Corte di Giustizia
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE JULIANE KOKOTT 16 dicembre 2010
Cause riunite C‑165/09, C‑166/09 e C‑167/09

«Direttiva 2001/81/CE – Inquinamento atmosferico – Limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici – Provvedimenti degli Stati membri – Direttiva 2008/1/CE – Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento ambientale – Autorizzazione ambientale – Centrale elettrica»

I –    Considerazioni introduttive

1. L’Unione europea ha fissato degli obiettivi ambiziosi per la tutela della qualità dell’aria, che pongono gli Stati membri davanti a grandi sfide. Ciò si è evidenziato già nelle cause concernenti la qualità dell’aria ambientale (2) ed è confermato dalla presente causa, relativa ai limiti nazionali di emissione.

2. La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 ottobre 2001, 2001/81/CE, relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici (3) (in prosieguo: la «direttiva LNE»), fissa per tutti gli Stati membri i limiti nazionali annui di emissione di alcuni inquinanti atmosferici. I Paesi Bassi avevano innanzitutto comunicato alla Commissione che non avrebbero potuto prevedibilmente rispettare i propri obblighi in relazione al biossido di zolfo e agli ossidi di azoto (4). Ora viene sottoposta alla Corte di giustizia la questione se il detto Stato membro possa, ciò nonostante, autorizzare progetti che produrranno quantità aggiuntive di tali inquinanti.

3. Le cause principali riguardano l’autorizzazione di diversi progetti di centrali elettriche. Il pertinente contesto normativo si ricava dalle disposizioni della direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (5) (in prosieguo: la «direttiva IPPC»), che disciplinano l’autorizzazione di impianti industriali.

II – Contesto normativo

A – La direttiva IPPC

4. Le disposizioni della direttiva IPPC sono indicate di seguito nella versione consolidata della direttiva 2008/1/CE, che, a partire dal 18 febbraio 2008, ha sostituito la direttiva 96/61, senza peraltro apportare modifiche al suo contenuto.

5. Tra le definizioni di cui all’art. 2 della direttiva IPPC i punti 2, 7 e 15 sono particolarmente rilevanti per il caso in esame:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

2. “inquinamento”, l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento di beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi;

7. “norma di qualità ambientale”, la serie di requisiti che devono sussistere in un dato momento in un determinato ambiente o in una specifica parte di esso, conformemente alla legislazione comunitaria;

15. “pubblico interessato”, il pubblico che subisce o può subire gli effetti dell’adozione di una decisione relativa al rilascio o all’aggiornamento di un’autorizzazione o delle condizioni di autorizzazione, o che ha un interesse rispetto a tale decisione; ai fini della presente definizione le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente e che soddisfano i requisiti di diritto nazionale si considerano portatrici di un siffatto interesse».

6. L’art. 3 della direttiva IPPC definisce i requisiti essenziali di un impianto:

«Gli Stati membri prendono le disposizioni necessarie affinché le autorità competenti garantiscano che l’impianto sia gestito in modo che

a) siano adottate le opportune misure di prevenzione dell’inquinamento, applicando segnatamente le migliori tecniche disponibili;

b) non si verifichino fenomeni di inquinamento significativi;»

7. Secondo l’art. 4 della direttiva IPPC tutti gli impianti ai sensi della direttiva necessitano di un’autorizzazione.

8. L’autorizzazione di un impianto è disciplinata dall’art. 8, n. 1, della direttiva IPPC:

«Fatti salvi altri requisiti prescritti da disposizioni nazionali o comunitarie, l’autorità competente rilascia un’autorizzazione contenente condizioni che garantiscano la conformità dell’impianto ai requisiti previsti dalla presente direttiva oppure nega l’autorizzazione in caso di non conformità».

9. L’art. 9 della direttiva IPPC fissa le condizioni che devono essere contenute nell’autorizzazione:

«1.Gli Stati membri si accertano che l’autorizzazione includa tutte le misure necessarie per soddisfare le relative condizioni di cui agli articoli 3 e 10, al fine di conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso, attraverso una protezione dell’aria, dell’acqua e del suolo.

2. (…)

3. L’autorizzazione deve stabilire valori limite per le sostanze inquinanti, in particolare per quelle elencate nell’allegato III, che l’impianto rischia di emettere in quantità significativa, tenendo conto della loro natura e della possibilità che l’inquinamento venga trasferito da un elemento ambientale all’altro (acqua, aria, suolo). Se necessario, l’autorizzazione contiene disposizioni per garantire la protezione del suolo e delle acque sotterranee, nonché per gestire i rifiuti prodotti dall’impianto. (…) Se del caso, i valori limite di emissione possono essere integrati o sostituiti con altri parametri o con misure tecniche equivalenti.

4. Fatto salvo l’articolo 10, i valori limite di emissione, i parametri e le misure tecniche equivalenti di cui al paragrafo 3 si basano sulle migliori tecniche disponibili, senza l’obbligo di utilizzare una tecnica o una tecnologia specifica, tenendo conto delle caratteristiche tecniche dell’impianto in questione, della sua ubicazione geografica e delle condizioni locali dell’ambiente. In tutti i casi, le condizioni di autorizzazione prevedono disposizioni per ridurre al minimo l’inquinamento su grande distanza o transfrontaliero e garantiscono un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso.

5. (…)

7. L’autorizzazione può stabilire altre condizioni specifiche ai fini della presente direttiva, giudicate opportune dallo Stato membro o dall’autorità competente.

(…)».

10. L’art. 10 della direttiva IPPC disciplina il rapporto tra le migliori tecniche disponibili e le norme di qualità ambientale in occasione dell’autorizzazione di impianti:

«Qualora una norma di qualità ambientale richieda condizioni più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, l’autorizzazione prescrive misure supplementari particolari, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per rispettare le norme di qualità ambientale».

11. L’art. 16 della direttiva IPPC concerne la tutela giudiziaria. Sono rilevanti anzitutto i nn. 1 e 3:

«1. Gli Stati membri provvedono, nel quadro dell’ordinamento giuridico nazionale, affinché i membri del pubblico interessato abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale o a un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico stabilite dalla presente direttiva, qualora essi

a) vantino un interesse sufficiente; o

b) facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di uno Stato membro esiga tale presupposto.

3. Gli Stati membri determinano ciò che costituisce interesse sufficiente e violazione di un diritto, compatibilmente con l’obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia. A tal fine, l’interesse di qualsiasi organizzazione non governativa di difesa dell’ambiente, che soddisfi i requisiti stabiliti dal diritto nazionale è considerato sufficiente ai fini del paragrafo 1, lettera a). Si considera inoltre che tali organizzazioni siano titolari di diritti suscettibili di violazione ai sensi del paragrafo 1, lettera b)

Si considera inoltre che tali organizzazioni siano titolari di diritti suscettibili di violazione ai sensi del paragrafo 1, lettera b)».

12. Questa disposizione è stata introdotta nella direttiva IPPC (6) ai fini della trasposizione dell’art. 9, n. 2, della Convenzione di Aarhus (7).

B – La direttiva LNE

13. A norma dell’art. 4 della direttiva LNE, i limiti nazionali di emissione devono essere ridotti entro il 2010 e, in seguito, essere costantemente rispettati.

«1. Entro il 2010 gli Stati membri riducono le emissioni nazionali annue di biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili (COV) e ammoniaca (NH3) al di sotto dei limiti massimi di emissione indicati all’allegato I, tenendo conto delle eventuali modifiche apportate dalle misure comunitarie adottate in seguito alle relazioni di cui all’articolo 9.

2. Negli anni successivi al 2010 gli Stati membri assicurano che non siano superati i limiti di emissione indicati all’allegato I».

14. L’allegato I della direttiva LNE fissa per i Paesi Bassi, inter alia, i limiti di 50 chilotonnellate, vale a dire 50 000 tonnellate, di biossido di zolfo, e di 260 chilotonnellate, vale a dire 260 000 tonnellate, di ossidi di azoto.

15. L’art. 6 della direttiva LNE dispone che, entro il 1° ottobre 2002, gli Stati membri elaborano programmi per la progressiva riduzione delle emissioni nazionali, al fine di conformarsi ai limiti entro la fine del 2010. L’art. 7 li obbliga ad elaborare inventari annuali e proiezioni delle emissioni per il 2010. Essi trasmettono le dette informazioni alla Commissione che li pubblica insieme con l’Agenzia europea dell’ambiente.

16. Sul contenuto dei programmi intervengono l’undicesimo e il dodicesimo ‘considerando’ della direttiva LNE:

«(11) Un sistema di limiti nazionali per ciascuno Stato membro per le emissioni di anidride solforosa, ossidi di azoto, composti organici volatili ed ammoniaca costituisce un metodo economicamente conveniente di conseguire obiettivi ambientali provvisori. Un simile sistema lascerà alla Comunità e agli Stati membri la flessibilità necessaria per decidere le modalità di adeguamento ai limiti di emissione.

(12) È opportuno assegnare agli Stati membri il compito di attuare le misure necessarie per conformarsi ai limiti nazionali di emissione. Sarà necessario valutare i progressi da questi compiuti nel conformarsi ai limiti nazionali. I programmi nazionali di riduzione delle emissioni dovrebbero pertanto essere elaborati e comunicati alla Commissione e dovrebbero contenere informazioni sulle misure adottate o previste per conformarsi ai limiti di emissione».

17. Il rapporto tra la direttiva IPPC e la direttiva LNE è preso in considerazione dal diciannovesimo ‘considerando’:

«Le disposizioni della presente direttiva dovrebbero applicarsi fatta salva la normativa comunitaria che disciplina le emissioni di tali inquinanti provenienti da fonti specifiche e fatte salve le disposizioni della direttiva 96/61/CE, in relazione ai valori limite di emissione e all’impiego delle migliori tecniche disponibili».

18. A termini del suo art. 15, n. 1, la direttiva LNE doveva essere recepita entro il 27 novembre 2002.

19. Analogamente alla direttiva LNE, anche il Protocollo di Göteborg alla convenzione del 1979 sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza per la riduzione dell’acidificazione, dell’eutrofizzazione e dell’ozono troposferico (8) fissa limiti di emissione per il 2010, ma gli obiettivi della direttiva sono spesso più rigorosi.

C – La direttiva 2001/80/CE

20. Occorre inoltre considerare la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 ottobre 2001, 2001/80/CE, concernente la limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione (9), che fissa valori limite di emissione per determinati impianti e rinvia ugualmente al protocollo di Göteborg.

D – Diritto dei Paesi Bassi

1.      Il recepimento della direttiva IPPC

21. La direttiva IPPC è stata trasposta nei Paesi Bassi attraverso la modifica delle disposizioni del Wet Milieubeheer (legge sulla tutela dell’ambiente).

22. L’art. 8.1, n. 1, parte iniziale e lett. b), del Wet Milieubeheer stabilisce un obbligo di autorizzazione per modifiche o alterazioni di utilizzo riguardanti un impianto rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva. L’art. 8.10, n. 1, del Wet milieubeheer stabilisce che l’autorizzazione può essere rifiutata solo nell’interesse della tutela dell’ambiente. In base al n. 2, parte iniziale e lett. a), del detto articolo, l’autorizzazione viene in ogni caso rifiutata qualora con il suo rilascio non si può far sì che nell’impianto vengano impiegate le migliori tecniche disponibili in essa utilizzabili.

23. Ai sensi dell’art. 8.11, n. 2, del Wet milieubeheer, un’autorizzazione può essere assoggettata a restrizioni, nell’interesse della tutela dell’ambiente. A tenore dell’art. 8.12b, parte iniziale e lett. e), del Wet milieubeheer, l’autorizzazione è in ogni caso assoggettata alle condizioni utilizzabili per l’impianto relative alla prevenzione o alla massima riduzione possibile dell’inquinamento a grande distanza o attraverso le frontiere da essa causato.

