Cass. Sez. III n. 21797 del 31 maggio 2011 (CC 27 apr. 2011)
Pres.Petti Est.Fiale Ric.Apuzzo
Urbanistica.Demolizione ed estensione all'intero manufatto comprensivo di aggiunte o modifiche successive

L'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi, e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione. (Nella specie, sul manufatto abusivo erano stati eseguiti interventi che ne avevano determinato ulteriori aumenti volumetrici).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PETTI Ciro - Presidente - del 27/04/2011
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere - N. 879
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere - N. 38212/2010
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) APUZZO PIETRO, N. IL 01/12/1949;
avverso l'ordinanza n. 1635/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 25/01/2010;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
lette le conclusioni del PG Dott. Spinaci Sante, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Apuzzo Pietro è stato condannato - con sentenza del Tribunale di Torre Annunciata - Sezione distaccata di Sorrento, pronunciata il 13.7.2001, parzialmente riformata dalla Corte di appello di Napoli con sentenza divenuta irrevocabile il 7.6.2002 - per avere realizzato abusivamente in Vico Equense, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, un fabbricato in triplice elevazione (piano seminterrato, piano terra e primo piano).
Con la pronunzia di condanna sono stati impartiti l'ordine di demolizione delle opere abusive (ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 7, u.c., ed oggi previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9) e l'ordine di ripristino dello stato originario dei luoghi (già previsto dalla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies, comma 2, della ed attualmente dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 2). Nella fase esecutiva il P,G. competente ha ingiunto al condannato la demolizione, ma egli non vi ha ottemperato ed ha promosso incidente di esecuzione, prospettando che pendevano due procedure di sanatoria:
- la prima, in seguito ad istanza presentata il 24.3.1986, per il "condono edilizio" di cui alla L. n. 47 del 1985;
- la seconda, in seguito ad istanza presentata il 18.8.20O4, per il "condono edilizio" di cui alla L. n. 326 del 2003, art. 32. La Corte di appello di Napoli, quale giudice dell'esecuzione, all'esito del procedimento in camera di consiglio di cui all'art. 666 c.p.p., con ordinanza del 25.1.2010, ha rigettato l'istanza di sospensione degli ordini di demolizione e di rimessione in pristino, affermando la irrilevanza della pendenza: a) sia della pratica di concessione in sanatoria correlata alla L. n. 47 del 1985, perché non può fondatamente ritenersi, sulla base di dementi certi e concreti, che l'autorità amministrativa emetta in tempi brevi provvedimenti incompatibili con la demolizione; b) sia della pratica di concessione in sanatoria correlata alla L. n. 326 del 2003, perché le opere alle quali la stessa si riferisce non sono condonabili, a cagione dell'esistenza del vincolo paesaggistico. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso l'Apuzzo e - sotto il profilo della violazione di legge - ha eccepito la illegittimità del diniego della sospensione degli ordini di demolizione e di ripristino, in seguito all'intervenuta presentazione delle domande di sanatoria per condono edilizio, in quanto la domanda di condono presentata nel marzo del 1986 sarebbe in fase istruttoria ormai prossima alla conclusione (come da attestazione comunale del 21.1.2010) e la successiva istanza di sanatoria dell'agosto 2004 riguarderebbe "un piccolo ampliamento dell'immobile" che non costituirebbe oggetto dell'ordine di demolizione. Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato. 1. Il rilascio di concessione sanante per condono edilizio, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, mentre non ha effetto estintivo dei reati e delle pene (rendendo operanti, rispetto ad essi, soltanto i particolari effetti di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 38, comma 3), può comportare invece l'inapplicabilità ed anche la revoca dell'ordine di demolizione disposto ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, (vedi, tra le molteplici pronunzie, Cass.: Sez. 4, 12.11.2002, n. 37984, Mortillaro; Sez. 3:
4.2.2000, n. 3683, P.M. in proc. Basile; 29.7.1998, n. 1854, Caffaro ed altri; 20.6.1997, n. 2475, Coppola; 20.6.1997, n. 2474, Morello;
20.6.1997, n.2472, Filieri; 28.11.1996, Dardi. Decisioni tutte conformi alla motivazione della sentenza delle Sezioni Unite 24.7.1996, ric. P.M. in proc. Monterisi).
Questa Corte ha affermato, infatti, che l'ordine di demolizione in oggetto, costituendo una sanzione amministrativa caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell'organo istituzionale al quale ne è attribuita l'applicazione, non è suscettibile di passare in giudicato, essendo sempre possibile la sua revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbia conferito all'immobile altra destinazione o abbia provveduto alla sua sanatoria (vedi, tra le molteplici e concordi pronunzie in tal senso, Cass., Scz. 3: 11.5.2005, Morelli;
4.2.2000, Puglisi).
