L’obbligo di impedire il reato ambientale altrui. Rassegna giurisprudenziale sulla posizione di garanzia del proprietario e del pubblico ufficiale rispetto a reati ambientali commessi da terzi.

Prof. Carlo Ruga Riva, Associato di diritto penale, Università degli Studi di Milano Bicocca

 

1. Lo stato dell’arte

Il tema degli obblighi di impedimento di reati altrui, da tempo dibattuto in dottrina e in giurisprudenza[1], si è arricchito negli ultimi anni di un nuovo capitolo.

In giurisprudenza, infatti, un significativo orientamento ha affermato la sussistenza di un obbligo di impedimento di reato altrui in capo al proprietario non committente e non esecutore materiale rispetto vuoi a reati edilizi realizzati da altri sul proprio fondo o immobile[2], vuoi rispetto a reati in materia di rifiuti (abbandono, gestione non autorizzata, discarica abusiva) commessi da terzi sul proprio fondo[3].

In entrambi i casi si individua una posizione di garanzia in capo al proprietario (o comproprietario, o locatore), e in caso di inerzia si condanna l’omittente per concorso omissivo nel reato commissivo altrui (la costruzione in assenza di permesso di costruire, lo smaltimento non autorizzato di rifiuti ecc.) in base agli artt. 40 cpv. e 110 c.p[4].

Da ultimo, una recente sentenza della Corte di Cassazione[5], rese in fase cautelare, ha avallato la tesi della responsabilità omissiva di una dirigente e di una funzionaria dell’A.R.P.A., ex art. 40. co. 2, in relazione all’art. 260 D.lgs. n. 152/2006 e, parrebbe, 256 D.lgs. n. 152/2006, per avere omesso controlli sostanziali sulle operazioni di rimozione e smaltimento del rifiuto (rifiuti ospedalieri su sito da bonificare), con ciò “consentendone il conferimento con il codice errato in discarica non autorizzata” (cfr. infra, 5).

1.1. Le “false” ipotesi di concorso omissivo

Non di rado in giurisprudenza vengono trattati sotto il capitolo del contributo omissivo alla realizzazione dell’altrui reato commissivo casi nei quali, a ben vedere, il proprietario è (potrebbe essere ritenuto) autore del reato commissivo.

Si tratta in particolare di casi nei quali si perviene alla condanna di soggetti (proprietario, comproprietario, locatore), formalmente privi delle qualifiche di committente e/o esecutore materiale dei lavori, oppure in assenza di prove circa la materiale riconducibilità ai medesimi dell’attività di abbandono o della gestione abusiva dei rifiuti sul proprio fondo.

Laddove l’autore materiale del fatto costituente reato non sia identificato, e dunque rimanga ignoto, o qualora l’esecutore materiale non indichi il committente, al proprietario dell’immobile si contesta talvolta di avere contribuito a realizzare il reato (commissivo) altrui tenendo un contegno passivo.

In tali ipotesi il richiamo giurisprudenziale all’art. 40 co. 2 c.p., il quale fonderebbe la responsabilità del proprietario, non appare corretto né coerente con le emergenze processuali.

In assenza di prove o di seri indizi circa l’esistenza di soggetti diversi dal proprietario quali autori materiali o committenti dell’abuso edilizio, l’eventuale affermazione di responsabilità del proprietario, a ben vedere, potrebbe nella sostanza essere ricondotta alla sua ritenuta figura di committente o autore materiale di fatto, e dunque di soggetto che incarica altri dei (o che esegue in economia i) lavori abusivi, ovvero che tiene condotte attive, e non omissive.

Lo stesso vale nell’ipotesi in cui si tratti di reato ambientale (per es. discarica abusiva), qualora non si individui l’autore materiale dei conferimenti.

Sul piano probatorio si tratterà di valorizzare alcune circostanze (destinazione dell’immobile, presenza in loco al momento del sopralluogo ecc.), eventualmente con l’ausilio (prudente) di massime di esperienza.

Qualora il giudice ritenga provato al di là di ogni ragionevole dubbio il coinvolgimento del proprietario, dovrà condannarlo quale autore del reato commissivo.

Il riferimento all’art. 40 cpv. c.p., in combinazione con l’art. 110 c.p., è verosimilmente da leggere nel quadro di una strategia argomentativa volta a sostenere che, quand’anche si ritenesse insufficiente la prova del coinvolgimento diretto (attivo) del proprietario formalmente non committente né autore materiale del reato, tuttavia egli ne risponderebbe a titolo omissivo, per il mancato impedimento del reato commesso da soggetti rimasti ignoti.

L’orientamento giurisprudenziale in esame utilizza il riferimento all’art. 40 cpv. c.p. come scorciatoia probatoria: spetterebbe al proprietario-garante allegare circostanze che facciano dubitare della riconducibilità dell’abuso edilizio o del reato in materia di rifiuti a lui e non ad altri[6].

Tesi non condivisibile anche sul piano dei riflessi processuali, poiché si risolve nell’inversione dell’onere della prova in capo all’accusa.

2. Sul concorso omissivo del proprietario non committente opere edilizie

Diversi sono i casi, trattati nel prosieguo, nei quali vi siano più comproprietari, di cui uno solo committente formale, o nei quali vi sia una scissione tra proprietà, da un lato, e possesso o detenzione del fondo o dell’immobile, dall’altro, ad esempio a titolo di usufrutto, di locazione ecc.

In queste ipotesi il tema del contributo omissivo non rappresenta una finzione, perché si innesta effettivamente sulla condotta attiva di altri soggetti ben individuati (il comproprietario o il locatario o usufruttuario committente od esecutore materiale).

Secondo una formula ormai tralatizia, il proprietario risponde, quale extraneus concorrente nel reato edilizio materialmente realizzato da altri, qualora siano provati suoi “comportamenti, negativi o positivi, dai quali si po[ssano] ricavare elementi di una compartecipazione, al livello materiale o morale…nella altrui condotta illecita”[7].

