Cons. Stato Sez. V sent. 40 del 10 Gennaio 2007
Beni Ambientali. Diniego sanatoria



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 40/07 REG.DEC.
N. 3376 REG.RIC.
ANNO 1998


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello n. 3376 del 1998, proposto dal sig. Aldo ANTICHI, rappresentato e difeso dall’Avv. Felix Hofer del Foro di Firenze, con domicilio eletto in Roma, Lungotevere Michelangelo, presso lo studio del Dr, Giammarco Grez
contro
il Comune di Sesto Fiorentino, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Fabio Lorenzoni e Natale Giallongo, con domicilio eletto presso li studio del primo in Roma, via del Viminale, n. 43;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, Sezione III - n. 344/1997 del 29 dicembre 1997;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sesto Fiorentino;
Viste le memoria prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 20 giugno 2006, il Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani; uditi, altresì, l’avv. A. Torricelli per delega dell’avv. F. Hofer e l’avv. A. Palopoli per delega di F. Lorenzoni;
Vista la sentenza impugnata;
Ritenuto e considerato, in fatto ed in diritto, quanto segue:


F A T T O


1. L’attuale appellante acquistò, con atto in Notaio Salani del 19 febbraio 1992, registrato il 6 aprile 1992 al n. 2993, un terreno in località Valcenni, nel territorio del Comune di Sesto Fiorentino, a lui proveniente da tal Luca Ceccherelli, il quale a sua volta lo aveva acquistato (con rogito in notaio Gunnella del 19 settembre 1989, registrato il 5 ottobre 1989 al n. 7004) dal sig. Luciano Di Labio;
- su detto terreno, sottoposto a vincolo paesaggistico con D.M: 23 dicembre 1952, gravavano già fabbricati abusivi, in ordine ai quali, con ordinanza n. 202 del 6 luglio 1985, il Sindaco del Comune di Sesto Fiorentino ingiunse la demolizione all’allora proprietario sig. Di Labio; successivamente, in data 29 ottobre 1985 decorso il termine di legge, la polizia municipale accertò la mancata demolizione delle opere e venne quindi disposta l’acquisizione al patrimonio comunale dell’immobile e dell’area di sedime;
- successivamente, con istanza del 20 dicembre 1985, il proprietario sig. Di Labio presentò istanza di concessione in sanatoria a norma della legge n. 47 del 1985; sennonché l’autorizzazione paesaggistica rilasciata la Sindaco con atto n. 39/1988 fu annullata con decreto 6 aprile 1989 del Ministro dei beni culturali ed ambientali, cosicché, con determinazione dell’8 giugno 1990 fu negata la concessione in sanatoria, notificata al Di Labio e da questi, con raccomandata in data 12 luglio 1990, all’avente causa sig. Luca Ceccarelli; infine con ordinanza del 5 marzo 1991 n. 70/90, notificata sia al nuovo che precedente proprietario, il Sindaco ha ordinato nuovamente la demolizione delle opere abusive;
- nessuno dei superiori atti é stato fatto oggetto di impugnazione da parte del sig. Di Labio e del sig. Ceccarelli, al primo succeduto nella titolarità del terreno e dei fabbricato abusivi di cui si tratta;
- con verbale dell’11 luglio 1991 era stata accertata dalla polizia municipale l’inottemperanza all’ordine di demolizione, e, successivamente, con ordinanza del 6 maggio 1994, il Sindaco di Sesto Fiorentino ha disposto l’immissione nel possesso delle opere abusive e della relativa area di sedime.


2. Con un primo ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, rubricato al n. 2727/94, il Sig. Antichi ha proposto impugnazione dell’ordinanza di immissione in possesso del 6 maggio 1994; ha poi proposto il ricorso n. 3695/94 contro il diniego di concessione in sanatoria del ed il ricorso n. 3696/94 contro l’ordine di demolizione 5 marzo 1991 n. 70/90.


Nel frattempo, dopo il primo dei ricorsi anzidetti, con istanza del 4 luglio 1994 ha chiesto il riesame dell’istanza di condono a suo tempo presentata dal venditore del suo dante causa (in data 20 dicembre 1985) ed ha poi impugnato, (con ricorso rubricato al n. 3697/94) il diniego di riesame (determinazione in data 29 luglio 1994 dell’Assessore delegato dal Sindaco).


