Corte di Giustizia CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE SHARPSTON presentate il 16 dicembre 2010
Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland, Landesverband Nordrhein-Westfalen e.V.
contro Bezirksregierung Arnsberg - Trianel Kohlekraftwerk Lünen (interveniente)

«Partecipazione del pubblico in taluni piani e programmi in materia ambientale – Portata del diritto di proporre ricorso avverso decisioni che autorizzano progetti per i quali si prevede un impatto ambientale rilevante»

1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale dell’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen (corte d’appello amministrativa del Land Nordrhein-Westfalen, Germania) riguarda un’organizzazione non governativa ambientale (in prosieguo: una «ONG ambientale») che ha presentato un ricorso mirante al controllo giurisdizionale di una decisione amministrativa per cui si prevede un impatto ambientale. Non si tratta di un’azione collettiva (proposta, ad esempio, da un’organizzazione raggruppante diversi residenti locali, che si ritengono potenzialmente interessati dagli effetti di un determinato progetto nella località in cui vivono). Piuttosto, la domanda di controllo giurisdizionale è diretta a contestare la decisione amministrativa impugnata, in quanto autorizza attività che si ritiene avranno un effetto negativo sull’ambiente in quanto tale. In tal senso, si può dire che l’ONG ambientale intende agire per conto dell’ambiente stesso.

2. Ai sensi del diritto tedesco, una parte che intenda presentare una domanda di controllo giurisdizionale deve far valere la violazione di un diritto sostanziale individuale. Il giudice del rinvio chiede un’interpretazione dell’art. 10 bis della direttiva 85/337/CEE (in prosieguo: la «direttiva VIA») (2), nella versione di cui alla direttiva 2003/35/CE (3). In tale contesto, il giudice del rinvio chiede, di fatto, se la direttiva VIA e la convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (in prosieguo: la «convenzione di Aarhus») conferiscano, o impongano agli Stati membri di conferire, alle ONG ambientali il diritto di proporre ricorso dinanzi ai giudici nazionali, senza dimostrare o far valere la violazione di un diritto sostanziale individuale.

Diritto internazionale

La convenzione di Aarhus

3. Il 25 giugno 1998 la Comunità europea, i singoli Stati membri e 19 altri Stati hanno sottoscritto la convenzione di Aarhus, entrata in vigore il 30 ottobre 2001. Essa è stata approvata per conto della Comunità europea il 17 febbraio 2005 (4) ed è stata ratificata dalla Germania il 15 gennaio 2007.

4. Il settimo, ottavo, tredicesimo e diciottesimo ‘considerando’ del preambolo della convenzione di Aarhus recitano come segue:

«[7] Riconoscendo (omissis) che ogni persona ha il diritto di vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere e il dovere di tutelare e migliorare l’ambiente, individualmente o collettivamente, nell’interesse delle generazioni presenti e future»;

«[8] Considerando che, per poter affermare tale diritto e adempiere a tale obbligo, i cittadini devono avere accesso alle informazioni, essere ammessi a partecipare ai processi decisionali e avere accesso alla giustizia in materia ambientale e riconoscendo che, per esercitare i loro diritti, essi possono aver bisogno di assistenza»;

«[13] Riconoscendo altresì l’importante ruolo che i singoli, le organizzazioni non governative e il settore privato possono svolgere ai fini della tutela dell’ambiente»;

«[18] Interessate a che il pubblico (comprese le organizzazioni) abbia accesso a meccanismi giudiziari efficaci, in grado di tutelarne i legittimi interessi e di assicurare il rispetto della legge».

5. L’art. 2, n. 5, definisce «pubblico interessato» «il pubblico che subisce o può subire gli effetti dei processi decisionali in materia ambientale o che ha un interesse da far valere al riguardo; ai fini della presente definizione si considerano titolari di tali interessi le organizzazioni non governative che promuovono la tutela dell’ambiente e che soddisfano i requisiti prescritti dal diritto nazionale».

6. L’art. 9 contiene disposizioni concernenti l’accesso alla giustizia per gli individui e le organizzazioni non governative, nonché le norme applicabili ai procedimenti giurisdizionali. In particolare, l’art. 9, n. 2, dispone quanto segue:

«2. Nel quadro della propria legislazione nazionale, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico interessato:

(a) che vantino un interesse sufficiente o, in alternativa,

(b) che facciano valere la violazione di un diritto [(5)], nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di detta Parte esiga tale presupposto,

abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale e/o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni dell’articolo 6 e, nei casi previsti dal diritto nazionale e fatto salvo il paragrafo 3, ad altre pertinenti disposizioni della presente convenzione.

Le nozioni di “interesse sufficiente” e di “violazione di un diritto” sono determinate secondo il diritto nazionale, coerentemente con l’obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia nell’ambito della presente convenzione. A tal fine si ritiene sufficiente, ai sensi della lettera a), l’interesse di qualsiasi organizzazione non governativa in possesso dei requisiti di cui all’articolo 2, paragrafo 5. Tali organizzazioni sono altresì considerate titolari di diritti suscettibili di violazione ai sensi della lettera b).

Le disposizioni del presente paragrafo non escludono la possibilità di esperire un ricorso preliminare dinanzi ad un’autorità amministrativa, né dispensano dall’obbligo di esaurire le vie di ricorso amministrativo prima di avviare un procedimento giudiziario, qualora tale obbligo sia previsto dal diritto nazionale».

Diritto dell’Unione europea

La direttiva VIA, nella versione modificata dalla direttiva 2003/35

7. La convenzione di Aarhus è stata integrata nell’ordinamento giuridico comunitario mediante (tra l’altro) la direttiva 2003/35. Tale direttiva ha modificato due direttive ambientali, e precisamente, la direttiva VIA e la direttiva IPPC (6), per «garantirne la totale compatibilità con le disposizioni della convenzione [di Aarhus], in particolare con (omissis) l’art. 9, paragrafo 2 (omissis)» (7).

8. Il terzo e quarto ‘considerando’ della direttiva 2003/35 riguardano la partecipazione del pubblico. Il quarto ‘considerando’ fa espresso riferimento al ruolo delle ONG ambientali:

«(3) L’effettiva partecipazione del pubblico all’adozione di decisioni consente allo stesso di esprimere pareri e preoccupazioni che possono assumere rilievo per tali decisioni e che possono essere presi in considerazione da coloro che sono responsabili della loro adozione; ciò accresce la responsabilità e la trasparenza del processo decisionale e favorisce la consapevolezza del pubblico sui problemi ambientali e il sostegno alle decisioni adottate.

(4) La partecipazione, compresa quella di associazioni, organizzazioni e gruppi, e segnatamente di organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente, dovrebbe essere incentivata di conseguenza, tra l’altro promuovendo l’educazione ambientale del pubblico».

9. L’art. 1, n. 2, della direttiva VIA, come modificata dalla direttiva 2003/35, riflette l’art. 2, n. 5, della convenzione di Aarhus, nel definire «pubblico interessato» il «pubblico che subisce o può subire gli effetti delle procedure decisionali in materia ambientale di cui all’articolo 2, paragrafo 2; ai fini della presente definizione le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente e che soddisfano i requisiti di diritto nazionale si considerano portatrici di un siffatto interesse» (8).

10. La direttiva 2003/35 ha inoltre inserito un nuovo articolo – l’art. 10 bis – nella direttiva VIA. Tale articolo contiene disposizioni concernenti l’accesso alla giustizia. Esso dispone quanto segue:

«Gli Stati membri provvedono, in conformità del proprio ordinamento giuridico nazionale, affinché i membri del pubblico interessato:

(a) che vantino un interesse sufficiente o, in alternativa;

(b) che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di uno Stato membro esiga tale presupposto,

abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico stabilite dalla presente direttiva.

Gli Stati membri stabiliscono in quale fase possono essere contestati le decisioni, gli atti o le omissioni.