Tra gli elementi sintomatici del concorso, la giurisprudenza ha enucleato, ad esempio, la destinazione del manufatto, letta talvolta alla luce della disciplina civilistica dell’accessione (art. 934 c.c.)[8], i rapporti di parentela o affinità o coniugio con il committente o con l’esecutore dell’opera, la vigilanza nella esecuzione dei lavori, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, la presenza in loco del proprietario o il suo essere residente nello stesso Comune[9], l’acquiescenza rispetto a notifiche di provvedimenti di sequestro o di sospensione lavori[10], l’avvenuta presentazione di denuncia di opere di manutenzione ordinaria[11], il silenzio rispetto alla notifica del verbale di sequestro delle opere[12].

Taluni degli elementi sintomatici riportati, a ben vedere, integrano ipotesi di contributo commissivo al reato materialmente commesso da altri: così la presenza in loco a fini di sorveglianza.

La richiesta di titolo abilitativo in sanatoria, tipica condotta post factum, ha anch’essa natura commissiva, e viene impiegata, unitamente ad altri indizi, per illuminare retrospettivamente il destinatario interessato alla realizzazione dell’opera abusiva, secondo il c.d. criterio del cui prodest[13].

Impiego di per sé discutibile, visto che è lo stesso Testo Unico sull’Edilizia a prevedere espressamente che la procedura di sanatoria sia attivata “dal responsabile dell’abuso o dall’attuale proprietario dell’immobile” (art. 36, co. 1 D.P.R. n. 380/2001), con ciò dando per scontato che il proprietario possa non essere l’autore dell’abuso, ma possa nondimeno avere interesse alla sanatoria.

Si tratta di un interesse certamente qualificato, dato che, in caso di costruzione senza permesso o in totale difformità dal permesso, l’art. 31, co. 3 D.P.R. n. 380/2001 prevede, in assenza di sanatoria o di demolizione o di rimessione in pristino, l’acquisizione del bene e dell’area di sedime al patrimonio del Comune.

I rimanenti elementi sintomatici valorizzati in giurisprudenza consistono in dati di fatto, situazioni o rapporti giuridici (rapporti di parentela, residenza, regime patrimoniale tra coniugi, disciplina dell’accessorietà civilistica, mancata impugnazione di provvedimenti amministrativi,  silenzio rispetto a notifica di verbale di sequestro) statici o integranti contegni passivi.

Di qui la tentazione giurisprudenziale di utilizzarli in chiave di contributo omissivo.

Ebbene, dalle normative edilizie e dalla disciplina della proprietà non si evince alcun obbligo in capo al proprietario (non committente e non esecutore) di impedire reati edilizi altrui.

Tale obbligo non può discendere, come pure sostenuto da una parte della giurisprudenza, da una lettura in termini asseritamente solidaristici dell’art. 40 cpv. c.p., alla luce dell’art. 42 Cost. e dell’art. 2043 c.c., sicché sarebbe da ritenere che “…il proprietario non possa utilizzare la cosa propria né consentire che altri la utilizzi in modo che ne derivi danno ai consociati…”[14].

Ambedue i richiami non sembrano idonei a fondare posizioni di garanzia penalmente rilevanti.

In base all’art. 42 Cost. è la legge a dover fissare eventuali limiti alla proprietà privata onde assicurarne la funzione sociale.

La legge “urbanistica” non individua il proprietario tra i soggetti responsabili della conformità delle opere “alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo” (art. 29 D.P.R. n. 380/2001)[15].

Obblighi in capo al proprietario di impedire reati edilizi altrui non sono d’altro canto rinvenibili nel codice civile, e neppure nel codice penale, che pure (art. 677) nel punire il proprietario di edifici che minacciano rovina, fissa una posizione di garanzia rispetto ai diversi reati contro l’integrità fisica e l’incolumità pubblica che dovessero verificarsi a seguito della mancata realizzazione dei lavori necessari[16].

Tantomeno può derivarsi una posizione di garanzia dall’art. 2043 c.c., il quale esprime il genericissimo principio del neminem ledere, incapace di selezionare tipologie di obblighi sufficientemente precisi, tali da poter preventivamente vincolare la condotta del garante.

In mancanza di una posizione di garanzia, e cioè di precisi obblighi giuridici di impedire reati edilizi altrui, il proprietario, in linea con una parte della giurisprudenza[17] e della dottrina[18], non potrà rispondere per la mera connivenza alla condotta criminosa altrui: lo impone il principio di legalità, che attribuisce rilevanza penale non ad ogni contegno passivo, ma solo a quello tenuto da chi aveva un obbligo giuridico di impedire un evento determinato (art. 40, co. 2 c.p.), da intendersi qui come reato commesso da altri (art. 110 c.p.).

Non del tutto pertinente o comunque secondario, a  nostro avviso, è viceversa il richiamo operato da una parte della dottrina al principio di responsabilità personale (art. 27 Cost.)[19].

Può infatti accadere che il comproprietario inerte abbia piena consapevolezza dell’illecito altrui, lo “condivida” fermamente e possa di fatto impedirlo direttamente o per il tramite dell’autorità amministrativa e/o giudiziaria; si tratterebbe di una condotta rimproverabile ed esigibile sul piano eventualmente morale o civico, non su quello penale, in assenza di un obbligo giuridico di impedimento del reato altrui: ciò che rileva è l’assenza di una posizione di garanzia, e dunque la mancanza di condotta tipica (pur, per così dire, nell’atipicità del contributo concorsuale), non tanto l’assenza di una condotta ascrivibile al dominio dell’omittente e  rimproverabile sul piano soggettivo.