Pendenti i suddetti giudizi, con due distinte istanze del 22 febbraio 1995, il Sig. Antichi ha presentato domanda di concessione in sanatoria ai sensi della L. n. 724/94 comprensiva di talune opere accessorie alle opere abusive di cui si è detto ed a seguito di parere contrario della Commissione edilizia (in data 3 settembre 1996), il Sindaco ha negato l’autorizzazione paesaggistica con provvedimento del 10 settembre 1996 e l’Assessore delegato ha negato la concessione in sanatoria, con delibera in pari data; avverso tali provvedimenti sono stati proposti, separatamente, i ricorsi nn. 4380/96 e 4382/96.


Tutte le cause in questione sono state chiamate e trattenute in decisione alla pubblica udienza del 22 ottobre 1997 e la Sezione III del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, con sentenza n. 344/1997 pubblicata il 20 dicembre 1997, riuniti i ricorsi, ha dichiarato inammissibili i ricorsi nn. 2727/94 e 3697/94; irricevibili i ricorsi n. 3695/94 e 3696/94, ed ha respinto i ricorsi nn. 4380/96 e 4382/96;
3. Avverso l’anzidetta sentenza é proposto l’appello in esame contro cui resiste il Comune di Sesto Fiorentino.


D I R I T T O


1. Con la sentenza appellata sono stati riuniti e decisi in unico contesto una serie ricorsi che investono opere abusive realizzate prima dell’acquisto della proprietà da parte dell’attuale appellante e delle quali il Comune ha alfine disposto, dopo varie vicende, l’occupazione finalizzata alla acquisizione al patrimonio comunale, unitamente all’area di sedime, dopo che era stato opposto un ulteriore diniego alla concessione in sanatoria ed era stato disatteso, dal nuovo proprietario, l’ordine di demolire.


2.1. Devono essere respinte, perché manifestamente infondate, le articolate censure rivolte, con il primo motivo di appello, ai capi della decisone che dichiarano irricevibili i ricorsi 3695/94 e 3696/94 ed inammissibili i ricorsi nn. 2727/94 e 3697/94.


2.A) Con i ricorsi nn. 3695/1994 e 3696/1994, sono stati, separatamente, impugnati, in primo grado, il diniego di condono edilizio, in data 8 giugno 1990 (sulla domanda 20 dicembre 1985 prot. n. 51765 dell’originario proprietario Di Labio) e l’ingiunzione di demolizione a norma dell’art. 7 della L. n. 47 del 1985, in data 5 marzo 1991; entrambi gli atti sono stati conosciuti (e di ciò è stata fornita prova dal Comune resistente) e non tempestivamente impugnati dal dante causa del ricorrente (il sig. Cecchetti) e dal primitivo proprietario (il sig. Di Labio).


Essi, dunque, sono divenuti inoppugnabili (anteriormente al trasferimento della proprietà al ricorrente in primo grado) per il sig. Di Labio e per il sig. Cecchetti, quest’ultimo immediato dante causa dell’attuale appellante, il quale gli succede nel diritto reale e nelle posizioni attive e passive che facevano capo al precedente proprietario e che sono inerenti alla cosa, ivi compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartito, che precede, nel tempo (ome più volte precisato), il contratto traslativo, in suo favore, della proprietà.


Non giova all’acquirente, per i fini che interessano, lo stato di buona fede (ignoranza) in cui eventualmente versava all’atto della stipula, per avere, il venditore, falsamente dichiarato la persistente pendenza della pratica di condono.


La falsa dichiarazione del venditore (ed il correlativo stato di buona fede dell’acquirente) può costituire valida causa di invalidità del contratto, ma non è idonea a rimettere in termini l’acquirente per l’impugnazione del provvedimento lesivo.


L’istituito dell’errore scusabile non è praticabile, ai fini della rimessione in termine per la proposizione del ricorso dal quale è decaduto l’alienante, allorché, come nel caso in esame, si verta in ipotesi di errore che ricada (non sui termini processuali o sull’autorità alla quale richiedere la tutela giurisdizionale o, infine, sui mezzi di tutela accordati dall’ordinamento, bensì) sulla la volontà negoziale relativa al contratto di compravendita, per effetto del dolo dell’altro contraente.