Gli Stati membri determinano ciò che costituisce interesse sufficiente e violazione di un diritto, compatibilmente con l’obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia. A tal fine, l’interesse di qualsiasi organizzazione non governativa ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, è considerato sufficiente ai fini della lettera a) del presente articolo. Si considera inoltre che tali organizzazioni siano titolari di diritti suscettibili di essere lesi ai fini della lettera b) del presente articolo.

Le disposizioni del presente articolo non escludono la possibilità di avviare procedure di ricorso preliminare dinanzi all’autorità amministrativa e non incidono sul requisito dell’esaurimento delle procedure di ricorso amministrativo quale presupposto dell’esperimento di procedure di ricorso giurisdizionale ove siffatto requisito sia prescritto dal diritto nazionale.

Tale procedura è giusta, equa, tempestiva e non eccessivamente onerosa.

Per rendere più efficaci le disposizioni del presente articolo, gli Stati membri provvedono a mettere a disposizione del pubblico informazioni pratiche sull’accesso alle procedure di ricorso amministrativo e giurisdizionale».

Normativa nazionale

11. L’art. 19, n. 4, del Grundgesetz (Costituzione tedesca) dispone che «[c]hiunque sia leso nei suoi diritti dal potere pubblico può adire l’autorità giudiziaria (omissis)».

12. L’art. 42 del Verwaltungsgerichtsordnung (codice di procedura amministrativa; in prosieguo il «VwGO») dispone quanto segue:

«(1) Possono essere chiesti con ricorso l’annullamento di un atto amministrativo (ricorso per annullamento), o la condanna ad emanare un atto amministrativo di cui sia stata rifiutata od omessa l’adozione (azione di adempimento).

(2) Se la legge non dispone diversamente, l’azione è ammissibile soltanto qualora il ricorrente faccia valere di essere stato leso nei suoi diritti dall’atto amministrativo o dalla denegata o omessa emanazione di quest’ultimo».

13. L’art. 113, n. 1, prima frase, del VwGO dispone che «un atto amministrativo illegittimo e la lesione ad esso imputabile dei diritti del ricorrente comportano l’annullamento ad opera del giudice dell’atto amministrativo e dell’eventuale decisione relativa all’opposizione avverso l’annullamento».

14. L’art. 1, n. 1, del Gesetz über ergänzende Vorschriften zu Rechtsbehelfen in Umweltangelegenheiten nach der EG-Richtlinie 2003/35/EG (legge recante disposizioni complementari relative ai ricorsi in materia ambientale ai sensi della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2003/35/CE, anche nota come Umwelt-Rechtsbehelfsgesetz; in prosieguo: l’«UmwRG») recita, tra l’altro, quanto segue:

«(1)      La presente legge è applicabile ai ricorsi avverso:

1.      decisioni ai sensi dell’art. 2, n. 3, del Gesetz über die Umweltverträglichkeitsprüfung (legge relativa alla valutazione di impatto ambientale; in prosieguo: l’“UVPG”) in merito all’approvazione di progetti, con riferimento ai quali:

a)      nel quadro dell’[UVPG], (omissis)

(omissis)

può essere previsto un obbligo di effettuare una valutazione di impatto ambientale».

15. L’art. 2, n. 1, dell’UmwRG dispone, in particolare, quanto segue:

«Un’associazione nazionale o estera, riconosciuta ai sensi dell’art. 3, può proporre ricorsi avverso una decisione ai sensi dell’art. 1, n. 1, prima frase, ovvero avverso la sua mancata adozione, secondo le modalità previste dal [VwGO], senza dover invocare la violazione dei propri diritti, qualora l’associazione:

1.      faccia valere che una decisione ai sensi dell’art. 1, n. 1, prima frase, ovvero la sua mancata adozione, risulta in contrasto con le norme preposte a tutela dell’ambiente, che conferiscono diritti ai singoli e che possono essere rilevanti ai fini della decisione».

16. L’art. 2, n. 5, dell’UmwRG statuisce quanto segue:

«I ricorsi di cui al n. 1 sono considerati fondati:

1.      nella misura in cui la decisione ai sensi dell’art. 1, n. 1, prima frase, ovvero la sua mancata adozione risulti in contrasto con le norme preposte alla tutela dell’ambiente, che conferiscono diritti ai singoli e rilevanti ai fini della decisione, e la violazione investa interessi relativi alla tutela ambientale, rientranti tra gli obiettivi fissati nel suo statuto, che l’associazione si prefigge di conseguire».

17. L’art. 2, n. 1, prima frase, dell’UVPG così recita:

«La valutazione di impatto ambientale rientra nel quadro delle procedure amministrative da seguire per l’adozione di una decisione sull’approvazione di progetti (omissis)».

18. L’art. 2, n. 3, dell’UVPG dispone, in particolare, quanto segue:

«Sono decisioni ai sensi del n. 1, prima frase:

1.      (omissis), l’autorizzazione, la decisione di approvazione dei piani e le altre decisioni amministrative in merito all’approvazione di progetti, adottate nell’ambito di un procedimento amministrativo, (omissis)».

19. L’art. 61, nn. 1 e 2, del Gesetz über Naturschutz und Landschaftspflege, anche conosciuto come Bundesnaturschutzgesezt (Legge federale sulla protezione della natura e la conservazione dei paesaggi), statuisce quanto segue:

«(1) Un’associazione riconosciuta (omissis), indipendentemente dal fatto che sia stata lesa nei propri diritti, può esperire ricorsi secondo le modalità previste dal [VwGO] avverso:

1.      esoneri da divieti e prescrizioni posti a tutela di riserve naturali, parchi nazionali e altre aree protette nell’ambito dell’art. 33, n. 2, nonché

2.      decisioni di approvazione dei piani relative a progetti connessi a ingerenze sull’ambiente naturale o sul paesaggio, ovvero permessi in materia di pianificazione del territorio, nella misura in cui sia prevista la partecipazione del pubblico.

(omissis)

(2)       I ricorsi di cui al n. 1 sono considerati ammissibili solo qualora:

1.      l’associazione faccia valere che l’emanazione di un atto amministrativo citato al n. 1, prima frase, è contraria alle disposizioni di tale legge, alle norme che sono state emanate o sono vigenti in esecuzione o nell’ambito di tale legge, oppure di altre disposizioni che devono essere osservate ai fini dell’emanazione di un atto amministrativo e sono dirette, quantomeno, anche a tutelare gli interessi della protezione della natura e della conservazione dei paesaggi;

2.      siano compromesse le attribuzioni risultanti dallo statuto dell’associazione, nella misura in cui siano state riconosciute;

(omissis)».

Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

20. La Trianel Kohlekraftwerk Lünen (in prosieguo: la «Trianel», interveniente nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio) intende costruire e avviare una centrale elettrica a carbone a Lünen (Nordrhein‑Westfalen). Il progetto deve essere obbligatoriamente sottoposto a procedura di valutazione di impatto ambientale.

21. In un raggio di 8 km dalla localizzazione del progetto si trovano cinque aree designate quali riserve naturali ai sensi della legislazione nazionale.

22. Il 6 maggio 2008, il Bezirksregierung Arnsberg (amministrazione distrettuale di Arnsberg) ha rilasciato alla Trianel una decisione preliminare e un’approvazione parziale per il progetto. Nella decisione preliminare si dichiarava l’assenza di obiezioni sotto il profilo giuridico in merito alla localizzazione del progetto.

23. Il 16 giugno 2008, un’ONG ambientale conosciuta come Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland, Landesverband Nordrhein-Westfalen e.V. (succursale, nel Nordrhein-Westfalen, della Friends of the Earth Germany, in prosieguo: il «BUND») ha presentato ricorso avverso l’amministrazione distrettuale di Arnsberg, chiedendo l’annullamento della decisione preliminare e dell’autorizzazione. Il BUND è un’associazione riconosciuta ai sensi dell’art. 3 dell’UmwRG (la disposizione che specifica i «requisiti imposti dalla legge nazionale» che una ONG ambientale deve soddisfare ai sensi dell’art 1, n. 2, della direttiva VIA).

