Cass. Sez. III n. 2216 del 20 gennaio 2016 (Ud 25 nov 2015)
Presidente: Franco Estensore: Scarcella Imputato: De Marco
Beni ambientali.Causa estintiva di cui all'art. 181, comma primo quinquies, D.Lgs. n. 42 del 2004

In tema di tutela penale del paesaggio, la speciale causa estintiva prevista dall'art. 181, comma primo quinquies, del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, opera a condizione che l'autore dell'abuso documenti il rilascio, da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, dell'attestazione di intervenuta esecuzione dei lavori in conformità al progetto approvato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che legittimamente la sentenza impugnata avesse considerato non soddisfatto l'onere probatorio in questione a fronte delle dichiarazioni di un testimone e della produzione in giudizio dell'autorizzazione regionale concernente il progetto di esecuzione dei lavori di ripiantumazione di un terreno vincolato, oggetto di disboscamento).

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 6/06/2014, depositata in data 2/09/2014, la Corte d'appello di POTENZA confermava la sentenza del tribunale di MATERA, sez. dist. PISTICCI del 18/10/2012 che aveva condannato DE MARCO NICOLA, , in esito al giudizio abbreviato richiesto e previo riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, per aver eseguito in zona vincolata paesaggisticamente il taglio della vegetazione arborea radicativa, costituita da piante di alto fusto di leccio e roverella, con totale disboscamento della superficie (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, lett. g), e art. 181, contestato come commesso in data 9/4/2011.

2. Ha proposto ricorso D.M.N. a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce, con tale motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della mancata applicazione della causa di non punibilità prevista in caso di ripristino dei luoghi e correlato vizio di illogicità della motivazione.

In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza, in quanto, sostiene il ricorrente, questa aveva chiesto ed ottenuto di poter ripristinare lo stato dei luoghi in base ad un progetto autorizzato dalla competente autorità regionale; detto progetto prevedeva il reimpianto di piante della stessa essenza di quella tagliate, sebbene di età e dimensioni diverse da quella tagliate; la Corte territoriale, pur riconoscendo l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, ha escluso che il reimpianto potesse essere considerato come condizioni di estinzione del reato paesaggistico in quanto non erano state poste piante della stessa età e delle stesse dimensioni di quelle recise; tale affermazione sarebbe erronea ed illogica in quanto non tiene conto del fatto che il ricorrente non poteva disattendere il progetto approvato e reimpiantare alberi diversi da quelli di cui al progetto approvato, sicchè, ove avesse fatto diversamente, ciò avrebbe determinato in sede di controllo la dichiarazione da parte della Regione di mancato ripristino dello stato dei luoghi per la mancata fedele esecuzione del progetto approvato; i giudici, quindi, avrebbero dovuto prosciogliere il ricorrente per aver ottenuto l'approvazione da parte della Regione Basilicata del progetto avente ad oggetto il ripristino dello stato dei luoghi, eseguito secondo le prescrizioni imposte; diversamente, i giudici avrebbero espresso un giudizio sul progetto che esulava dalle loro competenze, laddove negando l'applicazione della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies, posto che il reimpianto delle piante del medesimo genere di quelle abbattute configurava l'ipotesi di rimessione in pristino prevista dalla predetta norma.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

4. Ed invero, i giudici di appello hanno negato l'applicabilità della causa di estinzione del reato paesaggistico ex D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies, non essendo comprovata la ricorrenza del presupposto indefettibile per l'operatività della causa estintiva del reato riconducibile al ripristino dei luoghi, non potendosi considerare rimessione in pristino il reimpianto, realizzato successivamente al disboscamento, di piante più giovani di quelle oggetto del precedente taglio; secondo i giudici di appello il ripristino comporta che lo stato dei luoghi debba essere riportato nella medesima situazione preesistente alla violazione del vincolo paesaggistico, perchè solo in tal modo viene eliminato il vulnus realizzato con l'esecuzione delle opere abusive; lo stesso teste a difesa, si legge in sentenza, che ebbe a curare il ripristino dei luoghi, aveva riferito che vi era una grande differenza tra gli alberi tagliati e quelle reimpiantati, laddove i primi avevano un'altezza variabile dagli 8 ai 10 mt. ed un'età compresa tra i 25 ed i 35 anni, mentre gli alberi reimpiantati avevano un'altezza di 2,5 - 3,5 mt. ed un'età di circa 5 anni, affermando che era praticamente impossibile ripristinare alberi come quelli preesistenti; la Corte, infine, ritiene irrilevante la circostanza che la Regione avesse approvato il progetto di esecuzione dei lavori, dal momento che ciò che rileva, ai fini dell'applicabilità della causa estintiva del reato, è la rimessione in pristino dei luoghi, che nel caso in esame non vi sarebbe stata.

5. Sul punto va qui ricordato che il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies, prevede che "la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1". Nel caso di specie, sono rispettate solo alcune delle condizioni richieste dalla norma, atteso che: a) ad essere contestata è la contravvenzione e non il delitto paesaggistico; b) non risulta che la rimessione in pristino fosse stata disposta precedentemente dall'autorità amministrativa; c) la condotta spontanea del ricorrente era stata posta in essere prima della sentenza di condanna di primo grado. Deve, quindi, verificarsi se il reimpianto secondo il progetto approvato costituisca rimessione in pristino e se la Corte territoriale potesse esercitare il sindacato sul reimpianto come da progetto.

Sul punto, risolutiva al fine di escludere la fondatezza della tesi difensiva, è la constatazione che nè in primo nè in secondo grado risulta documentata l'attestazione di intervenuta esecuzione dei lavori di ripiantumazione e ripristino, attestazione rilasciata dall'Autorità preposta che avrebbe dovuto confermare la rispondenza dei lavori di ripristino al progetto approvato. Detta attestazione, che doveva pervenire necessariamente dall'Autorità amministrativa preposta alla tutela del vincolo, non può certamente ritenersi surrogata dalla dichiarazione del teste indotto dalla difesa che ha eseguito il reimpianto nè può ritenersi sufficiente la circostanza che la Regione avesse approvato il progetto di esecuzione dei lavori, difettando invero proprio l'allegazione da parte del ricorrente dell'attestazione rilasciata dall'Autorità preposta alla tutela del vincolo che confermasse che il detto progetto esecutivo fosse stato fedelmente rispettato.

In assenza, pertanto, dell'assolvimento dell'onere probatorio incombente in capo a chi invoca l'applicazione della causa di estinzione del reato paesaggistico (essendo pacifico che mentre i "fatti costitutivi" dell'illecito previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, devono essere dimostrati dal P.M., diversamente i "fatti modificativi o estintivi" in grado di paralizzare la pretesa punitiva devono essere provati dall'imputato), il ricorso non può che essere rigettato.

6. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella sede della Suprema Corte di Cassazione, il 25 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2016