello avanti al giudice di pace, 10 aventi, però, specifiche caratteristiche, essendo il primo finalizzato ad impedire che l'ulteriore corso del procedimento pregiudichi le esigenze educative del minorenne ed il secondo prevedendo una valutazione che tiene conto anche delle necessità dell'imputato, mentre quello in esame ha un ambito di operatività ben più ampio, il cui impatto è difficilmente prevedibile.

Il d.lgs. 28\2015, che è stato emanato in attuazione della legge delega in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio, nonché sulla sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, 11 attua modifiche al codice penale ed al codice di rito, oltre che alle disposizioni in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti.

L'art. 1 del d.lgs. introduce, nel codice penale, l'art. 131- bisEsclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto») nel quale, al comma 1, l'ambito di applicazione è delimitata ai reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena .

Sui criteri di determinazione della pena provvede il quarto comma, stabilendo che non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da

quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In tale ultimo caso non si tiene conto del giudizio di bilanciamento di cui all'articolo 69. Il quinto comma, inoltre, precisa che la non punibilità si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.

Appare subito evidente, sulla base di tale primo dato, la rilevanza che la disposizione assume con riferimento ai reati ambientali, riguardando, indifferentemente, i delitti e, considerato il limite di pena, tutte le contravvenzioni, cosicché pochissime ipotesi di reato restano escluse. Ad esempio, nel d.lgs. 152\06, tutte le ipotesi di reato rientrano astrattamente entro i limiti di pena indicati dall'art. 131- bis cod. pen., fatta eccezione per la combustione illecita (art. 256-bis) e le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260), mentre resterebbero esclusi solo una parte dei delitti contro l'ambiente (se e quando verranno inseriti nel codice penale).

La rispondenza ai limiti di pena sopra indicati costituisce, però, solo la prima delle condizioni per l'esclusione della punibilità, essendo infatti richiesti - congiuntamente e non alternativamente, come si ricava dal tenore letterale della disposizione - la particolare tenuità dell'offesa e lanon abitualità del comportamento(che la relazione allegata allo schema di decreto legislativo definisce «indici-criteri»), rispetto alla sussistenza dei quali si porranno, verosimilmente, i maggiori problemi di interpretazione, anche se la norma indica espressamente altri elementi di valutazione cui il giudice deve attenersi, poiché si specifica che il primo degli «indici-criteri» sopra indicati (particolare tenuità dell'offesa) si articola a sua volta in due «indici-requisiti», che sono la modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, apprezzate ai sensi dell'articolo 133 cod. pen., (il quale stabilisce, come è noto, che, nel determinare la pena, il giudice desume la gravità del fatto dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione, dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato e dalla intensità del dolo o dal grado della colpa).

Si tratta, dunque, di una valutazione complessa, che il giudice deve effettuare per rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti» della modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell'articolo 133 cod. pen., sussista l'«indice-criterio» della particolare tenuità dell'offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.

Va segnalato, con riferimento alla valutazione del danno o del pericolo, che la relazione allegata allo schema di decreto legislativo richiama l'attenzione sulla circostanza che, nel dare attuazione alla delega, si è tenuto conto della netta differenza tra la «irrilevanza del fatto» e la «inoffensività del fatto», ricordando come quest'ultima sia normativamente riconducibile all'art. 49, comma 2 cod. pen., il quale esclude la punibilità quando l'evento dannoso o pericoloso è impossibile per la inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa, mentre, nel caso dell'irrilevanza del fatto, non difetta alcun elemento costitutivo del reato, il quale, tuttavia, viene ritenuto non punibile in base ai principi di proporzione e di economia processuale.

Altro dato di interesse riguarda il riferimento, nel giudizio sulla irrilevanza del fatto, non soltanto al danno ma anche al pericolo, senza alcuna distinzione tra ipotesi di pericolo astratto o concreto.

Del resto, già con riferimento alla causa di improcedibilità di cui all'art. 34 d.lgs. n. 274\2000 la Corte di cassazione ne ha riconosciuto l'applicabilità anche ai reati di pericolo astratto o presunto, considerando che anche per essi il principio di necessaria offensività consente l'individuazione in concreto di un'offesa, seppure minima, al bene protetto ed in quanto la particolare tenuità viene considerata mediante un giudizio sintetico sul fatto concreto, elaborato alla luce di tutti gli elementi normativamente indicati12.

È interessante soffermarsi ancora sulla sentenza appena richiamata, poiché alcune riflessioni paiono utili per meglio delineare i profili di applicabilità del nuovo istituto anche alle violazioni ambientali.

La Corte, occupandosi di una ipotesi di guida in stato di ebbrezza, ha ritenuto non condivisibile la tesi secondo la quale l'istituto non sarebbe applicabile nei casi in cui la responsabilità penale deriva dal semplice superamento di una soglia di punibilità, perché caratterizzati da un accertamento presuntivo, iuris e de iure, del legislatore, osservando che la fissazione di un valore di tasso alcolimetrico costituisce un limite, al di sotto del quale la condotta non sarebbe penalmente rilevante, come già si era rilevato in una pronuncia precedente13.

Analoghe conclusioni possono trarsi anche con riferimento a quelle violazioni ambientali la cui configurabilità presuppone il superamento di valori limite (ad es., le contravvenzioni previste dall'art. 137, comma 5 o dall'art. 279, comma 2 d.lgs. 152\06) escludendo, quindi, che una tale evenienza sia, di per sé sola, ostativa alla declaratoria di non punibilità, la quale richiede, ovviamente, una adeguata e, sopratutto, motivata ponderazione circa la compresenza degli elementi caratterizzanti la particolare tenuità del fatto.