24. Il BUND denuncia vizi formali e sostanziali della decisione preliminare e dell’approvazione e sostiene che il progetto viola i principi di tutela e precauzionali delle norme in materia di immissioni, nonché le prescrizioni in materia di acque e di tutela della natura.

25. Il giudice ha ritenuto il BUND non legittimato a presentare tale ricorso, dal momento che non ha fatto valere la violazione di un diritto sostanziale dei singoli, come prescritto dal diritto tedesco per ottenere legittimazione ad agire. Tuttavia, il giudice si chiede se la prescrizione tedesca, in base alla quale una ONG ambientale deve far valere la violazione di un diritto in tal senso sia, in quanto tale, compatibile con il diritto dell’Unione europea; in particolare, con l’art. 10 bis della direttiva VIA.

26. Il giudice ha, pertanto, sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«(1)      Se l’art. 10 bis della [direttiva VIA] nella versione di cui alla [direttiva 2003/35], prescriva che le organizzazioni non governative che intendono proporre ricorso dinanzi ai giudici di uno Stato membro il cui diritto processuale amministrativo esige che si faccia valere la violazione di un diritto, possano invocare la violazione di qualsiasi disposizione in materia di ambiente rilevante ai fini dell’approvazione di un progetto, comprese le disposizioni che sono unicamente destinate a tutelare gli interessi generali e non, almeno in parte, i beni giuridici dei singoli.

(2)      Salvo il caso in cui sia data soluzione incondizionatamente positiva alla prima questione:

Se l’art. 10 bis della [direttiva VIA] nella versione di cui alla [direttiva 2003/35], prescriva che le organizzazioni non governative che intendono proporre ricorso dinanzi ai giudici di uno Stato membro il cui diritto processuale amministrativo esige che si faccia valere la violazione di un diritto, possano basare la loro argomentazione sulla violazione di disposizioni in materia di ambiente rilevanti ai fini dell’approvazione di un progetto che si fondano direttamente sul diritto comunitario o che attuano nel diritto interno le disposizioni comunitarie in materia di ambiente, comprese le disposizioni che sono unicamente destinate a tutelare gli interessi generali e non, almeno in parte, i beni giuridici dei singoli.

(a)      In caso di soluzione, in linea di principio, affermativa alla seconda questione:

Se le norme comunitarie in materia ambientale debbano soddisfare tutte le condizioni sostanziali al fine di poter costituire il fondamento giuridico di un ricorso.

(b)      In caso di soluzione affermativa alla seconda questione sub a):

Si pone la questione circa le condizioni sostanziali di cui trattasi (per es. effetto diretto, scopo di tutela o finalità della legislazione).

(3)      In caso di soluzione affermativa alla prima o seconda questione:

Se la direttiva riconosca direttamente alle organizzazioni non governative un diritto di accedere alla giustizia, che va oltre quanto stabilito dalle disposizioni del diritto nazionale».

27. Osservazioni scritte sono state presentate dal BUND, dal Bezirksregierung Arnsberg, dalla Trianel, dai governi tedesco, greco e italiano e dalla Commissione. All’udienza del 10 giugno 2010 sono state sentite le difese orali del BUND, della Trianel, del governo tedesco e della Commissione.

Osservazioni preliminari

Ricorso contro la Germania

28. La Commissione rileva che, dinanzi al comitato per la conformità della Convenzione di Aarhus, risulta pendente un ricorso contro la Germania, concernente, in sostanza, la stessa questione di cui trattasi nella causa in esame (9). Tuttavia, tale ricorso è stato sospeso, in attesa dell’esito della presente domanda di pronuncia pregiudiziale. Propongo, pertanto, di non procedere ad un ulteriore approfondimento.

La situazione giuridica in Germania

29. Le osservazioni scritte del governo tedesco sono state utili per chiarire il problema esposto nell’ordinanza di rinvio. In Germania, la regola generale che disciplina l’ammissibilità nei procedimenti amministrativi si trova nell’art. 42, n. 2, del VwGO. A mio modo di vedere, tale disposizione ha per effetto che i ricorsi diretti all’annullamento di atti amministrativi sono ammissibili solo qualora (a) siano fondati su una norma la cui finalità sia la tutela dei diritti dei singoli e (b) il singolo ricorrente rientri nell’ambito di applicazione della tutela.

30. Il governo tedesco sostiene che il diritto di proporre un ricorso giurisdizionale configura, pertanto, un «diritto a tutela dei singoli», come sancito dall’art. 19, n. 4, del Grundgesetz. Nell’ambito di tale controllo giurisdizionale, il giudice può riesaminare i fatti d’ufficio, verificare la sussistenza di tutti gli elementi fattuali necessari ai fini di una decisione, valutare la legittimità della decisione (ad esempio, accertando se essa abbia violato un principio quale quello della proporzionalità) e verificare che la decisione non sia stata adottata ultra vires. Il giudice può esercitare il controllo di sua competenza anche nel caso in cui gli organismi amministrativi abbiano un margine di discrezionalità. Il governo tedesco ritiene che tale processo assicuri un livello particolarmente elevato di controllo giurisdizionale (10).

31. Tuttavia, tale governo rileva poi che le risorse a disposizione dei giudici tedeschi sono limitate. La condizione che l’accesso alla giustizia sia, di norma, limitato alle persone sui cui diritti la decisione abbia un’incidenza diretta, costituisce, pertanto, il corollario pratico dell’elevato livello di controllo giurisdizionale necessario per una tutela giurisdizionale efficace. Un aumento del numero di soggetti ai quali è consentito esperire ricorsi dinanzi ai giudici «paralizzerebbe il sistema». Ciò ridurrebbe, a sua volta, l’efficacia con la quale i giudici tedeschi potrebbero tutelare i diritti dei potenziali ricorrenti. L’estensione dell’accesso ad una sfera più ampia di ricorrenti avrebbe come conseguenza una potenziale riduzione della tutela giudiziaria offerta ai singoli i cui diritti sono oggetto di violazione.

32. Il governo tedesco rileva, inoltre, che quando viene proposto un ricorso giurisdizionale, il relativo procedimento amministrativo viene sospeso. Un aumento del numero di ricorsi presentati dinanzi ai giudici rallenterebbe pertanto considerevolmente i procedimenti amministrativi.

33. Il governo tedesco osserva che, sebbene la regola generale preveda che i ricorrenti debbano «far valere la violazione» di un diritto del singolo, l’art. 2, n. 1, sub 1, dell’UmwRG prevede un’eccezione a favore delle ONG ambientali riconosciute. Queste ultime possono presentare domanda di controllo giurisdizionale, a condizione che le disposizioni asseritamente violate conferiscano diritti in capo ai singoli. Tale eccezione pone, pertanto, le ONG ambientali in posizione più favorevole rispetto ai singoli ricorrenti.

34. Sembra pacifico che in Germania l’ambiente sia tutelato non come espressione di un interesse del singolo, ma come interesse generale pubblico (11). Di conseguenza, e a titolo di regola generale, le norme intese a tutelare l’ambiente non conferiscono necessariamente anche diritti in capo ai singoli.

35. In concreto, le ONG ambientali non possono, pertanto, chiedere il riesame di un atto amministrativo sulla base del fatto che esso viola una disposizione di tutela ambientale in quanto tale, né i giudici tedeschi possono effettuare tale riesame. Esse possono agire solo qualora possano fondarsi su un diritto sostanziale del singolo che sia stato leso o rischi di essere leso.

