Corte di Giustizia (Ottava Sezione) sent. 8 novembre 2007

«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 2001/42/CE – Valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente – Mancata trasposizione entro il termine prescritto»

Commissione delle Comunità europee contro Repubblica Italiana
Nella causa C‑40/07,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 1° febbraio 2007,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra D. Recchia e dal sig. J.-B. Laignelot, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dall’avv. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. S. Fiorentino, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Ottava Sezione),

composta dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, facente funzione di presidente dell’Ottava Sezione, dai sigg. E. Juhász e T. von Danwitz (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con il ricorso in oggetto la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, non avendo messo in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27 giugno 2001, 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente (GU L 197, pag. 30; in prosieguo: la «direttiva»), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza dell’art. 13, n. 1, della direttiva medesima.

2 Ai sensi dell’art. 13, n. 1, della direttiva, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva stessa prima del 21 luglio 2004 e ne informano immediatamente la Commissione.

3 Non essendo stata informata in ordine alle misure adottate dalla Repubblica italiana per conformarsi alla direttiva e non disponendo di altri elementi che le consentissero di ritenere che fossero state adottate le misure necessarie alla trasposizione di tale direttiva nell’ordinamento giuridico interno di detto Stato membro, la Commissione avviava il procedimento per inadempimento previsto dall’art. 226 CE.

4 Dopo aver inviato alla Repubblica italiana una lettera di diffida in data 13 dicembre 2004, il 5 luglio 2005 la Commissione emanava un parere motivato, invitando tale Stato membro ad adottare le misure necessarie per conformarsi al medesimo entro un termine di due mesi a decorrere dalla sua notificazione.

5 Non avendo ricevuto risposta alcuna al parere motivato e in mancanza di elementi che le consentissero di ritenere che le misure necessarie alla trasposizione della direttiva nell’ordinamento giuridico interno fossero state adottate dalla Repubblica italiana, la Commissione decideva di proporre dinanzi alla Corte un ricorso, registrato presso la cancelleria con il numero C-81/06.

6 Nel controricorso, in esito al quale la Commissione aveva rinunciato agli atti nella detta causa, la Repubblica italiana aveva fatto presente che la direttiva era stata trasposta nel suo ordinamento giuridico interno con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale (GURI n. 88 del 14 aprile 2006), la seconda parte del quale conteneva, in particolare, le misure di trasposizione di tale direttiva.

7 Il 31 agosto 2006, la Corte ordinava la cancellazione della causa C-81/06 dal ruolo e condannava la Repubblica italiana alle spese.

8 Successivamente, essendo venuta a conoscenza del fatto che la Repubblica italiana aveva sospeso l’entrata in vigore della seconda parte del decreto legislativo n. 152, volto a garantire la trasposizione della direttiva nell’ordinamento giuridico interno, dapprima sino al 31 gennaio 2007 e, in seguito, sino al 31 luglio 2007, la Commissione decideva di adire nuovamente la Corte e proponeva il presente ricorso.

9 Nel controricorso, la Repubblica italiana dichiara espressamente di non contestare i fatti esposti nel ricorso, ma fa valere che il differimento dell’entrata in vigore della seconda parte di detto decreto legislativo è dovuta, in particolare, alla complessità della materia in esame ed alla necessità di riformare il proprio diritto interno.

10 Risulta da tutto quanto precede che, alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, data alla quale dev’essere valutata l’esistenza di un inadempimento (v., in particolare, sentenze 14 settembre 2004, causa C‑168/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑8227, punto 24, e 27 ottobre 2005, causa C‑23/05, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I‑9535, punto 9), le misure necessarie per garantire la trasposizione della direttiva nell’ordinamento giuridico interno non erano state adottate.

11 Peraltro, l’argomento addotto dalla Repubblica italiana, attinente alla complessità della materia in esame ed alla necessità di riformare il diritto interno, non può essere accolto.

12 Infatti, secondo una giurisprudenza costante, uno Stato membro non può invocare norme, prassi o situazioni del suo ordinamento giuridico interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini derivanti da una direttiva (v. sentenze 4 luglio 2000, causa C‑387/97, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-5047, punto 70, e 25 aprile 2002, cause riunite C-418/00 e C‑419/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑3969, punto 59). Inoltre, non si può ritenere che la complessità di una normativa comunitaria, alla cui elaborazione uno Stato membro ha partecipato, costituisca una difficoltà anormale ed imprevedibile tale da risultare insormontabile per l’amministrazione dello Stato medesimo, malgrado ogni diligenza che si possa impiegare (sentenza 5 febbraio 1987, causa 145/85, Denkavit België NV/Belgio, Racc. pag. 565, punto 13) e, pertanto, tale complessità non può essere fatta valere da uno Stato membro per differire la trasposizione di una direttiva oltre i termini previsti.

13 La Repubblica italiana, pertanto, non può legittimamente invocare difficoltà di trasposizione derivanti dalla complessità della materia in esame e dalle necessarie modifiche del proprio diritto interno per sottrarsi agli obblighi che discendono dal diritto comunitario.

14 Di conseguenza, il ricorso della Commissione dev’essere considerato fondato.

15 Pertanto, si deve dichiarare che, non avendo messo in vigore, entro il termine prescritto, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza della direttiva medesima.

Sulle spese

16 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica italiana, che è risultata soccombente, quest’ultima dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara e statuisce:

1) Non avendo messo in vigore, entro il termine prescritto, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27 giugno 2001, 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza della direttiva medesima.

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Firme