Anche il commento 14 alla sentenza offre interessanti spunti di riflessione, in quanto, nel valutare l'applicabilità dell'art. 34 d.lgs. 274\2000 ai reati di pericolo astratto, l'Autore, rilevato che va considerata la natura dell'interesse protetto, come peraltro richiesto dalla norma, pone in evidenza le difficoltà della sua concreta applicazione ai reati che prevedono una soglia di punibilità, tranne nel caso in cui questa sia assai ridotta, perché essi sono posti a tutela di beni strumentali o funzionali15, rispetto ai quali considera i diversi livelli di anticipazione della tutela, rilevando come alcuni non consentano graduazioni nella valutazione legislativa del pericolo.

Prendendo quindi in considerazione alcuni reati di competenza del Giudice di pace, l'A. osserva che per la contravvenzione contemplata dall'art. 3 della legge 362\1991, il quale punisce un'attività non autorizzata e, cioè, l'apertura di una farmacia o l'assunzione del suo esercizio senza la prescritta autorizzazione, l'oggetto della tutela può essere individuato nel controllo dell'autorità amministrativa sui gestori di farmacie - il che lascerebbe poco spazio all'applicabilità dell'istituto - ovvero, come reputa preferibile, non soltanto nel bene (strumentale) del controllo della pubblica amministrazione sulle farmacie, ma anche in quello (finale) del necessario possesso di tutti i requisiti richiesti dalla legge per l'apertura dell'esercizio, rilevando, in tale ultima ipotesi, più ampi margini per l'applicabilità dell'art. 34.

Rileva infatti che, in questo caso, ferma restando la sussistenza degli altri indici richiesti, se viene aperta una farmacia senza autorizzazione, ma comunque in presenza di tutti i presupposti che avrebbero consentito il rilascio del titolo abilitativo, se richiesto, verrebbe a determinarsi un'offesa al bene strumentale la quale, tuttavia, all'esito di un raffronto con l'interesse finale, ben può valutarsi come esigua16.

Tali criteri di valutazione paiono applicabili anche nella concreta attuazione dell'art. 131- bis cod. pen. alle violazioni ambientali, rispetto alle quali non può prescindersi dal considerare la specificità dell'interesse tutelato dalla norma, che sarà individuabile, nelle diverse ipotesi, ad esempio, nella salvaguardia dell'integrità dell'ambiente o della salute delle persone, nella corretta gestione dei rifiuti, nella tutela dell'assetto del territorio in conformità alla normazione urbanistica che disciplina l'attività edilizia.

Pare si possa escludere, conseguentemente, che una condotta meramente formale, quale l'avvio di un'attività senza autorizzazione, possa, per ciò solo, determinare un danno o un pericolo qualificabile come esiguo, quando, sempre a titolo di esempio, l'effettuazione di uno scarico o la gestione di rifiuti non avrebbe potuto essere autorizzata, ovvero quando questa abbia comunque determinato una compromissione non irrilevante del potere di controllo dell'amministrazione competente sulle attività potenzialmente inquinanti. 17

Analoghe conclusioni dovrebbero trarsi con riferimento all'inosservanza delle prescrizioni di un'autorizzazione quando, sempre per esempio, il mancato rispetto delle prescrizioni vanifichi anch'esso il controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione su aspetti significativi dell'attività medesima, quali la sicurezza, la salute, etc. Del resto, l'indicazione di specifiche prescrizioni nei titoli abilitativi, per attività quali la gestione dei rifiuti, lo scarico di reflui o le emissioni in atmosfera, consentono una più puntuale e specifica regolamentazione e sono il risultato di una valutazione complessiva e coordinata dell'impatto ambientale di un insediamento, finalizzata anche ad evitare le conseguenze del rilascio di agenti inquinanti.

Va poi osservato che dovrà anche tenersi presente come la esiguità del danno o del pericolo debba essere valutata sulla base di elementi oggettivamente apprezzabili e non anche attraverso una stima meramente soggettiva, considerando, in particolare, che la norma si riferisce a comportamenti tali da poter essere ritenuti penalmente rilevanti e, quindi, certamente collocabili tra quelli non inoffensivi, nel senso in precedenza specificato, ma che però devono aver prodotto conseguenze minime, non degne di essere ulteriormente apprezzate in sede penale, perché, in definitiva, ciò che rileva è un fatto che si presenti come «oggettivamente e soggettivamente assai modesto», come affermato dalla Cassazione con riferimento all'art. 34 d.lgs. n. 274\200018.

Non pare pertanto condivisibile l'affermazione secondo la quale, con particolare riferimento ai reati ambientali, tanto più è degradato è l'ambiente in cui la condotta viene posta in essere, tanto più facilmente potrà pervenirsi ad un giudizio di particolare tenuità della condotta, sotto il profilo del danno o del pericolo cagionati, in relazione del pregresso, irreversibile degrado19, perché non può ritenersi affatto irrilevante l'aggravamento ulteriore di una situazione preesistente, ancorché caratterizzata da una significativa compromissione, in quanto anche un minimo contributo inquinante incide negativamente, quanto meno sul grado di contaminazione, nonché su tempi e costi di eventuali successive operazioni di messa in sicurezza, bonifica o, comunque, finalizzate ad un recupero delle condizioni originarie.