2.      Il recepimento della direttiva LNE

24. In base alle indicazioni del governo dei Paesi Bassi, il detto Stato membro ha adottato diverse misure al fine di assicurare l’adeguamento ai limiti di emissione. Con riguardo agli ossidi di azoto, infatti, ha introdotto un sistema di scambio dei diritti di emissione (10). I limiti ammessi di emissione per il biossido di zolfo sono stati ripartiti tra diversi settori industriali. Nessun settore può superare i pertinenti limiti di emissione di biossido di zolfo.

III – Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

25. Le cause principali derivano da ricorsi proposti contro tre progetti di centrali elettriche. La centrale di Eemshaven, autorizzata in data 11 dicembre 2007 (causa C‑165/09), è progettata per un’emissione annuale di 1 454 tonnellate di biossido di zolfo, quella di Rotterdam a Missouriweg, autorizzata in data 11 marzo 2008 (causa C/166/09), dovrebbe emettere 580 tonnellate di biossido di zolfo e 730 tonnellate di ossidi di azoto, e per la centrale di Rotterdam a Coloradoweg, da rivedere in base all’autorizzazione del 26 ottobre 2007 (causa C‑167/09), sono previste 923 tonnellate di biossido di zolfo e 1 535 tonnellate di ossidi di azoto. Le dette centrali producono cumulativamente, dunque, circa il 6% delle emissioni di biossido di zolfo complessivamente ammesse nei Paesi Bassi e quasi l’1% del limite relativo agli ossidi di azoto.

26. La domanda di pronuncia pregiudiziale menziona informazioni provenienti da autorità statali e dalla Commissione dalle quali risulta che i Paesi Bassi non riuscirebbero a conformarsi ai limiti di biossido di zolfo e di ossidi di azoto nel 2010 e nel periodo successivo. I Paesi Bassi sostengono tuttavia che, in base alle più recenti previsioni, i limiti verrebbero rispettati.

27. Il Raad van State ha pertanto sottoposto alla Corte le seguenti questioni per una pronuncia pregiudiziale:

1.      Se l’obbligo di un’interpretazione conforme alla direttiva comporti che gli obblighi imposti dalla direttiva 96/61/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (attualmente: direttiva 2008/1/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento), trasposti nel Wet Milieubeheer, possano e debbano essere interpretati nel senso che, nella decisione sulla domanda di autorizzazione ambientale, deve essere integralmente rispettato il limite nazionale di emissione di SO2 di cui alla direttiva 2001/81/CE, relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici (in prosieguo: la «direttiva LNE»), segnatamente per quanto riguarda gli obblighi imposti dall’art. 9, n. 4, della direttiva 96/61/CE, attualmente divenuta 2008/1/CE.

2. a) Se l’obbligo di uno Stato membro di astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva stessa valga anche durante il periodo dal 27 novembre 2002 al 31 dicembre 2010, di cui all’art. 4, n. 1, della direttiva LNE.

2. b) Se, nel corso del menzionato periodo dal 27 novembre 2002 al 31 dicembre 2010, oltre al, o invece del, menzionato obbligo di astensione valgano per lo Stato membro in questione anche «obblighi positivi», nel caso di superamento potenziale o effettivo dei limiti di emissione nazionali di SO2 e/o di NOx alla scadenza del detto periodo.

2. c) Se, per risolvere le questioni 2.a e 2.b, sia rilevante che da una domanda di autorizzazione ambientale per un impianto che contribuisce al superamento effettivo o potenziale del limite nazionale di emissione di SO2 di cui alla direttiva LNE consegue che l’impianto entrerà in funzione non prima dell’anno 2011.

3. a) Se gli obblighi di cui alla questione 2 comportino che, ove manchino garanzie che l’impianto per cui è stata richiesta un’autorizzazione ambientale non concorrerà al superamento effettivo o potenziale dei limiti nazionali di emissione di SO2 e/o di NOx di cui alla direttiva LNE, lo Stato membro debba negare l’autorizzazione richiesta oppure debba assoggettarla ad ulteriori condizioni o restrizioni. Se per la soluzione delle presenti questioni sia rilevante in che misura l’impianto concorra a siffatto superamento effettivo o potenziale.

3. b) A questo riguardo la Sezione si pone la questione se allo Stato membro, anche in caso di superamento effettivo o potenziale del limite nazionale di emissione di SO2 e/o di NOx, spetti un margine di discrezionalità per perseguire lo scopo prescritto dalla direttiva stessa, non negando l’autorizzazione o assoggettandola a condizioni o a restrizioni supplementari, ma adottando invece provvedimenti diversi, come una compensazione altrove.

4. Se, nei limiti in cui sullo Stato membro gravino obblighi come quelli di cui alle questioni 2 e 3, un singolo possa invocare il rispetto di siffatti obblighi dinanzi al giudice nazionale.

5. a) Se un singolo possa invocare direttamente l’art. 4 della direttiva LNE.

5. b) In caso di risposta affermativa, se un ricorso diretto sia possibile a partire dal 27 novembre 2002 o solo dopo il 31 dicembre 2010. Se per la soluzione di questa questione sia rilevante se dalla domanda di autorizzazione ambientale consegua che l’impianto entrerà in funzione non prima dell’anno 2011.

6. Se, segnatamente, ove la concessione di un’autorizzazione ambientale e/o altre misure concorrano al superamento effettivo o potenziale dei limiti nazionali di emissione di SO2 e/o di NOx, ai sensi della direttiva LNE, un singolo dall’art. 4 della direttiva medesima possa far derivare:

a) una pretesa generale all’adozione, da parte dello Stato interessato, di un insieme di misure con cui al più tardi nel 2010 le emissioni annue di SO2 vengono ridotte a quantità non eccedenti il limite nazionale di emissione di cui alla direttiva LNE, ovvero, se ciò non fosse possibile, un insieme di misure con cui siffatte emissioni vengono ridotte sino a tali quantità il più presto possibile dopo tale anno

b) pretese concrete all’adozione, da parte dello Stato membro, di misure specifiche relative ad un singolo impianto – ad esempio sotto forma di un rifiuto dell’autorizzazione o dell’assoggettamento dell’autorizzazione a ulteriori condizioni o restrizioni – che contribuiscano a ridurre al più tardi entro l’anno 2010 le emissioni annue nazionali di SO2 a quantità non superiori al limite nazionale di emissione previsto dalla direttiva LNE, ovvero, se ciò non fosse possibile, misure specifiche che contribuiscano a ridurre siffatte emissioni sino a tali quantità il più presto possibile dopo tale anno.

c) Se per la soluzione delle questioni 6.a e 6.b sia rilevante in che misura la centrale concorra a siffatto superamento effettivo o potenziale.

28. Le questioni poste in tutte le cause coincidono nella sostanza. Nella causa C‑165/09 si tratta però solo di biossido di zolfo. Nella causa C‑166/07 viene menzionata solo la versione consolidata della direttiva IPPC, vale a dire la direttiva 2008/1/CE, mentre le altre due cause fanno riferimento anche alla previgente direttiva 96/61/CE.

29. Con ordinanza 24 giugno 2009, il Presidente della Corte ha disposto la riunione delle tre cause ai fini della fase scritta e orale, nonché della sentenza.

30. Hanno presentato memorie scritte la Stichting Greenpeace Nederland (in prosieguo: la «Greenpeace»), il Gedeputeerde Staten von Groningen (in prosieguo: il «Groningen») e la RWE Power AG, ora RWE Eemshaven Holding BV (in prosieguo: la «RWE»), l’Electrabel Nederland N. V. (in prosieguo: la «Electrabel»), il Gedeputeerde Staten von Zuid-Holland (in prosieguo: il «Zuid-Holland») e l’E.ON Benelux N. V. (in prosieguo: la «E.ON»), nonché la Repubblica di Austria, il Regno di Danimarca, la Repubblica d’Italia, il Regno dei Paesi Bassi e la Commissione europea. Le dette parti, ad eccezione di Groningen, Zuid-Holland e dell’Austria si sono presentate all’udienza del 14 ottobre 2010. Vi hanno preso parte, inoltre, la Stichting Natuur en Milieu, nonché la Repubblica francese.

IV – Valutazione giuridica

31. La direttiva LNE fissa i limiti nazionali per l’emissione di quattro inquinanti atmosferici, tra cui gli ossidi di azoto e il biossido di zolfo, che gli Stati membri non possono superare a partire dal 2011. Non si evince però dalla direttiva LNE il modo in cui gli Stati membri dovrebbero realizzare questo scopo.

32. Nel caso in esame si discute dell’autorizzazione di tre diversi progetti di centrali elettriche, che contribuirebbe significativamente alle emissioni di ossidi di azoto e biossido di zolfo, ma non impedirebbe, in via di principio, l’adeguamento ai limiti di emissione, qualora i Paesi Bassi riducessero le emissioni di altri siti.

33. Sulla base delle indicazioni del giudice del rinvio, ma anche dei rapporti dell’Agenzia europea per l’ambiente (11), resta tuttavia incerto se i Paesi Bassi rispettino, con le misure finora previste, i detti limiti relativi agli ossidi di azoto e al biossido di zolfo. Pertanto, il procedimento di rinvio pregiudiziale dovrebbe chiarire se la direttiva LNE, nella situazione descritta, – malgrado la libertà di scelta dei mezzi per la realizzazione degli scopi della direttiva – osti all’autorizzazione dei progetti in questione.

34. A tal fine esaminerò se la direttiva IPPC imponga di prendere in considerazione il superamento potenziale dei limiti di cui alla direttiva LNE (su cui v. sub B), se un superamento potenziale osti a siffatti progetti (su cui v. sub C), nonché se i singoli possano invocare, a tal riguardo, la direttiva LNE (su cui v. sub D). Anzitutto affronterò tuttavia le obiezioni di alcune parti in riferimento all’ammissibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale (su cui v. sub A).

A – Sulla ricevibilità

35. La RWE, la Electrabel e la E.ON fanno valere l’irricevibilità delle questioni sottoposte alla Corte di giustizia. Tali questioni non sarebbero rilevanti per la controversia principale.

36. Il giudice del rinvio metterebbe a base della propria decisione un’erronea premessa, laddove suppone, malgrado informazioni più recenti e di segno opposto, un prevedibile superamento, entro il 31 dicembre 2010, nonché fino al 2015, dei limiti nazionali di emissione di biossido di zolfo e di ossidi di azoto previsti dalla direttiva LNE. Inoltre, i ricorrenti della causa principale non avrebbero fatto valere entro quali limiti la direttiva LNE poteva giustificare il rifiuto delle autorizzazioni di cui alla direttiva IPPC.

37. Il giudice del rinvio presume però la rilevanza di questioni concernenti il diritto dell’Unione (12). Alla luce della funzione del procedimento di rinvio pregiudiziale non possono quindi essere stabiliti requisiti troppo severi alle osservazioni del giudice del rinvio sulla rilevanza delle questioni pregiudiziali.

38. La Corte deve pertanto solo in ipotesi eccezionali esaminare le condizioni in presenza delle quali è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza (13). Per costante giurisprudenza, il rigetto di una domanda presentata da un giudice nazionale è possible qualora appaia in modo manifesto che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa a qua, qualora il problema sia di natura ipotetica ovvero la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (14). Ad eccezione di tali casi, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire sulle questioni pregiudiziali che vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione (15).