36. In tale contesto, procederò all’esame della prima questione.

Prima questione

37. Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 10 bis della direttiva VIA prescriva agli Stati membri di consentire alle ONG ambientali di accedere alla giustizia invocando la violazione di una norma in materia di ambiente rilevante ai fini dell’approvazione di un progetto, comprese quelle disposizioni destinate a tutelare unicamente gli interessi generali e non anche i beni giuridici dei singoli.

38. Si pone la questione se esista un fondamento testuale nella direttiva VIA che induca a ritenere che l’accesso alla giustizia possa essere subordinato all’esistenza di diritti sostanziali in capo ai singoli.

39. La Commissione sottolinea il nesso che la direttiva VIA determina tra la tutela dell’ambiente e la protezione dei diritti del singolo alla salute. A mio avviso, tuttavia, tale nesso deve essere inteso in termini generali. La legittimazione a contestare l’asserita mancata corretta applicazione di particolari disposizioni in materia ambientale non deve essere subordinata alla dimostrazione di un particolare o specifico nesso con la salute umana (12).

40. In primo luogo, l’art. 10 bis della direttiva VIA non richiede specificamente la sussistenza di tale nesso. In secondo luogo, sia l’art. 191 TFUE (13), sia la direttiva 2003/35, considerano la tutela ambientale uno scopo in sé, separato dalla tutela della salute umana (14). Per tali ragioni, a mio avviso, interpretare le norme intese a tutelare l’ambiente come inscindibilmente connesse alla salute umana limiterebbe l’ambito di applicazione di tali disposizioni in maniera superflua e inammissibile.

41. Il governo tedesco sostiene che l’art. 10 bis della direttiva VIA non impone agli Stati membri di modificare i loro ordinamenti nazionali al fine di consentire un’actio popularis mediante la quale tutte le parti godono di accesso illimitato all’azione con riferimento alle decisioni amministrative in materia ambientale. Ciò è corretto. Tuttavia, la questione fondamentale nel presente procedimento è se sia compatibile con la direttiva VIA che uno Stato membro mantenga norme procedurali relative alla legittimazione ad agire il cui effetto sia che nessuno possa esperire un ricorso facendo valere la violazione di norme destinate unicamente alla tutela dell’ambiente.

42. La disposizione della convenzione di Aarhus sull’actio popularis è l’art. 9, n. 3, che non è ancora stato integrato nella legislazione comunitaria (15). Di conseguenza non esiste, finora, un obbligo comunitario che imponga agli Stati membri di ammettere un’actio popularis.

43. Lo scopo dell’art. 10 bis, inserito nella direttiva VIA ai sensi dell’art. 3, n. 7, della direttiva 2003/35, era integrare l’art. 9, n. 2, della convenzione di Aarhus nel diritto comunitario. A differenza dell’art. 9, n. 3, tale disposizione impone unicamente che gli Stati membri consentano a determinati membri del «pubblico interessato» di avere accesso ad una procedura di ricorso per contestare la legittimità di decisioni, atti od omissioni amministrative. Tale requisito è debitamente ripreso nell’art. 10 bis della direttiva VIA.

44. Il primo comma dell’art. 10 bis impone agli Stati membri di riconoscere il diritto d’azione (a) agli organismi che vantino un interesse sufficiente o, in alternativa, (b) agli organismi che «facciano valere la violazione di un diritto». Le alternative sono necessarie al fine di tenere in considerazione i diversi criteri per la legittimazione ad agire nei vari ordinamenti giuridici nazionali degli Stati firmatari della convenzione di Aarhus (16).

45. Il terzo comma dell’art. 10 bis dispone che gli Stati membri devono determinare ciò che costituisce «interesse sufficiente» e «violazione di un diritto», compatibilmente con l’obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia. Esso statuisce quindi che, a tal fine, l’interesse delle ONG ambientali (17) deve essere considerato sufficiente ai sensi del criterio (a) e che esse sono titolari di diritti suscettibili di violazione ai sensi del criterio (b).

46. È questo il nocciolo della questione: di quale tipo di «diritto» un’ONG ambientale possa far valere la violazione e, di conseguenza, se l’art. 10 bis consenta agli Stati membri di limitare i diritti di cui può essere fatta valere la violazione ad una sottocategoria di diritti (cioè i diritti sostanziali in capo ai singoli).

47. Il governo tedesco sostiene che l’art. 10 bis, terzo comma, della direttiva VIA consente di affermare che una ONG ricorrente può, come un soggetto privato, far valere unicamente le disposizioni a tutela degli interessi giuridici dei singoli. Tale disposizione si limita a statuire che le ONG ambientali devono essere considerate titolari di diritti equivalenti a quelli delle persone fisiche (laddove, in realtà, non possono e non devono esserlo). Di conseguenza, essa pone le ONG ambientali su un piano di parità con le persone fisiche, senza modificare la natura dei diritti che le ONG ambientali devono far valere per ottenere legittimazione ad agire, né restringere la facoltà degli Stati membri di limitare i tipi di diritti che possono essere fatti valere nell’ambito di una domanda di controllo giurisdizionale. Dal momento che le ONG ambientali possono invocare disposizioni a tutela dei diritti di terzi, piuttosto che dei propri diritti individuali, le ONG ambientali beneficiano di un più ampio accesso alla giustizia rispetto ai singoli.

48. La Commissione è del parere che l’art. 10 bis si limiti a statuire che le ONG ambientali devono poter esperire ricorsi fondati sulla violazione di un diritto. Essa ritiene che l’esistenza di tale diritto sia una questione rientrante nel diritto nazionale, sebbene occorra tenere in debita considerazione la necessità di garantire un ampio accesso alla giustizia.

49. Apparentemente, il tenore dell’art. 10 bis («far valere la violazione di un diritto») è più o meno neutro. Esso non statuisce che si deve trattare di un tipo particolare di diritto. Né stabilisce che un tipo particolare di diritto, o tutti i tipi di diritti, sono sufficienti ai fini della legittimazione ad agire. Né contiene una formulazione che specifica il tipo o i tipi di diritti che uno Stato membro può consentire ad un ricorrente di far valere.

50. Nelle mie conclusioni relative alla causa Djurgården (18), ho sostenuto che l’art. 10 bis della direttiva VIA conferisce alle ONG ambientali che rispondono alla definizione di cui all’art. 1, n. 2, di tale direttiva un diritto di accesso automatico alla giustizia dinanzi ai giudici nazionali (19).

51. Come ho suggerito in tali conclusioni (20), il particolare ruolo e i corrispondenti diritti conferiti alle ONG ambientali dalla convenzione di Aarhus e dalla direttiva VIA costituiscono meccanismi particolarmente solidi ed efficaci nella prevenzione dei danni ambientali. Una ONG ambientale costituisce espressione di interessi collettivi e può beneficiare di un grado di specializzazione tecnica di cui il singolo può non disporre. Nella misura in cui un unico ricorso, proposto da una ONG ambientale, può sostituire una serie di azioni equivalenti che, diversamente, sarebbero presentate da singoli, l’effetto potrebbe essere la razionalizzazione del contenzioso, la riduzione del numero di cause pendenti dinanzi ai giudici e il miglioramento dell’efficienza con cui le limitate risorse giudiziarie vengono utilizzate per applicare la giustizia e tutelare i diritti.

52. Il ruolo fondamentale attribuito alle ONG ambientali permette, inoltre, di controbilanciare la decisione di non istituire un’actio popularis obbligatoria in materia ambientale. Promuovendo la partecipazione delle ONG ambientali ai processi decisionali, tanto nella fase amministrativa quanto in sede giurisdizionale, si rafforzano poi la qualità e la legittimità delle decisioni adottate dalle autorità pubbliche e viene accresciuta l’efficacia delle procedure di prevenzione del danno ambientale (21).

53. Ritengo che consentire ad una ONG ambientale di proporre ricorso avverso una decisione amministrativa a favore di un progetto sia ancor più necessario quando – come sembra verificarsi in Germania – una corrispondente decisione negativa può sempre essere contestata dai responsabili del progetto, i quali possono (per definizione) far valere una violazione dei propri diritti sostanziali individuali.

