Tutela della biodiversita’ e reati ambientali. il caso della pesca abusiva di oloturie nei fondali del Salento
Nota a Corte di Cassazione, sez. III penale, num. 18934/2017

di Antonella STORTI

  1. Premessa

Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, in estrema sintesi, concerne l’impugnazione dell’ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Taranto rigettava i ricorsi avverso il provvedimento di sequestro emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città, avente per oggetto degli immobili adibiti a magazzino e mezzi di trasporto, nonché tutti gli esemplari di oloturie – comunemente note come cetrioli di mare – presenti presso i locali e mezzi di trasporto in questione.

In particolare, ai ricorrenti venivano contestati i reati di cui agli artt. 416, 81, 452-bis, 452-quater, comma 2, nn. 1 e 2 c.p. ed il reato di cui all’art. 256 d.lgs. 152/2006, per essersi associati tra loro e con altre persone allo scopo di operare, per finalità commerciali, la pesca abusiva di tonnellate di esemplari dei predetti cetrioli di mare, “asportando totalmente dai fondali marini attaccati tale specie ittica e cagionando, così, un grave danno alla biodiversità presente nei tratti di mare interessati, nonché l’alterazione grave ed irreversibile dell’ecosistema marino, operando poi lo smaltimento illecito dei residui, qualificabili come rifiuti speciali, gettandoli in mare o in località sconosciute 1.

Due dei tre ricorrenti, congiuntamente, con un unico motivo di ricorso deducevano l’esercizio, da parte del giudice, di una potestà spettante, ex lege, ad organi legislativi o amministrativi, nonché violazione di legge e vizio di motivazione, evidenziando che i giudici si sarebbero sostituiti al legislatore, basando la propria decisione su un inesistente divieto di pesca e commercio delle oloturie, che risulterebbe dagli atti nonché dalla relazione tecnico scientifica del CNR – IAMC. Inoltre, sottolineavano la mancanza, in Italia, di studi condotti sulle conseguenze cagionate dalla pesca di tale specie marina, ritenendo, pertanto, impossibile, stimare l’entità del danno all’ecosistema, all’ambiente ed all’equilibrio ecologico dalla stessa derivanti. Deducevano, poi, l’errata valutazione del fumus dei reati ipotizzati. Sostenevano, infine, che le oloturie sono una specie notevolmente diffusa e, pertanto, non inclusa tra quelle in via di estinzione, non essendo, di talché, configurabili i reati di disastro ambientale ed inquinamento ambientale.

Il terzo ricorrente, con un primo motivo di ricorso deduceva la mancanza di un’autonoma valutazione dei presupposti di applicabilità della misura cautelare reale ad opera del GIP; con un secondo motivo di ricorso sosteneva che il Tribunale avesse fatto esclusivo riferimento alla relazione tecnico – scientifica richiesta dal PM ai fini della valutazione del fumus, ignorando che nella stessa venisse documentata l’assenza di studi scientifici circa le conseguenze sull’ecosistema derivanti dalla pesca di oloturie. Pertanto, secondo il ricorrente, mancherebbero gli elementi costitutivi dei reati ipotizzati, precisando che le condotte contestate agli altri indagati non sarebbero a lui estensibili.

  1. L’inquinamento ambientale

Il delitto di inquinamento ambientale è previsto e punito dall’art. 452-bis c.p., che, al primo comma, incrimina la condotta di chiunque, abusivamente, cagioni una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:

1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

“Il delitto di inquinamento ambientale rappresenta una figura totalmente nuova, ignota al precedente panorama legislativo ambientale.