Altrettanto deve dirsi per ciò che concerne la disciplina urbanistica e di tutela del paesaggio, non rilevando, anche in questo caso, il grado di eventuale compromissione del territorio dovuta, ad esempio, ad una diffusa, pregressa cementificazione, perché, anche in questo caso, l'ulteriore attività contribuisce comunque all'accentuazione del degrado anteriore.

Va pure osservato, sempre con riferimento a tale tipologia di reati, che la consistenza dell'intervento abusivo costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi tra i quali, sempre a titolo esemplificativo, possono indicarsi, l'impatto visivo, l'aggravio del carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumento urbanistici ed i vincoli.

In tutti questi casi, inoltre, un utile parametro di giudizio per la verifica della esiguità del danno o del pericolo potrebbe rinvenirsi nel contributo interpretativo fornito dalla giurisprudenza con riferimento a situazioni analoghe, laddove il giudizio di disvalore sulle conseguenze di determinate condotte sia stato effettuato in termini di gravità o, comunque, di significativa rilevanza, tale da escludere in radice la non punibilità ai sensi dell'art. 131 cod. pen. nel caso similare.

Ricordando, inoltre, quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità 20 con riferimento all'analogo istituto operante nel procedimento davanti al Giudice di pace, pare superfluo ricordare che l'accertamento deve comunque essere effettuato sul fatto concreto e non sull'astratta fattispecie di reato.

Per ciò che concerne, invece, le modalità della condotta, è evidente che il richiamo ai criteri di cui all'art. 133, comma 1 cod. pen., consente di prendere in considerazione, ai fini del giudizio di irrilevanza, anche l'elemento soggettivo del reato e, segnatamente, tenuto conto della natura contravvenzionale della quasi totalità dei reati ambientali, il grado della colpa.

Nondimeno, anche gli altri parametri ricordati in precedenza (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato) dovranno necessariamente essere apprezzati.

Si pensi, ad esempio, all'effettuazione di uno scarico senza autorizzazione la quale, tuttavia, avrebbe potuto essere rilasciata e che, sotto il profilo del primo degli «indici-requisiti» necessari (esiguità del danno o del pericolo), valutato nei termini indicati in precedenza, non presenti elementi ostativi, in astratto, ad un positivo apprezzamento in termini di particolare esiguità del danno o del pericolo. Per ritenere sussistente l'«indice-criterio» della particolare tenuità dell'offesa, il giudizio, a questo punto, dovrà essere completato con la valutazione del secondo «indice-requisito» necessario, quello della modalità della condotta, cosicché potrà tenersi conto, oltre che dell'elemento psicologico, come si è già detto, anche di altri aspetti, considerando diversamente, ad esempio, il caso in cui lo scarico è stato aperto nonostante l'autorizzazione sia stata negata, ma per una mera irregolarità formale o se, al contrario, prima e dopo l'apertura è mancata ogni interlocuzione con l'amministrazione competente.

Si tratta, come è evidente, di banali e superficiali esemplificazioni, il cui scopo è soltanto quello di sollecitare una riflessione sulla complessità della verifica dei presupposti per l'applicabilità del nuovo istituto, dovendosi escludere, questo è certo, la possibilità di sbrigative soluzioni che, aggirando i precisi limiti imposti dalla norma e risolvendosi in un sostanziale arbitrio, abbiano come unica finalità quella di definire comunque ed a qualunque costo il procedimento penale.

Va inoltre fatto presente che il secondo comma dell'art. 131-bisindica espressamente alcuni casi ostativi alla valutazione di particolare tenuità dell'offesa, quando «l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona».

Ad eccezione della parte in cui si riferisce agli animali (si pensi agli artt. 544-bise seguenti cod. pen.), le disposizioni del secondo comma non troveranno applicazione con riferimento ai reati ambientali.

Va comunque osservato che si tratta, evidentemente, di un ulteriore e definitivo sbarramento all'applicazione del primo comma il quale, come si rileva dalla relazione, è stato inserito recependo una espressa condizione indicata dalla Camera dei deputati ed è finalizzato a delimitare ulteriormente l'ambito di operatività del nuovo istituto, stabilendo che, indipendentemente dal fatto che la pena edittale rientri nei parametri fissati dal primo comma, in nessun caso si potrà ritenere la tenuità dell'offesa se l'autore del fatto ha posto in essere i comportamenti indicati21.

Continuando nella disamina dell'art. 131-biscod. pen., resta da considerare il secondo degli «indici-criteri», quello della non abitualità del comportamento.

Apprendiamo dalla relazione che il ricorso a questa espressione è frutto della scrupolosa osservanza della legge delega da parte del legislatore delegato e si pone su un piano diverso rispetto alla «occasionalità» utilizzata dal d.P.R. 448/1988 e dal d.lgs. 274/2000, cosicché, pur lasciando all'interprete il compito di meglio delinearne i contenuti, si è ipotizzato che esso faccia sì «che la presenza di un precedente giudiziario non siadi per sé solaostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in presenza ovviamente degli altri presupposti».

Il riferimento al «comportamento» che deve risultare «non abituale» suscita, almeno in questa prima lettura, alcuni dubbi se messo in relazione con quanto poi indicato nel terzo comma dell'art. 131-bis, il quale prende in considerazione alcune situazioni, che indica, premettendo l'espressione «il comportamentoè abituale nel caso in cui....».

