Cass. Sez. III n. 456 del 13 gennaio 2007 (ud. 23 nov. 2006)
Pres. Vitalone Est. Sarno Ric. Alamprese
Aria. Ambito di applicazione del D.Lv. 152-06
L'art. 269 comma 1 D.Lv. 152-2006 espressamente menziona
(così evitando anche i rilievi che avevano in passato
accompagnato la scelta di consentire in via amministrativa la riduzione
del campo di applicazione del d.lgs 203-1988) i casi in cui
l'autorizzazione non è necessaria richiamando l'art. 267
comma 3 (secondo cui l'autorizzazione integrata ambientale sostituisce
l'autorizzazione alle emissioni); i commi 14 (impianti di combustione e
gruppi elettrogeni di limitata potenza termica, impianti di combustione
connessi all'attività di stoccaggio dei prodotti petroliferi
anch'essi di limitata potenza termica e funzionanti per meno di 2000
ore annue, impianti di emergenza e di sicurezza, laboratori di analisi
e ricerca, impianti pilota per prove, ricerche, sperimentazioni,
individuazione di prototipi, purché le emissioni non
riguardino sostanze cancerogene, tossiche, ecc.) e 16 (impianti di
depositi di oli minerali) dello stesso art. 269; ed, infine, l'art. 272
comma 5 (che richiama gli impianti e le attività elencati
nella parte l dell'allegato IV alla parte quinta). Inoltre l'art. 272
pur contemplando, al comma 2, la possibilità di
autorizzazioni generali per specifiche categorie di impianti, ne
condiziona tuttavia l'efficacia ad una domanda di adesione da parte del
gestore degli impianti. Inoltre, superando le pregresse dispute circa
l'ambito operativo del D.P.R. n. 203 del 1988 l'art. 267 prevede
l'applicazione delle nuove disposizioni agli impianti ed alle
attività che producono emissioni nell'atmosfera, e il
successivo art. 268 nella definizione di
“impianto”, attraverso la mancata riproposizione
delle parole "che serva per usi industriali o di pubblica
utilità", riconduce l'ambito di applicazione della normativa
alla precedente elaborazione giurisprudenziale.
Pubblica Udienza del 23.11.2006
SENTENZA N. 1886
REG. GENERALE n. 042514/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori:
dott. Vitalone
Claudio
Presidente
1. dott. Squassoni
Claudia
Consigliere
2. Dott. Gentile
Mario
Consigliere
3. Dott. Franco
Amedeo
Consigliere
4. Dott. Sarno
Giulio
Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) ALAMPRESE SERGIO n. il 15/04/1975 avverso la sentenza del 3/05/2005
TRIBUNALE DI MELFI
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal consigliere SARNO
GIULIO
Udito il Procuratore Generale in persona del dott. Baglioni che ha
concluso per l'inammissibilità del ricorso.
In data 3 maggio 2005 il Tribunale di Melfi condannava alla pena di
euro 280 di ammenda Alamprese Giorgio in quanto ritenuto responsabile
del reato di cui all’articolo 24 commi 1 e 2 DPR 203/88 per
avere iniziato, in data antecedente e prossima al 10 luglio 2002, in
località Terre Nere la costruzione di un nuovo impianto per
la lavorazione della sanza suscettibile di provocare inquinamento
atmosferico ed avere attivato lo stesso impianto senza le prescritte
autorizzazioni e comunque senza averne dato preavviso alle
autorità competenti.
Avverso tale decisione l’Alamprese ha proposto appello
eccependo l’assoluta infondatezza e non
attribuibilità a lui dei fatti e dei reati contestati, oltre
alla insufficienza contraddittorietà ed
illegittimità degli elementi probatori raccolti per evidente
vizio della motivazione.
Trattandosi di impugnazione relativa a sentenza di condanna alla sola
pena pecuniaria l’appello veniva convertito in ricorso per
cassazione.
Motivi della decisione.
Il ricorso è inammissibile.