La fattispecie in esame si aggiunge alle ipotesi di reato contravvenzionale costruite sul modello del superamento dei valori tabellari (cfr. ad es. art. 137, co. 5 e art. 279, co. 2, t.u.a.) o di esercizio di determinate attività senza autorizzazione (v. ad es. art. 256 t.u.a.), collocandosi ad un livello di offesa all’ambiente superiore, connotato dalla compromissione o deterioramento significativi e misurabili. 2

La fattispecie oggetto d’esame ha natura di reato di evento, a forma libera e può riguardare sia una sola matrice ambientale che un ecosistema considerato nel suo complesso; l’evento di compromissione o deterioramento summenzionato deve essere collegato dal punto di vista causale ad una condotta abusiva.

“La "compromissione" e il "deterioramento", di cui al delitto di inquinamento ambientale in esame, consistono in un'alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell'ecosistema, caratterizzata, nel caso della "compromissione", da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell'ecosistema medesimi e, nel caso del "deterioramento", da una condizione di squilibrio "strutturale", connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi. 3

Con riguardo alla condotta tipica, in particolare, la Suprema Corte ha avuto modo di puntualizzare che: “Ai fini dell'integrazione del reato di inquinamento ambientale, non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno, cosicché fino a che tale irreversibilità non si verifica, le condotte poste in essere successivamente all'iniziale "deterioramento" o "compromissione" del bene non costituiscono "post factum" non punibile, ma integrano singoli atti di un'unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione del reato. 4

La condotta può essere anche omissiva, in presenza di prescrizioni normative che pongano in capo a determinati soggetti un obbligo giuridico di impedire contaminazioni ambientali.

Il Legislatore, nel descrivere la modalità di esplicazione della condotta tipica, utilizza l’avverbio “abusivamente”. Tale termine è stato fortemente criticato in dottrina, rilevando che una clausola così restrittiva avrebbe l’effetto di attribuire rilevanza penale alle sole condotte non autorizzate; più precisamente, si è osservato che: “punire solo chi cagiona abusivamente un disastro ambientale o un inquinamento rilevante, significherebbe, cioè, a contrario, accettare che possa essere lecito o, addirittura, autorizzato un disastro ambientale (con morti, devastazioni ecc.). Purché non sia "abusivo". 5

Sul punto, occorre rilevare che anche per il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, di cui all’art. 260 del d.lgs. 152/2006, il Legislatore aveva utilizzato l’avverbio “abusivamente” e, pertanto, è possibile utilizzare i risultati interpretativi raggiunti dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla norma citata, tenendo presente che quest’ultima è stata applicata a molteplici condotte poste in essere con svariate modalità esecutive. “E' infatti evidente che la mera disponibilità di un titolo abilitativo, ora, come in precedenza, non potrà rendere lecite determinate condotte, non soltanto perché certi eventi, specie se di rilievo, sono quasi sempre il risultato di una non corretta osservanza di disposizioni prescrittive contenute nelle stesse autorizzazioni, ma anche perché resta sempre al giudice penale la possibilità di valutare la validità e l'efficacia dell'atto autorizzatorio secondo principi, ormai consolidati e frequentemente applicati proprio con riferimento ai reati ambientali. 6

La Suprema Corte ha offerto un’analisi concettuale dell’avverbio in esame, rimarcando come per condotta “abusiva” di inquinamento ambientale, di cui all’art. 452 bis c.p., non si intenda soltanto quella svolta in assenza delle autorizzazioni richieste ex lege, oppure in virtù di autorizzazioni scadute ovvero manifestamente illegittime, ovvero, ancora, non adeguate alla tipologia di attività richiesta, “ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali – ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale – ovvero di prescrizioni amministrative. 7

Altro aspetto di fondamentale rilevanza è quello relativo al risultato derivante dalla predetta condotta abusiva, la quale deve cagionare una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili di determinati beni ambientali.

Tali termini appaiono poco specifici e, pertanto, possono essere oggetto di una pluralità di interpretazioni.