Letti in sequenza, i due commi sembrano indicare, il primo, semplicemente l'«indice-criterio» della «non abitualità del comportamento» ed, il terzo, la sua definizione.

Se tale lettura fosse corretta, si dovrebbe considerare «non abituale» e, quindi, positivamente valutabile ai fini della non punibilità, ogni situazione diversa da quelle descritte (casi in cui «l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate»).

Secondo la relazione, invece, il terzo comma dell'art. 131- bis cod. pen., aggiunto su sollecitazione espressa nel parere della Commissione giustizia della Camera dei deputati, descriverebbe soltanto alcune ipotesi in cui il comportamento non può essere considerato abituale, ampliando quindi il concetto di «abitualità», entro il quale potranno collocarsi altre condotte qualificabili come abituali e, pertanto, ostative alla declaratoria di non punibilità.

In effetti, nel parere della Commissione giustizia non si fa riferimento ad una disposizione definitoria del concetto di abitualità, essendo chiaro l'intento di inserire una sorta di «presunzione di non abitualità» laddove, escludendo un contrasto con la legge delega, auspica l'inserimento di una disposizione la quale specifichi «che il comportamentoè consideratonon abituale nel caso in cui...» e, successivamente, nell'esprimere parere favorevole, indica nelle condizioni il testo del comma da inserire, il quale inizia con la frase «il comportamentorisultaabituale nel caso in cui....».

Tale diversa lettura, peraltro, salda logicamente il terzo comma al precedente, cui si aggiunge nel delimitare ulteriormente l'operatività del primo.

Si pone, inoltre, chiaramente in antitesi con il richiamo alla «non abitualità del comportamento», la figura del reato abituale, anche se sembra condurre a conclusioni diverse l'ipotesi del reato eventualmente abituale, quando caratterizzato da una singola condotta 22 (tra i reati ambientali, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto, ad esempio, come eventualmente abituale, la raccolta e trasporto di rifiuti in difetto di autorizzazione 23 e come reato necessariamente abituale quello di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti24, quest'ultimo non rientrante tra quelli ai quali è applicabile l'art. 131-bisperché la pena massima edittale è di sei anni di reclusione).

Quanto al reato permanente, abbastanza frequente nella normativa di tutela ambientale, occorre considerare che esso è caratterizzato non tanto dalla reiterazione della condotta, quanto, piuttosto, da una condotta persistente (cui consegue la protrazione nel tempo dei suoi effetti e, pertanto, dell'offesa al bene giuridico protetto), difficilmente riconducibile nell'alveo del comportamento abituale, ma che potrebbe comunque trovare un ostacolo difficilmente superabile in occasione della valutazione del concorrente «indice-criterio» della particolare tenuità dell'offesa, la cui insussistenza sarà tanto più facilmente rilevabile quanto più tardi sia cessata la permanenza (si pensi, ad esempio, all'apertura di uno scarico non autorizzato protrattasi per lungo tempo).

Tornando al terzo comma dell'art. 131-bis,va posto in evidenza, in primo luogo, che esso, per come è strutturato, sembra fare riferimento a tre distinte situazioni («i l comportamento è abituale nel caso in cui [...] ovvero […] nonché [...]».

Inoltre, il riferimento all'ipotesi del soggetto che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, come chiaramente emerge dal tenore letterale della disposizione, si riferisce a condizioni specifiche di pericolosità criminale che presuppongono un accertamento da parte del giudice (come, del resto, in caso di recidiva - reiterata o specifica – anch'essa ostativa, diversamente, come si è detto, da quella semplice, presupponendo la commissione di più reati o di altro reato della stessa indole), mentre altrettanto non può dirsi per ciò che concerne le ulteriori ipotesi, riferite al soggetto che abbia «commessopiù reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cuisi tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate».

In tali ipotesi, infatti, non vi è, nel testo, alcun indizio che consenta di ritenere, considerati i termini utilizzati, che l'indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che potranno essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell'ambito del medesimo procedimento, il che amplia ulteriormente il numero di casi in cui il comportamento potrà ritenersi abituale, considerata anche la ridondanza dell'ulteriore richiamo alle « condotte plurime, abituali e reiterate».

Ciò consente di considerare operante lo sbarramento del terzo comma anche nel caso di reati avvinti dal vincolo della continuazione, mentre, per ciò che concerne il concorso formale, caratterizzato, come è noto, da una unicità di azione od omissione, certamente risulta impossibile collocarlo tra le ipotesi di « condotte plurime, abituali e reiterate» menzionate dal terzo comma,mentre, riguardo ai «reati della stessa indole», sorge qualche dubbio, per il fatto che la disposizione rivolge l'attenzione al soggetto che abbia «commesso più reati», il che consentirebbe di includere il concorso formale se si intendesse l'espressione come riferita al risultato della condotta e, invece, di escluderlo se si intende riferito all'unica azione od omissione che ha poi comportato la violazione di diverse disposizioni di legge, ovvero la commissione di più violazioni della medesima disposizione.

Tale ultima soluzione sembra maggiormente plausibile, considerando che la stessa conformazione dell'art. 81 cod. pen. mal si attaglia a situazioni, quali quelle considerate dal terzo comma dell'art. 131-biscod. pen., che il legislatore considera comunque sintomatiche di quella «abitualità», seppure largamente intesa, impeditiva della declaratoria di particolare tenuità, difficilmente confrontabile con una condotta unica, seppure produttiva di plurime violazioni di legge.