Del resto, risalente e consolidato il principio secondo cui è irrilevante la tardiva conoscenza dell’atto lesivo da parte del successore (anche a titolo particolare) (per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, n. 1006 del 28 ottobre 1980), ove il dante causa abbia, al contrario, conosciuto l’atto e sia decaduto dall’impugnazione.


Sotto differente profilo, non inficia la declaratoria di irricevibilità, l’avere deciso la causa e non averla, al contrario sospesa in attesa della decisione di altro ricorso, proposto dallo stesso attuale appellante, avverso l’annullamento ministeriale dell’autorizzazione paesaggistica (presupposto del diniego della sanatoria richiesta dall’originario proprietario e da questi non impugnato).


Il potere ordinatorio del giudice amministrativo, di disporre in ordine al processo e al suo andamento deve rispondere a precise regole di ordine logico sostanziale, oltre che giuridico formali; nella corretta osservanza di tali regole, l’esame dell’eventuale pregiudizialità (non necessaria) di altro giudizio - su un differente atto connesso a quello impugnato - deve seguire (e non precedere) l’esame dei presupposti e delle condizioni dell’azione e fra questi, quello in ordine alla tempestività dell’impugnazione, il cui esito negativo preclude al giudice ogni ulteriore accertamento di tipo sostanziale e di merito, ivi compreso quello sulla connessione delle cause e sulla pregiudizialità del giudizio sull’atto presupposto. Non è, dunque, sindacabile in appello la mancata sospensione di un’impugnazione palesemente irricevibile, in attesa della decisione del ricorso giurisdizionale sull’atto presupposto - pendente davanti a differente giudice dello stesso ordine e grado - in quanto (indipendentemente da ogni altra considerazione) la decisione sulla validità di tale atto sarebbe stata del tutto irrilevante, in quanto non in grado di risolvere (in favore del ricorrente) il problema processuale della inoppugnabilità del provvedimento consequenziale.


2.B) Il ricorso n. 2727/94 (avverso l’ordinanza di immissione in possesso del 6 maggio 1994 e, correlativamente, avverso il verbale di accertamento dell’11 luglio 1991 del tecnico comunale, di inottemperanza all’ordine di demolizione), è stato dichiarato inammissibile, facendosi corretta applicazione, da parte del giudice di primo grado, del principio più volte affermato dalla Sezione (per tutte, in termini, Cons. Stato, Sez. V, 26 maggio 2003, n. 2850) secondo cui il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e quello successivo di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime (ed il provvedimento che dispone, come quello in esame, l’occupazione dell’opera abusiva e dell’area di sedime in vista della trascrizione della acquisizione dell’area al patrimonio comunale) debbono considerarsi consequenziali, connessi e conseguenti all'ordine di demolizione delle opere e ripristino dello stato primitivo dei luoghi, con la conseguenza che non sono autonomamente impugnabili, in mancanza di impugnazione dell'atto con cui si ingiunge la demolizione (o come, nella specie, nel caso di irricevibilità dell’impugnazione tardivamente proposta avverso tale atto).


2.C) Con il ricorso n. 3696/1994, è stato impugnato il diniego di riesaminare l’istanza di condono, a suo tempo proposta dal Di Labio e respinta con il provvedimento dell’8 giugno 1990.


La decisione di tornare o meno su proprie precedenti determinazioni appartiene all’insindacabile apprezzamento dell’Amministrazione senza che l’istanza di riesame della situazione definita, da parte dell’interessato, possa, poi, da questi, essere surrettiziamente utilizzata per richiedere tardivamente il controllo giurisdizione sul provvedimento di cui è chiesto il riesame.


Nella controversia sul diniego, instaurata con il citato ricorso n. 3696/1994, il ricorrente invero desume, dalle ragioni che sorreggono l’atto, il riesame dell’istanza di condono dell’originario proprietario, mentre, al contrario l’Amministrazione non ha fatto altro che confermare e riprodurre le ragioni che a suo tempo avevano condotto al diniego di sanatoria e ad indicare (nella immutata situazione di fatto e di diritto) i motivi del mancato esercizio del potere di revisione.


Deve dunque essere pienamente condivisa la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione e la motivazione che la sorregge.


2.2. La reiezione dell’appello, per i punti considerati, assorbe e travolge le censure che erano state proposte con i ricorsi di primo grado dichiarati irricevibili e inammissibili e che sono state riproposte in appello, dall’interessato, con il terzo, articolato, motivo del ricorso introduttivo.