Per compromissione, s’intende che la condotta tipica deve generare un rischio od un pericolo per i beni ambientali, mentre il termine deterioramento “implica, sempre per il suo significato testuale (che poi è quello preso comunemente in considerazione per il danneggiamento), un’alterazione dell’originaria consistenza di una cosa che peggiora lo stato o il valore. 8

Anche l’impiego dei termini “significativi” e “misurabili” affidano all’interprete il compito di definire l’ambito definitorio della nozione in esame; dal significato testuale dei termini, si evince, in ogni caso, che la situazione di pericolo o di danno deve essere rilevante da un punto di vista quantitativo.

Infine, per completezza espositiva, si rammenta che l’ultimo comma dell’art. 452 bis c.p. prevede una circostanza aggravante relativa al caso in cui l’inquinamento sia prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette.

  1. Il disastro ambientale

Il disastro ambientale è previsto e punito dall’art. 452-quater c.p., a norma del quale, al di fuori dei casi previsti dall’art. 434 c.p., integrano la fattispecie in esame, alternativamente, le seguenti condotte:

  1. L’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;

  2. L'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;

  3. L'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

La norma prevede poi, all’ultimo comma, una circostanza aggravante, per i casi in cui il disastro sia prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali.

Come può agevolmente notarsi, la disposizione si apre con una clausola di riserva che mira ad evitare l’effetto di lasciare vuoti di tutela con riguardo a fatti di grave contaminazione ambientale non rientranti nell’ambito di applicazione della norma in esame. Occorre, infatti, tenere presente, che la fattispecie di disastro innominato è ben diversa da quella di disastro ambientale, la quale descrive in maniera molto puntuale l’evento di disastro ambientale e lo pone quale elemento alternativo all’offesa alla pubblica incolumità. Inoltre, le due fattispecie sono strutturalmente differenti, dal momento che l’art. 434 comma 1 contempla una figura di “attentato, incriminando atti diretti a provocare un disastro. L’art. 452-quater c.p. prevede, invece, una fattispecie di evento (disastro verificatosi), paragonabile strutturalmente all’art. 434 comma 2 c.p. (e all’art. 449 c.p.)” 9

Anche nella disposizione in commento il Legislatore ricorre all’utilizzo dell’avverbio “abusivamente”. Sul punto, vale la pena richiamare le precisazioni che sono state svolte con riguardo al reato di inquinamento ambientale.

La fattispecie di disastro ambientale si fonda sulla produzione di tre eventi alternativi, di cui, i primi due di danno e l’altro di pericolo.

Con riguardo alla tecnica redazionale utilizzata dal Legislatore per la disposizione normativa in esame, la dottrina ha avuto modo di rilevare ed apprezzare lo sforzo di costruzione analitica e puntuale della fattispecie, pur non esimendo la norma da critiche, relative alla genericità delle formule linguistiche impiegate 10.

Il n. 1 dell’art. 452-quater richiede che l’alterazione rilevante sia “irreversibile.” Ciò vuol dire che, sulla base di un giudizio prognostico, deve potersi stabilire l’impossibilità di ripristinare l’equilibrio ecologico alterato; si tratta, peraltro, di un esame particolarmente complesso, richiedente valutazioni scientifiche non agevoli.

Il n. 2 della stessa norma, però, precisa che integra disastro ambientale anche un’alterazione che non sia irreversibile, ma la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti non eccezionali.

Anche il terzo evento di disastro ha posto non pochi problemi interpretativi, soprattutto per quanto concerne la formula “le persone offese o esposte a pericolo.” Sul punto, la dottrina ha rilevato come, stando a un’interpretazione puramente testuale della disposizione, la stessa dovrebbe ritenersi riferita sia alle persone esposte a pericolo che ai casi di lesioni o morte. In realtà, però, una simile interpretazione è stata scartata in favore di quella secondo la quale, “il lemma “persone offese o esposte a pericolo” costituisce una endiadi, o al più comprenda messe in pericolo di un numero sia indeterminato che determinato di persone, ma non alluda in ogni caso a morti o lesioni effettive 11”.

Ad un simile risultato, si è giunti sulla base degli argomenti che seguono.