54. Nella causa Djurgården, ho affermato che qualsiasi ONG ambientale (nell’ambito della definizione stabilita dalla legislazione nazionale ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva VIA) dispone di un accesso automatico alla giustizia, in special modo perché l’art. 10 bis statuisce espressamente che questo tipo di ONG è considerata titolare di «diritti suscettibili di violazione» o di un «interesse» ritenuto «sufficiente». A mio parere, ciò dimostra chiaramente che le ONG ambientali si trovano in una posizione eccezionalmente privilegiata.

55. Ho altresì dichiarato che, a mio avviso, il fatto che il diritto di accesso alla giustizia debba essere conferito «in conformità del[l’] (omissis) ordinamento giuridico nazionale» non significa che gli Stati membri dispongano di poteri aggiuntivi riguardo alla trasposizione della disposizione in parola. Piuttosto, tale riferimento deriva meramente da un fatto che merita di essere posto in rilievo, ossia che le disposizioni in materia di accesso alla giustizia si applicano nell’ambito delle regole procedurali di ciascuno Stato membro (22).

56. Nella sua sentenza, la Corte ha statuito in senso leggermente più restrittivo.

57. Il quesito specifico sollevato nella causa Djurgården non affrontava direttamente la questione se uno Stato membro possa limitare i tipi di diritti che una ONG ambientale può far valere. Forse per tale ragione, la terminologia utilizzata dalla Corte non è del tutto chiara sul punto in questione. Pertanto, la Corte ha affermato che «devono poter esercitare un siffatto ricorso le persone che, all’interno del pubblico interessato, rivendicano un interesse sufficiente ad agire, o, laddove la normativa nazionale lo richieda, fanno valere che una delle operazioni contemplate dalla direttiva 85/337 lede i loro diritti» (punto 34) e che «i titolari di diritti lesi (omissis) [da tale progetto], tra cui le associazioni di tutela dell’ambiente, devono poter agire dinanzi al giudice competente» (punto 45). Al punto 44 essa ha affermato che «le organizzazioni non governative (omissis) che “soddisfano i requisiti di diritto nazionale” [devono essere] considerate, a seconda dei casi, come portatrici di un “interesse sufficiente” o titolari di uno dei diritti che possono essere lesi da un’operazione rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva in parola»; e in seguito che «i membri del pubblico interessato, che hanno un interesse sufficiente per contestare un’operazione o i cui diritti possono essere lesi da un’operazione, devono poter impugnare la decisione che l’autorizza» (punto 48).

58. La causa in esame rappresenta una buona opportunità per la Corte di esaminare l’incertezza rimasta successivamente alla sentenza emanata nella causa Djurgården.

59. L’art. 10 bis della direttiva VIA dispone che «[gli] Stati membri provvedono (omissis) affinché i membri del pubblico interessato (omissis) che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di uno Stato membro esiga tale presupposto (omissis), abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale (omissis)».

60. Nel caso di una persona fisica, ciò richiede che egli faccia valere un diritto, di cui egli stesso è titolare, che sia stato leso, o rischi di essere leso, da un progetto particolare.

61. Tuttavia, qualora si applicasse lo stesso criterio alle ONG ambientali, ciò le porrebbe esattamente nella stessa posizione dei singoli (ove fossero in questione solo i loro diritti), oppure consentirebbe loro unicamente di sostituirsi ai singoli (ove la loro legittimazione ad agire fosse subordinata alla violazione o al rischio di violazione di diritti individuali di cui altri sono titolari). Ritengo, tuttavia, che le ONG ambientali siano destinate a beneficiare di una legittimazione più ampia.

62. La corretta interpretazione dell’art. 10 bis diventa più chiara se si considera il suo terzo comma.

63. Tale comma si applica tanto alle ONG ambientali negli ordinamenti in cui la legittimazione ad agire viene conferita sulla base del criterio previsto alla lett. a) di cui al primo comma, quanto a coloro ai quali la legittimazione ad agire viene conferita sulla base del criterio previsto alla lett. b).

64. Esso opera non già conferendo diritti o interessi a tali ONG, ma considerando che, a condizione che soddisfino eventuali requisiti previsti dalla legislazione nazionale, esse soddisfano necessariamente il requisito di vantare un interesse sufficiente o di essere titolari di diritti che possono essere violati, a seconda dei casi.

65. Pertanto, per quanto concerne il criterio previsto alla lett. a), si ritiene che tutte le ONG ambientali vantino un interesse sufficiente per avere accesso ad una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indipendente ed imparziale. Esse non devono fare nulla per dimostrare di vantare tale interesse, ma sono trattate come se, di fatto, lo avessero dimostrato. Esse sono, pertanto, legittimate a contestare la legittimità sostanziale o procedurale di tutte le decisioni, atti od omissioni che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva VIA.

66. Ciò vale senz’altro anche per quanto riguarda il criterio di cui alla lett. b). Una ONG ambientale deve avere le stesse possibilità di libero accesso ad un procedimento di ricorso, indipendentemente dal criterio applicato da uno Stato membro. Se ciò non fosse, gli Stati membri che applicano il criterio di cui alla lett. b) avrebbero un margine più ampio per rifiutare la legittimazione ad agire alle ONG ambientali, rispetto agli Stati che applicano il criterio di cui alla lett. a), con conseguenti importanti differenze tra gli Stati membri sul piano dell’accesso alla giustizia. L’efficacia della direttiva VIA quale strumento per garantire l’adeguato esame di progetti aventi un impatto potenziale rilevante sull’ambiente sarebbe compromessa e le differenze potrebbero influire in modo rilevante sulla localizzazione dei progetti, in particolare nelle zone di frontiera.

67. A mio parere, la corretta interpretazione è, pertanto, che in uno Stato membro che applica il criterio previsto alla lett. b) di cui all’art. 10 bis, primo comma, il terzo comma di tale articolo significa che lo Stato membro deve garantire che le ONG ambientali possano «far valere la violazione di un diritto» e, pertanto che l’ordinamento nazionale deve riconoscere che sono titolari di «un diritto» suscettibile di violazione, anche se tale diritto è fittizio in un ordinamento giuridico nazionale che, diversamente, riconoscerebbe unicamente la violazione di diritti sostanziali dei singoli.

68. Ne consegue che una norma nazionale ai sensi della quale una ONG ambientale che intenda contestare una decisione per cui si prevede un impatto ambientale deve poter far valere la violazione di un diritto individuale sostanziale per ottenere legittimazione ad agire non è compatibile con l’art. 10 bis della direttiva VIA.

69. Potrebbe obiettarsi che la prima frase del terzo comma dell’art. 10 bis permette agli Stati membri di determinare ciò che «costituisce interesse sufficiente e violazione di un diritto» secondo il diritto nazionale. Ci si chiede se ciò non autorizzi espressamente gli Stati membri ad applicare le proprie definizioni.

70. A mio parere, tale facoltà è (altrettanto espressamente) assoggettata ad un’importante limitazione. La stessa frase precisa che tale determinazione da parte di uno Stato membro deve essere effettuata «compatibilmente con l’obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia». L’obiettivo di garantire «ampio accesso» alla giustizia fornisce i parametri entro i quali gli Stati membri possono esercitare la propria discrezionalità legislativa.

71. Ampliare l’accesso alla giustizia è uno degli obiettivi espliciti della convenzione di Aarhus. In particolare, il diciottesimo ‘considerando’ della stessa statuisce che «il pubblico (comprese le organizzazioni) abbia accesso a meccanismi giudiziari efficaci, in grado di tutelarne i legittimi interessi e di assicurare il rispetto della legge». Da parte sua, il preambolo della direttiva 2003/35 rileva, nel suo terzo ‘considerando’, che «ciò accresce la responsabilità (omissis) del processo decisionale» e sottolinea che «[l]a partecipazione, compresa quella di associazioni, organizzazioni e gruppi, e segnatamente di organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente, dovrebbe essere incentivata» (quarto ‘considerando’).