Vero è che anche la dichiarazione di tendenza a delinquere, pure considerata dal terzo comma, non richiede la commissione di più reati ma si tratta sempre di una valutazione che implica una «speciale inclinazione al delitto» che ben ne giustifica la menzione.

Resta comunque il fatto che, anche nell'ipotesi del concorso formale, il risultato dell'azione o dell'omissione potrà essere comunque valutato sotto il profilo della particolare tenuità dell'offesa.

Considerato quanto appena detto, con riferimento ai reati ambientali opereranno le situazioni ostative di cui al terzo comma quando, ad esempio, all'interno di un insediamento industriale si accertino più violazioni che configurino reati della stessa indole - che non devono necessariamente riguardare violazioni della medesima disposizione di legge, ben potendo assumere rilevo anche condotte oggettivamente o soggettivamente omogenee 25 – quali, ad esempio, più violazioni della disciplina dei rifiuti, violazioni di norme sull'inquinamento idrico e delle norme sui rischi da incidente rilevante etc.).

Analogamente, potranno essere apprezzate, quali condotte plurime o reiterate, la effettuazione di più attività di gestione illecita di rifiuti, ripetuti episodi di abbandono di rifiuti etc.

Pare opportuno considerare brevemente, a questo punto, sempre per quel che qui interessa, le ulteriori disposizioni di carattere processuale pure introdotte dal d.lgs. 28\2015.

Per ciò che concerne le indagini preliminari, l'art. 2 decreto colloca la particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bistra le «altre ipotesi di archiviazione» di cui tratta l'art. 411 cod. proc. pen., al quale aggiunge il comma 1-bis,prevedendo la necessaria interlocuzione della persona offesa che, unitamente all'indagato, deve essere avvisata dal pubblico ministero che richiede l'archiviazione per particolare tenuità del fatto. Entrambi devono essere inoltre informati della possibilità di prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta.

L'avviso anche all'indagato è giustificato dal fatto che, come pure si dirà in seguito, i provvedimenti, anche di archiviazione, con i quali viene applicato il nuovo istituto, vanno iscritti nel casellario giudiziale, con la conseguenza che la persona sottoposta ad indagini potrebbe avere interesse ad opporsi per evitare l'effetto pregiudizievole dell'iscrizione, ostativa ad una successiva fruizione del beneficio.

Occorrerà prestare particolare attenzione, trattando i reati ambientali, nell'individuazione della persona offesa, la quale corrisponde al soggetto titolare dell'interesse direttamente protetto dalla norma penale e la cui lesione o esposizione a pericolo costituisce l'essenza dell'illecito26, così distinguendosi dal soggetto danneggiato27, poiché la comunicazione da parte del P.M. che richiede l'archiviazione è sempre dovuta.

Avuto riguardo a tali criteri, la persona offesa potrà essere individuata, ad esempio, nell'amministrazione comunale ed in quella regionale per ciò che concerne le violazioni edilizie28, nell'ente preposto alla tutela del vincolo per le violazioni paesaggistiche o delle norme a tutela delle aree protette 29 e, per le violazioni ambientali, nello Stato, cui spetta la tutela dell'interesse collettivo alla salubrità dell'ambiente, ovvero nella pubblica amministrazione che direttamente esercita le attività di controllo e di prevenzione per impedire possibili forme di aggressione al bene protetto dalla norma che possano derivare dalle attività illecite dei gestori degli impianti, il cui esercizio è, perciò, subordinato al controllo dell'amministrazione competente a provvedere al rilascio di un'autorizzazione30.

Considerato lo scarso interesse quasi sempre dimostrato dai soggetti appena indicati per i processi riguardanti violazioni ambientali che li vedono coinvolti quali persone offese, molto probabilmente tale situazione si presenterà anche in caso di richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, con l'unica conseguenza di un ulteriore incombente per i già gravati uffici di procura.

Il comma 1- bis dell'art. 411 prevede ancora che se l'opposizione è presentata e non è inammissibile, il giudice procede con udienza in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 409, comma 2 cod. proc. pen. e, dopo avere sentito le parti, se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza. Se, invece, l'opposizione manca o è inammissibile, il giudice procede senza formalità e, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui la richiesta non è accolta, gli atti vanno restituiti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell'articolo 409, commi 4 e 5 cod. proc. pen.

E' evidente che la concreta attuazione della disposizione creerà problemi interpretativi che dovranno essere progressivamente risolti e che esulano, tuttavia, dal tema qui specificamente trattato.

L'art. 3 del decreto legislativo prevede la possibilità del proscioglimento per particolare tenuità del fatto anche in sede predibattimentale, mediante l'aggiunta del comma 1-bisall'art. 469 cod. proc. pen., ove è stabilito che la sentenza con la quale viene dichiarata l'improcedibilità ai sensi dell'art. 131-biscod. pen. è preceduta dall'audizione, in camera di consiglio, anche della persona offesa, se compare, consentendo alla stessa di interloquire anche in questa sede, mentre analoga previsione non è stata prevista per l'udienza preliminare e per il dibattimento in quanto, come ci ricorda la relazione illustrativa, in quelle fasi vi è piena garanzia di contraddittorio.

Sempre l'art. 3 aggiunge al codice di rito, dopo l'art. 651, l'art. 651-bis, con il quale attribuisce efficacia di giudicato alla sentenza dibattimentale irrevocabile di proscioglimento nel giudizio civile o amministrativo di danno, promosso nei confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato citato, ovvero sia intervenuto nel processo penale, per ciò che concerne l'accertamento della sussistenza del fatto, la sua illiceità penale e l'affermazione che l'imputato lo ha commesso.