Anzitutto, sul piano sistematico il delitto in esame prevede una pena relativamente bassa per un evento di morte o lesioni cagionate dolosamente, nonché più lieve rispetto a quella di inquinamento doloso aggravato dall’evento di morte o lesione di persone.

Inoltre, come precisato dalla stessa formulazione normativa, si tratta di offesa alla pubblica incolumità e non all’integrità fisica; si è rilevato, peraltro, a giusta ragione, che qualora il legislatore intendesse punire morti o lesioni lo avrebbe fatto espressamente.

L’elemento soggettivo del reato in esame consiste nella coscienza e volontà di cagionare uno dei tre eventi previsti alternativamente dalla norma incriminatrice, nonché di agire abusivamente o in contrasto con le prescrizioni contenute nell’autorizzazione ovvero, ancora, con le normative di settore.

Per quanto concerne il momento consumativo, esso coincide con il verificarsi di uno dei tre eventi alternativi tipizzati dalla norma.

4. L’illecita gestione di rifiuti

L’art. 256 D.Lgs. n. 152/2006 incrimina l’attività di gestione dei rifiuti in assenza di autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui alla relativa disciplina amministrativa e prevede le sanzioni alternative dell’arresto o dell’ammenda, ovvero sia la sanzione dell’arresto che quella dell’ammenda, in base alla tipologia di rifiuti (pericolosi o non pericolosi) oggetto della condotta.

La fattispecie in esame ha natura di reato di pericolo astratto, dal momento che vengono punite le condotte di esercizio di attività al di fuori del controllo preventivo ad opera della pubblica amministrazione, anche se in concreto le attività in questione vengano svolte nel rispetto dell’ambiente.

Si tratta di un illecito istantaneo, quindi, come chiarito anche dalla Suprema Corte, ai fini della sua configurabilità è sufficiente anche una sola condotta che integri una delle ipotesi alternativamente previste dalla norma, affinché si sia in presenza di un’attività di gestione di rifiuti e la condotta in esame non sia del tutto occasionale 12.

Per quanto concerne le caratteristiche che deve avere la condotta affinché sia punibile ex art. 256 comma 1, d.lgs. 152/2006, la giurisprudenza ha evidenziato l’irrilevanza della qualifica soggettiva dell’agente e, di contro, la necessità che l’attività sia posta in essere in assenza dei prescritti titoli abilitativi, purché non sia caratterizzata da assoluta occasionalità. 13

5. La tutela della biodiversità

“Per diversità biologica o biodiversità si intende la variabilità tra tutti gli organismi viventi, inclusi, ovviamente, quelli del sottosuolo, dell’aria, gli ecosistemi acquatici, terrestri e marini ed i complessi ecologici dei quali fanno parte; questa include la diversità all’interno delle specie, tra le specie e degli ecosistemi. 14

La tutela della biodiversità ha trovato una rilevante fonte di regolamentazione nel diritto comunitario; il fulcro della tutela approntata dal Legislatore Europeo alla materia in esame si rinviene nelle due note direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 (poi sostituita dalla Direttiva 2009/147/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 novembre 2009), relativa alla conservazione degli uccelli selvatici, meglio conosciuta come “Direttiva uccelli” e la Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 Maggio 1992, inerente alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, della flora e della fauna selvatiche, nota come “Direttiva habitat”.

Questa disciplina normativa non offre uno spettro di tutela ampio, involgente la biodiversità, essendo, al contrario, caratterizzata da una protezione di tipo settoriale, anche se, ai sensi dell’art. 3 della Direttiva 2009/147/CE gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie per preservare, mantenere o ristabilire, anche una varietà e una superficie sufficienti di habitat.

Occorre, però, precisare, che l’azione dell’Unione Europea non si è limitata alla realizzazione degli obiettivi specifici individuati dalle direttive menzionate, ma si è dedicata anche alla diversità biologica ed alle funzioni che ne discendono, mediante strumenti di formazione di ampio respiro.