Nell’unico motivo di ricorso l’Alamprese concentra
una serie di questioni che attengono alla mancanza di prova in ordine
al funzionamento dell’impianto ed alla sua
capacità inquinante in quanto accertata con metodologia non
conforme alle indicazioni del DM 12.7.1990; alla prescrizione del
reato; alla mancanza di avviso per l’attività di
indagine.
Ciò posto la prima questione che nell’ordine
logico occorre affrontare è quella relativa alla
necessità dell’autorizzazione per la costruzione
dell’impianto e per la sua attivazione.
Sul punto i rilievi del ricorrente si sostanziano: a)
sull’effettivo funzionamento dell’impianto
asserendosi che lo stesso era solo in fase di prova e b), come detto,
sulla non conformità alle indicazioni del DM 12.7.1990 della
metodologia seguita.
a) Per quanto concerne il primo aspetto, il giudice di merito con
motivazione assolutamente corretta e priva di vizi logici esclude
l’occasionalità dell’esercizio
dell’impianto affermando che la scelta di fermare
l’impianto era da attribuire unicamente alla circostanza che
l’imputato, vistosi scoperto
dall’autorità, aveva fermato ogni
attività.
Ed occorre anche ricordare che l’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha
un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione essere limitato - per espressa volontà del
legislatore a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle
acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di
cassazione quello di una “rilettura” degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione
è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del
30/04/1997 Rv. 207944).
b) La seconda questione richiede a monte alcune puntualizzazioni.
Come questa Corte ha più volte affermato
l’inquinamento atmosferico disciplinato dal D.P.R. 24 maggio
1998 n. 203 non è limitato alla salubrità
dell’aria ed al controllo delle emissioni atmosferiche
originate dai soli impianti qualificabili quali industriali ai sensi
dell’art. 2195 cod. civ., ma si estende a qualsiasi impianto
che può dare luogo ad emissioni nell’atmosfera, ai
sensi dell’art. 1 del citato decreto n. 203. (da ultimo Sez.
3, n. 40944 del 30/09/2005 Rv. 232361).
Questa Sezione ha tuttavia più volte evidenziato che
l’area di applicabilità del DPR 203/88 dalla
portata più ampia rispetto al contenuto della direttiva CE
n. 84/360 di cui costituiva attuazione è stata ristretta
dapprima con il d.p.c.m. 31.7.89 che faceva riferimento ai valori
minimi fissati dalle linee guida statali e, successivamente, con il DPR
25 luglio 1991 (Modifiche dell’atto di indirizzo e
coordinamento in materia di emissioni poco significative e di
attività a ridotto inquinamento atmosferico emanato con
d.p.c.m. in data 21 luglio 1989) con il quale si sono, invece,
tipizzate le attività per le quali le emissioni si
ritenevano poco significative - escludendole dal regime autorizzatorio
- laddove, invece, per quelle a ridotto inquinamento si prevedeva
comunque la necessità di un’autorizzazione
regionale (Sez 3 rv 227181; 232657).
Decisivo si rivela pertanto, rispetto alla questione prospettata dal
ricorrente non già il metodo di accertamento della
capacità inquinante dell’impianto,
bensì il rilievo che l’attività in
esame non era comunque annoverabile tra le attività
“ad inquinamento atmosferico poco significativo” in
quanto non espressamente indicata nell’elencazione contenuta
nel DPR 25 luglio 1991.
E ciò in quanto, anche a volerla ritenere riconducibile nel
novero delle attività a ridotto inquinamento atmosferico
indicate nel D.P.R. 25 luglio 1991, allegato 2, non si poteva comunque
prescindere per la realizzazione dell’impianto e per la sua
attivazione dalla presentazione della domanda di autorizzazione
semplificata - il cui modello è determinato dalla Regione in
base al D.P.C.M. 21 luglio 1989, punto 26, e al D.P.R. 25 luglio 1991,
allegato 2 - o dalla comunicazione della volontà di
avvalersi del provvedimento abilitativo generale, adottabile, per tali
tipologie di attività, dalla Regione, (D.P.R. 25 luglio
1991, art. 4, D.P.C.M. 21 luglio 1989 punto 19).