A surrogare l’insussistenza della posizione di garanzia non possono invocarsi, come pure talvolta emerge in qualche sentenza, la consapevolezza dell’attività edilizia abusiva e/o la presenza di poteri impeditivi in capo al proprietario extraneus[20].

In talune pronunce emerge la confusione tra colpa e posizione di garanzia, nel senso che al citato elenco di indici sintomatici del concorso (rapporto di parentela, disciplina civilistica dell’accessione ecc.) seguono formule di chiusura quali “…e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale…”[21].

Insomma, la mancata attivazione dei poteri di interdizione dell’opera abusiva o quantomeno di segnalazione alle autorità competenti al controllo in capo al proprietario non committente fonderebbe sia la colpa che la prova del contributo, di regola omissivo, alla realizzazione del reato edilizio altrui.

Questa tesi non persuade: colpa (o più spesso dolo) e poteri impeditivi non possono evidentemente surrogare la posizione di garanzia, ma devono ad essa accompagnarsi e logicamente seguirla.

L’interprete deve rinvenire la posizione di garanzia nell’ordinamento e non crearla attraverso ardite interpretazioni di principi quali la funzione sociale della proprietà o del neminem ledere.

L’obbligo giuridico di impedimento di reato, al pari di ogni altra posizione di garanzia, deve trovare fonte in una formale disposizione di legge, in una regola operativa che imponga obblighi predeterminati e non in principii, che appunto necessitano di regole per essere implementati.

In definitiva, sulla base della legislazione vigente, la mera connivenza del proprietario (o del comproprietario, locatore ecc.) rispetto a reati edili realizzati da altri non può mai integrare gli estremi del contributo causale omissivo rilevante ex artt. 40 cpv. e 110 c.p.

Rimane naturalmente da verificare, caso per caso, se l’acquiescenza di tali soggetti non sia il frutto, maturato prima dell’inizio dell’abuso o durante la sua realizzazione, di un accordo con il committente o con l’esecutore materiale.

In tali casi si avrebbe compartecipazione morale, di natura commissiva, secondo gli ordinari criteri di responsabilità concorsuale, al di fuori dell’orizzonte dell’art. 40 co. 2 c.p.

 

3. Posizione di garanzia del proprietario rispetto al reato altrui in materia di rifiuti?

Il tema degli obblighi di impedimento di reati altrui in capo al proprietario si è posto anche in riferimento a reati in materia di rifiuti (abbandono, gestione non autorizzata[22], discarica abusiva, omessa bonifica).

La giurisprudenza prevalente nega l’esistenza di una posizione di garanzia del proprietario (di impedimento del reato altrui) rispetto ai reati di abbandono e realizzazione o gestione di discarica senza autorizzazione: nella legislazione ambientale una siffatta posizione di garanzia è rinvenibile unicamente a carico di produttore e detentore dei rifiuti[23].

Neppure la consapevolezza da parte del proprietario del fondo dell’abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi “è sufficiente ad integrare il concorso nel reato, atteso che la condotta omissiva può dar luogo a ipotesi di responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi del secondo comma dell’art. 40 cod. pen.”.[24]

A diverse soluzioni si è talora pervenuti in presenza di obblighi contenuti in provvedimenti amministrativi o in contratti.

Così i giudici di merito hanno condannato il legale rappresentante di una società proprietaria di una cava dismessa nella quale altri avevano realizzato una discarica abusiva, posto che il medesimo non aveva recintato il perimetro di cava contrariamente a quanto impostogli da un provvedimento regionale di autorizzazione alla coltivazione[25].

La Cassazione ha censurato la condanna, ritenendo che l’obbligo di recinzione fosse stato apposto dalla Regione non per impedire a terzi di utilizzare la cava dismessa come discarica, bensì per fini di polizia amministrativa relativi alle attività estrattive e minerarie, quali l’esigenza di delimitare la zona in cui era consentita l’estrazione e l’esigenza di proteggere l’incolumità pubblica a fronte di attività pericolose come il brillamento di mine[26].

La Corte, in questa pronuncia, specifica che “il presupposto di operatività del principio di causalità omissiva è la esistenza di un obbligo stabilito proprio per impedire eventi del genere di quello che si verifica nel reato considerato” .

L’esito assolutorio discende dunque da una interpretazione garantistica della tipologia di evento (di reato) che l’obbligo giuridico si proponeva di impedire: nel caso concreto l’obbligo serviva anche per impedire reati (per es. reati contro l’integrità fisica e la vita rispetto al brillamento di mine), ma non reati del tipo di quello verificatosi.

Non mancano, nella giurisprudenza più recente, pronunce che sembrano contraddire l’orientamento prevalente sopra richiamato.

Così il proprietario di un fondo è stato ritenuto “corresponsabile della realizzazione o gestione di discarica da altri effettuata se l’accumulo continuo e sistematico di rifiuti sul suo terreno gli può essere addebitato almeno a titolo di negligenza: ad es. se, pure consapevole dell’attività di discarica effettuata da altri, non si attivi con segnalazioni, denunce all’autorità, installazione di una recinzione ecc.”[27].

Emerge ancora una volta l’idea che la consapevolezza dell’illecito penale altrui e l’esistenza di poteri impeditivi o di denuncia possano surrogare l’inesistenza di una posizione di garanzia desunta da una fonte formale: quasi che sapere e potere equivalga a dovere (giuridico).

Ancora, si è ritenuto che, nell’ipotesi in cui il “terreno venga concesso in uso per l’esercizio di un’attività soggetta ad autorizzazione e la cui disciplina configura come fattispecie penali la violazione delle relative prescrizioni, incombe sul proprietario l’obbligo, anche al fine di assicurare la funzione sociale riconosciuta dall’art. 42 della Costituzione al diritto di proprietà, di verificare che l’utilizzazione dell’immobile avvenga nel rispetto della legalità, e, quindi, che il terzo, cui ha concesso in uso il terreno, sia in possesso dell’autorizzazione necessaria per l’attività di gestione di rifiuti…e che rispetti le prescrizioni in essa contenute”[28].