Anzitutto, la conservazione della biodiversità è stata inserita tra gli obiettivi principali del Sesto programma d’azione per l’ambiente, relativa al periodo compreso tra il 22 Luglio 2002 ed il 21 Luglio 2012.

A tal proposito, il 22 Maggio 2006 la Commissione ha adottato una Comunicazione intitolata “Arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 e oltre – sostenere i servizi eco sistemici per il benessere umano”; la comunicazione de qua, era volta a preservare e tutelare la diversità biologica, garantendo un adeguato finanziamento ad attività rivolte a tale scopo e creando una partnership, per realizzare un’opera di sensibilizzazione e partecipazione del pubblico.

Poiché gli obiettivi predisposti per il 2010 non sarebbero stati raggiunti, è stato adottato un nuovo approccio nella comunicazione “Soluzioni per una visione e un obiettivo dell’UE in materia di biodiversità dopo il 2010.”

Con tale atto veniva fissato un primo obiettivo per il 2020, avente lo scopo di arrestare la perdita della diversità biologica ed il degrado dei servizi ecosistemici nell’Unione Europea e di potenziare l’apporto comunitario al problema della prevenzione della perdita della biodiversità a livello mondiale. Come ha rilevato la dottrina, si tratta, pertanto di “una visione a lungo termine, secondo la quale entro il 2050 la biodiversità nell’Unione Europea ed i servizi ecosistemici che fornisce – il suo capitale naturale – saranno protetti, valutati e opportunamente ripristinati, sia per il valore intrinseco della biodiversità, sia per il contributo essenziale che danno al benessere umano ed alla prospettiva economica, e così da evitare i mutamenti catastrofici causati dalla perdita di biodiversità. 15

Il 3 Maggio 2011, alla luce degli impegni assunti, è stata adottata la nuova strategia europea sulla biodiversità, tramite la comunicazione della Commissione “La nostra assicurazione sulla vita, il nostro capitale naturale: strategia dell’UE sulla biodiversità fino al 2020.”

La menzionata strategia è basata su sei obiettivi interdipendenti tra di loro, tutti miranti a bloccare la perdita della diversità biologica ed il degrado dell’ecosistema; ciascuno dei predetti obiettivi, però, si occupa di uno specifico settore.

Premessa una doverosa panoramica sull’apporto comunitario alla tutela della biodiversità, occorre dar conto che la stessa è tutelata anche a livello nazionale.

In particolare, l’Italia ha recepito le due direttive “Uccelli” e “Habitat”, rispettivamente con legge 22 febbraio 1992, n. 157 e D.P.R. n. 357 del 1997.

Con l’ingresso nel nostro ordinamento della succitata normativa, si è verificata una significativa evoluzione dell’attività venatoria, il cui esercizio non è più qualificabile alla stregua di un diritto soggettivo; al contrario, lo stesso è consentito a condizione che non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica.

Altro tassello fondamentale per l’opera di tutela della biodiversità a livello interno è la normativa in materia di aree protette, disciplinata dalla legge n. 394 del 1991, la quale ha lo scopo di tutelare il patrimonio naturale tramite la creazione di aree naturali protette, volte a garantire la conservazione di specie animali o vegetali o di equilibri ecologici e a favorire l’integrazione tra l’uomo e l’ambiente naturale. Inoltre, la tutela normativa della biodiversità in Italia ha visto una significativa evoluzione con l’adozione della Strategia Nazionale per la Biodiversità, che si colloca nel quadro degli impegni assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione sulla Diversità Biologica.