39. Il Raad van State ha precisato che, dal suo punto di vista, sussiste un superamento potenziale dei valori di emissione di cui alla direttiva LNE e le questioni sollevate vertono sul problema se il detto superamento debba essere preso in considerazione nell’ambito del procedimento di autorizzazione di cui alla direttiva IPPC di cui trattasi. Che, con riguardo al superamento, sia possibile anche una diversa valutazione e che proprio il governo dei Paesi Bassi preveda nel frattempo di conformarsi ai limiti di emissione non è sufficiente a negare la rilevanza delle questioni pregiudiziali. Invero, in via di principio, la valutazione degli aspetti fattuali e normativi è compito del giudice nazionale (16). Non si può dunque parlare di evidente mancanza del detto collegamento ai sensi della giurisprudenza richiamata.

40. Per quanto concerne la possibilità di negare un’autorizzazione ai sensi della direttiva IPPC sulla base della direttiva LNE, la dichiarazione di irricevibilità precluderebbe inoltre la soluzione della questione pregiudiziale. È decisiva la valutazione del giudice nazionale, non quella delle parti della causa principale. Non è pertanto necessaria una più precisa argomentazione dei ricorrenti relativamente all’interazione delle due direttive, contrariamente alla tesi sostenuta dalla Electrabel.

41. Anche il riferimento fatto dalla E.ON alla dottrina del cosiddetto «acte-clair» non coglie nel segno. In base alla detta giurisprudenza viene meno a priori solo l’obbligo di rinvio da parte di un giudice nazionale di primo grado, laddove sussista una consolidata giurisprudenza della Corte ovvero la corretta applicazione del diritto comunitario s’imponga con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi sulla soluzione da dare alla questione sollevata (17).

42. La legittimazione al rinvio non viene meno in un siffatto caso (18). Non dovrebbe essere impedito ai giudici nazionali, nell’ipotesi di dubbi persistenti, di sollecitare un chiarimento da parte della Corte. Esso resta, infatti, funzionale all’uniforme applicazione del diritto nell’Unione. Non si procede solo in caso di soluzione evidente, anche dal punto di vista del giudice nazionale, di una possibile questione pregiudiziale.

43. Mi sembra peraltro che si sia ben lontani da una soluzione evidente delle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte dal Raad van State.

44. Alla ricevibilità delle questioni pregiudiziali non osta infine la competenza di controllo spettante alla Commissione ai sensi della direttiva LNE (19), che trova espressione, in particolare, nell’art. 10, n. 5, lett. c), della direttiva, ma si basa fondamentalmente sull’art. 17, n. 1, del TUE (già art. 211 CE). Tale competenza di controllo non esonera gli Stati membri dal promuovere essi stessi una regolare trasposizione della direttiva LNE ovvero dal garantire un’interpretazione conforme alla direttiva o un’efficacia diretta di quest’ultima. In tale ambito può essere ammesso anche un procedimento di rinvio pregiudiziale.

45. Le domande di pronuncia pregiudiziale sono dunque ricevibili.

B – Sulla prima questione – la portata dell’interpretazione conforme alla direttiva nel rapporto tra la direttiva IPPC e la direttiva LNE

46. Con la prima delle questioni pregiudiziali il giudice del rinvio chiede se l’obbligo di interpretazione conforme alla direttiva del diritto nazionale imponga di prendere in esame i limiti nazionali di emissione previsti dalla direttiva LNE nell’ambito di un’autorizzazione ai sensi del Wet milieubeheer che recepisce la direttiva IPPC.

1.      Sull’interpretazione conforme

47. L’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire lo scopo da questa contemplato, come pure l’obbligo, loro imposto dall’art. 4, n. 3, del TUE (già art. 10 CE) di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali (20).

48. Tra di essi va annoverato altresì l’obbligo di interpretazione conforme alla direttiva. Il giudice nazionale, nell’applicare il diritto nazionale, deve interpretarlo, per quanto possibile, alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 288, n. 3, del TFUE (già art. 249, n. 3 CE) (21). Per effetto del vincolo incombente su tutti gli organi di uno Stato membro, l’obbligo di interpretazione conforme alla direttiva riguarda tanto più un’autorità nazionale che deve decidere il rilascio di un’autorizzazione ai sensi della direttiva IPPC (22).

49. Nel caso in esame si tratta di due direttive nell’ambito della legislazione ambientale dell’Unione, alle quali deve essere attribuita piena efficacia. Il Wet milieubeheer, che disciplina il procedimento di autorizzazione in esame, traspone la direttiva IPPC, non la direttiva LNE, che è stata recepita da altri atti giuridici interni. Ciò non osta tuttavia ad un’interpretazione del Wet milieubeheer compatibile con la direttiva LNE, in quanto nell’ambito di un’interpretazione conforme alle direttive deve essere preso in considerazione il diritto nazionale nel suo complesso per valutare in quale misura possa essere applicato in modo tale da non addivenire ad un risultato contrario ad una delle direttive in questione (23).

50. Si deve dunque chiarire in che rapporto siano tra loro le due direttive – in particolare in che misura un procedimento di autorizzazione previsto dalla direttiva IPPC venga condizionato dagli obiettivi della direttiva LNE.

2.      Sui riferimenti della direttiva IPPC

51. Anzitutto occorre accertare se le due direttive contengano norme esplicite riguardanti il rapporto tra loro. A tal proposito è di particolare interesse accertare se i limiti nazionali di emissione previsti dalla direttiva LNE costituiscano norme di qualità ambientale ai sensi dell’art. 10 della direttiva IPPC.

52. Gli inquinanti rilevanti nella causa principale (biossido di zolfo e ossidi di azoto) rientrano nell’ambito di applicazione di entrambe le direttive. L’allegato I della direttiva LNE prevede limiti nazionali per biossido di zolfo e ossidi di azoto. Nell’allegato III della direttiva IPPC tali composti sono qualificati come inquinanti per i quali un’autorizzazione deve contenere i valori limite di emissione conformemente all’art. 9, n. 3.

53. A norma dell’art. 19, n. 2, della direttiva IPPC devono essere al riguardo osservati almeno i valori limite specifici previsti per determinati tipi di impianti, nel caso di specie si tratta dei valori limite stabiliti dalla direttiva 2001/80/CE concernente la limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione.

54. Ulteriori requisiti si possono ricavare in particolare dall’obbligo di applicare le migliori tecniche disponibili di cui all’art. 3, n. 1, lett. a), della direttiva IPPC. In tal senso, la Stichting Natuur sostiene che sarebbero intanto possibili ulteriori riduzioni delle emissioni, ma esse non costituiscono oggetto delle presenti domande di pronuncia pregiudiziale. Le questioni vertono piuttosto sul possibile superamento dei limiti nazionali di emissione.

55. L’obbligo di applicare le migliori tecniche disponibili ha effetto, a termini dell’art. 9, n. 4, primo periodo, della direttiva IPPC, solo fatto salvo l’art. 10. Esso dispone che l’autorizzazione deve prescrivere misure supplementari particolari, qualora l’applicazione delle migliori tecniche disponibili non soddisfi una norma di qualità ambientale. I limiti nazionali di emissione di cui alla direttiva LNE dovrebbero allora trovare necessariamente considerazione nell’ambito del procedimento di autorizzazione, se fossero da intendere come norme di qualità ambientale.

56. La definizione di norma di qualità ambientale di cui all’art. 2, punto 7, della direttiva IPPC non è molto chiara al riguardo. La detta prescrizione definisce una norma di qualità ambientale, ad esempio, nella versione tedesca ed in quella italiana, come la serie di requisiti che devono sussistere in un dato momento «in» un determinato ambiente o in una specifica parte di esso, conformemente alla legislazione dell’Unione. Siffatte versioni linguistiche potrebbero essere intese nel senso di considerare i limiti di emissione come requisiti che devono sussistere in un determinato ambiente.

57. Contro tale conclusione depongono però altre versioni linguistiche, come quella francese o inglese, le quali menzionano i requisiti che devono essere soddisfatti da («par» ovvero «by») un determinato ambiente. Essi caratterizzano pertanto un certo stato dell’ambiente ovvero di taluni beni protetti (24). Precisamente, in base alle suddette versioni linguistiche, la quantità di inquinante presente nell’ambiente sarebbe rilevante per una norma di qualità, mentre le quantità emesse in tale ambiente non darebbero alcuna diretta indicazione circa la sua qualità.

58. Neppure la ratio dell’art. 9, n. 4, primo periodo, e dell’art. 10 della direttiva IPPC conduce ad un risultato univoco. Le dette disposizioni assicurano che l’approccio trasversale della direttiva IPPC non relativizzi le eventuali norme di qualità ambientale. Dunque i limiti di emissione per gli impianti e le norme di qualità ambientale sono in una relazione di dipendenza: i valori limite di emissione devono essere allineati alle norme di qualità ambientale ed eventualmente corretti (25). Ciò suggerisce la non identificabilità delle due nozioni.

59. Non ne consegue però necessariamente che i limiti nazionali di emissione non costituiscano norme di qualità ambientale. Invero i limiti si riferiscono anche alle emissioni, pertanto si potrebbero considerare al massimo come una forma molto particolare di valori limite, precisamente come valori limite per le economie nazionali. E non sembra esclusa la possibilità di utilizzare i valori limite di emissione come un mezzo per conformarsi ai limiti nazionali di emissione, come previsto dall’art. 10 in tema di norme di qualità ambientale.

60. Ove si metta però da parte l’ambigua definizione della direttiva IPPC, la nozione di norma di qualità ambientale, conformemente al suo ordinario significato letterale, indica che si tratta di requisiti di qualità relativi proprio all’ambiente. I limiti di emissione, al contrario, costituiscono requisiti che si riferiscono ad una – non meglio specificata – serie di fonti di emissione. In ragione degli effetti integrati e delle interazioni reciproche la loro rilevanza per la stessa qualità ambientale non si può individuare precisamente.

61. Nella detta accezione i valori di emissione non costituiscono norme di qualità ambientale, ma lo sono invece le quantità dei relativi inquinanti che si trovano negli elementi ambientali (26). Le norme di qualità ambientale sono quindi connesse al bene protetto ovvero allo stato dell’ambiente e non presentano alcun collegamento alla fonte, mentre i valori di emissione sono connessi ad una condotta e si applicano alla fonte dell’inquinamento (27).

62. Esempi di norme di qualità ambientale sono le disposizioni sulla qualità dell’atmosfera di cui alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 maggio 2008, 2008/50/CE, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa (28), vale a dire i valori limite per gli inquinanti contenuti nell’atmosfera. I valori limite di emissione e i limiti di emissione condizionano, infatti, la quantità degli inquinanti presenti nell’atmosfera e così risulta necessario anche l’art. 10 della direttiva IPPC. Di certo possono esserci anche ulteriori fattori che incidono sulla qualità dell’atmosfera.

63. Da questo punto di vista occorre concordare con l’opinione della RWE, della E.ON e dei Paesi Bassi, per cui i limiti nazionali di emissione di cui alla direttiva LNE non costituiscono norme di qualità ambientale ai sensi dell’art. 10 della direttiva IPPC.

3.      Sulla relazione di sistema tra la direttiva IPPC e la direttiva LNE

64. Nondimeno potrebbe essere la relazione di sistema tra la direttiva LNE e la direttiva IPPC ad esigere di prendere in considerazione i limiti nazionali di emissione nell’autorizzazione degli impianti.

65. La RWE, la Electrabel und la E.ON, la Groningen e gli Stati membri che hanno preso posizione nel presente procedimento sostengono, malgrado la generale finalità di diritto ambientale comune ad entrambe le direttive, la completa indipendenza l’una dall’altra.

