 Cass.Sez. III n. 28934 del 8 luglio 2013 (Cc 26 mar 2013)
Cass.Sez. III n. 28934 del 8 luglio 2013 (Cc 26 mar 2013)
Pres.Fiale Est.Graziosi Ric.Borsani
Beni Ambientali.Natura permanente del reato
Il reato di cui all'art. 181, comma primo, del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, qualora sia realizzato attraverso una condotta che si protrae nel tempo, come nel caso di realizzazione di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, ha natura permanente e si consuma con l'esaurimento totale dell'attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato la decisione del tribunale del riesame che aveva ritenuto che la permanenza del reato in esame cessasse non con l'ultimazione dei lavori ma soltanto con la privazione della disponibilità del bene al suo proprietario).
  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Camera di consiglio SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE    
 SEZIONE TERZA 
 Dott. FIALE     Aldo             - Presidente  - del 26/03/2013
 Dott. RAMACCI   Luca             - Consigliere - SENTENZA
 Dott. ROSI      Elisabetta       - Consigliere - N. 742
 Dott. GRAZIOSI  Chiara      - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ANDREAZZA Gastone          - Consigliere - N. 29122/2012
 ha pronunciato la seguente: 
 sul ricorso proposto da:
 BORSANI FERRUCCIO N. IL 30/04/1958;
 avverso l'ordinanza n. 10/2012 TRIB. LIBERTÀ di LANUSEI, del  22/05/2012;
 sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
 sentite le conclusioni del PG Dott. Policastro Aldo, inammissibilità  del ricorso.
 udito il difensore avv. Ballotti Sergio di Roma, e Sgubbi Filippo di  Bologna.
 RITENUTO IN FATTO
 1. Con ordinanza del 22 maggio 2012 il Tribunale di Lanusei ha  respinto la richiesta di Borsani Ferruccio di riesame del decreto  di sequestro preventivo emesso il 26 aprile 2012 dal gip dello stesso  Tribunale avente ad oggetto un'area e le opere sovrastanti di  proprietà dello stesso Borsani, indagato per i reati di cui al  D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), (per avere  realizzato opere edilizie in totale difformità dalla concessione ed  altre in totale assenza di permesso di costruire), D.Lgs. n. 42 del  2004, art. 181 (per aver realizzato tutte le opere in assenza della  prescritta autorizzazione paesaggistica in zona vincolata) e D.P.R.  n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), (per avere proseguito la  realizzazione abusiva di un muro di contenimento in violazione  dell'ordinanza comunale di sospensione dei lavori). Il Tribunale ha  tra l'altro respinto l'eccezione di intervenuta prescrizione (secondo  l'indagato i lavori sarebbero stati ultimati nel 2007 e scoperti nel  2012) affermando che il reato ambientale, a differenza del reato  edilizio, è permanente finché l'autore non è privato della  disponibilità materiale o giuridica del bene.
 2. Ha presentato ricorso il difensore, con unico motivo di violazione  del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b) e c), e D.Lgs.  n. 42 del 2004, art. 181, affermando che i reati sono prescritti e il  Tribunale ha operato una errata qualificazione giuridica del reato di  cui all'art. 181 citato, che è permanente e si consuma con  l'esaurimento totale dell'attività di edificazione o con la  cessazione della condotta per altro motivo, se non integra un reato a  consumazione istantanea seppure con effetti permanenti.  CONSIDERATO IN DIRITTO
 3. Il ricorso è fondato.
 Il Tribunale ha ritenuto che "a differenza del reato edilizio, la  permanenza del reato ambientale non cessa con l'ultimazione dei  lavori" perché la realizzazione di un'opera abusiva in area tutelata  infligge "una lesione permanente e continua del bene giuridico"  rappresentato dal valore ambientale, l'utilizzazione dell'opera  abusiva aggravando anzi tale lesione, onde la permanenza può cessare  "soltanto con la privazione della disponibilità del bene al suo  proprietario". Osserva il ricorrente che in tal modo la permanenza  viene ancorata non alla condotta criminosa (la esecuzione dei lavori  in zona vincolata senza autorizzazione) bensì "alle ulteriori  conseguenze derivanti dalla consumazione di un reato già  perfezionatosi".
 Invero, per identificare la consumazione, occorre previamente  identificare come nella fattispecie si integra il necessario grado di  offensività rispetto al bene giuridico tutelato. Al riguardo, la  giurisprudenza di questa Suprema Corte ha qualificato il reato ex  D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, (in precedenza L. n. 431  del 1985, art. 1 sexies e D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163) come  reato di pericolo (Cass. sez. 3, 27 aprile 2010 n. 16393; Cass. sez.  3, 9 aprile 2009 n. 15227; Cass. sez. 3, 11 gennaio 2006 n. 564;
 Cass. sez. 3, 21 dicembre 2005 n. 46767), per cui la sussistenza di  offensività, affinché si configuri l'illecito, non consiste in un  effettivo danno all'ambiente, bensì nell'attitudine della condotta  criminosa a collocare in una situazione di pericolo il bene giuridico  tutelato, al rischio per l'ambiente affiancandosi una violazione  dell'interesse della P.A. ad un'adeguata informazione preventiva ed  all'esercizio di un efficace controllo, interesse pure evidentemente  diretto a preservare dal pericolo il bene ambientale. Se così è, il  ragionamento del Tribunale sull'esistenza necessaria di un danno, che  si protrae oltre la condotta di edificazione fino a che il bene è  utilizzato, risulta, come ha rilevato il ricorrente, non conforme al  dettato normativo. Al contrario, per la sua natura di reato di  pericolo la consumazione si coagula nella condotta, e pertanto può  assumere caratteristiche di permanenza qualora la condotta di  disvalore non si realizzi in un atto istantaneo, bensì si sviluppi  nel tempo, come avviene quando si tratta della costruzione di un  edificio. In tal caso, parallelamente alla permanenza del reato  edilizio (che cessa infatti con l'ultimazione dei lavori: Cass. sez.  3, 27 aprile 2010 n. 16393; Cass. sez. 3, 3 novembre 2009 n. 42179),  il reato de qua è permanente e si consuma con l'esaurimento totale  dell'attività o con la cessazione della condotta per altro motivo  (Cass. sez. 3, 27 aprile 2010 n. 16393; Cass. sez. 3, 2 luglio 2003  n. 28338, Cass. sez. 3, 6 maggio 1994 n. 7286).
 In conseguenza di quanto rilevato, l'ordinanza deve essere annullata,  con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Lanusei.
 Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Lanusei per  			nuovo esame.
 Così deciso in Roma, il 26 marzo 2013.
 Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2013
 
                    