Il secondo comma dell'art. 3 attribuisce, inoltre, la medesima efficacia alla sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata, sempre per particolare tenuità del fatto, a norma dell'articolo 442 cod. proc. pen., salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato.

Valgono, per i reati ambientali, le considerazioni sopra svolte con riferimento alla frequente inerzia delle persone offese, con l'ulteriore notazione che, essendo la declaratoria di proscioglimento pronunciata all'esito di una valutazione di particolare tenuità del fatto, anche l'eventuale risarcimento non potrà che essere proporzionato alla minima lesività della condotta.

L'art. 4, invece, apporta modifiche al d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 al fine di consentire l'iscrizione nel casellario giudiziale dei provvedimenti che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'articolo 131-bis cod. pen.

Il riferimento riguarda anche i decreti di archiviazione per particolare tenuità del fatto, in modo tale che possa successivamente rilevarsi l'abitualità ostativa al proscioglimento anche sulla base di pregresse fruizioni del beneficio.

Resta da aggiungere, per concludere, che il decreto legislativo non prevede una disciplina transitoria.

In ragione della natura sostanziale dell'istituto di nuova introduzione e della conseguente retroattività della legge più favorevole,secondo quanto stabilito dall'art. 2, comma 4 cod. pen., sembra plausibile che la valutazione circa la sussistenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 131- bis possa essere effettuata anche nei giudizi di merito pendenti al momento dell'entrata in vigore della legge.

Per il giudizio di legittimità si prospettano, invece, due diverse ipotesi.

La prima potrebbe portare ad escludere l'applicabilità del nuovo istituto per i processi pendenti in cassazione, sulla base del mero presupposto che nel giudizio di legittimità non è possibile l'interlocuzione degli interessati.

Ad una conclusione analoga è pervenuta, in un'occasione, la Corte di cassazione, escludendo l'applicabilità della norma transitoria di cui all'art. 63, comma 1 d.lgs. 274\2000, in materia di competenza penale del giudice di pace e che prevede l'applicabilità, anche nei giudizi davanti a un giudice diverso, delle disposizioni circa l'esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto e della non punibilità in caso di risarcimento, ritenendo che il presupposto processuale dell'intervento personale degli interessati non è attuabile nel giudizio di legittimità31.

L'altra ipotesi è quella di ritenere possibile che la questione della particolare tenuità del fatto sia posta anche nel giudizio di legittimità, tenendo conto di quanto disposto dall'art. 609, comma 2, cod. proc. pen., trattandosi di questione che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.

In tali ipotesi il giudice di legittimità dovrebbe verificare la presenza delle condizioni per l'applicabilità del nuovo istituto e, nel caso, annullare la sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito perché valuti se dichiarare il fatto non punibile ai sensi dell'art. 131- bis cod. pen., sebbene sia evidente che la Corte potrebbe comunque utilizzare quanto già rilevato dal giudice del merito, ad esempio, nel quantificare la pena sopra il minimo edittale, negare le circostanze attenuanti generiche, etc., per considerare tali apprezzamenti come inequivocabilmente sintomatici di una non particolare tenuità32.

Luca RAMACCI

1Si veda l'intervista al Presidente di Confindustria sul Corriere della Sera del 15 marzo 2015

2AMENDOLA Delitti contro l'ambiente: arriva il disastro ambientale "abusivo" in questo sito ; la replica di Legambiente ibid. ; l'ulteriore replica di AMEDOLA Viva viva il disastro ambientale abusivo ibid; PALMISANO Delitti contro l’ambiente, quand'è che un disastro si può dire ‘abusivo’? nel blog su Il Fatto e in questo sito

3Così il parere della Camera leggibile, per intero qui . Negli stessi termini il parere del Senato,

4"L'Anm protesta? Brrrr, che paura..." Matteo Renzi a Porta a porta parlando della riforma della giustizia (fonte ADN Kronos ).

5Il ddl per la riforma della prescrizione attualmente all'esame del parlamento propone la mera sospensione dei termini dopo la condanna e, ciò nonostante, è oggetto di un serrato dibattito. Si veda, ad esempio, sull'istituto della prescrizione, quanto scrive il Tribunale di Cuneo nell'ordinanza 17/1/2014 di rimessione alla Corte di Giustizia Europea con domanda di pronuncia pregiudiziale in Altalex

6 Mi riferisco non soltanto a quelle concernenti l'inquinamento chimico e fisico, ma anche alle ipotesi di reato contemplate dalle norme urbanistiche, sulla tutela dei beni culturali, degli animali etc., secondo un'ampia classificazione che dovrebbe essere, ormai, pacificamente riconosciuta.

7Per un discorso più ampio rinvio ad un intervento ormai datato (RAMACCI La repressione delle violazioni penali in materia ambientale: limiti attuali e prospettive future in Ambiente e Sviluppo n. 9\2007 pag. 788 ed in questo sito ) ma che tratta questioni, purtroppo, in gran parte ancora attuali.

8Si veda la delibera 9 luglio 2014 che contiene anche una disamina dei precedenti.

9L'art. 27 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 prevede la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto qualora risultino «la tenuità del fatto e la occasionalità del comportamento»

10L'art. 34 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 prevede l'esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto «quando, rispetto all'interesse tutelato, l'esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l'esercizio dell'azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indaginiedell'imputato».