66. Esse basano la detta opinione sulle diverse strategie di azione previste nelle due direttive. La direttiva LNE adotta un approccio programmatico, in quanto fissa i limiti nazionali di emissione, a prescindere da determinate fonti di emissione (29). Le modalità di adeguamento ai detti limiti, ai sensi dell’undicesimo e del dodicesimo ‘considerando’ della direttiva, rientrano nella competenza degli Stati membri. D’altra parte la direttiva IPPC considera determinati impianti industriali come fonti di inquinamento (30). Ai fini della prevenzione ovvero della massima riduzione di emissioni viene anzitutto prescritta l’applicazione delle migliori tecniche disponibili (31).

67. Il solo fatto dei diversi approcci non corrobora però l’ipotesi che entrambe le direttive siano da considerare del tutto indipendenti l’una dall’altra. Invero è proprio la medesima finalità di riduzione delle emissioni a deporre a favore di un’interpretazione armonizzata delle direttive al fine di assicurare un sistema coerente di riduzione delle emissioni.

68. A norma dell’art. 9, n. 4, secondo periodo, della direttiva IPPC, le condizioni di autorizzazione prevedono in tutti i casi disposizioni per ridurre al minimo l’inquinamento su grande distanza o transfrontaliero e garantiscono un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso. Tale obbligo s’impone, in base al tenore letterale ed a considerazioni sistematiche, in aggiunta alla necessità, disposta all’art. 9, n. 4, primo periodo, della direttiva IPPC, di supportare i valori limite di emissione con le migliori tecniche disponibili.

69. Tale obbligo, che esula dall’applicazione delle migliori tecniche disponibili, viene concretizzato dagli obblighi fondamentali generali del gestore stabiliti dall’art. 3, n. 1, lett. a) e b), della direttiva IPPC, secondo cui il gestore deve adottare le opportune misure di prevenzione dell’inquinamento e non può causare fenomeni di inquinamento significativi. L’art. 2, punto 2, della direttiva IPPC non limita la nozione di «inquinamento» di cui alle summenzionate norme alle sole emissioni prodotte dagli impianti, ma impone una considerazione complessiva che include anche ulteriori pregiudizi ai beni protetti dell’aria, dell’acqua e del suolo.

70. Al fine di accertare cosa si intenda per riduzione al minimo dell’inquinamento su grande distanza o transfrontaliero e per elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso ai sensi dell’art. 9, n. 4, secondo periodo, della direttiva IPPC, si può fare riferimento alla restante legislazione ambientale dell’Unione. Un siffatto procedimento è già determinato nell’art. 19, n. 2, della direttiva IPPC, che prevede espressamente l’applicazione di valori limite di emissione, fissati nelle direttive elencate nell’allegato II e «in altre regolamentazioni comunitarie» (32).

71. La E.ON fa notare giustamente che, in effetti, la direttiva LNE non è espressamente menzionata nell’allegato II della direttiva IPPC. Ma vi è contenuta un’altra direttiva la quale lascia intendere che la direttiva LNE possa essere un’altra regolamentazione ai sensi dell’art. 19, n. 2, della direttiva IPPC. La direttiva LNE, infatti, si riferisce al protocollo di Göteborg sulla riduzione dell’acidificazione, dell’eutrofizzazione e dell’ozono troposferico, proprio come la direttiva 2001/80/CE, concernente la limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione, menzionata nell’allegato II. Ciò denota che i valori limite per gli impianti da stabilire in base alla direttiva IPPC perseguono altresì gli scopi propri della direttiva LNE.

72. Contrariamente all’opinione della RWE, della Electrabel e degli Stati membri che hanno presentato osservazioni, non emerge una limitazione operativa neanche dal diciannovesimo ‘considerando’ della direttiva LNE. La detta direttiva dovrebbe quindi applicarsi, fatte salve le norme della direttiva IPPC, in relazione ai valori minimi di emissione ed all’applicazione delle migliori tecniche disponibili. Dalla formulazione del ‘considerando’ può unicamente dedursi che la direttiva LNE lascia impregiudicati gli obblighi degli Stati membri derivanti dalla direttiva IPPC, in particolare non ne riduce la portata. In tal modo nessuno Stato membro può rifiutarsi di applicare le migliori tecniche disponibili, qualora si conformi ai limiti di emissione di cui alla direttiva LNE anche senza ricorrere alle dette tecnologie.

73. Una considerazione che tenga conto degli obiettivi della direttiva LNE non è invece esclusa nell’autorizzazione di impianti. Il carattere in nuce programmatico degli obblighi di cui alla direttiva LNE può determinare non il se, ma solo il come si attui, nell’ambito della decisione sull’autorizzazione di cui alla direttiva IPPC, l’obbligo di prendere in considerazione.

74. Al riguardo spetta agli Stati membri la decisione relativa alle modalità di adeguamento ai limiti nazionali di emissione – in cui rientra, in via di principio, anche la scelta delle fonti di emissione da includere. Pertanto non è possibile, in linea di massima, dedurre dalla direttiva LNE concreti obiettivi matematici concernenti le emissioni ammissibili per i singoli impianti. È tuttavia difficilmente immaginabile che le misure degli Stati membri adottate per conformarsi ai limiti di emissione non incidano sull’autorizzazione degli impianti di cui alla direttiva IPPC, in quanto i detti impianti contribuiscono significativamente alle emissioni prodotte. Ai fini dell’implementazione di una siffatta strategia le autorità competenti possono stabilire condizioni aggiuntive ai sensi dell’art. 9, n. 7, della direttiva IPPC.

75. Conseguentemente, la Commissione ha considerato l’approccio della direttiva LNE complementare a quello della direttiva IPPC (33). Ad avviso della Commissione, inoltre, la definizione di norme severe di emissione nel contesto dell’attuazione della direttiva IPPC contribuirà al rispetto dei limiti nazionali di emissione (34). Anche la Commissione ritiene pertanto la prevenzione ovvero la massima riduzione possibile delle emissioni degli impianti contemplati dalla direttiva IPPC un importante strumento per l’adeguamento ai limiti nazionali di emissione di cui alla direttiva LNE.

76. I limiti nazionali di emissione devono essere presi in considerazione nell’ambito del rilascio di un’autorizzazione in base alla direttiva IPPC nella misura in cui una siffatta autorizzazione può essere idonea a compromettere ovvero a mettere in serio pericolo il rispetto delle norme corrispondenti. Omettere del tutto di considerare i limiti nazionali di emissione di cui alla direttiva LNE, nonché le connesse valutazioni, sarebbe contraddittorio con il suddetto principio di diritto dell’Unione di conformare l’interpretazione del diritto nazionale alla ratio della direttiva al fine di conseguire il risultato da essa perseguito.

77. Occorre così risolvere la prima questione, nel senso che, in ragione dell’obbligo di interpretazione conforme alla direttiva, le disposizioni di diritto interno sul recepimento della direttiva IPPC devono essere interpretate, ove possibile, in modo che, nella decisione sulla richiesta di rilascio di un’autorizzazione ambientale, debbano essere presi in considerazione i limiti nazionali di emissione di cui alla direttiva LNE.

C – Sulla seconda e sulla terza questione – gli obblighi degli Stati membri nel periodo intercorrente tra la scadenza del termine per la trasposizione e la data di riferimento per l’adeguamento ai limiti nazionali di emissione

78. La seconda e la terza questione pregiudiziale – ciascuna ulteriormente articolata – si riferiscono a diversi aspetti della questione generale concernente gli obblighi incombenti su uno Stato membro nel periodo intercorrente tra la scadenza del termine per la traposizione della direttiva LNE (27 novembre 2002) e la data di riferimento per l’adeguamento ai limiti nazionali di emissione (31 dicembre 2010).

79. La giurisprudenza della Corte relativa agli obblighi di astensione degli Stati membri nel periodo precedente la scadenza del termine per la trasposizione delle direttive deve costituire la base di partenza dell’analisi. Con riguardo alle singole questioni pregiudiziali esaminerò i detti obblighi di astensione ratione temporis, prima di occuparmi degli eventuali obblighi positivi di condotta. Successivamente occorrerà accertare la portata dei corrispondenti obblighi nell’ambito di un procedimento di autorizzazione. A seguito di tali considerazioni potrà essere infine risolta la questione della rilevanza del momento della messa in funzione degli impianti soggetti ad autorizzazione.

1.      Sulla seconda questione, lett. a) – Obblighi di astensione

80. Con la seconda questione, lett. a), il giudice del rinvio chiede se sia efficace l’obbligo di uno Stato membro di astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente la realizzazione dello scopo prefisso da una direttiva, anche nel periodo intercorrente tra il 27 novembre 2002 ed il 31 dicembre 2010.

81. Gli obblighi degli Stati membri nel corso di tale periodo transitorio possono essere derivati dalla giurisprudenza relativa al termine per la trasposizione di direttive. Non si può contestare, invero, agli Stati membri l’omessa trasposizione della direttiva nei loro ordinamenti prima della scadenza del termine in essa previsto. Infatti, tale termine dovrebbe dare agli Stati membri il tempo necessario all’adozione dei provvedimenti di trasposizione (35). È ben vero che durante il termine fissato per la trasposizione gli Stati membri devono adottare i provvedimenti necessari ad assicurare che il risultato prescritto dalla direttiva sarà realizzato alla scadenza del termine stesso (36).

82. Ne deriva che gli Stati membri, in pendenza del termine per la trasposizione, non possono adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva stessa (37).

83. Nella versione tedesca di tale giurisprudenza questo divieto di vanificare i risultati (38) si riferisce solo alle «disposizioni», vale a dire a provvedimenti legislativi. La versione italiana è formulata in modo analogo («adottare disposizioni»). A favore di questa soluzione depone anche la maggior parte delle sentenze pertinenti in quanto esse riguardano disposizioni normative (39).

84. Sarebbe di certo sorprendente e inefficace limitare esclusivamente alle disposizioni la protezione degli obiettivi giuridici dell’Unione dai gravi pregiudizi che possono verificarsi durante i termini per la trasposizione ovvero nel corso dei periodi transitori. È invero decisivo piuttosto se lo scopo della direttiva venga gravemente compromesso. Di conseguenza, la Corte, nella versione francese, ma anche in quella inglese, della detta giurisprudenza, non fa riferimento alle disposizioni, bensì alle misure (in francese: «prendre des dispositions», in inglese: «taking any measures»). La Corte ha altresì ripetutamente sottolineato che tale obbligo vale per tutti gli organi statali (40). Infine, essa ha stabilito espressamente che il divieto di vanificare i risultati si applica anche alla giurisprudenza (41).

85. Se dunque le direttive possono in tal modo creare obblighi per gli Stati membri già prima della scadenza del termine per la trasposizione, ciò vale a fortiori per i periodi transitori successivi alla detta scadenza (42). Lo chiarisce la giurisprudenza relativa al mantenimento in vigore delle disposizioni di diritto interno concernenti il settore fitosanitario, nonché la provvisoria protezione dei siti ai sensi della direttiva habitat (43).

86. Sebbene nel settore dei prodotti fitosanitari siano ancora applicabili, durante il periodo transitorio, disposizioni di diritto interno, gli Stati membri non possono modificarle ad libitum nel corso del detto periodo. Piuttosto essi devono assicurare, conformemente agli obiettivi della direttiva sui prodotti fitosanitari (44), che, nell’autorizzazione di un prodotto fitosanitario, ricompreso nel campo di applicazione della normativa transitoria, prenda debitamente in considerazione gli effetti che il prodotto stesso può produrre sulla salute umana ed animale, nonché sull’ambiente. Parimenti, le decisioni relative alle autorizzazioni non possono essere adottate se non sulla base di una relativa documentazione comprendente gli elementi necessari affinché i detti effetti possono essere effettivamente valutati (45).