72. Inoltre, se il governo tedesco avesse ragione, la legittimazione ad agire di una ONG ambientale dipenderebbe, in parte, dal caso. Si immaginino due laghi, sostanzialmente simili per flora e fauna. Il primo sito si trova nella natura, in un angolo remoto di una vasta porzione di terreno rientrante nel controllo generale dell’autorità locale (che prende in considerazione anche eventuali domande di rilascio di permessi di pianificazione). La zona non è abitata. Il secondo sito si trova in prossimità di alcune abitazioni. Secondo l’interpretazione del governo tedesco, una ONG ambientale potrebbe essere legittimata ad opporsi ad una decisione che autorizzi un progetto edilizio che preveda si costeggi il secondo lago (qualora facesse valere la violazione o la possibile violazione dei diritti dei proprietari) ma non il primo. Questo non può certamente essere l’intento della direttiva VIA. L’accesso alla giustizia non può essere subordinato a fattori esterni, come l’esatta localizzazione del progetto che una ONG ambientale teme possa recare danno all’ambiente.

Effettività

73. Nelle sue osservazioni, la Trianel sottolinea che «ampio» accesso non equivale ad accesso «illimitato» e sostiene che le ONG ambientali non devono godere di un diritto di accesso automatico alla giustizia ai sensi dell’art. 10 bis della direttiva VIA. Anche il governo tedesco sostiene che il diritto comunitario non prevede l’accesso illimitato alla giustizia per le ONG ambientali. La Commissione ammette che la convenzione di Aarhus non autorizza le ONG ambientali ad eludere i criteri di ammissibilità sanciti dal diritto nazionale: sebbene una ONG ambientale possa far valere la violazione di un diritto, per poter essere leso tale diritto deve, in primo luogo, esistere. Tuttavia, la Commissione richiama il principio di effettività, per concludere che la nozione di «violazione di un diritto» deve essere interpretata estensivamente.

74. Nel caso in cui la Corte non sia convinta che sia il tenore, sia l’obiettivo dell’art. 10 bis della direttiva VIA conducono a ritenere che alle ONG ambientali debba essere riconosciuto un diritto di accesso automatico alla giustizia, è necessario esaminare brevemente la questione dalla prospettiva del principio di effettività, atteso che le modifiche apportate alla direttiva VIA mediante la direttiva 2003/35 erano volte, tra l’altro, a realizzare un ampio accesso alla giustizia.

75. Il governo tedesco sostiene che il principio di effettività non viene violato subordinando la legittimazione ad agire all’esistenza di diritti sostanziali in capo ai singoli.

76. Nel corso dell’udienza, è emerso che, in Germania, era in vigore un’ampia gamma di norme in materia ambientale, non tutte immediatamente associabili alla tutela di diritti sostanziali in capo ai singoli. Come giustamente rilevato dalla Commissione, in diverse occasioni la Corte ha dato interpretazione estensiva alla direttiva VIA (23). In tale contesto, ritengo che escludere tutti i ricorsi fondati su disposizioni in materia di ambiente diverse da quelle che conferiscono anche diritti sostanziali ai singoli, non costituisca, con tutta evidenza, un’attuazione effettiva della direttiva VIA.

77. Il governo tedesco ha spiegato che il suo sistema di controllo giurisdizionale comporta un attento e dettagliato controllo delle decisioni amministrative ed ha per conseguenza un livello elevato di tutela dei diritti del singolo (24). Tuttavia, come una Ferrari con le portiere bloccate, un sistema di ricorso intensivo è di scarso valore pratico se il sistema stesso è totalmente inaccessibile per determinate categorie di ricorso. A mio modo di vedere, in circostanze in cui nessun diritto sostanziale individuale rischia di essere leso, né il singolo, né una ONG ambientale sono legittimati ad esperire un ricorso. Nessuno può agire per conto dell’ambiente stesso. Esistono, tuttavia, circostanze – ad esempio, allorché un progetto che figura nell’Allegato I della direttiva VIA (ed è, pertanto, assoggettato ad una valutazione obbligatoria di impatto ambientale ai sensi dell’art. 4, n. 1, del medesimo) sia localizzato in un sito vergine, lontano dall’abitato – in cui l’effettiva partecipazione al processo decisionale in materia di ambiente e l’effettivo controllo dell’attuazione della direttiva VIA rendono necessario che una ONG ambientale sia legittimata a proporre un ricorso giurisdizionale.

78. Il governo tedesco sostiene che, se i requisiti di legittimazione ad agire fossero resi meno rigorosi, l’attuale, alquanto elevato livello di controllo giurisdizionale dovrebbe essere mitigato, per evitare di sovraccaricare i tribunali amministrativi. Ciò avrebbe per conseguenza un’attuazione insufficiente e meno efficace della direttiva VIA.

79. A rigore di logica, ciò non corrisponde alla situazione in cui, attualmente, non è possibile presentare ricorso dinanzi ai giudici tedeschi (poiché nessun ricorrente è legittimato ad agire) in determinate circostanze che, tuttavia, rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva VIA e in cui (corrispondentemente) l’art. 10 bis presuppone la possibilità di ricorso dinanzi a un organo giudiziario. Aggiungo che, per le ragioni da me già esposte (25), permettere alle ONG ambientali di esperire ricorso può, di fatto, avere come effetto un uso più efficiente e meno dispendioso delle limitate risorse giudiziarie.

80. In udienza, il BUND ha affermato che, in realtà, solo lo 0,1% dei ricorsi in materia ambientale viene proposto da ONG ambientali. Se questo è effettivamente il caso, è improbabile che agevolando leggermente le condizioni per esperire azione in giudizio si produrrebbe un aumento significativo del numero complessivo di controversie. Inoltre, le domande verosimilmente vessatorie o inconsistenti, anche se ammissibili, possono essere respinte nel merito. Pertanto, non ritengo che l’argomento secondo cui si produrrebbe un considerevole aumento del carico di lavoro sia convincente quale ragione per non rimediare ad un’importante lacuna nell’attuale ordinamento (26).

Interpretazione uniforme

81. Il governo tedesco sostiene che la presente causa solleva la questione della misura in cui il diritto dell’Unione europea può limitare il modo in cui l’ordinamento giuridico tedesco interpreta la legittimazione ad agire.

82. Tuttavia, è assodato che nemmeno le norme costituzionali degli Stati membri possono ostacolare l’applicazione del diritto comunitario (in particolare, subordinando incondizionatamente tale applicazione al fatto che il ricorrente possa far valere diritti individuali). Pertanto, se l’art. 10 bis della direttiva VIA presuppone una particolare lettura dell’espressione «far valere la violazione di un diritto», l’ordinamento giuridico tedesco deve soddisfare tale requisito (27).

83. La Trianel sostiene che l’interpretazione dell’art. 10 bis sostenuta dal BUND significherebbe che la Germania sarebbe obbligata a scostarsi dal criterio della legittimazione ad agire basato sui diritti. A mio parere, tale risultato sarebbe tutt’altro che evidente.

84. A mio modo di vedere la situazione attuale, un giudice tedesco potrebbe interpretare la legislazione nazionale conformemente alle prescrizioni dell’art. 10 bis della direttiva VIA, consentendo alle ONG ambientali di proporre ricorsi basati su una violazione di diritti ambientali ritenuti individuali (28). Ciò che è evidente è che la Germania deve ottemperare ai propri obblighi ai sensi della direttiva VIA come modificata dalla direttiva 2003/35. Come lo faccia è una questione riservata al legislatore e ai giudici nazionali.

