E’ contra ius la moda dell’adozione di atipiche valutazioni della conformità paesaggistica di un’opera abusiva
(Nota a Cassazione, Sez. III penale, n. 1724 dep. 15/1/2015, Palestra ed altri)

di Massimo GRISANTI

Se la memoria non mi inganna questa è la prima pronuncia in ordine alla moda invalsa nelle Soprintendenze del Fare di rilasciare provvedimenti aventi sostanzialmente efficacia sanante per opere abusive non rispondenti al numerus clausus dell’art. 167 del Codice del Paesaggio.

La moda consisteva – e consiste, visto che è praticata con grande nonchalance ad esempio nella Toscana felix (sarà un caso?) – nell’adozione da parte dei Soprintendenti di un giudizio di compatibilità dell’opera abusiva rispetto al paesaggio percepito anche in presenza di aumenti di volume o di superficie rispetto a quanto legittimamente autorizzato.

Ma veniamo alla statuizione di principio della Cassazione: <… il rilascio postumo di un qualsiasi diverso provvedimento avente efficacia autorizzatoria ai fini della tutela paesaggistica neppure avrebbe prodotto l’estinzione della contravvenzione di cui all’art. 181, 1° comma, dello stesso D.Lgs. n. 42/2004 …>. Inoltre ha stabilito che è impossibile giovarsi della procedura delineata dall’art. 167 del Codice per <… interventi che hanno comportato (tra l’altro) un incremento della volumetria dell’edificio (irrilevante è l’entità di tale incremento), sicché correttamente la Corte territoriale ha affermato l’assoluta irrilevanza – ai fini della pretesa estinzione del reato paesaggistico – del parere di “compatibilità con la tutela del contesto paesistico” rilasciato, in sede di conferenza dei servizi …>.

Evidentemente le strutture ministeriali non hanno ancora ben compreso che trattandosi di un’eccezione al principio di valutazione ex ante degli interventi, tale giudizio non può essere compiuto in casi diversi da quelli tassativamente elencati. Diversamente i Soprintendenti finiscono per coniare, in assoluta violazione di legge, un istituto di protezione paesaggistica (cfr. CCOST n. 101/2010; n. 232/2008) non previsto dal legislatore.

Tra l’altro, l’art. 167 del Codice, in perfetta aderenza alla finalità paesistica, non consente all’interprete di operare alcuna distinzione in ordine al tipo di volume (urbanistico, tecnico ecc.) da ammettere a valutazione.

Le Soprintendenze, ancora in tutta evidenza, non hanno compreso che l’eccezionale previsione dell’autorizzazione paesaggistica a sanatoria mira essenzialmente a proteggere la genuinità della valutazione della P.A. a tutela di un valore costituzionalmente protetto ed assoluto, e, nel contempo, a prevenire fenomeni di corruzione e di collusione.

In conclusione, non possono che essere invalidi i permessi a sanatoria rilasciati in base ad atipiche valutazioni di compatibilità paesaggistica ed abusive permangono le relative opere. Con l’aggravante del concorso dei Soprintendenti alla verificazione dei danni conseguenti all’indebito rilascio di provvedimenti aventi efficacia sostanzialmente autorizzatoria.

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Scritto il 11 febbraio 2015