Nel caso di specie l’imputato aveva concesso in uso il terreno di sua proprietà ad un terzo per lo smaltimento di “pollina” (materie fecali di origine animale), ed è stato ritenuto colpevole ex art. 40, co. 2 c.p.

Il riferimento alla condotta omissiva non appare corretto, dato che il locatore risultava avere stipulato un contratto di locazione per lo smaltimento, avere trasportato la “pollina” e, parrebbe, l’aveva materialmente scaricata sul proprio terreno, affittato a terzi[29]: condotte chiaramente commissive.

La componente omissiva, se mai, è da riferirsi alla colpa[30], nel senso che, secondo la Corte di Cassazione, il proprietario locatore avrebbe dovuto verificare che il locatario avesse effettivamente conseguito l’autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti.

A nostro avviso non esiste alcun obbligo di impedimento del reato altrui di gestione abusiva di rifiuti in capo al proprietario locatore: obblighi di tal genere non si rinvengono nella disciplina civilistica della locazione (artt. 1571 ss. c.c.[31]), né in quella della proprietà, ove al proprietario spetta il potere, ma non il dovere di recinzione del fondo (art. 841 c.c.).

D’altra parte non esistono in materia ambientale obblighi di denuncia in capo al proprietario o ad altri privati cittadini (cfr. infra).

Obblighi di verifica dell’autorizzazione allo smaltimento incombono viceversa solo su produttore e detentore di rifiuti, sulla base degli artt. 178, co. 3 e 188 D.lgs. n. 152/2006[32].

In relazione al caso in esame, escluso un obbligo giuridico di impedimento in capo al proprietario locatore, eventuali sue responsabilità sarebbe potute derivare dalla ritenuta qualifica di detentore dei rifiuti, nella misura in cui il trasporto fosse considerato integrare una forma di detenzione.

Ancora, il tema della responsabilità per omissione del proprietario si è posto rispetto al reato di omessa bonifica, nelle varie sue versioni legislative.

L’attuale fattispecie (art. 257 D.lgs. n. 152/2006) è configurata come reato di evento, rappresentato dall’inquinamento del suolo, del sottosuolo o delle acque superficiali o sotterranee.

In linea teorica è dunque ammissibile un’eventuale responsabilità per omissione del proprietario inerte rispetto a fatti di reato altrui[33]: naturalmente si tratta di individuare una fonte formale che fissi una posizione di garanzia (di impedimento di reati ambientali) in capo al proprietario non autore materiale dell’inquinamento.

Ebbene, parte della dottrina ha ritenuto di individuare tale posizione di garanzia nell’art. 3, co. 32 della l. n. 549/1995[34], il quale prevede solidalmente oneri di bonifica, il risarcimento del danno, il pagamento di tributi e sanzioni pecuniarie a carico, ove non sia individuato l’utilizzatore, del proprietario dei terreni sui quali insiste la discarica abusiva, “ove non dimostri di avere presentato denuncia di discarica abusiva ai competenti organi della regione, prima della constatazione delle violazioni di legge”.

Ora, all’indomani dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 22/1997, e successivamente del D.lgs. n. 152/2006, l’art. 32, co. 3 l. 549/1995 non sembra più in vigore, risultando la materia ridisegnata, in particolare, dagli artt. 242, 245, 253, e 257 D.lgs. n. 152/2006.

In ogni caso, anche a voler ritenere il citato art. 32 ancora vigente, non essendo stato formalmente abrogato dall’art. 264 D.lgs. n. 152/2006, non sembra che la responsabilità civilistica solidale e l’esonero da responsabilità amministrative e fiscali in caso di denuncia possano fondare un obbligo giuridico di impedire reati altrui: la prima disciplina ha carattere riparatorio e non preventivo[35]; la denuncia costituisce interesse del proprietario ma non obbligo.

In ogni caso, eventuali obblighi di denuncia non fondano obblighi giuridici di impedimento di reati[36], posto che i secondi presuppongono concreti poteri-doveri impeditivi, e non di mera segnalazione.

Ulteriore riferimento alla responsabilità omissiva del proprietario è rinvenibile in quella giurisprudenza che individua una posizione di garanzia  in capo al proprietario di edificio o al committente lavori di demolizione, rispetto allo smaltimento dei detriti realizzato da terzi (appaltatore o altro autore materiale del reato).

Analogo riferimento all’art. 40 co. 2 c.p. si rinviene nei confronti del legale rappresentante di attività nell’ambito delle quali altri producano materialmente rifiuti: per es. nel caso dell’esercente attività di tiro a volo in un’area nella quale i tiratori abbandonino resti di piattelli e bossoli.

Nel primo caso il committente i lavori edilizi sarebbe responsabile della gestione abusiva dei detriti da demolizione, in quanto produttore non in senso materiale ma giuridico del rifiuto, ovvero soggetto cui è giuridicamente riferibile il rifiuto[37]; nel secondo caso, trattandosi di rifiuti fisiologicamente connessi al tipo di attività esercitata, spetterebbe al titolare dell’ente, in quanto produttore in senso giuridico dei rifiuti, e non in qualità di proprietario dell’area, approntare tutte le misure idonee alla loro corretta gestione, con conseguente relativa responsabilità penale in caso di inerzia[38].

Nelle ipotesi riportate la posizione di garanzia è desunta da una interpretazione estensiva del concetto di “produttore”, discutibile sul piano letterale[39], tale da annoverare tra i garanti del ciclo dei rifiuti anche il soggetto che, pur non dando vita materialmente alla trasformazione della cosa in rifiuto, rappresenta per il diritto il promotore della attività dalla quale scaturisce il rifiuto.