87. E per quanto la direttiva habitat prescriva esplicitamente la tutela dei siti solo per il tempo successivo all’iscrizione dei siti nell’elenco del’Unione, gli Stati membri, con riguardo ai siti selezionati per l’iscrizione nell’elenco comunitario, sono tenuti ad adottare misure di protezione appropriate al fine di mantenerne le caratteristiche (46).

88. Date queste premesse, è relativamente agevole risolvere la seconda questione pregiudiziale, lett. a). È chiaro che l’obbligo di uno Stato membro di astenersi dall’adottare misure idonee a compomettere gravemente la realizzzazione degli scopi prefissi dalla direttiva LNE vige anche durante il periodo intercorrente tra il 27 novembre 2002 ed il 31 dicembre 2010.

2.      Sulla seconda questione, lett. b) – obblighi positivi di fare

89. Con la seconda questione, lett. b), il giudice del rinvio chiede se durante il periodo transitorio uno Stato membro sia tenuto anche a compiere determinati atti, nel caso di superamento potenziale, dopo la scadenza del detto periodo, dei limiti nazionali di emissione ai sensi della direttiva LNE.

90. In linea di massima la soluzione della questione si evince già dal programma di cui alla direttiva LNE.

91. A norma dell’art. 15, n. 1, primo comma, primo periodo, della direttiva LNE, gli Stati membri erano tenuti a mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 27 novembre 2002. Con decorrenza da tale data, il termine per la trasposizione non ostava più all’idea della sussistenza di obblighi positivi di fare degli Stati membri. In realtà, in tale momento dovevano essere già stati adottati i necessari provvedimenti per la trasposizione.

92. I limiti di emissione stabiliti nell’allegato I ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva LNE si applicano ad ogni modo solo fino al 31 dicembre 2010. L’ipotesi in discorso è peraltro diversa rispetto ai casi finora decisi in relazione ai periodi transitori. Essi concernevano norme dell’Unione che consentivano agli Stati membri di continuare ad applicare le loro norme e prassi durante un determinato periodo (47), ovvero presupponevano ulteriori misure finalizzate all’attuazione del diritto dell’Unione. Siffatte norme hanno l’unico effetto di differire il momento in cui gli obiettivi giuridici dell’Unione possono essere integralmente realizzati.

93. Da questa situazione di diritto si differenzia il regime introdotto con la direttiva LNE. Le misure per la trasposizione dovevano già essere messe in vigore, a termini dell’art. 15, n. 1, primo comma, primo periodo, della direttiva LNE, entro il 27 novembre 2002. Esclusivamente gli effetti, vale a dire la riduzione delle emissioni nazionali ad un determinato livello complessivo, sono fissati al 31 dicembre 2010 ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva LNE.

94. La direttiva LNE, infatti, non prevede per il detto periodo la possibilità, per gli Stati membri, di continuare ad operare come avevano fatto fino a quel momento. Piuttosto, a norma dell’art. 6, n. 1, della direttiva LNE, essi erano tenuti, già entro il 1° ottobre 2002, ad elaborare programmi per la progressiva riduzione delle emissioni nazionali, al fine di conformarsi ai limiti nazionali di emissione entro il 2010.

95. Come correttamente sostiene la Commissione (48), la disciplina di tali termini dipende dalla peculiarità dell’oggetto della direttiva LNE: La riduzione delle emissioni non si verifica contemporaneamente all’adozione delle norme tese alla sua realizzazione, ma è anzi ad essa susseguente. Quanto alla situazione di diritto non è dunque necessario alcun periodo transitorio, ma solo un intervallo di tempo durante il quale le norme possano produrre i loro effetti concreti. È compatibile con questa constatazione anche la locuzione «al più tardi», contenuta nell’art. 4, n. 1, della direttiva LNE e sottolineata dall’Austria, nonché il carattere annuale dei limiti di emissione. Essi non si riferiscono ad un giorno determinato, ma sono il risultato di processi progressivi.

96. I programmi prescritti devono essere considerati, in primo luogo, come un vincolo che gli stessi Stati membri si pongono. Ad essi è, infatti, assegnato il compito di stabilire le misure necessarie per conformarsi ai limiti di emissione. Gli Stati membri, qualora abbiano inserito le dette misure in un programma, sono tenuti anche ad attuarle.

97. Gli Stati membri non possono però omettere di attuare anzitutto i programmi elaborati – entro il 1° ottobre 2002, a norma dell’art. 6, n. 1, della direttiva LNE. Essi devono piuttosto monitorare annualmente lo sviluppo delle emissioni ai sensi dell’art. 7 e fare una proiezione del livello di emissioni per il 2010. Alla luce di tali risultati, in forza dell’art. 6, n. 3, essi dovevano modificare e aggiornare i loro programmi entro il 1° ottobre 2006.

98. Ove dalle proiezioni annuali emerga l’insufficienza dei programmi in essere ai fini dell’adeguamento ai limiti di emissione, dall’obbligatorietà di tali soglie consegue che gli Stati membri interessati sono tenuti a sviluppare ulteriormente i rispettivi programmi al fine di ridurre le relative emissioni in misura tale da conformarsi ai limiti.

99. Si configurano quindi degli obblighi positivi di fare quantomeno con riguardo all’elaborazione ed all’attuazione di programmi idonei all’adeguamento ai limiti di emissione.

100. Se in casi eccezionali, oltre a questi, esistano ulteriori e più ampi obblighi è oggetto della terza questione.

101. Si deve dunque risolvere la seconda questione, lett. b), nel senso che lo Stato membro interessato, durante il periodo intercorrente tra il 27 novembre 2002 ed il 31 dicembre 2010, deve elaborare ed attuare programmi idonei all’adeguamento ai limiti di emissione in base alla direttiva LNE. Tuttavia, nel caso di superamento potenziale dei limiti, lo Stato membro deve ulterioremnte sviluppare il proprio programma di riduzione delle relative emissioni, al fine di ridurle in misura sufficiente.

3.      Sulla terza questione, lett. a) e b) – Ulteriori obblighi in caso di superamento potenziale dei limiti

102. Con la terza questione, lett. a) e b), il giudice del rinvio chiede se i descritti obblighi degli Stati membri si estendano al punto che, in caso di superamento (potenziale) dei limiti nazionali di emissione, un’autorizzazione ambientale deve essere negata ovvero assoggettata a condizioni. Tale questione presuppone che lo Stato membro interessato, contravvenendo ai propri obblighi stabiliti dalla direttiva LNE, non abbia elaborato ed attuato alcun programma atto ad evitare il superamento dei limiti.

103. In via preliminare occorre segnalare che l’opinione della RWE e della E.ON, secondo la quale osterebbere ad eventuali obblighi degli Stati membri il fatto che la Commissione non abbia proposto ai Paesi Bassi nessun’altra misura, è privo di ogni fondamento. La Commissione, in genere, non è tenuta a proporre agli Stati membri misure finalizzate al rispetto del diritto dell’Unione, né la direttiva LNE contempla obblighi in tal senso. Negli artt. 9 e 10 essa prevede solo che la Commissione presenti agli organi legislativi dell’Unione relazioni e proposte sull’evoluzione della direttiva. Gli obblighi degli Stati membri risultanti dal diritto dell’Unione restano impregiudicati (49).

104. All’ipotesi di un obbligo specifico degli Stati membri nell’ambito di un procedimento di autorizzazione potrebbe, infatti, ostare il potere discrezionale nella trasposizione concesso agli Stati membri dalla stessa direttiva LNE, cui fanno riferimento la RWE, la Electrabel e la E.ON, la Groningen e gli Stati membri.

105. L’undicesimo ‘considerando’ della direttiva LNE sottolinea che i limiti di emissione lasciano all’Unione e agli Stati membri la flessibilità necessaria per decidere le modalità di adeguamento ad essi. Ai sensi del dodicesimo ‘considerando’ è opportuno assegnare agli Stati membri il compito di attuare le misure necessarie per conformarsi ai limiti nazionali di emissione. L’art. 4 della direttiva LNE non menziona gli strumenti per conformarsi ai limiti di emissione. La detta direttiva prevede in concreto, nell’art. 6, solo l’elaborazione di programmi nazionali per la progressiva riduzione delle emissioni nazionali.

106. Tale libertà degli Stati membri non è peraltro senza limiti. Essi devono invero attenersi, nella scelta delle misure di trasposizione da adottare, all’obiettivo di cui all’art. 4 della direttiva LNE, di contenere le rispettive emissioni nazionali dei detti inquinanti nei limiti stabiliti nell’allegato I, al più tardi entro il 2010. Tale disposizione viene nuovamente ripetuta nell’art. 6, n. 1, della direttiva LNE. Ai sensi dell’art. 1 della detta direttiva la limitazione delle emissioni serve alla protezione dell’ambiente e della salute umana (50). Il detto scopo non può essere gravemente compromesso dagli Stati membri, avendo essi accettato l’eventualità di un superamento dei limiti di emissione (51).

107. Inoltre la Corte ha già chiarito che, nel caso in cui sia stato superato il margine di discrezionalità concesso da una direttiva spetta agli organi dello Stato membro – in particolare ai giudici – di adottare, nell’ambito delle loro attribuzioni, tutti i provvedimenti necessari, generali o particolari al fine di rispettare gli obiettivi della direttiva (52).

108. Se l’organo dello Stato membro primariamente competente per la trasposizione della direttiva LNE eccede il margine concesso allo Stato membro in modo che l’obiettivo dell’adeguamento ai limiti nazionali di emissione entro il 2010 venga compromesso gravemente, anche l’autorità preposta al rilascio dell’autorizzazione, di conseguenza, può a sua volta essere tenuta, in linea di massima, nell’ambito delle proprie attribuzioni, ad agire ovvero ad astenersi.

109. Quanto premesso, diversamente da quanto sostenuto dalla Electrabel, non è in contrasto con il principio della separazione dei poteri. La separazione primaria delle competenze nell’ambito della trasposizione di una direttiva risulta invero dalle disposizioni costituzionali dello Stato membro. Ove quest’ultimo violi i suoi obblighi derivanti dal diritto dell’Unione, non può invocare, in propria difesa, il principio di separazione dei poteri. Ciò richiede la parità di trattamento di tutti gli Stati membri, indipendentemente dalla loro organizzazione interna (53).

110. Le possibili difficoltà pratiche segnalate dai Paesi Bassi nello stabilire se sussista un superamento potenziale dei limiti nazionali di emissione non possono far venir meno gli obblighi degli Stati membri. Anche nelle cause principali lo stesso giudice del rinvio ha sempre compiuto una siffatta valutazione che non spetta alla Corte sindacare.

111. Il potere discrezionale di uno Stato membro, in caso di superamento (potenziale) dei limiti di emissione, dunque non osta di per sé ai suoi specifici obblighi. Il loro contenuto deve essere tuttavia determinato tenendo presente l’approccio della direttiva LNE. Pertanto è escluso, ad esempio, un obbligo illimitato, derivante dal diritto dell’Unione, di ridurre le emissioni tramite l’eliminazione di determinate fonti di emissioni già esistenti, in quanto la decisione relativa alle emissioni da eliminare o da ridurre spetta solo alle autorità competenti degli Stati membri.

112. Per contro, l’autorizzazione di un nuovo impianto comporta nuove emissioni aggiuntive sulla base della decisione di uno Stato membro. Diversamente che nel caso di un superamento (potenziale) dei limiti di emissione solo per effetto delle fonti preesistenti, lo Stato membro contribuirebbe in tal modo, con un’azione specifica, alla frustrazione dello scopo della direttiva. Un’autorizzazione che consente emissioni aggiuntive ha pertanto una natura ben diversa dal mero mantenimento dello stato di fatto dipendente dal non attivarsi rispetto alle fonti di emissione esistenti. Ad essa osta il divieto implicito nella direttiva LNE di istituire qualsiasi fonte aggiuntiva di emissione in caso di superamento (potenziale) dei valori di emissione. D’altro canto, non viene compresso il margine decisionale dello Stato membro sulle modalità preferite di riduzione delle emissioni. In caso di superamento dei limiti di emissione, tuttavia, il margine operativo dello Stato membro si riduce a zero, per cui diviene superflua la questione, rientrante nella libertà di valutazione dello Stato, relativa a «come» effettuare eventuali riduzioni.