3. Con il secondo motivo di impugnazione, anch’esso articolato al proprio interno in una pluralità di paragrafi, la sentenza di grado è impugnata nella parte in cui decide, respingendoli, i ricorsi 4380/96 e 4382/96, rivolti avverso i dinieghi di condono opposti con due provvedimenti, entrambi del 10 settembre 1996, rispettivamente sulla istanze dell’attuale appellante n. 6963 del 22 febbraio 1995 e n. 6964 del 22 febbraio 1995, ed avverso gli atti presupposti, fra cui, segnatamente, i dinieghi di autorizzazione paesaggistica ed i pareri contrari della Commissione edilizia integrata.


Entrambi i ricorsi si incentravano (e si incentrano tuttora) sui pretesi vizi dei dinieghi di autorizzazione paesaggistica, contradditori rispetto alla precedente autorizzazione (annullata dal Ministero per i beni culturali ed ambientali); non sorretti, secondo l’interessato, da adeguata motivazione, e ciò anche perché non sarebbero stati resi noti e disponibili i pareri della commissione edilizia integrata su sui poggiano; discriminatori, con riferimento alle autorizzazioni a suo tempo accordate ai proprietari limitrofi per abusi analoghi. In più, nell’appello sono contenute note critiche sul procedimento logico-giuridico attraverso cui il giudice di primo grado è pervenuto alle sue conclusioni.


Anche su tali aspetti, l’appello è manifestamente infondato.


a) ed invero, in punto di fatto, la nuova domanda di sanatoria e la correlativa domanda di autorizzazione paesaggistica evidenziano interventi successivi, sulla realizzazione abusiva già effettuata dal primitivo proprietario (ed oggetto degli inoppugnabili provvedimenti dianzi indicati) che non ne modificano sostanzialmente l’impatto paesaggistico sul territorio, alla stregua di quanto a suo tempo rilevato dal Ministero per i beni culturali ed ambientali; conseguentemente, la competente autorità (e lo stesso organo deputo ad esprimere il parere di competenza) correttamente, nel riprendere in esame i valori paesaggistici in relazione all’abuso - in seguito a nuova domanda dell’interessato - hanno ritenuto di conformarsi al suddetto parere, non avendo rinvenuto elementi per sorreggere un differente orientamente, coerente con l’interesse pubblico tutelato.


A ben vedere, l’annullamento ministeriale, pur poggiando sul vizio della motivazione dell’autorizzazione rilasciata dall’autorità delegata, aveva sottolineato il contrasto fra i valori paesistici e le realizzazioni abusive, rispetto al quale nulla veniva dedotto, nella pregressa autorizzazione, che giustificasse la valutazione di compatibilità insita nell’autorizzazione.


Il ripensamento insito nell’adeguamento del nuovo provvedimento alle considerazioni dell’Autorità statale, contitolare della tutela del bene pubblico, sono espressione del corretto esercizio del potere, indotto dalla introduzione, nel procedimento, del principale interesse (ovvero quello pubblico della conservazione dei valori cui è preordinata l’imposizione del vincolo), rispetto al quale, quello particolare del soggetto interessato all’intervento edificatorio, intanto può trovare soddisfazione in quanto la modificazione non comporti una sostanziale alterazione dei valori tutelati.


La contraddizione, insita nel differente parametro di giudizio cui si è attenuta l’Autorità delegata con la primitiva autorizzazione annullata in sede ministeriale (conservazione di quanto realizzato, in un tessuto territoriale già compromesso dalla realizzazione abusiva), e in occasione del successivo provvedimento, oggetto in questa sede del controllo di legittimità (conservazione dei valori paesistici per la cui conservazione è stato imposto il vincolo, indipendentemente dalla già intervenuta compromissione, mediante l’abuso di cui è chiesta la sanatoria), non soltanto non vizia il provvedimento, ma ne sorregge la legittimità, anche alla stregua del denunciato vizio formale (insufficienza della motivazione), il quale deve essere individuato anche in relazione alle vicende che hanno preceduto la nuova richiesta di condono.