“La strategia, riconoscendo il valore intrinseco della Biodiversità e la sua importanza essenziale per il benessere umano, vuole essere uno strumento di integrazione delle esigenze di conservazione e uso sostenibile delle risorse naturali nelle politiche nazionali di settore. 16” E’ orientata intorno a tre tematiche cardine, ossia: biodiversità e servizi eco sistemici; biodiversità e cambiamenti climatici; biodiversità e politiche economiche; è concepita per trovare attuazione nel periodo 2011-2020 e prevede la redazione di un rapporto sulla sua attuazione con cadenza biennale, nonché la predisposizione di un sistema di monitoraggio periodico volto a stimare l’impatto delle politiche adottate e l’efficienza ed efficacia degli obiettivi specifici che la strategia si propone di realizzare.

6. La decisione

La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto infondati i ricorsi sottoposti al proprio vaglio di legittimità, sulla base delle motivazioni che verranno di seguito esposte.

Anzitutto, si è rammentato come il ricorso per cassazione proposto avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro possa essere proposto soltanto per violazione di legge e non anche per vizio di motivazione, di cui all’art. 606 lett e) c.p.p.; occorre, però, tenere presente che la mancanza assoluta di motivazione ovvero una motivazione puramente apparente rientrano nell’ambito della violazione di legge, in quanto attengono all’inosservanza di specifiche norme procedurali.

Con riguardo alla doglianza di parte ricorrente secondo cui il G.I.P. non avrebbe effettuato una valutazione autonoma, rispetto alle considerazioni del Pubblico Ministero, in ordine ai presupposti per applicare la misura cautelare reale, la Corte ha evidenziato come il Tribunale abbia, in realtà, operato una propria valutazione critica, seppur riproducendo i presupposti di fatto delle considerazioni del P.M., adoperando una terminologia differente. E ciò in ossequio ad un principio giurisprudenziale per cui “vi è la necessaria autonoma valutazione da parte del giudice anche quando questi ripercorra, motivando per relationem, gli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del pubblico ministero, purché dia conto del proprio esame critico dei predetti elementi e delle ragioni per cui egli li ritenga idonei a supportare l’applicazione della misura. 17

Viene, poi, posto in rilievo come il Tribunale abbia “preso in considerazione gli esiti dell’indagine scientifica al fine di individuare la consistenza del fenomeno oggetto di indagine ed il conseguente impatto dello stesso sull’assetto ambientale, dati fattuali di cui necessitava per valutare la sussistenza del fumus dei reati, dando peraltro conto più volte del fatto che l’attività di pesca delle oloturie non è oggetto di divieto.18

Ed, infatti, i giudici del riesame hanno fatto più volte riferimento alle attività investigative, con conseguenti sequestri di mezzi ed attrezzature, fornendo un quadro della portata del fenomeno, anche grazie al richiamo alle modalità di pesca – effettuata altresì con mezzi vietati – ed alla violazione delle norme igienico-sanitarie nelle successive fasi di lavorazione delle specie pescate.

Il Tribunale per il riesame, peraltro, ha dato atto più volte dell’inesistenza di uno specifico divieto normativo di pesca dei cetrioli di mare, evidenziando che, dalla relazione del C.N.R. – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero di Taranto, era emerso che le oloturie svolgono un ruolo di non poco momento nell’ecosistema, consistente nella “depurazione degli inquinanti batterici presenti nell’ambiente marino 19.”

Ne discende che, la pesca indiscriminata di tale specie, con conseguente estinzione di una o più generi di oloturie presenti in una data zona, ha come conseguenza la diminuzione della diversità biologica, con perdita dell’indispensabile apporto offerto da queste ultime all’ambiente marino, compromettendo la funzionalità dell’ecosistema.

Il Collegio ribadisce, peraltro, come il Tribunale del riesame abbia assegnato alla citata relazione un valore di contributo tecnico volto ad una giusta individuazione del ruolo svolto dai cetrioli di mare nell’ecosistema e basa, poi, le proprie valutazioni su specifici dati fattuali e considerazioni che la Corte condivide, sia con riferimento alle modalità di esplicazione del fenomeno che all’abusività della condotta.