In taluni casi (per es. quello citato del gestore di attività di tiro a volo) appare più agevole ritenere che il proprietario sia  detentore dei rifiuti prodotti nell’ambito dell’attività, avendo su di essi un potere giuridico e di fatto (cfr. ad es. art. 2051 c.c.).

Si potrebbe dubitare, in relazione a talune condotte tipiche realizzabili in forma omissiva (es. abbandono di rifiuti), della correttezza del riferimento all’art. 40, co. 2 c.p., certamente congruo e utile allo scopo per fattispecie commissive quali il trasporto, lo smaltimento non autorizzato e la realizzazione di discarica abusiva.

Tuttavia, anche qualificando l’abbandono di rifiuti come fattispecie omissiva propria (del produttore o detentore) l’impostazione non cambia: si tratta di intendersi sul significato di “produttore” (o “detentore”) e dunque, ancora una volta, sul novero dei soggetti garanti ex art. 178 e 188 D.lgs. n. 152/2006.

In definitiva, obblighi di impedire reati altrui in materia di rifiuti incombono solo sul produttore e detentore dei rifiuti, e non anche su altri soggetti quali il proprietario dell’area.

Eventuali responsabilità verranno in rilievo rispetto a contributi commissivi o alla violazione di espliciti e precisi obblighi assunti contrattualmente o contenuti in provvedimenti amministrativi, nella misura in cui – ma è controverso –, obblighi contrattuali possano creare situazioni doverose di diritto pubblico in capo al contraente[40], o fonti sublegislative possano fondare posizioni di garanzia[41].

4. Verso una posizione di garanzia generale del cittadino rispetto alla tutela dell’ambiente?

La recente introduzione nel corpo del c.d. Testo Unico Ambientale dell’art. 3-ter[42] pone all’interprete una domanda fino a ieri inimmaginabile: esiste una posizione di garanzia di ogni cittadino rispetto alla tutela dell’ambiente?

La risposta non può che essere negativa, avuto riguardo alla struttura dell’art. 3-ter, il quale “nazionalizza” principi ambientali di matrice comunitaria (precauzione, prevenzione ecc.), considerati come strumenti nelle mani di enti e soggetti, pubblici e privati, finalizzati a garantire la tutela dell’ambiente.

Evidentemente non ci si trova di fronte a regole operative capaci di selezionare specifici obblighi di condotta in capo a determinati soggetti, ma a genericissimi principii che si vorrebbe guidassero i comportamenti di ciascuno rispetto alla tutela dell’ambiente nel suo complesso, in ogni suo aspetto, senza alcuna distinzione o specificazione.

La disposizione, pur priva a nostra valore di valore giuridico rispetto alla individuazione di posizioni di garanzia in capo ai privati cittadini, è tuttavia sintomatica dello spirito dei tempi, volto alla progressiva responsabilizzazione di tutti verso tutto l’ambiente.

In questa direzione spingono sia il più generale trend culturale che reclama più interventismo statale, sia il più specifico ma ancor più pressante trend verso il principio di effettività del diritto ambientale, di matrice comunitaria.

Spinte motivate da nobili propositi e da condivisibili preoccupazioni sullo stato del nostro pianeta, ma evidentemente pericolose per un diritto penale liberale, custode dei principi di tipicità e personalità della responsabilità, in linea di principio diffidente verso ipotesi di responsabilità penale per omissione, le più intrusive sulle scelte dei cittadini[43].

In contrapposizione ai principi garantistici richiamati si pongono peraltro effettive esigenze di tutela dell’assetto urbanistico e ambientale, rispetto alle quali il proprietario e altri soggetti titolari di diritti reali e/o di poteri di fatto potrebbero opportunamente essere investiti di espresse, specifiche posizioni di garanzia, a tutela di interessi che lo Stato e i suoi organi di prevenzione e repressione, data la diffusività delle condotte illecite e le molti fonti di pericolo, non sono in grado di tutelare efficacemente.

Per il futuro, dunque, nulla vieta al legislatore di introdurre specifici obblighi di impedimento di reati ambientali a carico di soggetti predeterminati, in presenza di peculiari situazioni di fatto, a condizione di dotarli di correlati poteri impeditivi.

Nel frattempo, eventuali lacune di tutela rispetto a condotte omissive – peraltro coerenti con un modello forse (solo) ideale di diritto penale liberale – non possono essere colmate dall’interprete, attraverso ardite letture di principi costituzionali quali la funzione sociale della proprietà o di generalissimi principii civilistici quali il neminem ledere.

Tanto più considerando che la disciplina civilistica e quella amministrativistica sembrano garantire un livello di effettività non inferiore a quella penale.

Così le Sezioni Unite civili hanno di recente affermato[44] che il riferimento contenuto nell’art. 14 D.lgs. n. 22/1997, e oggi dall’art. 192 D.lgs. n. 152/2006,  il quale prevede obblighi di rimozione, di rimessione in pristino e di bonifica che a certe condizioni fanno capo anche al proprietario, “va inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli – e per ciò stesso imporgli – di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata a evitare che l’area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell’ambiente…il requisito della colpa postulato da detta norma ben può consistere proprio nell’omissione degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area, così impedendo che possano essere indebitamente depositati rifiuti nocivi”.

La disciplina urbanistica, in caso di costruzione in assenza di permesso o in totale difformità prevede obblighi di demolizione, e in caso di inottemperanza l’acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio del Comune.

Esistono, insomma, norme e sanzioni extrapenali capaci di contrastare e reprimere condotte offensive dell’assetto del territorio e dell’ambiente, anche rispetto a comportamenti inerti del proprietario o di altri soggetti, senza “necessità” di scomodare il diritto penale.

L’esistenza di siffatte discipline extrapenali, tuttavia, non deve illudere l’interprete alla ricerca di conferme circa la pretesa vocazione sussidiaria del diritto penale.

