Cass. Sez. III n. 12436 del 20 marzo 2008 (Cc 20 feb. 2008)
Pres. Altieri Est.Grillo Ric.Contento
Aria. Reato di costruzione di impianto senza autorizzazione

Il reato di realizzazione di impianto in difetto di autorizzazione, di cui all\'art. 24, comma primo, d.P.R. n. 203 del 1988 (ora art. 279 D.Lgs. n. 152 del 2006), ha natura permanente, protraendosi sino a quando il responsabile dell\'impianto non presenti, anche oltre il termine prescritto, la domanda di autorizzazione per le emissioni atmosferiche prodotte.
Svolgimento del processo
Il 20 settembre 2006 Carabinieri del N.O.E. di Bari, a seguito di esposto denuncia, sottoponevano a sequestro d’iniziativa, in Trani, l’impianto di frantumazione inerti della ditta “C.A.V. s..r.l.”, che, pur dando luogo ad emissioni in atmosfera, era sprovvisto della prescritta autorizzazione.
Il 25 settembre 2006 il G.I.P. presso il Tribunale di Trani, previa convalida della misura suddetta, disponeva il sequestro preventivo del detto impianto, ipotizzando nei confronti di Contento Vittorio, legale rappresentante della menzionata società, i reati di getto pericoloso di cose (art. 674 c.p.) ed esercizio di impianto, fonte di emissioni in atmosfera, sprovvisto di autorizzazione (artt. 269, comma 1, e 279, comma 1, d.l.vo n. 152/2006), e nei confronti di Affatato Giuseppe, dirigente comunale, i reati di omissione e rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.).
In pari data il P.M., su istanza della difesa, ritenendo non più sussistente il fumus dei reati ipotizzati, revocava la misura cautelare, ordinando il dissequestro dell’impianto.
Il 17 novembre 2006 lo stesso P.M., ritornando sulle originarie posizioni a seguito di ulteriori indagini del N.O.E., chiedeva nuovamente il sequestro preventivo dell’impianto in questione, che il G.I.P. disponeva con provvedimento 2 dicembre 2006.
Il 13 dicembre 2006 il medesimo G.I.P., pur reputando ancora sussistente il fumus delle contravvenzioni ipotizzate, non ravvisava la persistenza delle esigenze cautelari, per cui dissequestrava l’impianto di frantumazione inerti.
Il 22 dicembre 2006, il P.M. presso il Tribunale di Trani, avverso tale provvedimento, proponeva appello ex art. 322-bis c.p.p. ed il Tribunale di Bari, con la gravata ordinanza (dell’1 ottobre 2007), accoglieva l’impugnazione e annullava l’ordinanza del G.I.P., ridisponendo il sequestro preventivo dell’impianto in questione.
Contro questa ordinanza ricorre per cassazione il solo indagato Contento, deducendo violazione della legge penale e di altre norme di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, nonché violazione del principio devolutivo nella rivalutazione del fumus commissi delicti (ex art. 606 lett. ‘b’ c.p.p. in relazione agli artt. 25 D.P.R. n. 203/1988 nonché 279 e 281 d.l.vo n. 152/2006, ed ancora in relazione agli artt. 125 e 597, comma 2, c.p.p.).
Secondo il ricorrente, invero, il Tribunale sarebbe incorso nell’errore di qualificare come “nuovo” - al momento della presentazione della domanda autorizzatoria del 2003 – l’impianto in questione, realizzato invece nei primi anni ‘60, con la conseguenza di ritenere applicabile la disciplina dell’art. 24, anziché quella dell’art. 25, del D.P.R. n. 203/1988. La preesistenza dell’impianto all’entrata in vigore di detta normativa rendeva infatti sufficiente, per la legittima prosecuzione dell’attività, la sola presentazione (anche tardiva) della domanda, sebbene non seguita dal rilascio del formale provvedimento autorizzatorio da parte dell’autorità regionale. Pertanto non è ravvisabile il fumus del reato contestato, dovendo considerarsi l’attività in questione come “tacitamente autorizzata”, anche sotto la vigenza del nuovo d.l.vo n. 152/2006.