113. Ciò non impedisce l’autorizzazione di nuove centrali elettriche che sostituiscono quelle vecchie e, a prestazioni analoghe, producono meno inquinanti. Un siffatto miglioramento è più conveniente per il bilancio delle emissioni e non può pertanto compromettere gli scopi della direttiva LNE. È però vero che non basta abbinare l’autorizzazione di nuove emissioni con la mera prospettiva di chiusura di vecchi impianti. Piuttosto deve essere certo che alle emissioni autorizzate in sostituzione consegua una corrispondente riduzione nei vecchi impianti.

114. In mancanza di un siffatto collegamento tra nuove emissioni e la riduzione di quelle esistenti, l’autorizzazione di emissioni aggiuntive è ammessa solo se non sussiste alcun superamento potenziale dei limiti di emissione. Gli Stati membri quindi, eventualmente prima dell’autorizzazione, devono adottare misure al fine di ridurre in misura sufficiente le emissioni esistenti al momento dell’entrata in funzione degli impianti (e successivamente).

115. Solo in rari casi eccezionali possono sussistere ragioni assolutamente prevalenti di pubblico interesse che, nonostante il superamento potenziale dei limiti di emissione, giustificano l’autorizzazione di emissioni aggiuntive (54). Tuttavia, nel caso di specie, manca una domanda in tal senso, e non sussistono gli elementi per ritenere presenti tali ragioni.

116. Non è convincente il riferimento fatto dalla RWE e dai Paesi Bassi ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità, ambedue sanciti dall’art. 5 TUE (già art. 5 CE). Il principio di sussidiarietà non può comportare la concessione agli Stati membri di una libertà illimitata di compromettere gli obiettivi del diritto dell’Unione. Se gli Stati membri non esercitano le possibilità di azione loro attribuite ai fini della trasposizione di una direttiva, è allora appropriato che il loro margine di discrezionalità operativa si riduca in prosieguo di tempo.

117. La libertà degli Stati membri sussistente ab origine non contrasta pertanto con un divieto di autorizzare emissioni aggiuntive.

118. Ad avviso della Electrabel, con un divieto di autorizzazione sarebbero svantaggiati tuttavia gli impianti soggetti ad autorizzazione rispetto a quelle fonti di emissione che invece non vi sono soggette e che, pertanto, possono essere messe in funzione a prescindere dal superamento dei limiti nazionali di emissione. Nel presente caso non è necessario appurare se il detto argomento sia pertinente con riguardo all’autorizzazione di piccoli impianti comparabili a quelli non soggetti ad autorizzazione.

119. Gli impianti soggetti ad un obbligo di autorizzazione, ai sensi della direttiva IPPC, non sono comparabili a quelli che ne sono esenti. Essi hanno un pesante impatto sull’ambiente in generale, già in base alle considerazioni del legislatore dell’Unione (55), e in particolare producono emissioni in misura significativa (56), cosicché si giustificano dei requisiti particolari.

120. La detta distinzione a livello legislativo caratterizza la soluzione della questione sub 3, lett. a). In linea di principio non è rilevante in quale misura un impianto contribuisca al superamento (potenziale) dei limiti nazionali di emissione. Dal momento che esso è sottoposto ad un obbligo di autorizzazione a termini della direttiva IPPC, si deve presumere che le emissioni da esso prodotte abbiano la portata sufficiente ad ostare ad un’autorizzazione (57), se i limiti di emissione sono già stati superati anche senza l’impianto (in questione).

121. La detta presunzione può essere eventualmente superata nel singolo caso. I limiti di emissione non possono ostare ad un’autorizzazione se l’impianto, per sua natura, non produce affatto gli inquinanti in questione. Sarebbe altresì immaginabile di autorizzare gli impianti che emettono le dette sostanze senza rilevanti effetti sull’ambiente. Ciò è tuttavia escluso nei casi in esame. Le centrali elettriche in questione producono ingenti quantità di ossidi di azoto e biossido di zolfo e così contribuiscono sensibilmente alle emissioni nazionali (58).

122. È pertanto vietato, in caso di superamento (potenziale) dei limiti di emissione, autorizzare impianti ai sensi della direttiva IPPC, ove, nel caso di specie, non sia provato che le emissioni degli inquinanti in questione siano irrilevanti ai fini dell’impatto ambientale dell’impianto.

123. Infine occorre osservare che la possibilità, esposta nella questione, di rilasciare un’autorizzazione limitata, vale a dire sottoposta a condizioni e limitazioni, costituisce, rispetto al completo rifiuto, uno strumento meno restrittivo che le autorità competenti devono tenere in considerazione. È possibile che l’emissione degli inquinanti in questione, attraverso il ricorso ad ulteriori misure tecniche, vengano a tal punto ridotte da consentire di superare la presunzione della loro rilevanza. La direttiva LNE non consente però di stabilire come possano configurarsi le relative condizioni ed esigenze. Dalla direttiva si può dedurre solo che, in caso di superamento potenziale dei limiti di emissione, non possono essere autorizzate emissioni aggiuntive.

124. Alla terza questione, lett. a) e b), si deve rispondere che lo Stato membro deve rifiutare l’autorizzazione ambientale richiesta ai sensi dell’art. 4 della direttiva IPPC, ove l’impianto contribuisca al superamento (potenziale) di un limite nazionale di emissione per gli inquinanti, fissato nella direttiva LNE e che lo Stato membro non abbia elaborato e attuato alcun programma adeguato al fine della riduzione delle emissioni. Tale divieto viene meno ove venga provato nel caso concreto che le emissioni degli inquinanti in questione sono irrilevanti ai fini dell’impatto ambientale dell’impianto.

4.      La rilevanza del momento di messa in funzione dell’impianto [seconda questione, lett. c)]

125. Infine, con la seconda questione, lett. c), il giudice del rinvio s’interroga sulla rilevanza del momento di messa in funzione dell’impianto soggetto ad autorizzazione. Sebbene la sequenza scelta nelle questioni pregiudiziali faccia supporre qualcosa di diverso, la detta questione può connettersi ragionevolmente solo con la terza questione, lett. a) e b), che riguarda specificamente gli obblighi degli Stati membri nel corso di un procedimento di autorizzazione.

126. Un impianto può essere preso in considerazione, con riguardo ai limiti nazionali di emissione, solo a partire dal momento in cui viene messo in funzione e dunque è in grado di produrre emissioni. Nell’ambito di un procedimento di autorizzazione occorre basarsi pertanto sui limiti nazionali di emissione vigenti al momento della messa in funzione dell’impianto, nonché nel corso ulteriore della sua attività.

127. A norma dell’art. 4, n. 2, della direttiva LNE, gli Stati membri assicurano che non siano più superati i limiti di emissione indicati all’allegato I, neanche dopo la data di riferimento del 31 dicembre 2010. Questi limiti, dunque, continuano (come minimo) ad essere applicabili, circostanza giustamente sottolineata dall’Italia e dalla Commissione. Il rifiuto di un’autorizzazione è, di conseguenza, opportuno ogni volta che si riscontri un superamento potenziale o effettivo dei limiti nazionali di emissione.

128. La seconda questione, lett. c), deve essere pertanto risolta nel senso che il momento della messa in funzione di un impianto successivo al 2010 è rilevante solo se in tale momento non sussista più alcun superamento dei limiti nazionali di emissione, né potenziale, né effettivo.

D – Sulla quarta, quinta e sesta questione – l’effetto diretto della direttiva

129. Con la quarta, la quinta e la sesta questione viene chiesto se ed eventualmente in quale misura un singolo può invocare la direttiva LNE davanti ai giudici nazionali.

130. Come ha ricordato più volte la Corte, è incompatibile con il carattere vincolante che l’art. 288, n. 3, del TFUE riconosce alla direttiva escludere, in linea di principio, che l’obbligo che essa impone possa essere invocato dagli interessati (59). Questa considerazione vale in modo particolare per una direttiva, il cui scopo è quello di controllare, nonché ridurre l’inquinamento atmosferico e che mira, di conseguenza, a tutelare la sanità pubblica (60).

131. In tutti i casi in cui disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva sia che l’abbia recepita in modo non corretto (61).

132. L’art. 4 e l’allegato I della direttiva LNE contemplano un chiaro obbligo degli Stati membri, vale a dire, che essi devono conformarsi ai limiti nazionali di emissione entro il 31 dicembre 2010. Anche l’obbligo di cui all’art. 6 di elaborare programmi per la progressiva riduzione delle emissioni nazionali degli inquinanti è sufficientemente preciso (62).

133. La direttiva LNE non prevede invece alcun obbligo di adottare azioni specifiche per conformarsi ai limiti di emissione. Gli Stati membri dispongono di un ampio potere discrezionale nella scelta dei mezzi. In riferimento a tali azioni non può parlarsi così, in linea di principio, di effetto diretto.

134. La situazione è però diversa laddove la restrizione della libertà degli Stati membri sia già prevista in caso di superamento potenziale dei limiti di emisisone. L’obbligo di negare un’autorizzazione ambientale ai sensi dell’art. 4 della direttiva IPPC, se l’impianto contribuisce al superamento (potenziale) di un limite nazionale di emissione per gli inquinanti, fissato nella direttiva LNE, è, in tutta evidenza, sufficientemente preciso in riferimento all’effetto giuridico.

135. Si potrebbe dubitare se la condizione del superamento (potenziale) di un limite nazionale di emissione sia parimenti determinata in modo sufficientemente preciso. Solo a seguito di una previsione normalmente complessa può essere appurato se saranno superate tali soglie. La maggioranza delle parti intervenute sostengono che al momento dell’autorizzazione non si può ancora sapere se i limiti di emissione verranno superati con la messa in funzione dell’impianto.

136. La direttiva LNE prevede tuttavia strumenti atti ad agevolare tale previsione. In base all’art. 7 e all’allegato III, infatti, gli Stati membri elaborano ed aggiornano annualmente gli inventari e le proiezioni nazionali delle emissioni. Tali proiezioni possono quantomeno essere consultate facilmente dalle autorità competenti e dai giudici al fine di accertare la sussistenza di un superamento potenziale. Inoltre non sembra esclusa la possibilità di correggere le dette proiezioni ove siano riconoscibili evidenti lacune.

137. Possono invero manifestarsi difficoltà laddove gli Stati membri non abbiano ancora deciso, al momento dell’autorizzazione, con quali mezzi assicurare l’adeguamento ai limiti entro il momento della messa in funzione; ma dovrebbero essere tollerabili in quanto dipendono da una violazione dell’art. 6 della direttiva LNE, a tenore del quale gli Stati membri avrebbero dovuto elaborare entro il 1° ottobre 2002 i programmi necessari per conformarsi ai limiti.

138. In tal modo la necessità di una proiezione per le future emissioni di inquinanti non osta all’applicazione diretta del divieto di autorizzare fonti di emissione aggiuntive in caso di superamento (potenziale) dei limiti di emissione.

139. Non è però certo se la direttiva LNE stabilisca in modo sufficientemente preciso la cerchia degli interessati. Secondo la giurisprudenza, gli «interessati» possono far valere l’obbligo di uno Stato membro risultante da una direttiva. La Corte, nella sentenza resa nella causa Janecek, menziona addirittura persone «direttamente» interessate (63). Senza dover esaminare nel dettaglio il significato di tali espressioni, esse depongono a favore di una necessaria delimitazione della cerchia degli interessati.