Tutto al contrario, è paradossalmente la natura (anche e soprattutto) extrapenale delle posizioni di garanzia a incentivarne l’importazione talvolta acritica nello schema dell’art. 40 cpv. c.p., senza troppo distinguere tra contenuto e scopi dell’una e delle altre discipline, tra poteri e doveri, tra obblighi di garanzia e obblighi di sorveglianza.

5. Obblighi di impedimento di reati in materia di rifiuti da parte dei funzionari dell’A.R.P.A.?

Come anticipato (supra, 1), la Cassazione ha di recente affermato l’astratta configurabilità di responsabilità penale in capo a funzionarie dell’A.R.P.A., ex art. 40, co. 2, per reati (gestione abusiva di rifiuti e traffico organizzato di rifiuti) commessi da altri.

La pronuncia si collega idealmente ad un risalente filone giurisprudenziale che, in relazione a reati ambientali (inquinamento idrico), nonché a tutela del territorio (lottizzazione abusiva) e del paesaggio (art. 734 c.p.) [45], ha talvolta individuato posizioni di garanzia all’impedimento del reato altrui in capo a pubblici ufficiali (Sindaci, Assessori, notai)[46].

Censurando la contraria decisione del Tribunale del Riesame, la Corte ha ritenuto di individuare nell’art. 196 del D.lgs. 152/2006 la norma giuridica che fonda l’obbligo di impedimento del reato ambientale altrui.

Tale norma (o più correttamente l’art. 197) attribuisce alle Province, tra gli altri, i compiti di controllo e verifica degli interventi di monitoraggio ad essi conseguenti, nonché “il controllo periodico su tutte le attività di gestione…dei rifiuti, ivi compreso l’accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui alla parte quarta” del D.lgs. n. 152/2006.

Ai fini dell’esercizio delle proprie citate funzioni le province, in base all’art. 197, co. 2 D.lgs. n. 152/2006 “possono avvalersi, mediante apposite convenzioni di organismi pubblici, ivi incluse le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA)”.

L’art. 197 co. 5 specifica inoltre che le province (e dunque le ARPA) “sottopongono ad adeguati controlli periodici gli stabilimenti e le imprese che smaltiscono o recuperano rifiuti, curando, in particolare, che vengano effettuati adeguati controlli periodici sulle attività sottoposte alle procedure semplificate…e che i controlli concernenti la raccolta ed il trasporto di rifiuti pericolosi riguardino, in primo luogo, l’origine e la destinazione dei rifiuti”.

All’esame della normativa nazionale va aggiunto l’esame di quella regionale.

Nel caso di specie, l’art. 16 della legge regionale 3.3.1998 n. 6 del Friuli-Venezia Giulia specifica che il personale dell’A.R.P.A. cui il direttore abbia attribuito, con l’avallo del Prefetto, la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, collabora con il personale del Corpo forestale regionale nell’attività di accertamento e repressione delle violazioni in materia ambientale.

Alle suddette condizioni il personale dell’A.R.P.A, in quanto ufficiale di polizia giudiziaria rispetto ai reati ambientali, avrà i poteri e i doveri previsti dall’art. 55 c.p.p., tra i quali l’impedimento delle conseguenze ulteriori dei reati di cui sia venuto a conoscenza, la ricerca dei relativi autori, il compimento degli atti necessari per assicurare le fonti di prova.

Può dunque condividersi la tesi della Cassazione circa l’astratta configurabilità di responsabilità penale per omesso impedimento del reato (gestione abusiva di rifiuti o altro reato in materia di rifiuti) in capo a chi, pur sapendo dell’esistenza del fumus di un reato ambientale, e pur dotato di doveri-poteri di vigilanza e accertamento potenzialmente impeditivi del reato (attraverso il sequestro delle aree o dei mezzi in qualità di ufficiali di polizia giudiziaria, o quanto meno attraverso segnalazione all’Autorità giudiziaria), non attivi i poteri menzionati e rimanga inerte.

 

 

 

Prof. Carlo Ruga Riva, Associato di diritto penale,

Università degli Studi di Milano Bicocca

 

 


[1] La discussione è tradizionalmente incentrata, in particolare, sulla posizione degli appartenenti alle forze dell’ordine e dei genitori rispetto a reati commessi da o a danno dei figli. Per limitarsi alle monografie e ai saggi v. F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Padova, 1975, specie 122 ss.; G. FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979, specie 181 ss.; G. GRASSO, Il reato omissivo improprio. La struttura obbiettiva della fattispecie, Milano, 1983, specie 327 ss.; L. RISICATO, La partecipazione mediante omissione a reato commissivo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1995, specie 1274 ss.; BISORI, L’omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e nella giurisprudenza italiane, Riv. it. dir. e proc. pen., 1997, 1339 ss.; F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Dir. pen. e proc. 1999, 620 ss.; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999; L. RISICATO, Combinazione e interferenza di forme di manifestazione del reato, Milano, 2001, 56 ss., 376 ss.; F. MANTOVANI, L’obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi di legalità, solidarietà, di libertà e di responsabilità, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 337 ss.; N. PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penali nelle società per azioni. Posizioni di garanzia societarie e poteri giuridici di impedimento, Milano, 2003, specie 58 ss. ID, voce Obbligo di impedire l’evento, in CASSESE (diretto da) Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, 3857 ss.

[2] Per una rassegna giurisprudenziale dei diversi orientamenti v. G. REYNAUD, La disciplina dei reati urbanistici, Milano, 2007, 439 ss.;  P. TANDA, I reati urbanistico-edilizi, Padova, 2007, 15 ss.

[3] A. MONTAGNA, La individuazione delle posizioni di garanzie quale ulteriore strumento di tutela ambientale, Riv. giur. ambiente, 2004,  specie 625 ss.