La prospettazione del ricorrente è nel senso che il vizio della contraddittorietà e quello della motivazione dei dinieghi di autorizzazione impugnati (per i riflessi sui dinieghi dei condoni dallo stesso direttamente richiesti) dovrebbero prescindere dal provvedimento ministeriale che, a tutto concendere, doveva essere disapplicato dal giudice investito della validità dei nuovi provvedimenti.


A parte ogni considerazione sulla applicabilità, nel caso in esame, dell’istituto della disapplicazione, ciò che assume rilievo nel presente giudizio non è la validità del decreto ministeriale (la cui cognizione sfugge in questa sede), bensì la correttezza del criterio di valutazione desunto da quel decreto, indipendentemente alla sua applicabilità in concreto, alle istanze di autorizzazione proposte dall’attuale appellato.


Al riguardo, non può che essere condivisa l’angolazione dalla quale è partita l’Amministrazione comunale nel negare le autorizzazioni al condono, di certo differente da quella che aveva condotto alla primitiva pronuncia favorevole, ma, al contrario di essa, del tutto corretta, perché ove la trasformazione illecitamente realizzata in assenza di autorizzazione e di concessione edilizia dovesse condizionare - per le modificazioni introdotte, di fatto, al territorio - la valutazione paesaggistica, da un lato non avrebbe significato che il legislatore continui a condizionare la sanatoria alla previa autorizzazione paesaggistica, e, d’altra parte, vanificherebbe la tutela, sostanzialmente rimessa alla volontà degli amministrati di non perpetrare e realizzare interventi abusivi.


Le considerazioni che precedono devono fare disattendere le censure di eccesso di potere originariamente proposte e le ulteriori censure rivolte alla sentenza impugnata, in sé, in quanto l’avere rinvenuto, nell’abuso già perpetrato, l’alterazione dei valori ambientali tutelati costituisce una valutazione tecnico discrezionale di per sé sufficientemente motivata, per di più ove si consideri che lo stesso interessato non ha addotto elementi utili a rinvenire una palese incongruità ed illogicità della valutazione in relazione ad oggettivi elementi caratterizzanti le realizzazioni abusive, in favore della compatibilità ambientale dei manufatti.


Nessun rilievo invalidante può annettersi infine:
a) alla omessa comunicazione dei conformi pareri della commissione edilizia integrata (cui i dinieghi di nullaosta fanno riferimento e di cui non risulta che l’interessato abbia chiesto vanamente di prendere visione);
b) alla pretesa e non provata disparità di trattamento di cui farebbe fede un abusivismo diffuso, si contrappongono le numerose controversie segnalate dal Comune ed agevolmente accertabili, riguardanti provvedimenti in modo vario assunti dall’amministrazione locale proprio nel tentativo di arginare il fenomeno; ciò senza contare che, nella materia che interessa, ciascun abuso edilizio deve essere considerato in sé ed in relazione alla sua incidenza sul tessuto territoriale, cosicché il vizio non appare neppure astrattamente configurabile.


4. La condanna alle spese, nella decisione appellata, non è in alcun modo sindacabile, ed in ogni caso, non merita censura, in quanto segue le regole della soccombenza secondo gli ordinari canoni che, fra l’altro - nel caso in esame - appaiono prudentemente ed equitativamente applicati, contemperando, al valore delle controversie separatamente proposte, l’economia sostanzialmente derivante dalla coincidenza delle parti e da quella stessa connessione oggettiva delle questioni dedotte con i sei separati ricorsi, che hanno suggerito al giudice la riunione delle cause, per essere decise in unico contesto.


5. In definitiva l’appello deve essere respinto.


Le spese del giudizio che si liquidano in dispositivo, devono essere poste a carico dell’appellante ed in favore del Comune resistente.


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) - definitivamente pronunciando - respinge l’appello in epigrafe;
Condanna l’appellante, in favore del Comune di Sesto Fiorentino in persona del Sindaco in carica, al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano complessivamente in € 5.000,00= oltre IVA e CPA, come per legge;
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, addì 20 giugno 2006, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Raffaele IANNOTTA PRESIDENTE
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI est. CONSIGLIERE
Paolo BUONVINO CONSIGLIERE
Marzio BRANCA CONSIGLIERE
Nicola RUSSO CONSIGLIERE


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Chiarenza Millemaggi Cogliani f.to Raffaele Iannotta

IL SEGRETARIO

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 10 gennaio 2007
(Art. 55 L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
f.to Antonio Natale