Con memoria difensiva 11 febbraio 2008 vengono ribadite le argomentazioni dei ricorso, evidenziandosi che tra le ipotesi di violazione di legge, che legittimano lo stesso, devono includersi la mancanza di motivazione (ex art. 125, comma 3, c.p.p.) anche su uno solo degli elementi di cui all’art. 292 c.p.p., e nel caso di specie il Tribunale non ha spiegato perché ha ritenuto irrilevanti “gli elementi forniti dalla difesa”.
All’odierna udienza camerale, il P.G. ed i difensori concludono come riportato in premessa.

Motivi della decisione
Il ricorso non merita accoglimento.
La doglianza proposta attiene alla sussistenza del fumus dei reati ipotizzati, benché il Tribunale di Bari abbia annullato l’ordinanza del G.I.P. che aveva dissequestrato l’impianto per carenza, non del fumus, ma delle esigenze cautelari.
In altri termini, nonostante l’avvicendarsi dì pronunzie contrastanti in ordine al mantenimento della misura de qua, non era più in contestazione l’astratta ipotizzabilità dei reati rubricati, su cui ormai concordavano il P.M. ed il G.I.P., ma la persistenza delle esigenze cautelari. Nondimeno l’indagato Contento incentra il proprio ricorso sulla sussistenza del fumus delicti, che il Tribunale ha inteso rivalutare, affermandola.
Si ricorda in proposito, in linea di principi per quanto attiene al sequestro preventivo, che la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare, da parte del Tribunale e di questa Corte, non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito, dovendosi limitare alla verifica della compatibilità tra la fattispecie concreta e quella astratta ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria dell’antigiuridicità penale del fatto (Cass. SS.UU., 7 novembre 1992, Midolini), anche se tale astrattezza (come affermato da Cass. SS.UU., 29 gennaio 1997, n. 23, Bassi ed altri) non limita i poteri del giudice ad una “presa d’atto” della tesi accusatoria, impedendogli di svolgere ogni altra attività, ma determina soltanto l’impossibilità di esercitare una verifica in concreto della sua fondatezza. Pertanto l’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica, con la conseguenza che il giudice del riesame non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro.
Neppure sono estensibili alle misure cautelari reali le condizioni generali per l’applicabilità di quelle personali, indicate nell’art. 273 c.p.p., per cui è preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di essi ed alla colpevolezza dell’indagato (SS.UU., 23 aprile 1993, Gifuni).
Ciò premesso, si osserva che - lamentando il ricorrente l’erroneità delle argomentazioni addotte dal G.L.P. e dal Tribunale circa la qualificazione dell’impianto in questione come “nuovo” anziché “esistente”, all’entrata in vigore del D.P.R. n. 203/1988, e dunque come non assentito da alcuna autorizzazione (neppure tacita) - in definitiva si demanda a questa Corte, una indagine in fatto per appurare la detta circostanza che, alla luce della giurisprudenza sopra ricordata, è preclusa in sede di legittimità.
Pertanto, entro i limiti cognitivi sopra indicati, il Collegio non è in grado di disattendere le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale, motivandole articolatamente e logicamente, circa l’affermata “esistenza di circostanze fattuali deponenti per l’assenza di un titolo autorizzativo e, comunque, di una valida e tempestiva istanza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera presentata dal Contento per un impianto asseritamene già esistente”.
Ovviamente si condivide l’orientamento giurisprudenziale prevalente sulla natura permanente del reato di cui all’art. 24, comma 1, D.P.R. n. 203/1988 (sino a quando il responsabile dell’impianto non presenti, anche oltre il termine prescritto, la domanda di autorizzazione per le emissioni atmosferiche prodotte), recentemente confermata anche con riferimento all’art. 279, comma 1, d.l.vo n. 152/2006 (Cass. Sez. III, 13 gennaio 2007, n. 456; 7 febbraio 2007, n. 5025).
Sulla sussistenza delle esigenze cautelari, peraltro oggetto di motivazione adeguata e non manifestamente illogica da parte del Tribunale pugliese, non v’è doglianza.