[4] Come è noto, non manca chi nega, o comunque circoscrive a ben determinate tipologie di reato e/o di beni giuridici tutelati, la stessa configurabilità del concorso per omissione nel reato commissivo altrui, vuoi per ragioni di incompatibilità strutturale, vuoi per preoccupazioni garantistiche legate alla innegabile capacità espansiva della punibilità conseguente al combinarsi degli artt. 40 cpv. c.p. e 110 c.p.: cfr. FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte generale, IV ed., Bologna, 2001, 552. Nello stesso senso L. RISICATO, La partecipazione, cit.,  specie 1298 ss.

[5] Cass. 15 dicembre 2010, n. 1882, Zanello, in www.lexambiente.it

[6] Ritiene sufficiente l’indizio rappresentato dalla disciplina civilistica dell’accessione, secondo cui qualunque costruzione appartiene al proprietario del suolo, “in mancanza di ogni altra contraria risultanza probatoria”, Cass. sez. III, 24.05.2007, n. 35376. Per il diverso caso del comproprietario non committente, trattato nel successivo paragrafo, vedi analogamente Cass. sez. III, 12.07.1999, Cuccì, cit., ove, dopo aver elencato gli indici sintomatici del concorso del coniuge comproprietario non committente, si teorizza la responsabilità del medesimo a meno che egli “non provi in contrario che tali presupposti nel caso concreto per una qualsiasi causa non ricorrono…”.

[7] Cass. sez. III, 22.11.2007, n. 47083.

[8] Cass. sez. III, 24.05.2007, n. 35376.

[9] Cass. sez. III, 20.01.2004, RV 227403.

[10] Valorizza quest’ultimo elemento Cass. sez. III, 12.01.2007, n. 8667.

[11] Cass. sez. III, 5.07.2007, n. 33487.

[12] Cass., sez. III, 22.11.2007, n. 47083.

[13] M. MAZZOLENI, Procedimento per violazioni urbanistico edilizie: costituzione di parte civile del Comune leso e criteri per il risarcimento del danno, Ambiente@Sviluppo, 2006, 343.

[14] Cass. sez. III, 12.07.1999, n. 12163, Cuccì; nello stesso senso, con riferimento all’art. 41 co. 2 Cost. e non tanto all’art. 42 co. 2 Cost., Cass., sez. IV, 8.5.2009, n. 19714, con nota di A. SCARCELLA, Obbligo giuridico di impedire l’evento e responsabilità del proprietario ex art. 41 Cost., in Urbanistica e appalti, n. 11/2009, 1390 ss.

[15] Va comunque sottolineato che l’art. 29 citato nel testo limita la portata della disposizione ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel capo I del titolo IV, e dunque, almeno formalmente, a norme di natura non penale.

[16] Nello stesso senso F. GIUNTA, La posizione di garanzia, cit., 626 s., in relazione all’art. 2053 c.c. La parziale depenalizzazione dell’art. 677 c.p. non sposta ovviamente i termini del problema, dato che pacificamente la posizione di garanzia non deve necessariamente avere fonte nella legge penale.

[17] Cass. sez. III, 22.11.2007 n. 47083; Cass. n. 8407 del 2007, RV 236183; Cass. sez. III, 16.05.2000, Molinaro; Cass. sez. III, 4.4.1997, Celi; Cass. sez. III, 27.10.1995, Abbate; con riferimento al locatore Cass. sez. III, 11.11.1993, Minelli.

[18] F. PALAZZO,  Corso di diritto penale. Parte generale, III ed., Torino, 2008, 505; A. SCARCELLA, Obbligo giuridico, cit., 1398; G. REYNAUD, La disciplina, cit.,443. Contra, P. TANDA, Il reato, cit., 23.

[19] A. SCARCELLA, Obbligo giuridico, cit., 1398.

[20] Si veda la già citata Cass. sez. III, Cuccì, cit.: “risponde del reato di costruzione abusiva, per omissione causalmente rilevante, il proprietario del terreno su cui è realizzata la costruzione che, potendo intervenire, deliberatamente se ne astenga”.

[21] Cass. 12.04.2005, n. 2621, RV 231954; Cass. 8.10.2004, n. 216, RV 230660.

[22] Cfr. per una rassegna giurisprudenziale G. DE FALCO, Discarica abusiva: realizzazione, gestione e posizione del proprietario del fondo. La Cassazione interviene ancora, consultato in Industrieambiente.it 2008.

[23] Cass. sez. III, 30.09.2008, Saracino, n. 46072, in Ambiente@Sviluppo, n. 5/2009, 471 s; Cass. sez. III, 12.10.2005, Bruni, n. 2206: “il proprietario di un terreno abbandonato nel quale terzi depositino ripetutamente rifiuti, così come colui che subentra nella proprietà di un terreno adibito a discarica non autorizzata, non risponde dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata, anche in caso di mancata attivazione per la rimozione dei rifiuti, a condizione che non compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti”; Trib. Trani, 8.10.2009, n. 403, in Guida al diritto, 2010, n., 2, p. 99; GIP Bari 18.05. 2009, in De Jure.

[24] Cass. sez. III, 1.07.2002, Ponzio; Cass. Sez. fer., 13.08.2004, n. 44274.

[25] Trib. Trani 15.12.2003 e Corte di Appello Bari 29.09.2004, citate da Cass. sez. III, 12.10.2005, n. 2206, consultata in De Jure.

[26] Cass. sez. III, 12.10.2005, n. 2206.