11 Legge 28 aprile 2014, n. 67 «Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili»

12Così Sez. 4, n. 24249 del 28/04/2006 (dep. 13/07/2006), Crepaldi, Rv. 234416 in Cass. Pen. n.7-8/2007 pag. 2895 con nota di SALCUNI Esiguità e reati di pericolo astratto: intorno all'applicabilità dell'art. 34 D.lg. n. 274 del 2000 al reato di guida in stato di ebbrezza .

Si osserva, tra l'altro, in questa decisione, che l'esiguità del fatto «attiene ad un modello di tipicità bagattellare, in cui i diversi elementi costitutivi del reato sono graduabili in base ad una formulazione analitica o sintetica dei requisiti in modo da escludere violazioni di principi cardine della Costituzione quali quello di eguaglianza (art. 3 Cost.), quello di tipicità della fattispecie penale e delle cause di esclusione del reato (art. 25 Cost.) e dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale (art. 112 Cost.), e si presenta sussistente anche nel caso in cui si riuscisse a raggiungere un diritto penale minimo, espressione di quella considerazione del diritto e della sanzione penale quale "extrema ratio", giacché, pure in dette fattispecie criminose, potrebbero manifestarsi in concreto fatti di particolare tenuità. La griglia di questi elementi consente di ricostruire la struttura tipica del reato concretamente esiguo, espressione che evidenzia la presenza di un'offensività, anche se minima ("reato"), da valutare in relazione al fatto concreto, in cui non esistono pretese presunzioni legislative, ed alla nozione di esiguità, il cui connotato deve essere ulteriormente chiarito dall'analisi ermeneutica e da un esame complessivo logico - sistematico e teleologico della normativa relativa. Pertanto il meccanismo dell'improcedibilità dell'azione penale per particolare tenuità del fatto si colloca nell'ambito di più vaste tematiche quali la deflazione penale, la concezione gradualistica dell'illecito ed una lettura "realistica" del dettato costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, mentre il fatto di cui deve essere valutata la tenuità si atteggia a fatto tipico, antigiuridico e colpevole, pur se dotato di un minimo disvalore, sicché si attua una forma di "deprocessualizzazione soggettiva" con un'improcedibilità non astratta ed un riferimento ad una fattispecie di reato astratta in sè bagattellare, ma attraverso l'esame di una fattispecie concreta, correlata al suo autore e non limitata al profilo oggettivo, includendo pure quello soggettivo».

13Cass. Sez. 4, n. 40203 del 9/7/2004 (dep. 13/10/2004), P.G. in proc. Misantoni, Rv. 229574

14SALCUNI op. cit.

15Spiega l'A.: «I beni strumentali rappresentano quei beni superindividuali o di ampio spettro, tipici del diritto penale dell'economia o comunque del diritto penale c.d. di seconda velocità, che consentono forme di anticipazione di tutela rispetto ad interessi finali di natura individuale ed ottengono così una protezione anticipata. Il bene strumentale, in relazione con quello finale, a sua volta può distinguersi in due categorie. Ad una prima categoria si ascrivono i beni strumentali che sono talmente distanti da quello finale e che costituiscono dunque forme molto anticipate di tutela, tali da non ammettere graduazioni nella valutazione legislativa del pericolo. Alla seconda categoria appartengono, invece, quei beni strumentali la cui offesa pone in pericolo (non remoto e non indiretto) anche il bene finale: per questi ultimi, è ancora possibile tentare una graduazione dell'offesa. I beni funzionali sono anch'essi espressione di una forte anticipazione della tutela penale e molto spesso sono confusi con i beni strumentali. Sono percorsi dalle medesime finalità: anticipare la soglia di rilevanza penale di condotte che pongono in pericolo beni finali. La legittimazione del diritto penale per la tutela dei beni strumentali, poi, passa attraverso la teorica della "seriazione dei beni giuridici". Cioè i beni strumentali non sono mai tutelati in sé, ma sempre perché relazionati ad un bene finale che è gerarchicamente preordinato. Nei beni funzionali invece gli interessi contrapposti sono tutti dello stesso grado o rango. Sono beni che si trovano allo stesso livello, al cui contemperamento di interessi è deputato l'organo pubblico. Nei beni funzionali non è possibile graduare l'offesa, in quanto tale valutazione spetta esclusivamente alla Pubblica amministrazione che è deputata, in virtù delle proprie competenze tecniche, a scegliere un punto di mediazione tra interessi in conflitto. Non è impossibile, come visto, ipotizzare un'applicazione dell'istituto a reati di pericolo che tutelano due beni in seriazione (strumentale/finale) nell'ipotesi, però, in cui il bene finale incida ancora sulla tipicità e dunque non sia remota la probabilità di lesione per lo stesso»

16L'A. formula altri esempi con riferimento all'art. 3 d.P.R. 918\1957 (ora abrogato dal d.lgs. 79/2011), che concerneva il divieto di costruire o gestire un rifugio senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione dell'Ente provinciale per il turismo, rilevando che se il bene protetto, oltre al controllo dell'Ente preposto, è la conformità del rifugio alle caratteristiche tecniche prescritte dalla legge, si potrà applicare la tenuità del fatto qualora sussista la lesione del solo bene strumentale e non anche di quello finale e con l'art. 18 della legge n. 528\1982, che punisce chiunque offre una riffa al pubblico mediante sorteggio di uno o più numeri con riferimento alle estrazioni del lotto pubblico, ipotizzando l'applicabilità dell'art. 34 nel caso in cui la riffa sia svolta nei confronti di un numero indeterminato di persone, ma per le modalità con cui è organizzata e per l'ammontare dei premi in palio, nonché delle somme richieste per la partecipazione, non sia messo in pericolo il bene finale di natura finanziaria .