Infatti, è rilevante il fatto che le oloturie non venissero vendute nel mercato interno, bensì esportate, “con la conseguenza che la reiterata e consistente attività di pesca dello specifico prodotto ittico deve ritenersi effettuata su incarico e per conto delle società degli indagati che, stabilmente inseriti nel mercato, sono in grado di assicurarne l’esportazione, poiché diversamente i singoli pescatori non si sarebbero dedicati ad un’attività priva di sbocchi commerciali e non ricompresa tra quelle abitualmente poste in essere. 20

Con specifico riguardo, poi, all’abusività della condotta, di cui agli articoli 452-bis e 452-quater c.p., pare, in questa sede, inopportuno ripetere quanto già esposto in precedenza, circa il dibattito creatosi al riguardo. Ci si limiterà, pertanto, a sottolineare che la Suprema Corte condivide la valutazione operata dal Tribunale, perché in linea con la giurisprudenza di legittimità; più precisamente, quest’ultimo, nel caso di specie, ha rilevato la sussistenza del predetto elemento nell’utilizzo di una strumentazione vietata per la pesca, ovvero nella mancanza di titoli abilitativi; tali presupposti sono stati riscontrati in sede di controlli effettuati. I giudicanti, peraltro, negano qualunque rilievo all’inesistenza di un divieto di pesca dei cetrioli di mare, in quanto quest’ultimo sarebbe da tenere in considerazione, eventualmente, nel successivo giudizio di merito, in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati.

Infine, viene analizzata dettagliatamente la portata del fenomeno di pesca delle oloturie, definito di dimensioni “mastodontiche” ed “esorbitanti” “dando atto che la quantità del pescato ammonta, nell’ultimo anno, ad un quantitativo certamente superiore alle trecento tonnellate, il che, se rapportato ai contenuti della relazione tecnico scientifica di cui si è detto in precedenza, consente, secondo il Tribunale, di ritenere integrato il fumus dei reati di danno contestati. 21” Bisogna, altresì, tenere presente un dato posto in evidenza dal Tribunale e non di poca rilevanza, consistente nel progressivo spostamento dei pescatori, dalle abituali zone di pesca, verso il confine con la provincia di Lecce. E ciò a riprova del concreto depauperamento dei fondali, al punto da consentire di ritenere che la pesca di oloturie stia davvero cagionando l’estinzione di tal specie.

Il Supremo Collegio, ritiene che l’attività di pesca delle oloturie fosse senza dubbio lecita, però effettuata con mezzi vietati o da parte di soggetti sprovvisti di titolo ed è in questo, come già anticipato in precedenza, che consiste l’abusività della condotta. Tale verifica è ritenuta sufficiente in sede di riesame. Di conseguenza, nella pronuncia in commento viene affermato il principio per cui: “rientra tra le condotte “abusive” richieste per la configurabilità di alcuni delitti contro l’ambiente l’esercizio di attività di pesca che, seppure non vietata, viene effettuata con mezzi vietati o da soggetti privi dei necessari titoli abilitativi.”

Sulla base della descrizione delle modalità di esplicazione della condotta tipica, la Suprema Corte ha osservato come quest’ultima sia stata giustamente ritenuta causa di una compromissione o deterioramento significativi e misurabili, in quanto, anche alla luce del ruolo svolto dalle oloturie nell’ecosistema, il Tribunale ha tenuto debito conto della quantità di esemplari pescati e della diffusione del fenomeno. Da ciò discende, citando le parole della pronuncia in commento, che “il depauperamento della fauna in una determinata zona con una drastica eliminazione degli esemplari ivi esistenti implica una compromissione o un deterioramento, nei termini dianzi specificati, dell’ecosistema, da intendersi, in assenza di specifica definizione, quale equilibrata interazione tra organismi, viventi e non viventi, entro un determinato ambito, ovvero, secondo la definizione datane in un passato non recente dalla giurisprudenza di questa Corte, di «ambiente biologico naturale, comprensivo di tutta la vita vegetale ed animale ed anche degli equilibri tipici di un habitat vivente» o, quanto meno, della fauna stessa singolarmente intesa.” 22

Poste queste premesse, del tutto priva di rilievo è la precisazione per cui le oloturie non fossero individuate tra le specie in via di estinzione.