140. L’Austria richiama l’attenzione sul fatto che la direttiva LNE, in particolare gli artt. 4 e 6, non si adatta a tale schema. Le norme pongono solo limiti nazionali di emissione e richiedono programmi nazionali. Esse non tutelano però – per l’assenza di un nesso ratione loci ovvero materiae – alcuna cerchia identificabile di persone. La popolazione dello Stato membro in questione non può essere individuata come gruppo interessato, in quanto le emissioni nazionali nel loro complesso producono anche effetti transfrontalieri. Pertanto i detti obblighi sono funzionali alla tutela dell’ambiente e della salute generalmente intesi. Non si rinviene una specificazione ulteriore.

141. Si potrebbe dunque dubitare se i singoli possano invocare direttamente l’art. 4 della direttiva LNE ovvero chiedere ai sensi dell’art. 6 l’adozione di programmi ovvero delle misure o dei pacchetti di misure ivi previsti ai fini dell’adeguamento ai limiti di emissione. Le dette questioni, vale a dire la quinta, lett. a), e la sesta, lett. a), sono però in ultima analisi irrilevanti per il caso in esame, poiché le cause principali non riguardano né l’adeguamento ai limiti nazionali di emissione di per sé, né i pacchetti di misure all’uopo necessari.

142. Nei presenti procedimenti si tratta esclusivamente della possibilità che singoli invochino il divieto di autorizzare ai sensi dell’art. 4 della direttiva IPPC determinati impianti aggiuntivi in caso di superamento (potenziale) dei limiti di emissione.

143. Dato che tali impianti sono beni immobili, essi evidenziano un nesso sufficiente ratione loci e ratione materiae per l’individuazione delle persone interessate, anche di quelle direttamente interessate. L’art. 2, punto 15, della direttiva IPPC definisce in tal senso il pubblico interessato. Esso include organizzazioni non governative che promuovono la difesa dell’ambiente e che soddisfano tutti i requisiti di diritto nazionale.

144. Il pubblico interessato dall’autorizzazione ha diritto alla tutela giudiziaria in base all’art. 16 della direttiva IPPC, introdotto ai fini del recepimento della Convenzione di Aarhus. Tale diritto di proporre ricorso presuppone un interesse sufficiente ovvero un illecito in conformità al diritto nazionale (64). Dato che nel caso di specie non è stata posta alcuna questione concernente le dette condizioni, si deve concludere che esse siano soddisfatte.

145. Il pubblico interessato ai sensi della direttiva IPPC non è dunque neanche in tale ambito direttamente inciso dai principi della direttiva LNE. L’art. 16 della direttiva IPPC conferisce al detto pubblico il diritto di impugnare la legittimità delle autorizzazioni dal punto di vista sostanziale e processuale. Tale sindacato giurisdizionale non è limitato alle disposizioni che tutelano in particolare determinati soggetti interessati. Un’analisi dell’autorizzazione sotto il profilo di dirittto sostanziale sarebbe invero incompleto se i ricorrenti interessati dalla costruzione di un impianto dovessero subire gli effetti di un’autorizzazione oggettivamente illegittima.

146. Quindi i singoli, nell’ambito di un ricorso presentato ai sensi dell’art. 16 della direttiva IPPC, possono invocare il divieto, contemplato dalla direttiva LNE in caso di superamento (potenziale) dei limiti di emissione, di autorizzare determinati impianti aggiuntivi conformemente all’art. 4 della direttiva IPPC.

147. Infine, occorre analizzare l’obiezione secondo cui l’invocazione del divieto di autorizzazione porterebbe ad un’applicazione della direttiva LNE a svantaggio di singoli, precisamente delle industrie dell’energia coinvolte. È corretto affermare che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (65). È di certo possibile, in linea di principio, un’applicazione di diritto interno conforme alla direttiva a carico di singoli, come nell’apprezzamento del giudice del rinvio (66). Anche se fosse necessaria un’applicazione diretta del divieto di autorizzazione, non si tratterebbe di far valere una direttiva nei confronti di un singolo. Il divieto sarebbe piuttosto indirizzato all’autorità preposta al rilascio dell’autorizzazione. D’altronde mere ripercussioni negative, in un certo modo, «riflesse» sui diritti di terzi, anche se certe, non giustificano che si rifiuti ad un singolo di far valere le disposizioni di una direttiva nei confronti dello Stato membro interessato (67).

148. Occorre pertanto risolvere la quarta e la sesta questione, lett. b), nel senso che i singoli, nell’ambito di un ricorso ai sensi dell’art. 16 della direttiva IPPC, possono invocare il divieto, posto dalla direttiva LNE in caso di superamento (potenziale) dei limiti di emissione, di autorizzare determinati impianti aggiuntivi conformemente all’art. 4 della direttiva IPPC.

149. La soluzione della quinta questione, lett. c) risulta dalla soluzione della seconda questione, lett. b). Dato che l’obbligo di uno Stato membro di astenersi da misure che possano gravemente compromettere la realizzazione dei risultati che la direttiva LNE prescrive vale anche durante il periodo dal 27 novembre 2002 al 31 dicembre 2010, i singoli devono poter invocare, durante il detto periodo, il menzionato divieto di autorizzazione (68).

150. Anche la sesta questione, lett. c), è stata già risolta, precisamente attraverso la soluzione della terza questione, lett. a). Tale divieto di autorizzazione viene meno ove venga provato nel caso concreto che le emissioni degli inquinanti in questione sono irrilevanti ai fini dell’impatto ambientale dell’impianto (69).

151. La soluzione delle questioni dalla quarta alla sesta è la seguente: i singoli, nell’ambito di un ricorso ai sensi dell’art. 16 della direttiva IPPC, possono invocare il divieto, posto dalla direttiva LNE in caso di superamento (potenziale) dei limiti di emissione, di autorizzare determinate fonti di emissione aggiuntive, vale a dire impianti, conformemente all’art. 4 della direttiva IPPC. Ciò vale anche durante il periodo dal 27 novembre 2002 al 31 dicembre 2010. Il divieto viene meno ove venga provato nel caso concreto che le emissioni degli inquinanti in questione sono irrilevanti ai fini dell’impatto ambientale dell’impianto.

V –    Conclusione

152. Propongo pertanto alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali come segue:

1)         Sulla base dell’obbligo di interpretazione conforme alla direttiva, le disposizioni di diritto interno sulla trasposizione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 gennaio 2008, 2008/1/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (già direttiva 96/61/CE), devono essere interpretate, ove possibile, nel senso che, nella decisione sulla domanda di rilascio di un’autorizzazione ambientale, devono essere presi in considerazione i limiti nazionali di emissione di cui alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 ottobre 2001, 2001/81/CE, relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici .

2)         L’obbligo di uno Stato membro di astenersi da misure che possano gravemente compromettere la realizzazione del risultato previsto dalla direttiva 2001/81/CE vale anche durante il periodo intercorrente dal 27 novembre 2002 al 31 dicembre 2010.

3)         Lo Stato membro interessato, ai sensi della direttiva 2001/81/CE, nel periodo dal 27 novembre 2002 al 31 dicembre 2010, deve elaborare ed attuare i programmi idonei all’adeguamento ai limiti di emissione. In caso di superamento potenziale dei limiti, lo Stato membro deve ulteriormente sviluppare il proprio programma di riduzione delle relative emissioni, al fine di ridurle in misura sufficiente.

4)         Se lo Stato membro non ha elaborato né attuato alcun programma adeguato al fine della riduzione delle emissioni, esso deve rifiutare l’autorizzazione ambientale richiesta ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2008/1/CE, ove l’impianto contribuisca al superamento (potenziale) dei limiti nazionali di emissione per gli inquinanti fissati dalla direttiva 2001/81/CE. Tale divieto viene meno ove venga provato nel caso concreto che le emissioni degli inquinanti in questione sono irrilevanti ai fini dell’impatto ambientale dell’impianto.

5)         La messa in funzione di un impianto successivamente al 2010 è rilevante solo se in tale momento non sussista più alcun superamento potenziale o effettivo dei limiti nazionali di emissione.

6)         I singoli, nell’ambito di un ricorso ai sensi dell’art. 16 della direttiva 2008/1/CE, possono invocare il divieto, posto dalla direttiva 2001/81/CE in caso di superamento (potenziale) dei limiti di emissione, di autorizzare determinate fonti di emissione aggiuntive, vale a dire impianti, conformemente all’art. 4 della direttiva 2008/1/CE. Ciò vale anche durante il periodo dal 27 novembre 2002 al 31 dicembre 2010. Il divieto viene meno ove venga provato nel caso concreto che le emissioni degli inquinanti in questione sono irrilevanti ai fini dell’impatto ambientale dell’impianto.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – V. sentenze 15 novembre 2005, causa C‑320/03, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑9871); 25 luglio 2008, causa C‑237/07, Janecek (Racc. pag. I‑6221), e 6 novembre 2008, causa C‑405/07P, Paesi Bassi/Commissione (Racc. pag. I‑8301).


3 – GU L 309, pag. 22.


4 – European Environmental Agency, NEC Directive status report 2007, Luxemburg 2008, pag. 16 (tabella 5), nonché ead., NEC Directive status report 2008, Luxemburg 2009, pag. 18 (tabella 3.1). Secondo le dette fonti, altri undici Stati membri supereranno i limiti per gli ossidi di azoto, altri quattro i limiti per i composti organici volatili, altri due i limiti per l’ammoniaca, nessun altro però i limiti per il biossido di zolfo.


5 – Originariamente: direttiva del Consiglio 24 settembre 1996, 96/61/CE (GU L 257, pag. 26), nella versione modificata dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 18 gennaio 2006, n. 166, relativo all’istituzione di un registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti e che modifica le direttive 91/689/CEE e 96/61/CE del Consiglio (GU L 33, pag. 1), nella versione consolidata di cui alla direttiva 2008/1/CE (GU L 24, pag. 8). La detta direttiva, insieme con alcune altre direttive, sarà prossimamente sostituita dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 24 novembre 2010, 2010/75, sulle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), v. il documento del Consiglio 24 novembre 2010, PE-CONS 31/5/10 REV 5. La direttiva LNE non fa parte di tale pacchetto.


6 – Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU 2005, L 124, pag. 4), firmata dalla Comunità europea il 25 giugno 1998 ad Aarhus (Danimarca) ed approvata con decisione del Consiglio 17 febbraio 2005, 2005/370/CE (GU L 124, pag. 1).


7 – Art. 4, n. 4, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003, 2003/35/CE, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia (GU L 156, pag. 17).


8 – Approvato con decisione del Consiglio 13 giugno 2003, 2003/507/CE (GU L 179, pag. 1).


9 – GU L 309, pag. 1, come modificata dalla direttiva del Consiglio 20 novembre 2006, 2006/105/CE, che adegua le direttive 73/239/CEE, 74/557/CEE e 2002/83/CE in materia di ambiente, a motivo dell’adesione della Bulgaria e della Romania (GU L 363, pag. 368).


10 – V. la descrizione contenuta nella sentenza del Tribunale 10 aprile 2008, causa T‑233/04, Paesi Bassi/Commissione (Racc. pag. II‑591, punti 10 e segg.).


11 – V. nota 4.


12 – Sentenze della Corte 10 giugno 2010, causa C‑140/09, Fallimento Traghetti del Mediterraneo (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 29), nonché cause riunite C‑395/08 e C‑396/08, Bruno e Pettini (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 19), e sentenza 1 luglio 2010, causa C‑393/08, Sbarigia (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 20).