Né muta la situazione alla luce delle disposizioni contenute
nel d. lgs 3.4.2006 n. 152.
Anche l’art. 269 comma 1 espressamente menziona, infatti,
(cosi evitando anche i rilievi che avevano in passato accompagnato la
scelta di consentire in via amministrativa la riduzione del campo di
applicazione del d. lgs 203/88) i casi in cui
l’autorizzazione non è necessaria richiamando
I’art. 267 comma 3 (secondo cui l’autorizzazione
integrata ambientale sostituisce l’autorizzazione alle
emissioni); i commi 14 (impianti di combustione e gruppi elettrogeni di
limitata potenza termica, impianti di combustione connessi
all’attività di stoccaggio dei prodotti
petroliferi anch’essi di limitata potenza termica e
funzionanti per meno di 2000 ore annue, impianti di emergenza e di
sicurezza, laboratori di analisi e ricerca, impianti pilota per prove,
ricerche, sperimentazioni, individuazione di prototipi,
purchè le emissioni non riguardino sostanze cancerogene,
tossiche, ecc.) e 16 (impianti di depositi di olii minerali) dello
stesso art. 269; ed, infine, 1’art. 272 comma 5 (che richiama
gli impianti e le attività elencati nella parte 1
dell’allegato IV alla parte quinta).
Inoltre l’art. 272 pur contemplando, al comma 2, la
possibilità di autorizzazioni generali per specifiche
categorie di impianti, ne condiziona tuttavia l’efficacia ad
una domanda di adesione da parte del gestore degli impianti.
Va anche aggiunto che superando le pregresse dispute circa
l’ambito operativo del D.P.R. n. 203 del 1988
l’art. 267 prevede l’applicazione delle nuove
disposizioni agli impianti ed alle attività che producono
emissioni nell’atmosfera, e il successivo art. 268 definisce
impianto “il macchinario o il sistema o l’insieme
di macchinari o di sistemi costituito da una struttura fissa e dotato
di autonomia funzionale in quanto destinato ad una specifica
attività” così che attraverso la
mancata riproposizione delle parole “che serva per usi
industriali o di pubblica utilità”,
dimodochè l’ambito di applicazione risulta
sostanzialmente coincidente con l’elaborazione
giurisprudenziale di questa Corte.
Infondato è anche il rilievo relativo alla prescrizione dei
reati.
Il reato di cui all’art. 24, comma 1, “costruzione
di nuovo impianto senza autorizzazione”, è
pacificamente ritenuto in giurisprudenza quale reato permanente, la cui
permanenza dura fino al rilascio della prescritta autorizzazione, in
quanto finalizzato alla tutela della qualità
dell’aria e l’autorizzazione costituisce mezzo di
controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde verificare la
tollerabilità delle emissioni e l’adozione di
appropriate misure di prevenzione dell’inquinamento
atmosferico, così che il reato permane finché il
competente ente territoriale non abbia effettuato tale controllo.
Sulla natura del reato di cui all’art. 24, comma 2,
“attivazione dell’esercizio di nuovo impianto senza
la preventiva comunicazione”, sussistono valutazioni
differenti sulla possibilità di ritenerlo a meno permanente.
In ogni caso, l’unificazione con il vincolo della
continuazione di entrambi i reati ad opera della decisione di primo
grado comporta la medesima decorrenza per entrambi i reati che, in
assenza di altri elementi idonei a far venire meno la permanenza,
decorre dalla sentenza di primo grado stante il disposto
dell’art. 10 comma 3 L. n. 151/2005.
Assolutamente generico si appalesa infine il rilievo concernente
l’omesso avviso per attività d’indagine
non venendo in alcun modo circostanziate le ragioni della doglianza.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro mille in favore della Cassa delle Ammende.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 23.11.2006
Il Consigliere estensore Il Presidente
Aria. Ambito di applicazione del D.Lv. 152-2006
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