17Che i reati ambientali formali siano volti a garantire un controllo preventivo da parte della P.A. e che il bene tutelato dalla norma penale è l'interesse dell'amministrazione competente a monitorare e controllare preventivamente la funzionalità e potenzialità inquinante degli impianti nuovi e di quelli già esistenti la Corte di cassazione lo ha ribadito anche recentemente (Sez. 3, n.11349 del 10/2/2015 (dep.18/3/2015), Bonifacio, non massimata) con riferimento all'art. 137, comma 1 d.lgs. 152\06 (fattispecie relativa al mantenimento di uno scarico con autorizzazione scaduta) richiamando precedenti analoghi in materia di inquinamento atmosferico

18Cass. Sez. 5, n. 7573 del 2/12/2004 (dep. 1/3/2005), Subramanian, Rv. 230811

19CISTERNA Per droga e ambiente si apre la questione delle soglie di pena in Guida al Diritto n. 10\2015, pag. 21

20Cass. Sez. 5, n. 34227 del 7/5/2009 (dep. 4/9/2009), Scalzo, Rv. 244910; Sez. 4, n. 24387 del 28/4/2006 (dep. 14/7/2006), Ciampa, Rv. 234577

21 Per tali ragioni pare quasi superfluo osservare come debba escludersi che quanto indicato nel secondo comma possa essere utilizzato quale termine di paragone per la valutazione, in concreto, degli indici di cui al primo comma, alterandone i confini delineati con precisione dal legislatore e che l'uso di termini quali «esiguità» e «particolare tenuità» rendono, inequivocabilmente, per le ragioni in precedenza indicate, particolarmente ristretti.

22Ricorda una non recente sentenza della Cassazione (Sez. 1, n. 1430 del 9/3/1998 (dep. 6/4/1998), Confl. comp. in proc. Berisa Rama, Rv. 210201) che «un reato può essere necessariamente o eventualmente abituale. Alla prima categoria appartengono quei reati i quali, per la loro stessa configurazione giuridica postulano una ripetizione di condotte analoghe, distinte tra loro, ma sorrette da un unico ed unitario elemento soggettivo ed unitariamente lesive del bene giuridico tutelato. Rientra in questa categoria il delitto di maltrattamenti in famiglia. Alla seconda categoria appartengono quei reati i quali possono realizzarsi, e sono già "perfetti", anche solo con l'attuazione di una singola e specifica condotta; ma che possono configurarsi anche come ripetizione nel tempo di distinte, ma analoghe, condotte. A questa seconda categoria appartengono, appunto, i delitti di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione: i quali si realizzano anche solo con una specifica condotta (di favoreggiamento o di sfruttamento) ma possono protrarsi nel tempo attraverso la ripetizione di condotte analoghe».

23Sez. 3, n. 13456 del 30/11/2006 (dep. 2/4/2007), Gritti e altro, Rv. 236326

24Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009 (dep. 3/12/2009), Caserta, Rv. 245605

25Cfr., tra le più recenti, Sez. 1, n. 44255 del 17/9/2014 (dep. 23/10/2014), Durdev, Rv. 260800; Sez. 1, n. 27906 del 15/4/2014 (dep. 26/6/2014), Stocco, Rv. 260500

26V., ad es., Cass. Sez. 6, n. 21090 del 24/2/2004 (dep. 5/5/2004), Soddu, Rv. 228810

27La giurisprudenza di legittimità ha precisato che quando l'ordinamento giuridico predisponga una tutela "anticipata" del bene protetto, la persona offesa non viene automaticamente a coincidere con qualsiasi soggetto avente un generico interesse a che la norma che si assume violata venga rispettata, essendo, invece, necessario un quid pluris che ne permetta l'individuazione soggettiva (Cass. Sez. 3, n. 1180 del 11/12/2013 (dep. 14/1/2014), P.O. in proc. Leali e altri, Rv. 257929)

28V. ad es., tra le più recenti, anche per i richiami ai precedenti Cass. Sez. 3, n. 7786 del 21/1/2014 (dep. 19/2/2014), P.O. in proc. Caldarale, Rv. 258697 Cass. Sez. 3, n. 50929 del 14/11/2013 (dep. 17/12/2013), P.M. P.C. in proc. Angellotto e altri, Rv. 258018

29Cfr. Cass. Sez. 3, n. 46079 del 8/10/2008 (dep. 15/12/2008), Ballerio, Rv. 241782

30Così, testualmente, con riferimento reati di cui all'art. 16 del d.lgs. n. 59\2005 (oggi art. 29- quattordecies d.lgs. 152\06) Cass. Sez. 3, n. 769 del 3/12/2010 (dep. 14/1/2011), P.O. in proc. Ruggeri e altri, Rv. 249167

31Cass. Sez. 5, n. 25063 del 23/5/2002 (dep. 01/07/2002), Rufolo ed altri, Rv. 222063

32Anche in Cass. Sez. 5, n. 25063 del 23/5/2002, cit. la Corte ha incidentalmente escluso che i fatti oggetto di ricorso fossero di particolare tenuità in considerazione del fatto che la pena irrogata dal giudice del merito era superiore al minimo edittale