13 – Sentenza 13 luglio 2006, cause riunite da C‑295/04 a C‑298/04, Manfredi e a. (Racc. pag. I‑6619, punto 27).


14 – V. inter alia sentenze 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman (Racc. pag. I‑4921, punto 61), e 10 gennaio 2006, causa C‑344/04, IATA e ELFAA (Racc. pag. I‑403, punto 24).


15 – V. sentenze Bosman (punto 59), nonché IATA e ELFAA (punto 24) cit. alla nota 14.


16 – Sentenze 13 novembre 2003, causa C‑153/02, Neri (Racc. pag. I‑13555, punti 34 e segg.); 29 aprile 2004, cause riunite C‑482/01 e C‑493/01, Orfanopoulos e Oliveri (Racc. pag. I‑5257, punto 42), e 12 gennaio 2006, causa C–246/04, Turn- und Sportunion Waldburg (Racc. pag. I‑589, punto 21).


17 – Sentenza della Corte 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit e a. (Racc. pag. 3415, punti 13‑16 e 21).


18 – Sentenza Cilfit e a. (cit. alla nota 17, punto 15).


19 – La RWE, nella sua memoria del 18 agosto 2009, rammenta che finora non c’è stata alcuna censura della Commissione europea riguardante il superamento (potenziale) dei valori di emissione previsti per i Paesi Bassi (punto 35).


20 – Sentenze della Corte 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson e Kamann (Racc. pag. 1891, punto 26), e 13 novembre 1990, causa C‑106/89, Marleasing (Racc. pag. I‑4135, punto 8).


21 – Sentenze von Colson e Kamann, nonché Marleasing (entrambe citate alla nota 20).


22 – V. sentenze 22 giugno 1989, causa 103/88, Costanzo (Racc. pag. 1839, punti 30 e segg.); 29 aprile 1999, causa C‑224/97, Ciola (Racc. pag. I‑2517, punto 30); 14 giugno 2007, causa C‑6/05, Medipac-Kazantzidis (Racc. pag. I‑4557, punto 43); 12 gennaio 2010, causa C‑341/08, Petersen (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 80), nonché 14 ottobre 2010, causa C‑243/09, Fuß (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 61).


23 – Sentenze 5 ottobre 2004, cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer e a. (Racc. pag. I‑8835, punti 115 e 118 e segg.), e 16 luglio 2009, causa C‑12/08, Mono Car Styling (Racc. pag. I‑6653, punto 62).


24 – V. Kracht/Wasielewski, in Rengeling (cur.), Handbuch zum europäischen und deutschen Umweltrecht, volume I, Köln, II ed. 2003, § 35 paragrafo 34, Albrecht, Umweltqualitätsziele im Gewässerschutzrecht, Berlin 2007, pag. 43.


25 – V. Kracht/Wasielewski (cit. alla nota 24) e Albrecht (cit. alla nota 24, pagg. 292 e segg.).


26 – V. Kracht/Wasielewski (cit. alla nota 24) e Albrecht (cit. alla nota 24, pagg. 44, 52 e segg.).


27 – V. Albrecht (cit. alla nota 24, pagg. 52 e segg.).


28 – GU L 152, pag. 1. V. sul punto le sentenze citate alla nota 2.


29 – V. art. 4 in combinato disposto con l’allegato I della direttiva LNE.


30 – V. art. 1, primo periodo, in combinato disposto con l’allegato I della direttiva IPPC.


31 – V. art. 1, secondo periodo, art. 3, n. 1, lett. a), art. 9, n. 4, primo periodo, della direttiva IPPC.


32 – I valori limite d’emissione ai sensi dell’art. 19, n. 1, della direttiva IPPC non sono stati stabiliti dagli organi dell’Unione, cosicché si applica il n. 2.


33 – «Sulla via della produzione sostenibile - Progressi nell’attuazione della direttiva 96/61/CE del Consiglio sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento», comunicazione della Commissione 19 giugno 2003 al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, COM(2003) 354 def.


34 – Comunicazione della Commissione (cit. alla nota 33, punto 10.1.7, direttiva sui limiti nazionali di emissione, pag. 30).


35 – Sentenza 18 dicembre 1997, causa C‑129/96, Inter-Environnement Wallonie (Racc. pag. I‑7411, punto 43).


36 – Sentenza Inter-Environnement Wallonie (cit. alla nota 35, punto 44).


37 – Sentenze Inter-Environnement Wallonie (cit. alla nota 35, punto 45); 8 maggio 2003, causa C‑14/02, ATRAL (Racc. pag. I‑4431, punto 58); 10 novembre 2005, causa C‑316/04, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie (Racc. pag. I‑9759, punti 42, 44); 22 novembre 2005, causa C‑144/04, Mangold (Racc. pag. I‑9981, punto 67); 14 settembre 2006, causa C‑138/05, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie (Racc. pag. I‑8339, punti 42, 48); 14 giugno 2007, causa C‑422/05, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑4749, punto 62), nonché 23 aprile 2009, cause riunite da C‑378/07 a C‑380/07, Angelidaki e a. (Racc. pag. I‑3071, punto 206), e cause riunite C‑261/07 e C‑299/07, VTB-VAB (Racc. pag. I‑2949, punto 38).


38 – V. le mie conclusioni presentate il 18 maggio 2004, causa C‑313/02, Wippel (Racc. pag. I‑9483, paragrafo 60); l’8 luglio 2004, causa C‑117/03, Dragaggi e a. (Racc. pag. I‑167, paragrafo 26); il 27 ottobre 2005, causa C‑212/04, Adeneler e a. (Racc. pag. I‑6057, paragrafo 48); il 9 gennaio 2008, causa C‑268/06, Impact (Racc. pag. I‑2483, paragrafo 127), nonché il 4 dicembre 2008, cause riunite da C‑378/07 a C‑380/07, Angelidaki e a. (Racc. pag. I‑3071, paragrafo 73).


39 – V. le sentenze citate alla nota 37.


40 – V. in particolare le sentenze 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a. (Racc. pag. I‑6057, punti 121 s.); Angelidaki e a. (cit. alla nota 37, punti 206 s.), nonché VTB-VAB (cit. alla nota 37, punti 38 s.).


41 – Sentenze Adeneler e a. (cit. alla nota 40, punti 122 e segg.), nonché VTB-VAB (cit. alla nota 37, punto 38).


42 – V. le due sentenze Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie (cit. alla nota 37, punto 42).


43 – Direttiva del Consiglio 21 marzo 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206, pag. 7).


44 – Direttiva del Consiglio 15 luglio 1991, 91/414/CEE, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari (GU L 230, pag. 1).


45 – V. la seconda sentenza Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie, causa C-138/05 (cit. alla nota 37, punti 44 s.).


46 – Sentenze 13 gennaio 2005, causa C‑117/03, Dragaggi e a. (Racc. pag. I‑167, punto 29); 14 settembre 2006, causa C‑244/05, Bund Naturschutz in Bayern e a. (Racc. pag. I‑8445, punto 44); 14 settembre 2010, causa C‑226/08, Stadt Papenburg (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 49), e 20 maggio 2010, causa C‑308/08, Commissione/Spagna (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 21).


47 – V. rispettivamente, sull’art. 16, n. 1, della direttiva 98/8, le due sentenze Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie (cit. alla nota 37, causa C‑316/04, punto 15, e causa C‑138/05, punto 12) e, sull’art. 18, n. 2, della direttiva 2000/78, la sentenza Mangold (cit. alla nota 37, punti 71 e segg.).


48 – Facendo riferimento alla sentenza Commissione/Austria (cit. alla nota 2, punto 80).


49 – V. già la sentenza della Corte 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend & Loos (Racc. pagg. 1, 26).


50 – V. pure il primo ed il secondo ‘considerando’, nonché l’art. 5, lett. b), della direttiva LNE.


51 – V. la sentenza Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie (C‑138/05, cit. alla nota 37, punti 43 s.).


52 – Sentenze 24 ottobre 1996, causa C‑72/95, Kraaijeveld e a. (Racc. pag. I‑5403, punto 61); 15 giugno 2000, causa C‑365/98, Brinkmann (Racc. pag. I‑4619, punto 32), e Janecek (cit. alla nota 2, punto 46).


53 – V. le sentenze della Corte 8 febbraio 1973, causa 30/72, Commissione/Italia (Racc. pag. 161, punto 11); 10 luglio 1990, causa C‑217/88, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑2879, punto 26), e 10 giugno 2004, causa C‑87/02, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑5975, punto 38).


54 – V., a titolo di esempio, in relazione all’intervento in zone di conservazione degli uccelli, la sentenza 28 febbraio 1991, causa C‑57/89, Commissione/Germania («Leybucht», Racc. pag. I‑883, punti 21 e segg.), e, in relazione alla protezione della biodiversità, le mie conclusioni presentate il 14 giugno 2007, causa C‑342/05, Commissione/Finlandia («Wolfsjagd», Racc. pag. I‑4713, paragrafi 52 e segg.).


55 – V. in particolare il secondo ed il nono ‘considerando’, nonché gli artt. 1, 2, punto 2, 3, n. 1, lett. a) e b), 9, n. 4, della direttiva IPPC.


56 – V. in particolare il nono ed il trentesimo ‘considerando’, nonché gli artt. 1, 2, punti 5 e 6, art. 9, nn. 3 e 4, art. 19, della direttiva IPPC.


57 – V. il ventunesimo ‘considerando’, nonché l’art. 2, punto 3, della direttiva IPPC.


58 – V. supra, paragrafo II-D-1.


59 – Sentenze Janecek (cit. alla nota 2, punto 37); 16 settembre 1999, causa C‑435/97, WWF e a. (Racc. pag. I‑5613, punto 69); Kraaijeveld e a. (cit. alla nota 52, punto 56), e 1° febbraio 1977, causa 51/76, Verbond van Nederlandse Ondernemingen (Racc. pag. 113, punto 20/29).


60 – Sentenza Janecek (cit. alla nota 2, punto 37).


61 – Sentenze della Corte 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker (Racc. pag. 53, punto 25); 11 luglio 2002, causa C‑62/00, Marks & Spencer (Racc. pag. I‑6325, punto 25); Pfeiffer e a. (cit. alla nota 24, punto 103); 12 febbraio 2009, causa C‑138/07, Cobelfret (Racc. pag. I‑731, punto 58), e Janecek (cit. alla nota 2, punto 36).


62 – V. in tal senso la sentenza Janecek (cit. alla nota 2, punto 39).


63 – Sentenza Janecek (cit. alla nota 2, punto 39).


64 – Si può ritenere che le cause pendenti C-115/09, Trianel (comunicazione in GU C 141, pag. 26, su cui v. le odierne conclusioni dell’avvocato generale Sharpston), nonché le cause riunite C-128/09‑131/09, C-134/09 e C-135/09, Boxus e a. (comunicazione in GU C 153, pagg. 18 ss.), possano dare un contributo all’interpretazione di questi requisiti.


65 – Sentenze della Corte 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723, punto 48); 14 luglio 1994, causa C‑91/92, Faccini Dori (Racc. pag. I‑3325, punto 20), e 19 gennaio 2010, C‑555/07, Kücükdeveci (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 46).


66 – Sentenza Pfeiffer e a. (cit. alla nota 23, punti 110 ss.), e 19 gennaio 2010, causa C‑555/07, Kücükdeveci (cit. alla nota 65, punti 45 e segg.).


67 – Sentenze 7 gennaio 2004, causa C‑201/02, Wells (Racc. pag. I‑723, punto 57), e 17 luglio 2008, cause riunite da C‑152/07 a C‑154/07, Arcor (Racc. pag. I‑5959, punto 36).


68 – V. supra paragrafi 80 e segg.


69 – V. supra paragrafi 120 e segg.