Conclusione sulla prima questione

85. Alla luce delle considerazioni che precedono, concludo che l’art. 10 bis della direttiva VIA prescrive che le ONG ambientali che intendono proporre ricorso dinanzi ai giudici di uno Stato membro il cui diritto processuale amministrativo esige che si faccia valere la violazione di un diritto devono poter invocare la violazione di qualsiasi disposizione in materia di ambiente rilevante ai fini dell’approvazione di un progetto, comprese le disposizioni finalizzate unicamente alla tutela degli interessi generali e non solo quelle dirette a tutelare, almeno in parte, i beni giuridici dei singoli.

Seconda questione

86. Poiché ho proposto che la prima questione pregiudiziale debba ricevere risposta incondizionatamente affermativa, non ritengo necessario risolvere la seconda questione. Mi limito ad aggiungere che le disposizioni dell’art. 10 bis della direttiva VIA si applicano unicamente alle questioni che rientrano ratione materiae nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

Terza questione

87. Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede se la direttiva VIA riconosca direttamente alle organizzazioni non governative ambientali un diritto di accedere alla giustizia, che va oltre quanto stabilito dalle disposizioni del diritto nazionale. In altre parole, qualora le norme di diritto processuale nazionale non consentano ad una ONG ambientale (come il BUND) di dimostrare la propria legittimazione a proporre un ricorso giurisdizionale, se essa possa far valere direttamente le disposizioni dell’art. 10 bis.

88. La Corte ha più volte precisato che, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva siano sufficientemente chiare, precise ed incondizionate, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato che non abbia recepito tempestivamente la direttiva (o l’abbia recepita in modo non corretto) (29). La Corte ha definito una disposizione in una direttiva sufficientemente «precisa» «allorché sancisce un obbligo in termini non equivoci» (30).

89. L’art. 10 bis della direttiva VIA è certamente sufficientemente chiaro e preciso per avere effetto diretto. Si pone, tuttavia, la questione se sia sufficientemente incondizionato.

90. La Corte ha statuito che una disposizione in una direttiva è sufficientemente «incondizionata» se «sancisce un obbligo non soggetto ad alcuna condizione né subordinato, per quanto riguarda la sua osservanza o i suoi effetti, all’emanazione di alcun atto da parte delle [istituzioni dell’Unione europea] o degli Stati membri» (31).

91. La causa in esame solleva tre potenziali aspetti dubbi. In primo luogo, l’art. 10 bis rinvia alle ONG ambientali ai sensi dell’art. 1, n. 2, lasciando, pertanto, allo Stato membro il compito di individuare quali ONG ambientali rientrino nell’ambito di applicazione, tra l’altro, dell’art. 10 bis. In secondo luogo, l’art. 10 bis, secondo comma, statuisce che spetta allo Stato membro determinare ciò che costituisce interesse sufficiente e violazione di un diritto. In terzo luogo, l’art. 10 bis prevede due sistemi diversi per riconoscere la legittimazione ad agire, lasciando ancora una volta allo Stato membro il compito di decidere quale sistema applicare nel proprio territorio. Si pone la domanda se uno qualsiasi di tali aspetti osti a che l’art. 10 bis sia considerato sufficientemente incondizionato per soddisfare il criterio dell’effetto diretto.

92. Per quanto concerne il primo aspetto, la Corte ha già sostenuto che una disposizione può avere effetto diretto qualora nello Stato membro una direttiva sia stata applicata in parte (32). Il fatto che la Germania abbia già precisato i criteri che una ONG deve soddisfare ai sensi dell’art. 1, n. 2, per essere riconosciuta come ONG ambientale ai fini della direttiva VIA, significa che la categoria di «ONG ambientali» è definita incondizionatamente. Qualsiasi ONG che soddisfi tali criteri (come il BUND) può, pertanto, invocare le disposizioni dell’art. 10 bis.

93. Per quanto concerne il secondo aspetto, per le ragioni da me già esposte in precedenza, ritengo che l’art. 10 bis, terzo comma, conferisca automaticamente la legittimazione ad agire alle ONG ambientali. La possibilità per uno Stato membro di determinare cosa configuri un interesse sufficiente o la violazione di un diritto è limitata di conseguenza. In forza dell’art. 10 bis, terzo comma, tali definizioni sono irrilevanti per le ONG ambientali. Pertanto, tali ONG possono far valere l’efficacia diretta dell’art. 10 bis, anche qualora lo Stato membro di cui trattasi abbia definito la «violazione di un diritto» in maniera tale che i singoli possano farla valere.

94. Infine, per quanto riguarda il terzo aspetto – il fatto che l’art. 10 bis preveda una possibilità di scelta tra due sistemi – nella sentenza Gassmayr la Corte ha dichiarato che «[u]na disposizione del diritto dell’Unione è incondizionata se sancisce un obbligo non soggetto ad alcuna condizione né subordinato, per quanto riguarda la sua osservanza o i suoi effetti, all’emanazione di alcun atto da parte delle istituzioni dell’Unione europea o degli Stati membri» (33). Nella situazione attuale, l’ordinamento giuridico di qualsiasi Stato membro riflette già una delle due opzioni previste alle lett. a) e b). Lo Stato membro di cui trattasi non ha l’obbligo di emanare atti particolari. In modo analogo, l’esistenza di due opzioni diverse non implica che la disposizione sia condizionata (34). Come la disposizione originaria nella convenzione di Aarhus (art. 9, n. 2), l’art. 10 bis è stato così strutturato precisamente allo scopo di tenere conto dei due diversi sistemi in base ai quali la legittimazione ad agire viene comunemente riconosciuta negli Stati membri dell’Unione Europea (e tra Stati firmatari della convenzione di Aarhus). Non deve essere considerata condizionata, anziché incondizionata, solo per tale ragione.

Conclusione

95. Propongo quindi alla Corte di risolvere come segue le questioni pregiudiziali ad essa sottoposte dall’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen:

(1)      L’art. 10 bis della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003, 2003/35/CE, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia, prescrive che le organizzazioni non governative che intendono proporre ricorso dinanzi ai giudici di uno Stato membro il cui diritto processuale amministrativo esige che si faccia valere la violazione di un diritto, devono poter invocare la violazione di qualsiasi disposizione in materia di ambiente rilevante ai fini dell’approvazione di un progetto, comprese le disposizioni finalizzate unicamente alla tutela degli interessi generali e non solo quelle dirette a tutelare, almeno in parte, gli interessi giuridici dei singoli.

(2)      In assenza di una trasposizione completa nel diritto nazionale, una ONG ambientale può far valere direttamente le disposizioni dell’art. 10 bis della direttiva 85/337/CEE, nella versione di cui alla direttiva 2003/35/CE.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – Direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 175, pag. 40).


3 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003, 2003/35/CE, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia (GU L 156, pag. 17; in prosieguo: la «direttiva 2003/35»).


4 – Decisione del Consiglio 17 febbraio 2005, 2005/370/CE, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (in prosieguo: la «decisione del Consiglio 2005/370») (GU L 124, pag. 1). Il testo della convenzione di Aarhus è ripreso alle pagg. 4 e segg. di detta edizione della Gazzetta ufficiale.


5 –      Il contenuto della presente nota è privo di pertinenza per quanto riguarda la versione italiana della disposizione di cui trattasi.


6 – Direttiva del Consiglio 24 settembre 1996, 96/61/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (in prosieguo: la «direttiva IPPC») (GU L 257, pag. 26).


7 – Undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2003/35.


8 – L’art. 2. n. 2, riguarda l’integrazione della valutazione dell’impatto ambientale sia nelle procedure esistenti di autorizzazione dei progetti negli Stati membri, sia nelle procedure da stabilire per raggiungere gli obiettivi della direttiva VIA.


9 – Fascicolo n. ACCCC/C/2008/31, disponibile all’indirizzo: http://www.unece.org/env/pp/compliance/Compliance%20Committee/31TableGermany.htm.