7. Conclusioni

Con la pronuncia annotata, la Suprema Corte ha ribadito principi giurisprudenziali già consolidati, precisando ed offrendo ulteriore specificazione dell’ambito di applicazione delle fattispecie esaminate, con particolare riferimento all’interpretazione di locuzioni, come si è visto, oltremodo generiche ed ostiche per il cultore della materia.

Inoltre, il Collegio ha avuto occasione per rimarcare il fondamentale ruolo rivestito dalle oloturie nell’ecosistema marino, dando soluzione ad una vicenda non poco travagliata, la quale, per le modalità di esplicazione del fenomeno criminoso, mette seriamente a rischio la diversità biologica, oggetto di tutela sovranazionale, prim’ancora che a livello interno.

Infine, per completezza espositiva, occorre dar conto del fatto che la Corte di Cassazione ha rigettato, sulla base di un ragionamento analogo a quello offerto nella sentenza in questa sede commentata con sentenza n. 18937/2017, un ricorso, trattato anch’esso nella medesima udienza ed attinente a fatti accertati nell’ambito delle stesse indagini.

1 Corte di Cassazione, sez. III penale, n. 18934/2017

2 Così RUGA RIVA C.,Il nuovo delitto di inquinamento ambientale, in www.lexambiente.it e RUGA RIVA C., Diritto penale dell’ambiente, Giappichelli, Torino 2016, pg. 240.

3 Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza n. 46170/2016.

4 Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza n. 1015/2016.

5 AMENDOLA G., Delitti contro l’ambiente: arriva il disastro ambientale “abusivo ” in www.lexambiente.it

6 RAMACCI L., Prime osservazioni sull’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della legge 22 maggio 2015 n. 68 , in www.lexambiente.it

7 Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza n. 46170/2016.

8 RAMACCI L., Prime osservazioni sull’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della legge 22 maggio 2015 n. 68 , in www.lexambiente.it

9 RUGA RIVA C., Il nuovo disastro ambientale: dal legislatore ermetico al legislatore logorroico , in www.lexambiente.it Sulla distinzione tra l’art. 434 c.p. e l’art. 452-quater c.p. si vedano anche RAMACCI L., Prime osservazioni sull’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della legge 22 maggio 2015 n. 68 , in www.lexambiente.it e RUGA RIVA C., Diritto penale dell’ambiente, Giappichelli, Torino 2016, pg 262.

10 Si veda, in proposito, la puntuale analisi di RUGA RIVA C., Il nuovo disastro ambientale: dal legislatore ermetico al legislatore logorroico , in www.lexambiente.it

11 Ibidem.

12 Cfr. Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza n. 8193/2016, dove la Suprema Corte ha escluso l’occasionalità della condotta in base al presupposto che, pur essendo stato effettuato il trasporto in un’unica soluzione, l’elevata quantità di rifiuti metteva in evidenza lo svolgimento di un’attività commerciale implicante un’organizzazione , seppur rudimentale, necessaria alla preliminare raccolta e selezione dei materiali.

13 Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza n. 5716/2016.

14 Convenzione sulla diversità biologica, Rio de Janeiro 1992.

15 FARI’ A., Beni e funzioni ambientali. Contributo allo studio della dimensione giuridica dell’ecosistema. Jovene Editore, Napoli, 2013. Pg. 132.

16 Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del mare, Breve guida alla strategia nazionale per la biodiversità, in www.miniambiente.it

17 Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza n. 35296 del 2016.

18 Stralcio della sentenza in commento, Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza n. 18934 del 2017.

19 Ibidem.

20 Ibidem.

21 Ibidem.

22 Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza n. 3147 del 4/2/1993, PM. in proc. De Lieto, Rv. 1936380.