2. Secondo giurisprudenza costante, però, spetta al giudice penale (ed anche al giudice dell'esecuzione) verificare la sussistenza dei presupposti affinché la normativa di "condono edilizio" possa essere applicata e gli accertamenti che devono essere compiuti dal giudice penale costituiscono compiti propri dell'autorità giurisdizionale - conformi al dettato dell'art. 101 Cost., comma 2, art. 102 Cost., art. 104 Cost., comma 1, e art. 112 Cost. - che non possono essere demandati neppure con legge ordinaria all'autorità amministrativa in un corretto rapporto delle sfere specifiche di attribuzione. In presenza di una istanza di condono successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, conseguentemente, il giudice dell'esecuzione investito della questione è tenuto ad un'attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura e, in particolare: a) ad accertare il possibile risultato dell'istanza e se esistano cause ostative al suo accoglimento; b) nel caso di insussistenza di tali cause, a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l'esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso (vedi Cass., sez. 3: 5.3.2009, Marano; 17.10.2007, Parisi; 26.9.2007, Di Somma; 27.4.2007, Agostini; 289.2006, Mariaiu).
3. Nella fattispecie in esame:
3.1 Le opere abusive oggetto della sentenza posta in esecuzione - che il ricorrente afferma essere totalmente ricomprese nella domanda di condono del 1986 - sono state accertate il 25.11.1998 e non risulta dimostrato che esse siano state realizzate anteriormente al 1 ottobre 1983.
La giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere, come si è detto dianzi, che il giudice della esecuzione debba revocare l'ordine di demolizione se nuovi atti amministrativi si pongano in contrasto con lo stesso oppure lo debba sospendere quando sia ragionevolmente prospettarle che, nell'arco di brevissimo tempo, la pubblica amministrazione adotterà un provvedimento incompatibile con l'abbattimento dell'opera.
Non è sufficiente, pertanto, per neutralizzare l'ordine in esame, la mera possibilità che in un tempo non prevedibile - e comunque non prossimo - siano emanati atti favorevoli al condannato, non potendosi rinviare a tempo indefinito la tutela degli interessi urbanistici che l'ordine di demolizione mira a reintegrare.
Questi principi cercano di salvaguardare, in un armonico equilibrio, due esigenze meritevoli di tutela: quella pubblica alla rapida riparazione del bene violato e quella del privato ad evitare un danno irreparabile in pendenza di una situazione giuridica che potrebbe risolversi a suo favore.
In tale contesto, il giudice della esecuzione è chiamato ad una attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura di sanatoria e, nel caso concreto, il giudice ha fatto la necessaria valutazione prognostica della fattispecie concreta, essendo stata razionalmente ritenuta non imminente la definizione di una procedura in relazione alla quale non risulta certificata la congruità delle somme versate (a titolo di oblazione e di oneri concessori) e non è stata dimostrata l'intervenuta emissione del provvedimento di "svincolo idrogeologia)" previsto dalla L.R. Campania n. 13 del 1987 (richiesto l'ormai lontano 31.7.2009). Nè sono stati addotti dalla parte ulteriori elementi idonei a fare ritenere prossimi i tempi di definizione del procedimento amministrativo ed attuale la prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso.
3.2 Il manufatto abusivo ha costituito oggetto di ulteriori incrementi volumetrici e - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedi Cass., sez. 3: 20,2.2002, Conti; 18.1.2001, Vitrani) - l'ordine di demolizione della costruzione abusiva, impartito ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte e modifiche successive all'esercizio dell'azione penale ed anche alla condanna, atteso che detto ordine si configura come un dovere di restitutio in integrim dello stato dei luoghi e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato sia le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo della costruzione originaria e che sono quindi destinate a subire la stessa sorte della costruzione alla quale accedono.
L'opera abusiva complessivamente considerata, inoltre, non è suscettibile di sanatoria ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 32, poiché si tratta di nuova costruzione realizzata, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici (ipotesi esclusa dal condono dal comma 26, lett. a) (vedi, tra le molteplici e più recenti decisioni in tal senso, Cass., Sez. 3: 12.1.2007, n. 6431, Sicignano ed altra (con ampia confutazione delle divergenti posizioni dottrinarie, integralmente condivisa da questo Collegio): 5.4.2005, n. 12577, Ricci; 1.10.2004, n. 38694, Canu ed altro; 24.9.2004, n. 37865, Musip).
4. A norma dell'art. 616 c.p.p., al rigetto del ricorso segue l'onere del pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2011. Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011