10 – Nelle osservazioni orali, sia il BUND, sia la Commissione hanno contestato tale asserzione.


11 – Nelle sue osservazioni scritte, la Commissione ha fatto riferimento a diversi articoli che discutono delle conseguenze della concettualizzazione della tutela ambientale in tal senso. Ritengo che l’argomento non sia esente da controversie: v., ad esempio, Spieth, F. e Appel, M., «Umfang und Grenzen der Einklagbarkeit von UVP-Fehlern nach Umwelt-Rechtsbehelfsgezetz», NuR, 2009, pag. 312 e Koch, H.-J., «Die Verbandsklage im Umweltrecht», NVwZ, 2007, pag. 369. V., inoltre, K-H. Ladeur e R. Pelle, «Judicial Control of Administrative Procedural Mistakes in Germany: A Comparative European View of Environmental Impact Assessments» in K-H. Ladeur (ed.) The Europeanisation of administrative law, Aldershot (2002), e gli articoli ivi citati.


12 – Si è fatto riferimento alle sentenze 4 giugno 2009, causa C–142/05, Mickelsson e Roos (Racc. pag. I‑4273, punto 33) e 25 luglio 2008, causa C‑237/07, Janecek (Racc. pag. I‑6221, punto 38), in cui la Corte ha trattato i due concetti congiuntamente. Tuttavia, tali cause non riguardavano la direttiva VIA.


13 – Ex art. 174 CE.


14 – Nel corso delle fasi preparatorie della convenzione di Aarhus, la delegazione belga ha suggerito di sancire in modo perentorio un nesso tra l’ambiente e la salute umana: v. i lavori preparatori che illustrano la prima sessione del gruppo di lavoro del Consiglio economico e sociale (CEP/AC.3/2, pag. 2). Ciò ha suscitato controversie [v. i dettagli della seconda sessione (CEP/A.C3/4, pag. 2)], sebbene alla fine dell’ottava sessione (CEP/AC.3/16, pag. 2) la versione iniziale della convenzione di Aarhus contenesse quella che sarebbe diventata la redazione finale dell’art. 1, secondo cui «il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere (omissis)».


15 – V. paragrafi 76 e segg. delle mie conclusioni nella causa C–240/09, Lesoochranárske Zoskupenie (ancora pendente).


16 – V. i lavori preparatori che illustrano la quinta sessione del gruppo di lavoro del Consiglio economico e sociale (CEP/AC.3/10, pag. 11), in cui «una delegazione ha sostenuto che qualsiasi meccanismo di ricorso deve essere subordinato alle pertinenti disposizioni costituzionali e giuridiche di ciascuna parte contrattuale». Si è convenuto, in linea generale, che coloro che sono ammessi a partecipare al processo decisionale stesso devono avere accesso ad un meccanismo di ricorso, ma «alcune delegazioni hanno ritenuto che tali persone/organizzazioni dovrebbero far valere la violazione dei propri diritti individuali». Tale asserzione sembra avere ispirato il testo contenente i criteri (a) e (b), una bozza del quale figura per la prima volta nei lavori preparatori che illustrano l’ottava sessione (cit. alla nota 16, pag. 9). Nel frattempo, tuttavia, l’espressione «violazione dei loro diritti individuali» era diventata «violazione di un diritto».


17 – Ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva VIA, come modificata. È pacifico che il BUND risponde a tale definizione.


18 – Conclusioni 15 ottobre 2009, causa C–263/08, Djurgården-Lilla Värtans Miljöskyddsförening (Racc. pag. I–9967).


19 – Paragrafi 42-45 delle mie conclusioni.


20 – Ibidem, paragrafi 59-65.


21 – Questo tema figura nella letteratura accademica relativa a tale settore giuridico: v., ad esempio, A. Ryall, EIA and Public Participation: Determining the Limits of Member State Discretion, (2007) 19 Journal of Environmental Law Vol. 2, pag. 247, in cui viene criticata la decisione della Corte nella sentenza 9 novembre 2006, causa C–216/05, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I–10787), per non avere tenuto conto del probabile effetto cumulativo dell’imposizione di una tassa di partecipazione alle ONG ambientali. Esso si riflette, inoltre, nella Guida all’applicazione della Convenzione di Aarhus (pag. 31) e nei lavori preparatori della convenzione di Aarhus [due esempi sono costituiti dagli elementi preliminari (CEP/AC.3/R.1, pag. 2) e dalla risoluzione adottata ad Aarhus (ECE/CEP/43/Add.1/Rev.1)] nonché della direttiva 2003/35: v., ad esempio, la proposta della Commissione [COM(2000) 839 def., pag. 2] sebbene, in sede di discussione di tale direttiva, il Comitato delle regioni abbia osservato che interesse ambientale e gruppi di pressione potrebbero ritardare la realizzazione di progetti necessari (GU 2001 C 357, pag. 58, punto 1.5). In sede di redazione della convenzione di Aarhus, il Consiglio economico e sociale dell’ONU ha tenuto conto del parere di diverse ONG che si occupano di questioni ambientali [v., ad esempio, la relazione della prima sessione (CEP/AC.3/2 pag. 1)], elogiando, nella risoluzione, la loro «partecipazione attiva e costruttiva all’elaborazione della Convenzione». Da ciò si può desumere che i redattori della convenzione di Aarhus abbiano ritenuto prezioso il parere delle ONG ambientali durante il processo di redazione e, certamente, in seguito.


22 – Cioè, sia le persone fisiche o giuridiche private, sia le organizzazioni ambientaliste, sono assoggettate alle norme nazionali in materia di competenza giurisdizionale, termini, capacità di agire in giudizio, ecc., che formano parte dell’ordinamento processuale nazionale.


23 – Sentenze 24 ottobre 1996, causa C–72/95, Kraaijeveld (Racc. pag. I‑5403, punto 31); 16 settembre, causa C–435/97, WWF (Racc. pag. I‑5613, punto 40), 13 giugno 2002, causa C–474/99, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑5293, punto 46), nonché 25 luglio 2008, causa C–142/07, Ecologistas en Acción-CODA (Racc. pag. I‑6097, punto 28).


24 – V. supra, paragrafo 30.


25 – V. le mie conclusioni nella causa Djurgården, cit. alla nota 18 supra, paragrafi 51 e 62 supra.


26 – Argomento introdotto dal governo tedesco e già esposto supra, paragrafo 31.


27 – V., per un esame più completo dell’obbligo di interpretazione conforme, sentenza 19 gennaio 2010, causa C–555/07, Kücükdeveci (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 44 e segg, e giurisprudenza ivi citata ).


28 – V. sentenza 5 ottobre 2004, cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer e a., (Racc. pag. I‑8835, punti 113-119), in cui la Corte ha esortato il giudice del rinvio ad utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per giungere ad un’interpretazione della legislazione nazionale conforme a quanto prescritto da una direttiva.


29 – V.Pfeiffer, cit. alla nota 28, punto 103.


30 – V. da ultimo sentenza 1° luglio 2010, causa C–194/08, Gassmayr (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 44 e 45).


31 – Gassmayr, cit. alla nota 30, punto 45.


32 – Ciò risale almeno alla sentenza 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson e Kamann (Racc. pag. I‑1891, punto 27) e si può considerare parte del più ampio criterio di «attuazione non corretta» cui viene fatto riferimento, da ultimo, nella sentenza 14 ottobre 2010, causa C–243/09, Fuß (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 56).


33 – Cit. alla nota 30, punto 45.


34 – A questo proposito si può effettuare un parallelo con le decisioni della Corte in materia di relazioni esterne, ad esempio, nelle sentenze 8 maggio 2003, causa C‑438/00, Deutscher Handballbund (Racc. pag. I‑4135, punto 29) e 12 aprile 2005, causa C‑265/03, Simutenkov (Racc. pag. I‑2579, punti 24 e 25).