[27] Cass. sez. III, 26.01.2007, n. 10484, Marinelli: in particolare dall’art. 14 D.lgs. n. 22/1997, il quale imponeva al proprietario obblighi solidali di rimozione dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi, la Corte deriva, a monte, un obbligo di impedimento di abbandoni e conferimenti di rifiuti altrui, a condizione sia provato il dolo o la colpa del proprietario, accertabile anche sulla base della mancata contestazione al momento della notifica dell’ordinanza di sgombero; analogamente Cass. Sez. III, 15.03.2005, n. 21966, con esplicito riferimento all’art. 3, co. 32 l. 549/1995, disciplinante la denuncia del proprietario agli organi regionali in caso di scoperta di discarica abusiva sul proprio fondo. Conforme in linea di principio Cass. sez. III, 29.05.2007, Campanari, n. 21097, ove peraltro la Corte precisa che il proprietario non si era limitato a rimanere inerte, ma aveva eseguito opere di livellamento ed era stato sorpreso in loco al momento del sopralluogo.

[28] Cass. sez. III, 9.07.2009, Riezzo, n. 36836, in Ambiente@Sviluppo, n. 4/2010, con nota critica di V. PAONE, Obblighi di controllo dei proprietari di terreni concessi in uso e gestione abusiva di rifiuti, 313 ss.

[29] Dalla stringata ricostruzione del fatto e dai sintetici richiami all’imputazione operati dalla Corte non è chiaro se l’imputato, oltre ad avere trasportato con mezzi di terzi la “pollina” proveniente dal produttore del rifiuto l’abbia anche conferita materialmente sul terreno di sua proprietà, concesso in uso alla ditta produttrice. Parrebbe inoltre che lo smaltimento sia stato effettuato materialmente dall’affittuario del fondo, posto che risulta che il medesimo è stato giudicato separatamente per smaltimento non autorizzato.

[30] Sulla problematica distinzione tra obbligo di garanzia e c.d. obbligo (o onere) di diligenza, v. la ricostruzione di I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, cit., 118 ss. Per la convergenza tra presupposti fattuali di operatività dell’art. 40 cpv. c.p. e dell’art. 43 c.p. v. F. SGUBBI, Responsabilità penale, cit., 160 ss.

[31] L’art. 1619 c.c. attribuisce un mero diritto di controllo al locatore circa l’osservanza degli obblighi incombenti sull’affittuario; salvo forse il caso, non risultante dal testo della pronuncia in esame, di espresso obbligo dell’affittuario-gestore dei rifiuti di munirsi di apposita autorizzazione, tale obbligo discende dal D. lgs. n. 152/2006 e la relativa osservanza non sembra dover essere garantita dal locatore.

[32] In base all’art. 178 co. 3 D.lgs n. 152/2006 tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo di beni da cui originano i rifiuti nel ciclo sono corresponsabili della loro gestione; l’art. 188 attribuisce gli oneri relativi alla attività di smaltimento a carico del detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore autorizzato o ad un soggetto che effettua le operazioni di smaltimento, nonché in capo ai precedenti detentori o del produttore. Obblighi di tenuta e compilazione dei registri sono prescritti in capo al trasportatore (art. 193 D.lgs n. 152/2006).

[33] Cfr. per tutti D. MICHELETTI, in F. GIUNTA (a cura di), Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, II ed., Padova, 2007, sub art. 257 D.LG. 3 aprile 2006, n. 152, 355.

[34] S. PANAGIA, Il reato di inquinamento dei siti industriali, Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, 1089, con riferimento al previgente art. 51-bis D.lgs. n. 22/1997, a condizione che il proprietario sia inadempiente all’obbligo di denuncia della discarica abusiva e che sia obbligato alla bonifica in via solidale con l’autore dell’inquinamento.

[35] Così lucidamente Cass. sez. III, 12.10.2005, Bruni, cit.

[36] D. MICHELETTI, in F. GIUNTA (a cura di), in Codice Commentato, cit., 365. Sulla distinzione tra obblighi di denuncia e di impedimento di reato vedi più in generale I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, cit., 152 s.

[37] Cass. sez. III, 21.01.2000, Rigotti, RV 215942, secondo la quale tutti i soggetti (committente lavori edilizi, appaltatore, proprietario dell’area) sarebbero coobligati, non potendo fare affidamento sulla condotta doverosa altrui; nello stesso senso Cass. sez. III, 27.11.2003, Turati.

[38] Cass. sez. III, 11.02.2010, n. 319, in www.lexambiente.it.

[39] La definizione di produttore di rifiuti oggi contenuta nell’art.  183 co. 1 lett. b) D.lgs. n. 152/2006, riferita al produttore iniziale e alla persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni, parrebbe alludere a condotte materiali, di creazione o trattamento del rifiuto.

[40] In linea di principio nega che il contratto possa costituire fonte di una posizione di garanzia, salvo costituisca strumento per attuare la delega dei contenuti dell’obbligo, F. GIUNTA, La posizione di garanzia, cit. 626; contra la tesi prevalente in dottrina, sulla quale v. per tutti F. MANTOVANI, L’obbligo di garanzia, 345 s.

[41] Contro l’ammissibilità di posizioni di garanzia aventi fonte in atti amministrativi v. per tutti F. MANTOVANI, L’obbligo di garanzia, 344.

[42] “La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche e private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio “chi inquina paga” che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”.

[43] Cfr. G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale, cit., 538 ss.; sottolinea l’esistenza di doveri di solidarietà, anche di natura costituzionale, come fondamento possibile della responsabilità per omissione, D. PULITANO’, Diritto penale, III ed., Torino, 2009, 237.

[44] Cass. Sez. Un. civili, 17.02.2009, Consorzio di bonifica dell’Agro Pontino c. Commissario prefettizio del Comune di Pontinia e altri, in Riv. giur. amb., 2010, 976 ss., con nota di G. TADDIA.

[45] Pret. Tirano, 4.2.1985, Ricotti, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1987, 1085 ss., con nota critica di A.L. VERGINE, Riflessioni critiche su una particolare ipotesi di concorso nel reato di distruzione di bellezze naturali.

[46] Per una rassegna giurisprudenziale v. L. BISORI, L’omesso impedimento, cit., 1355 ss.